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Full text of "Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria"

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ANNO DECIJIONONO — 1902 



ATTI E MEMORIE 



SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA 



STORIA PATRIA 



Volume XVIII 



PAR ENZO 

PRESSO LA SOCIRTÀ ISTRIAKA DI ARCHEOLOGIA 1 STORIA PATRIA 

Tip. Gaetano Coana 
1901. 



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THE NEW YORK 

PUBLIC LIBRARY 



AITO», LEHOX «ND 

TILMN FOUNDATlOHt. 

1 1809 L 



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INDICE DEL VOLUME XVIII. 



Fascicolo \.° e 2.** 

Direzione. — Senato Rettori — (Coni.) 

Direzione. — Processi di luteranismo in Istria — (Coni.) 

Bernardo dott. Schiavuzzi. — Cenni storici sull'etnografia dell'Istria 
Dott. Piero Sticotti. — Relazione preliminare sugli scavi di Nesazio. 
Bernardo dott. Schlavuzii, — Monete romane rinvenute negli scavi 

di Nesazìo 1900-1901 

Prof, A. Ive. — Quamàro o Carnàro? QuamÈro o Caméro? Postilla 

etimologica 

Camillo De Franceschi. — Il Comune polese e la signoria dei Ca- 

stropola (Coni.) 

Fascicolo 3." e 4.° 

Direzione. — Senato Rettori — (Cotti.) 

Direzione. — Processi di luteranismo in Istria — (Coni.) 

Ciov. Vesnaver. — I privila della Chiesa di Grìsignana 

Camillo De Franceschi. — Il Comune polese e la signorìa dei Ca- 
stropola. — (Cotti.) 

Bernardo dott. Schiavozzi. — Cenni storici sult' etnografìa dell'Istria 

Silvio prof. Uitis, — La conita di Pisino dal decinrosesto al deci- 
monono sccòn5 '*- (Witi'J ...:,:'< 



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SENATO RETTORI 

Deliberazioaì Scerete di Senato — Serie RETTORI. *) 

Registro I. 

i63o — settembre ii, — Si avverte il Provv/*^ Contarini 
in Istria che riceverà ducati cinquemila per pagamenti agli 
uomini di quelle galee compresa quella del Pisani; si mande- 
ranno per le stesse i cordami, remi ed attrezzi che indicherà 
necessari sebbene fu già mandato certo numero di remi al 
Cap. Zulian. Si spera che in breve risani il Conte Poiana e 
possa continuare colla solita prontezza nei lavori della fortifi- 
cazione di Pola. 11 Contarini si adoperi perchè quello < sfor- 
zado > della galea Morosini, da lui indicato, riveli < il luogo, 
dove dice esservi quel mancamento» e gli prometta il premio 
conveniente ove si tratti di affare di momento — (e. 8). — 
Con queste deliberazioni si riscontra a lettere del Contarini 
di 27 agosto e i settembre. 

i63o — ottobre io. — Si approva l'operato dal Prow.'* 
in Istria circa • l'arresto del vascello carico di carbone, che 
passava in stato alieno sotto vento » : operato tanto più op- 
portuno trattandosi di un t patron del vascello > suddito della 
Sig/'"; risultando poi da lettere di 25 settembre di esso Prov- 

■) Il • Senato Rettori » è la continuazione del ■ Senato Secreti ■, 
che dall'anno i63o fu divisa in due Categorie. l'una Corti, e l'altra 
Rettori (interno). 



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sscre il carbone di proprietà del Vicario di Pcdena, 
astrìaco, a tìtolo di cortesia, se ve n' è bisogno per 
izie, lo si trattenga e paghi al prezzo debito, altrì- 
netta in libertà non lasciando però di ammonire pel 
{patroni suddetto. Delle barche armate, che, appena 
)ro servizio alle galee di mercanzia, si porteranno 
2nza del suddetto Provv. esso si serva per accele- 
)ri di fortificazione — (e. 39 t."). 

— novembre 20. — li Pod. e Cap. di Capodistria 
a tutte le galere che giungono colà a guardarsi dal 
olla galea del sopracomito Pisani infetta di peste ; 
i, come deve, darà il Cap."° di Raspo — (e. 59). — 

ordini a e." 60 t.). 

— dicembre j6. — Richiede il servizio pubb."" che 
in Istria Surian si trasferisca subito a Pola per dar 

^ontarìni di condursi alla sua carica bisognevole di 
a Pinguente. Ivi esso Surian farà che il sopracomito 
dia conto della consegna del denaro contatogli e se 
iene instruisca il processo — (e. 80 t.). 
a 2 gennaio susseguente è commessa al Provv. Gen. 
sd Alb. l'instruzione di processo contro Gio. Pisani 
risulta anche da lettere del Cap."*^ di Raspo Conta- 
le d' una parte dei cinquemila ducati che dovea 
già Prow. nell' Istria Contarini, s' approfittò di 
tra somma di zecchini, e violò le disposizioni sani- 
ianno pure istruzioni ai Provv.' Gen.' Pisani ed al 
Istria Surian perchè, conforme alle leggi, facciano 
isstone gettare in acqua quei sali che alcuni mer- 
jvesi fanno venir di Sicilia e Barletta e trasmettono 
; Trieste — (e. 84). 

— gennaio 2 (m. v.). — 11 Provv. in Istria Surian 
; sia a Pola faccia procedere l'opera delle fortifica- 
jpplire al servizio, che per il contagio non possono 
I galee, si crede i abbracciabilc il ricordo che diede 
praintendente Poiana di farsi un'altra Ruoda simile 
la per tirar su i sassi, tanto più che rappresentava 

scrittura mandataci dal Cap. di Raspo men dispen- 



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— 3 — 

« dioso il servizio per questa via, et molto proficuo ». Quindi 
il Surian s'adoperi perchè i quella et altre ruode, o stromentì 
«bisognevoli, et utili siano fatti di subito). — Lo stesso 
Provv." avvisi quali sieno le condizioni delle galee che erano 
agli scogli in contumacia e se le galee Bernardo e Magno 
possono servire senza pericolo d' infezione. 

Si applichi con zelo anche al disseccamento del lago. — 
(e. 85 t.). 

i63o — gennaio 2 (m. v.), — Il Provv. Surian mandi al 
Provv. Gen.'*^ Civran tutte le carte e lumi relativi alla causa 
contro il Pisani ; i sopracomiti Bernardo e Magno si addebi- 
tino del denaro che confessano aver ricevuto dal sudd. Pisani. 
Pei bisogni delle fortificazioni si mandano duemila ducati e sì 
spera che non mancherà il Surian di qualche somma di da- 
naro della cassa dei salì onde provvedere al • trasporto delle 
canevc ne luoghi più comodi ai Cranzi>; ove poi ne manchi, 
contìnui nel lavoro di detta fabbrica, che già è avanzata, colle 
riscossioni che andrà facendo. Non si lascino perciò partire 
gli operai che vi lavorano; i tagliapietra già partiti non si ri- 
chiamino pei riguardi sanitarii e possono essere sostituiti con 
• di quei dì Rovigno su0ìcienti, e buonissimi » — (e. 85 t ). 

i63o — gennaio 8 (m. v,) — Continui il Surian ad op- 
porsi come può, usando degli Albanesi venutigli dì Dalmazia, 
al trasporto di sali da Trapani e Barletta a Trieste ; quando 
poi le galee resteranno libere dal servizio che fanno alla Re- 
gina, una squadra di esse sarà destinata allo scopo All' uso 
della forza contro questo spacio di sali esteri aggiunge il Su- 
rian i mezzi per allettare all'acquisto dei sali nostrani; fra 
questi mezzi sarà acconcio il trasporto delle caneve già inoltrato, 
il levare il nuovo accrescimento del prezzo della vendita dei 
sali, riduccndolo al segno posto dal Prov. Contarini, e l'ac- 
cettazione delle monete secondo la valuta corrente del paese, 
che deve essere la valuta stessa di Venezia. II Surian osservi 
queste norme ed informi se converrebbe abbassare ancora più 
il prezzo dei sali pubblici, e se vi restino ancora quei soldati 
che s'erano posti per impedire la venuta dei Cranzi ; avvisi 
quanto danaro fu ivi riscosso * con quella valutazione bassa 



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• delle monete, et quanto sìa stato di questo conto il credito 

• dato al pubblico >; si procurerà di riunire e spedirgli le copie 
che ha richiesto. Circa quel Juan Tendrich prigione non sen- 
tendosi che ne venga fatta altra istanza, e stimandosi la sua 
liberazione di niun pregiudizio ai pubblici interessi, il Surian 
gli procuri destramente modo di fuggirsene, dacché ha patito 
tanti mesi in quelle carceri. — Agli abitanti di Fasana faccia 
dare i biscotti che richiedono annotandoli debitori ed invigi- 
landone air equa distribuzione ; la Sig/'" sarebbe poi disposta 
di spedir agli stessi qualche chirurgo che ne curi il male ove 
del bisogno sia avvertita. — Lodevoli le regole in materie dei 
sali introdotte siccome frutto d'esperienza, faccia che l'Olmo 
dia conto a Pola di tempo in tempo delle « regolazioni » ed 
informi, a chi spetti la elezione dei Ministri. Al Pod. di Pirano 
si scrive che non s'opponga piìi agli ordini di esso Surian. 
Detto Provv,", quanto al vascello dì ferramenta catturato, dia 
effetto alle leggi espcdindo barca, carico e persone e portando 
poi notizia dell'espediente — (e. 91. t) 

i63o — gennaio 14 (m. v) — In riscontro a lettere di 8 
e 9 corrente del Surian, gli si conferma 1' ordine di trasportare 
quanto prima i le caneve dei sali e confini > come altre volte 
fece r Olmo, apprezzando quei popoli del « Cragno > di pre- 
ferenza i sali veneti. Non è da trattarsi in proposito cogli 
< agenti del Pettazzo ► i quali essendo interessati non si ap- 
pagherebbero a ragione di sorla. Si approvano la consegna 
fatta degli altri centocinquanta moggia di sali a vascelli olan- 
desi, e la consegna « delle caneve i all' Olmo con risparmio di 
ducati quarantacinque al mese. Si solleciteranno i Regolatori 
alla Scrittura ad ispedire certi nuovi capitoli in materia di 
sali. Sarà provveduto al Mag,'" a cui spelta alla deficenza colà 
di ministri, ed esso Surian procurerà le riparazioni del ma- 
gazzino dei sali di Capodistria, A Pola, dove a quest'ora deve 
essersi portalo il Surian, urge la sua assistenza ai lavori di 
fortificazione ed otturazione del lago. Agli Albanesi che rifiu- 
tano di contribuire all'opera sarà scritto come conviene. Spiace 
alla Sig."' il male del Co. Poiana ed intendesi soddisfargli 
avendo commesso al Provv. G.'' dell'Armi che mandi a so- 



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— 5 — 

stituirlo a Poia nella sopra intendenza dell' armi istriane altro 
individuo — {e. gS.) — V, anche (e. 94). 

i63o — gennaio 21 (m. v.) — Atteso il grave presente 
bisogno di denaro si rende più urgente che il Pod. dì Capo- 
distria proveda all' esazione di quanto devono quei Comuni 
per armi già dispensate dal fu Provv,"^ Contarini, e meglio se 
può riscuotere anche crediti più vecchi. Formi processo perchè 
non resti impunito il gravissimo temerario delitto dello smar- 
rimento di quel libro dei pubblici debitori — (e. 109.) 

i63o — febbraio 18 (m. v.) — A perenne fruttuosa me- 
moria il Provv/^ in Istria faccia registrare in quella cancelleria 
podestale e si registrerà pure nei » Commemoriali » a Venezia 
« tutto il successo dell' arresto, sentenza, e della liberazione 
(fattasi per grazia con ratenimento della ricognizione • alla 
barci di ferramenta di quel Garbino. Tengasi pur registro 
• della estrazione che (gli) richiese il Petazzo di quella botte 
« d'oglio con offerta di pagamento d'ogni diritto, dazio, o di 
altro ». — Piacque sentire compita la caneva in Zaule ed il 
prossimo trasporto dei salì; attesa la disposizione del • Pettazzo * 
la penuria di sali in Oriente, e la determinazione dei Cranzi 
è lecito sperarne bene. Si è scritto tuttavia alla corte aus- 
triaca per più facilitare il negozio, che il Surian avrà impegno 
di agevolare quanto può — (e. 122. t) 

i63o — 10 genn, (m. v.) (fuori posto anche nel registro). 
II Surian sospenda 1' esecuzione della sentenza contro Alvise 
Garbin e mandi persone, barca e carte a Venezia — {e. 143.) 
Due giorni dopo {21 genn.) si scrive al Surian essersi inteso 
con dispiacere che fu già eseguita la .sentenza suddetta ; detto 
negozio sì vuole aQìdato al Provv. G.'* Pisani, dai cenni del 
quale dipenderà il Surian trattenendo frattanto barca ed uo- 
mini se non sono già diretti a questa volta (e. sudd.) N, B. 
In questo proposito v'è una lettera del < Pettazzo » di Trieste 
al Surian, e vi sono le commissioni al Pisani. 

i63o — ottobre 19 — Dalle lettere ló del corr. del Gap."" 
di Capodistria si apprese con dispiacere la morte del Provv. 
Contarini stimato ed amato assai per le sue doti. Ai lavori di 
Pela si porterà per il momento il Cap, di Raspo. La carica 



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— 6 — 

od." procuri sapere da Trieste se ivi si fanno 
er le accoglienze alla Regina d' Ungheria, il 
Sig."' conoscere. La carica stessa ammetta il 
ilta prudentemente con ogni contezza che si 
. t. 



Registro 2 — (i6}i) 



larzo 24.] Il Pod. di Capod.' s'è diportato bene 
; di quegli ogli catturati da suoi ministri verso 
I sarà fruttuoso. Al < Petazzo » risponda secon- 
he gli s'invia, (e. io t ) Il Provv." Surian cerchi 
che partecipò subito all'Amb,"' Cattolico a 
fu eseguito circa gli ogli suddetti, (e. 11.) 
)rile 29.) — Si fanno elogi al Surian per quan- 
inzione del male contagioso ; gli si è già spe- 
per la cura di quel resto di feriti. Ciò a ri- 
re i3 corr. (e. 37 l ) 

rile 29. — Si intende dal Provv." Surian la 
di grani che soffrono i fondaci di Capod." e 
popoli si adattano a ricevere del « formentone » 
ic a prenderlo ; il Surian trattenga pure qual- 
umento che da navigli fosse condotto a quei 
mentichi il bisogno che se ne prova in Venezia, 
che a Muggia trovinsi sali in abbondanza, con- 
dì preferenza ad acquistarne i Cranzi. — (e. 38) 
aggio 24 — A proposito della cattura di certa 
tto in acqua di sali di contrabbando, siccome 
este ne fa lagni, gli risponda il Surian che la 
disposizione degli interessali, ove se la vadano 
he quanto ai sali non si è potuto derogare dalle 

aggio 24 — Spiace intendere che malgrado le 
eseguire dai furono Provv.^' Basadonna e Bon- 
ie di Pìrano danno occasione a contrabbandi. 



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Sia impegno del Surian divertirli impedindo il congiungersi 
delle stesse alla terra ferma. Colla guardia sul mare e coU'e- 
secuzionc da parte del partitante dei suoi obblighi si cerchi dì 
togliere l'ammissione a Buccari di sale di contrabbando, e di 
impedire l' invio a Trieste di certo carico di sale raccolto ad 
Ancona. Insista il Surian nelle zelanti opposizioni ed inquisi- 
zioni contro i sudditi Piranesi che commettono sordidi contrab- 
bandi con quelli di S. Giovanni di Duino etc. — (e, 59.) 

i63i — maggio 34 — Dal Cap."° di Raspo si è ricevuto 
il libro de' suoi conti ; il munizìonere metta ad ordine i propri 
e sia annotato debitore dì quanto ricevette. Quanto a quelle 
case acconciate a pubbliche spese sarà da procurarne il risar- 
cimento quando i padroni di esse < ne ricevono l'aQìtto e l'e- 
molumento > ma quando fosse altrimenti non si dovrebbero 
«far sc^giacere i particolari a doppio interesse». Al Cap.°* 
del Golfo si è commesso • di munire affatto quel lago • e così 
dovrà essere eseguito per servizio di Pola. Mentano lode quel- 
r ingegnere francese per la sua fede e buon servizio, e quel 
Vescovo per l'assiduità e fruito con cui attende al suo Mini- 
stero — (e. 60. t.) 

i63i — giugno 5 — Dopo detto della Marciliana catturata 
e dell' invio di « armìzi » per una di quelle barche armate, il 
Senato aggiunge di mandare copia al Surian di quanto scrive 
il Podestà di Parenzo intorno ad una sollevazione avvenuta in 
Villanova. Circa le salere di Zaule si attendono le delibera- 
zioni — (e. 66 ) 

i63i — luglio 25 — Si loda il servizio in Istria delle 
barche armate che bene suppliscono alle gelee deficienti ; però 
è bene si proceda cauti nella cattura di tutti i vascelli. 11 Surian 
ammonisca che « non sian fermati altri vascelli che quelli che 

• fossero trovati con carico d'ogli, sali o frumenti, mentre di 

• ogli frumenti ne continua il bisogno nello stato nostro, e 
« di sali ne volemo toglier il corso, et i contrabbandi per utillc 
4 e spazzo dei nostri ; onde gli altri vascelli, che transitassero 
< con altre merci, eccettuate le predette, et si portassero a 
« Trieste, o altrove, fuor che a Ragusi, che pur quivi dovemo 
« divertirne il corso per l' incommodo e diversione, che si ar- 



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t riva alla scala dì Spalato, volemo che togliendosi da essi 
< Qualche picciola ricognitione per dimostratjone di nostra so- 
la, siano lasciati andare liberi al loro viaggio. » — Il 
alla Sanità procurerà in ogni guisa che sìa provveduto 
lieo a Capodistria, ed il Sen/" da parte sua aiuterà a 
re le digìcoltà che saranno però grandi — (e, 94. t.) 
3i — luglio 29. — Sono opportuni i castighi ed anche 
mo supplizio applicati ultimamente dal Surian contro i 
)bandìeri dì sale, la cui colpa può dirsi « di offesa Maestà > 
danno che arreca alle entrate pubbliche. Pei rei di eguale 
tssenti gli s' imparte facoltà di usare 1 taglia per terre 
:, cinquanta miglia oltre il confine di lire mille e con 
altra condizione, fuorché delle strettezze per non causar 
ior disordine >.' Riesce di soddisfacimento la disposizione 
smbergh all' apjertura della salerà di Zaulc ; il Surian vi 
i, • onde non prevagliano gl'affetti, et interessi di Trie- 
alli quali per togliere ogni speranza di negoziare e 
ttare ne nostri danni, quando li Cranzi vadano in Capod* 
>vedersi di sale, conforme all' uso, voi (Surian) non do- 
e altrimente somministrare ad essi Triestini sale alcuno, 
e quei non vi andassero, li ne potreste porger quelle 
quantità, che potesse ristrettamente valere di loro sem- 
uso, onde non ne restassero privi affatto, con necessità 
'ovvedersene altrove, ma non li ne avanzasse meno di 
ì a detti Cranzi, onde questi pure comodati quanto basta 
s' unissero con Triestini per la diversione della med."" 
ì di Zaule, che ben conoscete voi rilevare a molto van- 

0. * Si rinnova al Surian 1' autorità già data al Contarinì 
edere sopra certa scrittura del Marchese di Pietra Pelosa, 
tonte ai due mila due." già destinatigli riceverà i cento 
er elemosina a quei sudditi poveri, ai quali potrà pure 
sare venti stala di biscotto. — (e 99. t ) 

i3i — agosto 8 — Spiacevoli riescono le lettere del 
di 25 luglio contenenti l'interruzione del buon pro- 
nel partito dei sali per lo stato imperiale, e nel concorso 

Icra di Zaule ; si eccita lo zelo del predetto a proporre 

1. Acciocché non sia troppo ritardato a quei popoli il 



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compenso debito per sali, il Provv"' trattenga pei lavori delle 
saline di Pirano solo cinquecento dei duemila due. spediti e 
gli altri dispersi, con promessa di soddisfare quanto prima pure 
pei trattenuti. Nell'esercizio delle pratiche vantaggiose al ne- 
gozio dei sali non dimentichi i riguardi di Sanità e le barche 
lunghe destinate a guardia dove occorre non s'accostino ai 
paesi sani. Quanto al processo formato contro Tiranesi per 
ìnobbe'dienza circa quelle calci (o salsi), il giudizio spetta alla 
Sig/" esistendo l'inibizione di quel Pod.'* ; in materie tali 

• che meno puono esser paliate da cause di Sanità > il Surìan 
è bene s'astenga dall' ingerenza. Si approvano compartite di 
frumento venuto di Dalmazia a quei di Muggia ed Isola ; per 
quei di Muglia anzi i[ Mag.*^" al Sai spedirà due. cinquecento 
ed esso Provv. dispenserà un • migliaro » di biscotto tutto in 
acconto dei crediti che tengono — {e. 104). 

i63i ~ agosto 14. — Riscontrando a lettere 5, 6, 7 corr. 
del Surian lo si avverte che all'Olmo sarà dato dai Capi dei 
X « suffraggio tale, che con quiete d'animo, e sospension del 
( possesso di quell'oOìcio di sazaria, egli possa continuare col 
«solito frutto nel nostro servizio». Si capiscono i pregiudizi 
che arrecano i Triestini ed i sudditi stessi della Sig.'*' ai par- 
titi dei sali, ed il guadagno che proviene a quei di Buccari 
dal far levata di detti sali a piacer loro oltre la quantità con- 
cessa per anno, ma la risoluzione merita studio perchè la Sìg."' 
da un lato non vorrebbe i pregiudizi predetti, dall' altro vor- 
rebbe lo spaccio quanto più copioso del prodotto. Intanto il 
Surian attenda al progresso della salerà di Zaule, « che di- 

• struggerebbe ogni macchina et ogni negotiato de Triestini, 

• e metterebbe in sicuro i (pubblici) partiti ». Si attende un 
< esatto rendiconto del debito e credito della Sig."" per sali ; 
ed a quei di Muggia oltre cinquecento due. per loro deliberati 
se ne mandano altri millecinquecento, mille per saldo sali, 
cinquecento per imprestito o pagamento anticipato, che ì 
Muggesi useranno «utilmente nella quarantena, che disse- 
gnano di fare per lor totale lìberatione 1 dal contagio. — 
(e. 107). 

i63i — agosto 23. — Il Provv." in Istria e il Reggi- 



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'^npodistria procedano pure contro ì prigioni che 
) potere e prendano concerto coi Capi da Marc 
arli loro ove li condannino alla galera. 
'." proceda « coli' auttorità grave, e fruttuosa » 
e con esemplare punizione contro i rei contrab- 
iali presenti, assenti e fuggiti e contro il colpevole 
Coilandi. — Riservandosi di deliberare a maggior 
iei fatto, crede il Senato che si possa dar molto 
aggiustare i conti per sua colpa in disordine, ove 
osa lieve, e cos'i ritorni egli al servizio. — Se ve- 
ubiana e nel • Cragno > è sorto il contaggio con- 
iticare il bando come usat)o per conto loro gli 
come però questo vieppiù diflìculterebbe lo spaccio 
'rovv" i procuri il buon incaminamcnto della se- 
lle, perchè quivi possano esser mandati i sali, e 
n sicurezza senz'altro commercio» — (e, 114 t.). 

agosto 23. — 11 Senato che già delibare pei sali 

quattromila, ora ne vota duemilacinquecento per 
e a credito di quelle barche armate. Bene ha ri- 
jvv." al I Petazzo > che pretendeva ■ si levino i 

case loro prossime a quel Confine» dovendo gli 
ontanarsi se temono il male, anziché i cercare il 
nostri dentro il proprio, e dentro lo stesso alimento 

isce t — Però ai sudditi Veneti sia strettamente 
lon passare il confine. — L' .uccisione perpetrata 
i Muggia dentro lo stato Veneto dal Dottore Trie- 

nella persona dì certo suddito di Carisana, me- 
le non risultando fin qua alcuna provocazione da 
ciso, ma temeraria pretesa di giurisdizione nell'as- 
rovv." assuma informazioni e devenga al bando 
lesto, mentre la Sig/'" procurerà dall' Imp." di a- 
lani per la debita punizione. — Lo stesso provv." 
ivertire i ladroncìni di sali a Pirano, avendo mira 
:ondannc, e dal castigo ne risulti utile al pubblico 
pio, ma non totale perdita, e discontento de sud- 
ano il primo acquisto, et il primo comodo e ripu- 
I Principi 1. — Siano otturate la rottura del muro 



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di quelle saline e l'apertura delle < Palladi • e sia dato ascolto 
a quel Guardiano di Pirano che promette rilevare mancanze 
di più entità; sia detto guardiano inviato al Provv/' dal Pod.'* 
colle debite custodie acciò i nel ritorno possa esser con dieci, 
€ o XV giorni di contumacia ricevuto .... non intendendo la 
» Sig,''' che resti affatto interdetta la pratica delle terre e luoghi 
■ nostri .... ma che sia proceduto con circospezione » . — 
Circa il processo contro Pirànesi per causa delle calci, si at- 
tendano le deliberazioni del Senato — (e. 1 1 5). 

i63i — agosto 3o. — li Provv." Surian ed i tre ultimi 
ritornati da tale carica informino circa il partito di sali pro- 
posto dal Co. Filippo Della Torre, e di cui parlano lettere del 
i5 del Provv. Gen.'* a Palma — (e. 121). 

i63i — agosto 3o. — Si manda al Surian quanto scrive 
al Senato il residente Vico e le risposte dategli. — Il vascello 
dei sali si vuole sia restituito avvertendo del giorno della con- 
segna il € Petazzo ». — Chiara si scopre la frode quanto al 
vascello di ogli, il Provv. vedrà la conveniente risposta data, 
ottime le mire in esso Surian per sostegno delle pubbliche 
ragioni nel nuovo emergente della proibizione di pascolo ai 
sudditi veneti in quel di Fontana nello stato della Sig."*; 
l'invio proposto di persone che sopraintenda a quei sudditi è 
molto a proposito; se ne attende l'esecuzione - (e. i3i t). 

i63i — settembre 9. — Anche per le nuove frodi in ma- 
teria di sali a Pirano il Surian proceda « essendo (la Sig.^") 
1 ben certa che trattandosi di Pirànesi, con quali (ha esso 
( Provv.) scoperta qualche causa di dìspliccnza, altrettanto 
€ (procederà) più cauto e pesato, quanto ne (conoscerà) mag- 
I giore il bisogno, per far in tutto apparire la (sua) ben ag- 
< giustata indipendenza*. — Il Pod. di Pirano lo sovvenirà ìn 
tutto che richieda. — Si rinnoverà l'ordine di spedire a Muggia 
i millecinquecento due. ultimamente votati, se già non lo fu- 
rono. — Atteso qualche nuovo caso di morbo si rinnoveranno 
al Mag.*'' alla Sanità le commissioni dì spedire un medico in 
Istria sebbene, < se il si fosse ritrovato, già il vi sarebbe per- 
€ venuto; ma le difRcultà sono insuperabili, stante la strettezza, 
( e la sicurezza del maggior guadagno, e più salvo e comodo 



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« soggiorno in questa città di quei che si vi trovano, ancorché 
f molti ne sian poco atti, et capaci i. — Si attende notizia di 
esecuzione degli ordini dati circa la marciliana di Trieste — 
(e. 139). 

i63i — ottobre 2. — È prossimo a portarsi alla propria 
Podestaria di Pirano il N. H. Grimanì, e quindi, appena ciò 
segua, ritornerà il Cons.' Zane dalla vicereggenza per provvedere 
alla scrittura e gestione che gli compete. Nella materia di sanità 
spetta bensì a) Surian la suprema soprintendenza, ma non 
deve risentire spiacere se in casi d'urgenze le terre od i Ret- 
tori prendono qualche opportuna determinazione. — Non si 
dubita che circa l'affare dei Piranesi il Surian avrà so9|Jeso ogni 
atto processuale; se vi sarà colpa la Sig.'" provvedere. — 
(c. 145.) 

i63i. — ottobre 4. — S'impegna il Surian a togliere 
ogni causa perchè il « Petazzo » non differisca di più la resti- 
tuzione che si vuol fare del vascello. 

Ottimo servigio sarà il soccorso alla salerà di Zaulc tanto 
più che l'imperatore vi si dimostra inclinato La pretensione 
di quei Cons." di ritenersi l'uno per cento sul denaro che si 
manda da Venezia in Istria, e su quello che di ragione di sali 
dall'Istria è mandato a Venezia sono contrarie alle leggi ed 
ineseguibili. — (e. 145 t.). 

1731. — novembre 5 — In riscontro a lettere 29 del p. p. 
si mandano al Surian altri due. duemila per ì creditori di sali 
in Capodislria e Muggìa oltre gli ottomila già spediti. — Re- 
lativamente all'Olmo nulla può aggiungere il Senato, spettando 
la deliberazione ad altro consiglio. — Si rinnoverà ai regolatori 
sopra la scrittura l'ordine di provvedere il Surian di « scontrò » 
e in breve sarà preso ad esame l'affare del Cancelliere della 
stessa carica. È intenzione del Senato che il consigliere Zane 
obbedisca e si porti tosto all'adempimento della sua mansione. 
— (e. 170 t). 

ib3i. — novembre 25. — Si fa spedizione di cinquanta 
« migliara > di biscotto per supplire al mancamento delle mu- 
nizioni d'Istria. — Pei contrabbandi di sali e loro condotta a 
Trieste da Ancona e da altri luoghi si dettero commissioni al 



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— i3 — 

Cap."" delle rive Gradenigo, e cosi mediante qualche sua scor- 
reria per impedire l'abuso, od anche colla « voce sola sparsa 
• d'una galera valida, e ben all'ordine, o più galere, che vi si 
€ adoperino > si otterrà il beneficio desiderato. — Il Surìan 
formi processo relativamente a certa « Brazzera » di Prrano 
sospetta di contrabbandi. — Del buono stato di salute in Istria 
siano rese grazie a Dio e lode al Prov., che vorrà adoperarsi 
per il totale perfezionamento dello stesso. — (e. 182 t.). 

i63i — dicembre 9. — Il Sudan faccia ridurre a perfe- 
zione i conti della gestione tenuta dal Cons.''" Zane, e se questi 
è veramente creditore di salari, ne sia redintegrato — ; col- 
l'aiuto dello « scontro) già eletto eseguisca una buona revisione 
dell'amministrazione; invita a pagamento i debitori, procedendo 
contro il Rismondi. — (e. 191 t). 

i63i — dicembre i3. — Il Senato dà lode a Dio e dichiara 
al Surian di essere soddisfatto della sua diligenza « per la ri- 
■ cuperatione allo stato premiere dal contagio di Capodistria, 
« e dalla terra di Muglia 1. — Si spera bene per la libertà del 
commercio coi finitimi e spaccio dei sali. Alle cariche da mar 
si rinnovino gli ordini perchè col loro servigio riparino al difetto 
delle barche armate, riconosciute, od inette alla mansione, o 
peggio, conniventi cogli autori del transito che si deve impedire. 
— (e. 197 t.). 

■63 1 — gennaio 16 (m. v.). — Nella richiesta fatta a nome 
dei Triestini al Surian di mille staìa di sale fu bene non an- 
nuire acciocché servendosi di tale provvisione i * Granchi » 
non fossero distolti gli stessi dalla pratica di Zaule; siccome 
poi il tenerne affatto sprovvisti detti popoli può indurli a farne 
ricerca altrove benissimo fu di mandare in Zaule i mille stari 
richiesti. — 11 Senato procurerà che il Cons." di X metta in 
libertà l'Olmo perchè questo si porti al servizio in Istria, e se 
ciò non potrà seguire supphsca altrimenti. Si esaminerà 
ristanza dei sudditi di Capodistria. 

Ottima cosa che il Surian continui nell'invio a Venezia 
di vascelli carichi di grano senza diminuzione del grano stesso; 
solleciti pure le esazioni onde poter saldare le spese ed anche 
i crediti del Cons.^ Zane. Alia gestione del Rismondi, che trovasi 



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— 14 — 

in Venezia, pensa il Senato. Si provvede lo scambio e mi- 
gliore assetto di quelle barche armate. Si delibererà circa 
la barca di Genovesi spedita a questa volta. Ogni diQìcoltà 
deve esser tolta che si opponga all'andamento della salerà di 
Zaule ed il Provv." sudd. non permetta « che la persona che 
* andasse per ricevere il danaro, sia tenuta in contumacia ob- 
« bligata a guardia, e detenuta in rischio, e riserva oltre il 
« dovere, e la congiuntura, che rende anzi occasione di ogni 
« maggior agevolezza e libertà di commercio per la salute, che 
«si gode in ogni parte dello Stato nostro* etc. — (e. 216.). 
i63i — febbraio 36 m. v, — Approvansi le forme osser- 
vate nel consegnare il vascello agli incaricati del « Patazzo » ; 
si esortò il Cons. di X ali 'espedizione della causa dell'Olmo; 
nel frattempo sarà spedito al Surian altro personaggio che 
sostituisca l'Olmo stesso. — (e. 234.). 



. Registro } — (i^)2). 

i633 — marzo 27. — Si avvertono i Provv." a Palma ed 
in Istria che fu riferito al Vico, residente presso l'Imperatore, 
come detta Maestà ratificò la risoluzione di quei del « Cragno » 
circa il negozio dei sali, e diede comunicazione in proposito 
al Principe di Echembergh in Stiria, coli' intento che siano 
tolte tutte le occasioni di disgusto solite ad essere ingenerale 
dai contrabbandi soliti farsi da Fiumani e Triestini. — (e. i3 t ). 

i632 — aprile 3. — Atteso il disordine nella camera di 
Capodistria riferito da quel Pod.'^, si commette all'Avogadore 
Morosini che deve conferirsi a Spalato, di fermarsi nel pas- 
saggio a Capodistria suddetta formando esatto processo per 
l'informazioni del Senato. — (e. 17.). 

i632 — aprile 28 — Essendo la fortezza nuova di Pela 
ridotta a stato di difesa, e dovendosi per la sua custodia e 
per ogni maggior cura di sua perfezione mandare in- essa per- 
sona che di continuo ne sopraintenda alle occorrenze, si stabi- 
lisce l'elezione di un nobile esperto, col titolo di Provveditore 
nella fortezza di Fola, che rimanga in carica non meno di 



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un anno, con salario di ducati centoventi mensili, ed acciò si 
possa metter ordine anche alla passata amministrazione dei 
lavori di essa fortezza, devano i capi da mar che vi soprain- 
tesero presentare i rendiconti delle rispettive gestioni — (e. 33. t) 

i632 — luglio 3 - Siccome intese il Senato che le galee 
partite da Venezia già molti giorni non son giunte per anco 
in Dalmazia ed è probabile sì trattengano per loro comodità 
nei porti d' Istria, il Provv.' Morosini a Pola è incaricato di 
intimare ai sopracomìti delle stesse la continuazione del viag- 
gio — (e. 97.) 

i632 — luglio 9 — Intese con dispiacere 1' Imperatore 
come i due scellerati che rubarono nella casa del Tiepolo furono 
dal I Petazzo > fatti catturare, ma poi rilasciati col pretesto 
che fossero ascritti alle milizie del Co. Francesco della Torre. 
Replichi il Surian la richiesta di consegna degli stessi al • Pe- 
tazzo * tale essendo il volere di S. M.'' Cesarea — (e. i3o} 

i633 — luglio 20 — Il Surian informi il Senato sull'oglio 
caricato ad Isola e da esso fatto togliere dalla nave, essendone 
seguito lagno del residente imp.'' — (e. 120 t.) 

i632 — luglio 22 — Il Surian nel ritorno a Venezia porti 
seco il processo e la sentenza emanati nel febbraio decorso 
contro il D." Bottoni, od almeno ne mandi copia al Senato 
perchè questo possa giustificare ÌI bando e la confisca inflitti 
al suddetto — (e. 130 t.) 

i632 — luglio 20 — (sic) Sono patenti i danni, che risul- 
terebbero al pubblico interesse dall'acccttazione del partito dei 
sali proposto dalla Prov.'"' del • Cragno » a mezzo di suoi 
commissarii. Acciocché però si conosca 1' ottima disposizione 
della Sig.'" di soddisfare in ciò alle istanze dell' Imp,", e sic- 
come detti Commissarii si riservano alcune modifiche, si sta- 
bilisce di eleggere due nobili che trattino con essi Commissarii 
e senza devenire a conclusione riferiscano le trattative al Col- 
legio, ed il Senato delibererà — {e. 121'.). 

i633 — agosto 12 — I molti e gravi disordini, di cui 
parlano le lettere del Pod. di Capodistria 28 del passato, fanno 
vero dispiacere al Senato che deplora l' intento • di condurre 
le cose di quella Provincia alla iattura e perdizione totale 1; 



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pertanto si conferma al suddetto Podestà « tutta l'autorità 

propria in questa parte di essa carica > per revisioni, instru- 
zioni processuali, punizioni < mettendo regola in particolare, 
« e formando terminazioni, che nelle consegne, che sì fanno 

• V un l'altro i Camerlenghi ricevano quello, che vi è di denaro 
» effettivo senza ricever i debiti in luogo di riscossi ... e che 
« i Rettori non possano ricever pene se non seguono effettivi 

• gli esborsi de debitori, .... sopratutto cominando al Rettori 
« tutti di non abbandonare le cariche per poco né molto spazio, 
■ né per istituzione {o sosli/u^ionà) di chi si voglia. > — Defe- 
risca inoltre alla Sig"' quei Rettóri presenti o passati che 
scoprisse, comunque sia, colpevoli, estendendo nella prossima 
visita della Provìncia tati diligenze non solo ad Isola, ma co- 
minciando da questa ancora alle altre terre dell' Istria — (e. 1 36). 

i633 — settembre 10 — Si intese da lettere del giorno 
4 ciò che il Provv. Gen." in Dalmazia ed A. operò in Albona 
per tranquillità di quei sudditi colle regole introdotte anche 

• per dar forma al corpo confuso de territoriali, con la distin- 
( zione de Comuni, ed elezione dei merighi, con quali possano 
t agitar le cose loro, farsi intender sopra gli aggravi, ed im-' 
€ petrar giustizia, quel che non poteva seguire per lo passato.» 
Per conto degli altri aggravi potranno gli Albanesi rivolgersi 
al Pod, di Capodistria coli' occasione della visita alla prov.*^" 
che va facendo — (e. 143 t.), 

i633 - settembre 28 — Ottime le sollecitudini del Provv." 
Contarini in Istria per preservare ad un' tempo la provincia 
dal morbo e non danneggiare il commercio dei sali, disponendo 
in caso di far • caneva » in Zaule od altro confine. All' inca- 
pacità delle barche armate di ben servire perchè inette a resi- 
stere al mare e ad opporsi ai vascelli grossi, si decreta il rin- 
forzo di una galea, che scorra specialmente verso Pirano e 
dipenda da esso Contarini ; a ricovero delle barche armate nei 
fortunali di mare il Provv." faccia costruire qualche riparo ove 
crede più conveniente nella Valle di San Bartolomeo od anche 
in altro sito. Instruisca procedura contro i rei di trasporti di 
grani dall'Istria alla marina in paese arciducale, rimettendo alla 
Sig."" i rappresentanti nobili che fossero complici. — Continui 



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— li — 

nel buon assetto delle ordinanze e addebiti ai comuni i mo- 
schetti dispensati negli anni 1626 e i&3o, con condizioni benigne 
dì pagamento avuto riflesso alle dispersioni avvenute per la 
peste ; ed opportuno è pure il rivedere quella compagnia di 
bombardieri, che il morbo ridusse al numero di cinquantalre 
da centoventi individui. Convenientemente fu punito dal Con- 
tarini > il manca^nento con molta temerità commesso nell'atto 

< della rass^na da Bernardino Moscardo bottegaro in Capo- 
€ distria » però essendo stato esso messo in berlina e sotto- 
posto a tre tratti di fune il Senato crederebbe di commutargli 
l'obbligo di servire come uomo di spada senza paga in una 
galea di condannati colla prigionia per un tempo creduto giusto 
dal Provv. stesso. L'istanza dell'esattore imperiale in Trieste 
di estrarre da Pirano < una quantità di coppi, ed altri mate- 
I riali .... per il bisogno di coprire la stalla, dove si con- 

< serva la razza dei cavalli dell' Imperatore > sia senza più 
esaudita. Si dà elogio per la cattura ed invio a Venezia di quattro 
soldati. Ciò in riscontro a tre lettere di 23 ed una di 24 del 
corrente — (e. i5o). 

i632 — novembre 12. — U Provv." Contarini avrà già 
spedito il denaro destinato alta milizia di Pola; la galea desti- 
nata per guardia dei contrabbandi invigili a Pirano e Punta- 
grossa, di concerto col Cap."" delle rive d' Istria, perchè tro- 
vasi in Ancona molto sale che si pensa trasportare a Trieste 
approfittando dei fortunali d' inverno durante i quali minore 
è r occasione di abbattersi negl' impedimenti. Il Provv." sov- 
venga col salario che gli spetta al Consigl." e Vicepodestà di 
Capodìstria Barbaro avvisando per quali cause è sprovvista di 
danaro la cassa corrente di detta città — (e. 170 t.]. 

i632 — novembre 18. — 11 Contarini non permetta più 
il transito per il golfo di acciaio e ferro, nemmeno se i pa- 
droni di barche vi paghino i dazii, e le barche con tali carichi 
siano trattenute ed inviate a Venezia giusta le leggi. — 
(e. 172). 

i632 — novembre 27. — 11 Pod. di Pirano non è riuscito, 
malgrado attiva indagine, a conoscere chi operò il taglio fro- 
dolento dei cavi della galea su cui trovavasi net porto di 



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Pirano stessa durante una burrasca il Cap."" delle rive d'Istria. 
A punire tale temerità proceda il Contarini — (e. 176 t). 

i632 — novembre 27. — Si manda al Contarini l'estratto 
dei debitori ed un. ragionato perchè possa meglio provvedere 
alle esazioni. Rimane imperfetto colà il magazzino per sali con 
deperimento dei legnami e materiali inviati; per gli ammanchi 
deplorati sì ricerchino i rei che saranno puniti 11 ricovero 
alle barche armate nella Valle di S Bartolomeo sarà opportu- 
nissimo ; però le stesse non manchino di prestare fedele ser- 
vizio, e bene sarebbe che il Contarini avesse a Trieste un con- 
fìdente per informazioni relative ai carichi che ivi si faAno. 
Divertisca i sudditi veneti, che si occupano nella costruzione 
delle saline che fa erigere il «petazzo* e procuri conoscere gl'in- 
tendimenti di questo in detto lavoro. Mandi alla Sig."' l'ele- 
zione di quel Gap."" da Muggia che ha condannato, perchè se 
occorra, si possa eleggerne altro in sua vece — (e. 176 t.). 

i633 — dicembre 18 — Fu bene che sino al giungere 
in Istria dell'apposito ministro siasi incaricato di quella scrit- 
tura l'Apolonio. La costruzione del magazzino per sali a Ca- 
podistria, sospesa, deve perfezionarsi tosto. Si approva l'isti- 
tuzione di un archivio contenente tutte le carte concernenti 
affari di sali — (e. 187). 

i633 — dicembre 18. — 11 richiamo dei banditi che la- 
vorano nella costruzione delle saline per commissione del 
( petazzo > può nuocere nei riguardi delle loro probabili nuove 
malvagie operazioni, non meno di quellp che materialmente 
nuoce il progresso di detti lavori. Si attende il parere del 
Contarini i sarà bene però in avvenire evitare i bandi e pro- 
curare di aver nelle mani i rei infliggendo loro pene a01ittive 

- (e. 187 g. 

lUgistro 4 (16)}). 



i633 — maggio 7. — *La popolazione (dell'Istria) è cosi 
I importante al servizio delle cose (della Repubblica) che tutte 
« le diligenze s'hanno ad usare per accrescerla con le agevo- 



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— ,g _ 

f lezze, che vaglino maggiormente ad invitare le genti estere 
<a concorrervi). Perciò il Senato si consola intendendo da 
lettere 38 del passato del Cap."" di Raspo che « olire li cin- 
( quantalfe huominì (gli) fosse sopraggiunto avviso dell'arrivo 
I d'altri ventiquattro a prendervi habitazione » . Detto Cap.""* 
provveda tali nuovi abitanti di grano, ìstrumenti rustici come 
sempre fu uso, valendosi allo scopo di ogni denaro meno 
quello dei tre soldi per lira — {e. 27 t.)- 

i633 — maggio 28. — Il Senato scrive al Contarini di 
sperare fruttuosa la dispensa fatta di moschetti a quelle cer- 
nide ; informi sul numero e qualità di quelli riuniti e deposi- 
tati nel luogo delle munizioni; dia gli ordini opportuni perchè 
cessino gli abusi degli Austriaci, che ai contini di Pisino e 
Zemino portarono l'aratro su territorio veneto; unisca In una 
sola informazione tutti i suggerimenti sin qua proposti in 
materia di sali forestieri nonché altre notìzie sui sali istriani. 

- (e. 35 t.). 

i633 — giugno 16 — 11 Cap."" delle rive d'Istria ha 
mandato a Venezia la barca di pali di roveri < che andava 
sottovento » ; il Pod. di Albona è incaricato di sorvegliare 
perchè gli altri pali della stessa' qualità rimasti al porto o 
siano caricati con destinazione. a Venezia od adoperati nell'I- 
stria in benefìcio delle vigne ad uso della campagna, dovendo 
il trasporto loro in stato estero esser permesso dal Senato — 
(e. 43 t). 

i63i — luglio 27. — Spìace al Senato che sino dal prin- 
cipio non siansi avvertiti i pubblici rappresentanti in Istria 
I sopra r usurpazione fatta dagl' imperiali nel confine del ter- 
« ritorio di Albona » che sarebbesi tosto rimediato. Jl Pod. di 
detta terra ordini ai sudditi interessati che vadano < a racco- 
f glier le biade di quel luogo usurpato ingiustamente mo- 
« strando farlo come da se, et senza (pubblica) commissione!. 

— Procederà contro i sudditi austriaci colpevoli proclamandoli 
* come turbatori del confine, e del quieto vivere». È uso eleg- 
gere colà due Provv." sopra i confini psr la vigilanza sugli 
stessi ; se attualmente mancano detto Pod. proceda alla scelta 
degli stessi. Se fa d'uopo l'opera del D.""" Grisone da Capo- 



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— io — 

distria basterà farne richiesta al Provv/ Contarini e < It sud- 
t diti nostri lavorino essi il terreno suddetto per l' avvenire, 

• et sia conservato senza permetter in esso il transcorso a 
« confinanti > — (e. 60). ' 

i633 — luglio 27. — Abbonda il frumento a Capodistria ; 
perciò si scrive al Provv. di Palma che nei bisogni della sua 
fortezza ne mandi a prendere. Il Contarini avvisi pure gli altri 
luoghi d'Istria che sogliono difettarne; tal qual effetto {stime- 
I rebbe ìt Senato) proprio et giovevole l'introdur in cotesta 

• città (Capodistria) un mercato libero di biade, con permissione 
«a sudditi di comprare; ma con l'obbligo di portarlo in altri 

• luoghi sudditi con le debite cauzioni, acciò i particolari pos- 
» sano avvantaggiarsi a loro modo, senza le spese, che ande- 
€ riano nei ministri di cotesto fondaco, acciò più facile sia it 
«concorso et maggiore il comodo'. — Il Contarini introduca 
quindi tale mercato. — (e. 60 t ), 

i633 — ottobre i5. — Diligente è la relazione del Contarini 
sui magazzini di Capodistria e sul grande raccolto di sali del- 
l'anno presente. Si chiedono informazioni più particolari sulle 
saline fabbricate a Trieste e tra altro se vi sono patti che si 
oppongano a tale fabbricazione. 

Siccome il requisito, più urgente nell'amministrazione dei 
. sali d'Istria è la qualità delle persone addette alla stessa, che 
non devono esser quindi nativi dei luoghi, e devono scegliersi 
con cautela, vuole il Senato a maggior sicurezza che gli sia 
spedita informazione di tutti i ministri suddetti, loro salari, da 
chi furono eletti e se vi sono « carichi .... che rimanessero 
4 abborriti per strettezza di ricognizione per altro rispetto, 

t col senso (del Cont ,"'} circa il salario, che potesse 

€ decretarsi in angumento per accertar il servitio > — (e. 84 t ). 
'33 — ottobre 35. - Il Provv. in Istria mandi subito 
che armate a scorrere lungo le rive di Monfalcone dicen- 
c I in particolare due bergamini del Co. Gio. Filippo 
Torre vi si trattenghino pdr infestar la navigazione», 
lunque Cap."" fermi le barche con gente armata che in- 
se e la conduca a Capodistria. — (e. 89). — In data 12 
ire si scrive al Provv. Civran succeduto al Contarini 



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che ritiri le barche armate suddette non essendovene bisogno 
e che informi i di che grandezza sia la peota del Co. Zan Fi- 

< lippo della Torre, quanta gente ordinariamente vi si adoperi 

< in essa, quando il Conte fa viaggio, se sono armati etc. >. — 
Riceverà due barche armate buone dal Prow. G,'= in Dalmazia 
al quale invìi quella del Cap."° Vugo da Vugnc in cattivo as- 
setto di personale. — {e. 98 t.), 

i633 — novembre 32. — La diminuzione di spaccio dei 
sali d'Istria riferita eccita a ridurne il prezzo a lire cinque Io 
staio per piia allettamento dei Cranzi ed altri confinanti. Il 
Civran osservi se con tale deliberazione si ricavi fruito, « se 
• l'aggravio ai cavalli, che venissero per levar i nostri sali fosse 
■ imposto da nuovo dagl'Imperiali, come fusse da quei sudditi 
sentito I essendo tale imposizione probabile. Il Senato confida 
che la riduzione di prezzo stabilita saprà divertire la conclu- 
sione che tratta l'Ausper di partiti forestieri coi Maltesi. Il 
Mag.'° al Sai sta per mandare navi in Istria a prendere sali 
vecchi in luogo dei quali saranno riposti quelli che trovansi nella 
campagna di Pirano siano conservate da quel Pod.'* e chi vende 
colà il sale non riscuota il dazio della nuova imposta, acciò 
l'uno serva di controllo all'altro — (e. 104.). 

i633 — novembre 28. — SI presentò in Collegio il Resi- 
dente imperiale e riferi che i sudditti veneti di Grimaida e 
Dragucchio tagliarono biade e fecero altre operazioni in Buto- 
nega, posta, come egli dice, nella contea di Pisino ed anche 
in Persida ; rispose il doge che da parte veneta non deve 
credersi tale sopruso per la vigilanza dei pubblici rappresentanti, 
e che si tratterrà d'indebita pretensione nella parte contraria. 
Il Cap."" di Raspo inquisisca ed informi. — (e. 107.). 

1Ò33 — dicembre 28. — li Vescovo di Pola scrisse al 
senato che durante la malattia del Provv.^" di quella terra si 
portò in essa da Trieste il vescovo di Pedena col suo arcidia- 
cono ed altri canonici, i quali visitarono le cose notabili di 
quella città, particolarmente la fortezza, ove fu esaminata con 
diligenza ogni parte e data mancia ai soldati. — Il Prow." 
di Pola cerchi scoprire se furono rilevati disegni, e con qual 
fine si è operata tale visita. Si rende avvisato di tutto anche 



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il Civran che parteciperà at vescovo di Pela il riconoscimento 
della Sig/'° per la comunicazione fatta. — (e. 117,). 

i633 — febbraio 34 (m. v.ì. — Intese da lettere 3i del p. p. 
del Civran le cause che pregiudicano gli affari d'Istria nello 
spaccio dei sali, si deliberano pratiche colla Corte cesarea per 
far togliere » le cose nuove in ogni parte >. Informi il sudd. 
Provv/* sulle saline nuovamente fatte costruire nella valle di 
di Zaule e San Servolo, si procuri cautamente un disegno del 
territorio ove si trovano; ed avvisi se per la loro postura pos- 
sono i sudditi veneti distruggerle, conforme al praticato altre 
volte. Opportune le commissioni alle barche armate di fermarsi 
in vista di Trieste per trattenere quelle navi che vi capitassero 
ne uscissero; bene eziandio che si scorrano le rive di Mon- 
falcone. Valle di S. Bartolomeo per impedire le barche triestine 
con merci e specialmente con sali, onde risentano l'incommodo 
e dispendìo del trasporto per terra, — Attenda pure il Civran 
che, conforme al prescrìtto, i sudditi non si portino fuori dì 
Stato, il che potrà fare tanto meglio ora che il Mag.'" al Sai 
gli spedirà ducati diecimila per compenso di quei creditori alla 
completa soddisfazione dei quali si penserà quanto prima. 
- (e. i37.)- 

Registro ; — (a. 16)4) 

1634 — maggio 12 — Il Provv."'* di Pola vedrà da lettere 
che a luì si accompagnano la mala disposizione verso lo stato 
veneto di Pre Achille Paletta da Ogìda, che fra breve dee 
giungere colà. Se veramente offrirà sospetto nel suo procedere 
il Provv.'^ lo farà detenere fino ad ordini de! Senato — (e. 33. t ) 

1634 — maggio 20 — Si scrive al Civran che fu inteso 
con soddisfazione il togliersi l' imposta applicata dagli imperiali 
sul sale, onde cresca il concorso dei Cranzi. Piacerebbe sapere 
se ciò fu opera della corte, e se v'ebbe qualche altro fine, per 
giudicare della durata della sospensione. Informi sul raccolto 
che si potrà cavare nell'anno corrente e sopratutlo se dopo la 
deliberazione che la Sig."" comperi il saie da particolari, siansi 
fabbricati nuovi cavedini accrescendone perciò la necessità della 



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— 33 — 

ì^pesa. Sì ricevettero i disegni delle saline fatte costruire da 
Triestini, e giunsero a Venezia le tre barche con carico di ferro 
ed acciaio — (e. 37.). 

1634 — giugno «IO — Si spedirà al Prow." dr Pola il 
denaro chiesto con lettera 34 maggio, 11 prete Achille Paletta 
condotto a Venezia dal cavaliere di es;o Prow." fuggi. tLo 
1 cavò di barca senza il concerto delli guardiani delle prigioni, 
« e senza la scorta dei soldati, onde non fu ricevuto, et nel 
■ rìcondurlo potè facilmente andarsene, mentre anco non era 
i assicuralo. » Il Provv/* sudd. formi processo e punisca i re- 
sponsabili — (e. 48, t.). 

t634 — giugno 34 — Continui in Provv." in Istria l'opera 
di vigilanza per impedire < che sudditi non vadano al servizio 
» de Prencipi esteri, e che la levata, che fa il Pctazzo sotto il* 
« nome del Prencipe di Venosa non pr^udichi ai presenti in- 

< tcressi. » In ciò sarà opportuno 1' uso di ogni castigo; ed il 
Provv/* cercherà di conoscere «se il med."" Principe si trovi 
t in quelle parti » e come intendano gli assoldati < far il viag- 

< gio, dove faccino piazza d' armi, et qual numero (di essi) si 
« vada unendo. » — AI Petazzo .siano concèsse le due barche 
ricercate per condur calcina. — il Prow," s'informi sul quan- 
titativo d'oglio che annualmente dà l'Istria, sul dazio che per 
esso pagasi, e quali regole potrebbonsi adottare in vantaggio 
pubblico — [e. 53 t). 

Ip data IO giugno eransi avvisati, tra le altre cariche, il 
Provv." in Istria e quello in Dalmazia che il Principe di Ve- 
nosa erasi offerto di levare nel Triestino, Carintia e Stiria tre- 
mila fanti per conto del Re di Spagna ; che 11 sospetto potessero 
esseme levati anche tra i vicini sudditi veneti doveva eccitare 
i rappresentanti e cariche da mar ad' invigilare in proposito; 
che avendo il detto Principe di Venosa con sue lettere e col 
mezzo dell'Amb" di Spagna chiesto di poter condurre cento 
per volta per la via del golfo e disarmati, i suddetti fanti, si 
credette'di non permetterlo esortando a fare in altre terre la 
leva ; che le cariche e rappresentanti veneti si procurino qual- 
che fido in Trieste per conoscere le disposizioni che contraria- 



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_ 24 — 

mente a tale divieto vi si andassero facendo — (e. 58 ^sic per 
essere la delib."' registrata in ritardo] ) 

1634 — luglio 4 — Da lettere io marzo e 14 giugno 
del Provv/' in Istria si vigono le istai^e di chi tiene • la 
< luogotenenza del Pctazzo nel lu(^o di San Servolo per la 
f restituzione dei vino di ragione de suoi sudditi fermato nelle 
« mani del zuppano di Popecchio, territorio Capodistriano, in 
« risarcimento dei danni già inferiti a quei confini > ; continuano 
pure le istanze dei sudditi interessati in detti danni avvenuti 
t con lesione notabile dcHe pubbliche ragioni. » Quel Provv/* 
faccia tosto eseguire un disegno di quei confini aggiungendo 
quanto può ricavarsi a lume specialmente dal Grisonio, depu- 
tato ai confini stessi ; avvisi se i sudditi contadini Bordoni hanno 
*ìn quest'annata coltivato i terreni conservandosi nel pristino 
loro possesso; e se non trova persona adatta a fare il chiesto 
disegno domandi per tre o quattro di- al Provv." a Palma 
l' Ing/ Cavriolo — {e. Sg. t.). 

r634 — luglio 4 — Crede il Senato che assai poco frutto 
darà la leva che sta facendo il iPetazzoi a Trieste per il prìncipe 
di Venosa. Senza -impegnare intanto l'opera del Prow. Gen.'' 
in Dalmazia, il Civran colle sue barche armate impedisca gli 
■ eventuali passaggi delle prime infanterie raccolte le quali po- 
trebbero essere decise a farne tentativo dal Principe di Echem- 
bergh che deve portarsi al confine. Si rinnovarono «1 Mag.to 
al Sai incarichi che mandi a levar il sale vecchio, onde, im- 
magazzinato il nuovo, sia divertita l' occasione dei contrabbandi, 
(e. òo.) 

1634 — luglio i5 — Gli ujjfìciali alla Rason Vecchia no- 
tificarono che « essendo state descritte diciannove famiglie di 
t Morlacchi per nuovi abitanti nella villa di Fratta, territorio 
€ di Parenzo dal già Nob, huomo ser Nicolò Salamon Capitanìo 
«di Raspo fino l'anno 1692 a i5 luglio, con esenzione di gra- 
t vezza per anni 20, continuino nondimeno le dette famiglie 
t a goder detta esenzione » ; desidera il Senato che dette fa- 
miglie paghino come di loro dovere. Il Cap."" di Raspo senza 
dar nulla a vedere informi sulle stesse e sull'aggravio che po- 
trebbesi loro imporre (e. 66. t.). 



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— 35 — 

i634 — luglio i5 — Si loda il Prow. Civran per l'accurata 
revisione delle ordinanze d' Istria ; consola il loro fruttuoso 
servizio, il valore del governatore Cressi. La poca esperienza 
nei sei capitani e sergenti deve essere compensata da maggiore 
diligenza ; si provvedcrà circa quanto scrisse il Civran sui Cap"' 
di cavalleria Verzi e sulla barca lunga. Si diedero commissioni 
per invio di polveri, e. si commette il saldo con denaro di sali 
dei Capitani ed altri stipendiati dalla Camera di Capodistria. 
Il Prow. dia effetto alle riparazioni nel castello di S. Leone 
procurando non eccedere i centocinquanta ducati preavvisati. 
Si sa con fondamento che rimarrà senza effetto la leva del 
« Petazzo » per il Principte di Venosa ; non cessi tuttavia per 
ora la vigilanza raccomandata. — (e. 67). 

1634 — agosto 3 — » Viene in questi giorni il Principe 
1 di Echembergh ai bagni di Monfalcone, per quanto s' intende, 
« da parte, ove è la peste >. — Si accompagna al Civran quanto 
si è scritto al Luogot." di Udine perchè esso pure, occorrendo, 
sospenda il commercio dei sudditi veneti con Trie.ste ed altri 
luoghi vicini che a lui parerà — {e. 72. t.). 

1634 — novembre 35. — Il Cap."" di Raspo con denaro 
del sale di Capodistria supplisca al pagamento dì due somme 
per quei salariati e per l' accrescimento di soldo a quei sol- 
dati di cavalleria finché gli perverrà il denaro votato — 
(e. !I0). 

1634 — febbraio io (m, v). — Si avverte il Cap."" di 
Raspo che giunsero le sue lettere circa i sali arrestati e poi 
dalie pioggìe distrutti; invigili che non ne rimanga salva nes- 
suna quantità perchè al Gov." Cernizza che catturò le barche 
con detto carico diede già il Collegio segno di gratitudine; 
nelle lettere responsive al Cap.™ di Trieste, la sudd. carica 
non deve per nessun modo accennare ad ingerenza del senato 
in tutto ciò — (e. 184 t.) 

1634 . — febbraio 22 (m. v.). — A proposito delle pratiche 

• che vive sostiene il Vice Re di Napoli a Trieste, per levate 

* di genti dalla Stiria, e Carintia > consta al Senato che • il 
« Petazzo Cap."' pur di Trieste, partito col figliuolo maggiore, 
( nominato in uno delli Colonnelli delle stesse levate, si sia 



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— 26 — 

■ condotto in questa Città (di Venezia^, per levar il danaro 
«necessario, et che con ministri della M.'^ Catt* habbi a 
« stringer, et dar forma al negozio, incamìnatosi a quest'hora 

• con le condizioni di- dar una paga agli uQìciali al primo 
« giorno, che prìncipieranno le rimesse de soldati, et a questi 

• oltre la paga un mocenigo al giorno, sin che saran quartie- 
< rati; ma quel piìi che importa . . . che non essendo quelle 

■ di Stiria e Carinzia genti molto avezze al maneggio delie 

• armi, specialmente nei viaggi del mare, habbìano lì Colon- 
4 nelli drizzato il pensiero a procurare sudditi della Rep.'* (in 

• Istria) con speranze d'havernc anco di pratici nella Marina- 
« rezza i . — Si dice anche che sia stata data carica dt colon- 
nelli perchè ciascuno levi sei mila fanti al conte Gio. Filippo 
della Torre di Duino ed al colonnello Rizzando Strasoldo, 'e 
che il dubbio di questi nell' accettare sarà superato. Le ca- 
riche di Raspo e Capodistrìa siano sempre intese ad impedire 
i sudcfctti maneggi — (e. i38}. 



Registro 6 — (a. i6)^). 



i635 — aprile 17. — Si loda il Gap.™* di Raspo pei buoni 
saggi che dà nel principio di sua carica ; proceda contro i 
delinquenti che ha scoperto in materia di sali; buono l'espe- 
diente di cambiar di luogo le artiglierie onde preservarle da 
umidità, ed il magazzino si usi per salì se pur a questi non 
faccia danno; gli si spediranno polveri e biscotto ; invigili alla 
disciplina dei scolar) bombardieri curando in specie che sieno 
periti i caporali e capi. Provveda alle sospese riparazioni del 
castello di S. Leone Se è possibile gli sarà spedita un altra 
barca armata, e gli si raccomandano i riguardi di Sanità e la 
guardia alle leve di arciducali. 11 successo alla barca armata 
verso Duino per parte del Conte Filippo della Torre sarà a 
tempo opportuno punito dal Cap."° di Raspo senza interessa- 
mento della Sig "° mediante la cattura di qualche barca pai^ 
ticolarc del detto Co, od altrimenti — (e. ao t.). 



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— 37 — 

i635 — giugno 14 — Si scrive al Provv. a Pola che ogni 
sua vigilanza si esige t nelle levate, che si preparano da Au- 

* striaci e da altri Principi d'ogni parte, e d'ogni contorno.... 

* onde non solo non fuggisse, o fosse sviato qualche nostro 
1 soldato (da quella fortezza) ma tutte le cose militari passino..,. 
« di buon ordine » ecc. — {e. 45.). 

i635 — giugno 16 — Si scrive al Cap."" di Raspo che le 
due barche richieste dal Cap,"** di Trieste dovevano essere re- 
stituite, come s'era commesso al Cap."' di Raspo suo precessore, 
< nel stato, in che si ritrovano, avanzate dal naufragio, a che 

* V han spinte ì nostri della guardia per castigo del contrabbando 
« con perdita del sale, che ha convenuto andar di male • la 
quale restituzione intende a compiacenza e si ritiene già ese- 
guita. — Sulle leve di Trieste desidera il Senato notìzie sulle 
intenzioni degl'imbarchi e del cammino che terrebbero i vascelli. 

Si compiace ai Capodistriani richiedenti « l' incancvar de' 
1 loro sali in campagna, per divertire anche con questo i danni 
i et contrabbandi i. Buona opera fu quella del Cap."° Vragagnia 
in assalir quei ladri, che asportavano sali dalle saline di Mug- 
gia; merita veramente il benefìcio fattogli < del sale, e dei cavalli 
« in virtù delle leggi » ed il Cap. lo incuori a coijtinuare « mentre 
« si vede chiaro che Imperiali per non pagar i sali al valor del 
«partito cercano d'appropriarseli col furto. > — Si prevede 
scarsa annata .di frumenti, perciò non si permetta veruna 
estrazione dall' Istria, ma bensì si procuri il concorso degli 
stessi a quella provincia. — S'intende la continuazione del 
sollevamento dei villani imperiali e le cautele de! Cap."° di 
Raspo sono lodevoli. — Conveniente ogni sollievo prestato agli 
intervenienti della marciliana naufragata. Si approvano anche 
i ristauri a quel palazzo danneggiato dalle passate tempeste 
generali — (e. 5o). 

i635 — giugno 22 — Dalle lettere del Provv." di Pola, 
che si accompagnano in copia al Cap."" di Raspo vedrà questi 
r eccesso dei nuovi abitanti di Marzana commesso con offesa ' 
del pubb."^ rappresentante. Trattandosi di materia grave per 
l'esempio e per la tentata sollevazione detto Gap."" tnstruisca 



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— 38 — 

diUgentìssima procedura e risuttando il delitto faccia giustizia 
- {e. 5j.). 

i635 — giugno 29 — Riscontransi lettere 34 andante del 
Cap."** di Raspo. Opportuna ta risposta data al Conte di Porcia, 
e similmente proceda in caso di ripetuta istanza. Sono accetti 
gli avvisi sui divisamenti relativi agi' imbarchi delle milizie che 
si levan a Trieste e altrove — (e. 56) 

i635 — luglio IO — La Sig."' ha inteso con piacere l'ordine 
.dato dal Cap."" di Raspo t per la levata, che il Cap."° Vura- 
I gnanin habbia preso l'assunto di una compagnia, e che (detta 
« carica di Raspo sperava) trovar chi si offerisse ad un altra 
• ancora «. ■ — Solleciti l'invio delle stesse a Venezia. — II resi- 
dente a Vienna scrive di certa indoglienza che fece il Re d'Un- 
gheria per operato dei sudditi veneti contro i suoi ; se ne informi 
il Cap."" sudd, e si provvedere per la quiete dei confini. — 
Nel processo contro i nuovi abitanti offensori del Co. di Poia, 
vuole la Sig."' che si procuri il rispetto dovuto ad un pubblico 
rappresentante, ma eziandio che si difendano e non si abban- 
donino i sudditi nelle cose giuste. 

Il Cap."" di Raspo informi se fu malizia nel fatto, pro- 
vocazione « perchè essendo grandi le fatiche, e le spese per ' 
t abitare cotesta provincia, conviene usar ogni riguardo per non 
« perder senza legittima causa quelle genti, che vi son ridotte ». 

Si commette al partitante il versamento in cas a di Capo- 
distrìa di due. cinquemila per pagamenti di sali, barca armata, 
nuove leve etc. — (e, 64). 

i635 — luglio 12. — La Sig."' fu avvertita che certo Ca."" 
Mandò Irlandese, già altre volte agli stipendi rJeìla Repubblica, 
assoldato ora a quelli dell'lmp.'''^ unisce per quest'ultimo una 
compagnia a Trieste, e che t sia stato nella Provincia del- 
( l'Istria in molti luoghi babbi osservato li porti di mare ed 
«altri porti dì terra; che sia stato anco ardito a persuadere 
« li sudditi della Rep.*^" che migliore sia la condizione di quelli, 
» che sono soggetti all'Imp.™ alla divozione del quale procurava 
€ insinuare l'affetto de nostri 1 . — Se ciò è vero, e se il Cap."" 
di E^po pui> averlo nelle mani gli infligga la pena dovuta. 
Sappia di più che in una barca spedita da Trieste con 47 sol- 



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— 29 — 

dati per sottovento se ne trovarono quindici fra sudditi e 
falliti dal servizio della Rep.*^ Invigili quindi sempre alle leve 
di austriaci ed alla fortezza di Pola ove dà bene a sperare 
quel Provv." — (e. 65.). 

i635 — luglio 19 — Si risponde a iett. 12 corr. del Gap. 
di Raspo. .Si intese i la fuga nel confine imperiale dei Gap."" 
I Milinco Lucanovich e sue famiglie coli' asportazione di tutti 
« gli animali, ed anche del credito pubblico per la sovvenzione 
havuta di lire 2264 •■ — Degna di punizione è questa opera 
praticata da lui altre volte; ben fu fatta richiesta ai giusdicenti 
austrìaci 'dell'arresto degli animali, benché invano «mentre 
« col commodo della notte, e vicinità si havevano avanzati dentro 
1 per portarsi sotto il Conte di Sdrin 1. — Bene anche l'aver 
ragguagliato di tutto il Provv. G.'' in Dalmazia coli' invio del 
nome dei capì delle famiglie e numero loro. — È compito di 
esso Cap.*"* procurare di averne alcuno nella propria forza, ao- 
prasedendo all'uso di bandi per coglierli m^lio nella rete. Si 
commise all'Arsenale l'invio degli ottanta archibugi da ruota, 
di canna più lunga che sìa possibile, desiderati dai sudditi del 
Carso. In quanto ai Triestini che • si fanno lecito di levar lì 
« suoi sali dalle saline ton brazzera per mare, mentre solevano 
< condurli per terra con cavalli) si delibererà. Circa l'impedire 
gli sviamenti dei sudditi si approvano gli ordini dati nella giu- 
risdizione di Raspo e ville dei nuovi abitanti. Tosto riuniti i 
cento fanti forestieri "che raccoglie il Cap."" Grego Vraganìn, 
sia spedita quella compagnia al savio alla Scrittura. — Ad in- 
formazione del Gap."" di Raspo gli si manda avviso dal Gov,'* 
di Ancona ■ che diverse barche con soldati sono passate «verso 
Abruzzo, parte imbarcatisi a Trieste et parte in altri « luoghi 
della Rep." a pochi per volta, et senz' armi, accennando che 
gli arrivati già possono esser mille in circa >. — (e. 73). 

i635 ^- agosto 4 — Si eccita il Provv." a Pola a continuare 
nelle sue vigilanze intendendosi specie col « Gap."" Basadonna 
iir Istria • — (e. 81. t.) 

1635 — settembre 7 — Alcune malattie portate negli Ab- 
bruzzi dai soldati levati a Trieste causarono sospetti di contagio; 
malgrado il dileguarsi di questi, il Gap."" Basadonna in Istria 



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— 3o — 

è bene li sappia pei riguardi della vicinanza con Trieste sud- 
detta. — (e. log t). 

i635 — settembre 20 — Si vede che, malgrado la malattia 
del Cap."° di Raspo, questi non trascura le sue ispezioni e de- 
nunzia i contrabbandi che scopre nonché le fughe di soldati 
dai presidi veneti ; perciò gli arriverà un' altra barca armata 
dì cui egli disponga. — (e. 1 19). 

In data i3 ottobre il Senato si compiace col Cap.*^ sudd. 
della salute riacquistata, approva l'incanevamento di sali, ac- 
certa l'invio di denaro, e sollecita l'esazione del partitante fa- 
cendo i che sia rimesso il deposito di quei cinquecento ducati 
* della condanna del Capitani!, per esser in esso disposto solo 
« in quello, a che e stato destinato.... (cioéj consìgnandolo al 
« Provv.' Friuli eletto a Puola per le occorrenze di quella for- 
« tezza » — Si lodano le applicazioni per togliere i contrabbandi 
e provvedere agii affari di sanità — (e. t35. t.) 

i635 — ottobre 34 — Da lettere del Pod. di Capodistria 
vedesi « l' esecuzione della pubblica volontà nel particolare del 
« successo di Muglia, nel quale non occorrerà che (esso Pod.} 
« faccia altro, trattandosi, come (egli) dice, di genti obbedienti 
«ed' ogni buona parte, che meritano esser sollevati e con- 
t solati » — (e. 143.)- 

1Ó35 — ottobre 24 — Accetta riesce l'opera del Cap,"" 
di Raspo Basadonna. Avrà già conosciuto < esser la voce sparsa 
t di apparecchi di genti, e munizioni, che si faccino in quella 
. provincia dal canto (della Sig."^) falsa, inventata ad oggetto 
« di mover torbido da genti, che amano la novità • ; procuri 
dì screditare tale voce e vedere donde parte « riguardando 
I egualmente a quel che segue di. essenziale a quel Confine 
« d'ordine per amazzamento dì gente, e per altro 1 — {e. 142, t.). 
1635 — ottobre 34 — Perchè il Basadonna conosca a fondo 
il maneggio del munizionere della fortezza di Pola, Girolamo 
Caditti, gli serviranno d' informazione le diverse relazioni del 
già Prow.^ Mìnio. Con questa circostanza si chiede una dili- 
gente revisione di quella fortezza — : (e. 145. t). 

i635 — novembre 17 — Di quanto operò il Basadonna 
contro i disordini della fortezza di Pola fu reso edotto il Friuli, 



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— Si- 
gia partito pel governo della stessa; si provvede al cambio 
delle due compagnie che per la lunga permanenza in essa for- 
tezza < convengono esser soggette alle fraudi >. — Hinnovansi 
gli avvisi ai Capi da Mar per ovviare ai contrabbandi ; al Ba- 
sadonna sarà giunta la barca armata destinatagli; si è data 
notizia, pelle debite custodie, a chi spetta, dell' incontro della 
barca armata con quei due vascelli di sottovento. Opportune 
le risposte del Cap."" predetto al Rabata per cementare la con- 
fidenza e fargli trovar buone le diligenze nella materia dì sa- 
nità; opportuno ancora il provvedimento per far godeire ai 
popoli del Contado di Pisino il comodo dei mulini colle dovute 
riserve, e il Basadonna potrà continuare allargando I9 mano a 
maggior comodità di più mulini, ove non bastassero ì due, 
salvi sempre gli stessi suaccennati riguardi — (e. 162*.). 

i635 — gennaio 18 (m, v). Le lettere i3 corr. del Cap."" . 
di F^po portano i particolari del vascello con genti per ser- 
vizio del Re di Spagna diretto da Trieste a Pescara e tratte- 
nulo dalle barche armate. Approvasi l' imprigionamento dei 
sei soldati fuggitivi, e la chiusura in luogo sicuro degli altri 
sudditi. Del resto lasci proseguire, come dì sua spontanea vo- 
lontà il vascello « con tutti quei frati, donne, pas^ggieri, mo- 
* strando di stimar per tali anco li soldati. » Eserciti la debita 
giustizia contro i tre soldati falliti dai servìzio, contro quello 
Udinese che sviò un altro di minor età etc. — (e 197. t.) 

i635 — febbraio 9 (m. v.) — Il Provv.' G.'= di Palma scrive 
che il Rabata Gap."" di Gradisca fu a Trieste e visitò quelle 
saline, le quali per la loro perfezione crodesi somministreranno 
in breve sali a sufficienza senza che più occorrano a quei popoli 
i prodotti Istriani. Il Cap."° di Raspo, Basadonna, s'informi della 
verità del fatto, se siano state costrutte tante nuove saline che 
bastino all'uso predetto, e se possano servire ai bisogni dei 
Cranzi — (e. 209.). 

Registro 7 — (a. i6}6). 

i636 — marzo 8 — Benissimo ha fatto il Pod. di Albona 
ritenendo certo grippo di sali da Barletta ; però, in ossequio 



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— 32 - 

al Cap."" di Fiume che riconoscendo la giustizia veneta intercede 
pel grippo- stesso, sia questo licenziato al parcenevole, soddi- 
sfacendosi in questo caso, malgrado il vigore delle leggi, alla 
dispersione dei sali, ed alla detenzione, per ora, del i patrone » 
autore del carico e contrabbando. Quanto alla soggezione dei 
morlacchi di Filippano e Roveria dal Cap.'" di Raspo nulla ha 
in contrario il Sen.'° anzi il far giustizia ad essi sia spettanza 
del detto rappresentante — (e. 4). 

i636 — marzo 16 — L' Ambasciatore di Francia ha riferito 
in Collegio che a Trieste si fanno grandi leve di gente destinata 
a passar con vaspelli a Napoli. Le cariche di Palma e Raspo 
si procurino ogni informazione in proposito e la trasmettano. 
— (e. 6. t.). 

In data 26 marzo si scrive al Basadonna e ad altre cariche 
nuovamente circa l' incalorirsi delle leve a Trieste zelando che 
non si tollerino passaggi pel golfo di < vascelli armati, o con 
uomini armati di truppe » — (e. 11. t.). 

i636 — ma^io 14 — Oltre i quattromila due. spediti al 
Cap. di Raspo se ne inviano altri tremila sempre per creditori 
di sali ed altri mille ne riceverà dai partitanti dei sali per le 
barche armate. < Del passaggio a Fiume dei due vascelli grossi 
» carichi di sale, e della mano, e ricetto, che prestano Gesuiti 
• in questo, che ha causato l'ostacolo a nostri di fermarli et 
« esequir l'obbligo, e le leggi » si fecero doglianze in corte 
cesarea e si aggradiscono le informazioni del Cap "° sudd. Circa 
il grippo con ogii trattenuto sotto Trieste, se veramente era 
destinato a detta volta lo si licenzi, riscosso il dazio prescritto; 
e l'altra barca con < ferrarezza > potrà pure mettersi in libertà 
trattenuto però «il doppio dazio calcolato- all'uso antico per 
« ciò, ch'era solito prendersi di stmil sorte di merci destinate 
«a quella parte 3, — (e. 3g.). 

i636 — niaggio 17 — Approvato che il Cap;"** di Raspo 
faccia la visita delle ordinanze spiace intendere * la licenza dì 
quei di Trieste di fabbricar cavedini di saline > e vorrebbesi 
divertito il pregiudizio; forse il Cap."" .sudd. che è sul posto 
farà che < o da sudditi sotto qualche pretesto, senza punto in- 
4 tcressar il pubblico, siano distrutti quei lavori, o altro operato 



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— 33 — 

* senza scandalo o novità per eseguirlo, potendosi anche aver 
« l'occhio, e la traccia a trasporti, che fossero fatti per mare, 

< dì sale da quella salerà alla città, et allora prender le proprie 
« risoluzioni, et le esecuzioni convenienti, come altre volte è 

< stato osservato, mentre pur troppo lo spazzo de nostri sali, 
( et lo stato del negozio si rende soggetto a trasressioni, et 

* incertezze, senza più soggettarlo, e pregiudicarvi ». A questo 
proposito s'informi se il partitante Guidotto leva tutto il sale, 
che è di suo obbligo; e « di quelle saline proibite > procuri 
riferire ogni particolare — (e. 40. l.). 

i63ò — luglio 32 — Si scrive al Cap."" di Raspo. 11 ten- 
tativo fatto da qualche patron di vascello — per gì' incom- 
modì che trovansi tn portar ferramenta ed altro da Trieste a 
sottovento,* di averne licenze e pagar dazio pare plausibile e 
di servizio per la sovranità del mare, ma lo impediscono più 
leggi intente a conservare a Venezia il tragico suddetto ; perciò 
il Cap."" di Raspo respinga le richieste e rinforzi le cure per 
togliere i contrabbandi, mandando, come è uso, i vascelli cat- 
turati a Venezia. La recente deliberazione di abbassare il dazio 
d' entrata ed uscita del fèrro a Venezia devicrà certo il concorso 
a Trieste dei navìgli carichi dello stesso; ciò si desidera anche 
per mantenere tanti operai che in Venezia vivono eoa detto 
mezzo. — Bene fu sostituito il munlzionere dì Fola Caditi, 
fino ad espedizione di sua procedura, col suocero dello stesso. 
La benemerenza del Cap.^° Igrane in catturare certa barchetta 
con sale diretta a Trieste merita resti a lui detta barchetta 
con armizi eseguito pei sali il disposto delle leggi — (e. 77). 

i636 — luglio 25 — Approvasi che il Cap."" di Raspo per 
mitigare il disgusto dei Triestini, nella cattura di loro barche 
con sali, abbia permesso agli stessi di levare dalle fornaci di 
Pirano il necessario, onde cosi veggano che la severità contro 
le barche sudd. procede da sola necessità che intatti rimangano 
i diritti pubblici — (e. 77. t.). 

1Ò36 — agosto 2 — Varie cariche e tra queste il Cap.™ 
di Raspo s' informino se i 900 soldati attesi a Trieste, Gorizia 
e Gradisca sono di quelli destinati al regno di Napoli od al- 
trimenti — (e. 83. t}. 



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- 34- 

i636 — settembre i3 — Il residente dell' Imp," si dolse che 
presso Albona sia stato detenuto un vascello con sali e toltovi 
un uomo di nome Gio. Blerich che sta ancora prigione a Pìn- 
guente. Di quest'ultimo informi il Cap."" di Raspo — (e. 104.) 

i636 — ottobre 11 — Il Cap,"° di Raspo riceverà quanto 
si ebbe dalla corte austrìaca circa ai Triestini ;* si osservi l'an- 
tico diritto della Rep." sul mare, ma le barche armate non 
entrino per alcun sequestro nei porti austriaci — (e. u5.) 

i636 - dicembre 6 — Il Cap."'* di Raspo Basadonna licenzi 
il vascello catturato, diretto a Trieste da Sinigallia, con carico 
di pannine e denaro, non essendo queste merci vietate ; riscuota 
una ricognizione della veneta sovranità del golfo, tenendo però 
conto del danno arrecato durante il sequestro — {e. 137). 

i636 — febbraio 30 (m, v.). — Il Pod. di Capodistrìa in- 
formi su certi vascelli fermati, di cui il memoriale del residente 
austriaco, che egli riceverà in copia. — (e. 184.), 



Registro 8 — O^)?)- 



1637 — 4 marzo — Avea la barca lunga catturate addì 
37 del passato tre barche cariche di frumento in viaggio da 
Fiumiccllo a Trieste ; tutto l' importo era di quattrocento staia. 
Si crede che il Cap."" di d." città ne avrà chiesto la restitu- 
zione; in ogni evento anche senza tale richiesta dal Pod. di 
Capod. si mettano dette barche in libertà con tutto il loro 
carico e senza spesa alcuna — (e. 1.) 

In data 7 marzo il senato ripete al Podestà di Cap," l'or- 
dine, se non l'à eseguito, di lasciar libere le tre barche con 
lettera alla carica di Trieste contenente i concetti espressi in 
* aggiunta modula » aflìne di preservare a quei confini la quiete, 
ed ogni più amorevole corrispondenza — (e. 5.). 

1637 — aprile 7 — Si scrive al Pod. di Capodistria che 
« per universale consuetudine nello stato nostro sono nelle 
i cerimonie di chiesa incensati prima li Vescovi delli Rettori ; 
«onde a questo costume ordinario dovuto ai rispetto del Sig.*^ 



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— 35 — 

« Dio, e della dignità episcopale > 3i atterrà anche la carica 
suddetta. — (e. aó.). 

i637 — giugno 20 — Intanto ognora il Senato alla buona 
concordia coi finitimi e ad esigere il rispetto alle giurisdizioni 
«sopra l'ultimo fatto delle tre barche triestine condotte in 
» Capodistria da una delle nostre barche armate » avutesi più 
considerazioni, se ne risolve la restituzione, e ne sia avvisato 
dal Pod. di Capodistria il luogotenènte di Trieste con lettera 
di cui sì unisce minuta. Resta fìsso però che i vascelli che si 
trovassero carichi di sale perdano detto carico che sia gettato a 
mare, che i vascelli non si inseguano entro ai porti né si sle- 
ghino da terra, ma tutto segua giusto la legge 25 sett, i635. 
11 Pod informi sulle trasgressioni t dei posti » commesse nella 
erezione di saline specie a Zaute e Serrulo, e sulle gravezze 
che si impongono ai sali per le quali dovrà il partitante ri- 
correre alia corte; vegga pur di scoprire « le cause del senti- 
« mento, che ricevono quei del Cragno a venir nell'Istria ». — 
(e. 69). 

1637 — luglio 4 — Si scrive al Pod. di Capod. esser riu- 
scita molesta la fuga di soldati. Col Governatore di Trieste 
muova lagno perchè il < Petazzo • assoldò trentatre uomini fug- 
giti da compagnie venete crei di scelleratezze; l'irresolutezza 
de! « petazzo » nell'accertarli dimostra che egli medesimo com- 
prese l' inconvenienza — il Pod. informi sulla leva che sta fa- 
cendo d.*' t p&tazzo>. — Riceverà millecinquec.'° due. pei soldati 
delle barche armate, per lo scambio delle quali già scrisse al 
Provv. Gen.' in Dalmazia. — (e. 71. t.}. 

In data ir luglio il Sen."* riscrive a Capod. ; raccomanda 
di nuovo vigilanza alla leva in quei paesi confinanti, ed ac- 
compagna le notizie provenienti da Vienna. — (e. 73.) 

1637 — agosto 8 — Si scrive a Capodistria che gli ufllìci 
dell' amb.'^ veneto presso l'imperatore «a sollievo dei parti- 
< tanti de sali, perchè sia levato il novo dazio aggiunto da 
( imp."" contro le convenzioni antiche, e contro la forma del 
t partito » indussero la M*^ Ces.° a commettere ai Cons." di 
Stato nel « Cragno » che il partito si rispetti in ogni sua parte. 



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— 36- 

AI Pod resta coadiuvare te persone che dai pirtitanti saranno 
spedite per trattare i- loro interessi (e. 88. t). 

i637 — agosto ag — Uno dei fratelli Galilei mercanti si 
portò a Fiume e Trieste per negozi di sali forestieri con esclu- 
sione dei veneti, e per lo stesso fine si dice passerà a Firenze, 
Napoli e Barletta ; un altro Galilei trovasi a Buccari e dìcesi 
interessato in un carico di sali giunto da Barletta a Fiume. 
Il Pod. di Capod. indaghi su tutto ciò. — (e 96. tj. 

1637 — settembre 5 — Si scrive a Capod.' Si comprese 
non essere seguita cattura di barca del Locateli! come sostiene 
il residente presso l'Imp" ; invece il Pod. riferisca sulla cattura 
della barca con ogli del Bevilacqua e sulla asazione fattane di 
doppio dazio; in seguito però a togliere pretesto di ogni do- 
glianza qualunque barca con ogli verrà catturata sia inviata a 
Venezia con pretesto che in questa città se ne patisca diffetto 
- (<:. 98.) 

1637 — sett. 19 — Scrive l'amb.^' presso l'Imp." del giun- 
gere colà da Trieste con passaporto del < petazzo > di 3 soldati 
fuggiti dalle barche venete, e di nome Nicolò di Candia e Luca 
dalla Zimarra. Il Pod. di Gap,' vegga da chi dipendevano e 
procuri divertire tali fughe — (e. io3. t.) 

1637 — ottobre 24 — È frutto di diligenza commessa dal 
Pod. di Gap' alle barche arrivate, la cattura di certo vascello 
con trentacinque barili di chiodi ; nella congiuntura delle cose 
presenti basterà paghi il semplice dazio — (e. 118 t.) 

1637 — dicembre 11 — Si scrive a Capod. Si è intesa la 
cattura in quel porto della marciliana di Pietro Massaro di 
Trieste diretta da Ancona a detta città < con sette balle de 
pani, e sagiette, due di carta e due cassette di reali ". Il Pod. 
obblighi il « patrone » all'esborso di due. cinque per ricogni- 
zione, e senza più si licenzi prima che il Gap."° di Trieste 
habbia occasione di scrivere — (e. i35. t.) 

1637 — dicembre ig — Il Provv.' sopra i sali in Istria 
e Dalmazia, Moro, informi se ora sono trasmessi sali veneti a 
ri ed in che modo,- ed, ove ciò non sia, quali sali vi si. 
o ; che altri commerci si facciano a Buccari e con che 
illa città ; se austriaci vengono presentemente per sali 



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- 37 - 

in Istria e i se sia stata scoperta minerà di ferro a quella parte 

■ vicin al mare circa un miglio, e qual frutto ne cavino nostri 
«e pregiudizio austriaci'! — (e, i3j). 

1637 — gennaio 23 — (m. v.) Si intese lo stato in cui 
versa il negozio di sali in Istria ; t la caduta del partito dì essi 
4 per li stati austrìaci, col bando pubblicatosi contro Francesco 
t Galilei seguito ; la soprabbondanza dei sali accumulatasi sin a 
4 quest' bora di oUre cento mila moza ; l'aggravio rilevantissimo 
( a che il publico resta sottoposto di convertir l'oro in sale; 
1 e del sale med.'"" per la difficoltà dell' esito non potersene 
( non solo prometter profitto ; ma con la dilazione di maggior 
t tempo accumulare et pregiudizi, e danni sempre maggiori a 
i segno tale, che trovandosi di presente un debito con quelli 
« di Capodistria, Muggia ed Isola di oltre 62 mila ducati ; et 
( questo continuandoci della maniera, che si è praticata fin 
I bora s'accrescerà a summa maggiore; et della quale divelle 
« riescirà sempre più la soddisfazione ; oltre che si rendono 
4 considerabilissime le spese, che di presente si sostengono in 
1 guardie, in agìtti, et in altre cose necessarie, et soprabun- 
« dano a segno, che horma a pena si sa dove riponerll, ripieni 

< tutti li pubblici magazenì, e tante, e tante case particolari 
« con la loro anche total rovina ..... e dimostrando la ne- 
4 ccssità e la variazione di tempi di non continuarsi nel dispendio 
(infruttuoso, et gravissimo di ducati* 45 mila all'anno nella 
( pred.' compreda, che si fa da particolari di i3 mila moze 

< in circa in ragion di lire XIX il mozo con certezza di non 

■ potersene far 1' esito,^ quale anche sussistendo il partito per 
t stati austriaci meno si faceva a pena per la metà, andandone 
( in avanzo sempre cinque mila e più moza all'anno ; et per 
1 non accumular danno a danno >' si stabilisce che ha comprita 
di sali per conto pubblico dai Capodistriani, Muggiesi' ed 
Isolani sia sospesa restando ai particolari libero il venderli come 
crederanno e come usavasi dapprima salve sempre le decime 
della Sig.'", e disposto il senato ad agevolare detto smercio 
in tutto che porteranno le circostanze. 



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(La votazione fu) — 53 + 6a. 

— 4 

— 3i — 24. 
(Ex margine della votazione è scritto) : va zò. 

(Sotto alla votazione leggesi) Vedi lo scontro a questo 
segno * 

(Subito sotto è scritto) : « Ser And. Capello e Ser Giac 
I Marcello savi di T* F.' vogliono che si stia sul preso fino che 
« venghino le risposte degli offici, che in questa materia deve 
* passare l'Amb,'*' Grimani in C." Ces. non dovendosi frattanto 
t lasciar di dar quelle buone regole perchè il n^ozio dei sali 
» ritorni, quanto alla quantità da fabricarsene, et bontà di esso 
tal segno che era del 1623 >. 

f — 38 — 3o » 



9 - (a. 1638). 



i638 — marzo 3Ò. — Si comunica a Raspo e Capod.' 
ila nota distinta (consegnata dall' Amb.*" dell' Imp.'^) di tutti 
■ li casi, che son seguiti a confini dell'Istria, de disturbi, et 
* preteso aggravio de sudditi imperiali da due anni, e più in 
«qua*. — Si attende dalle cariche delle terre sudd. nota dei 
danni patiti dai sudditi veneti per poter rispondere come con- 
viene — {e. 3 t.). 

i638 — marzo 20. — L'Amb." Cesareo espose che, a- 
vendo Domenico Baretter di Dignaho ucciso Martino Pellizer 
e quindi cercato riparo a Pisino, il rappresentante di Dignano 
lo richiese al Cap,"" di Pisino. 

Non essendo stato partecipato al Senato l' omicidio, né 
chiesta licenza di ricorrere al ministro estero, il rappresentante . 
sudd. s'astenga dal ripetere in seguito tali passi senza com- 
missioni — (e. 7 t.). 

i638 — aprile 17. — Le ultime informazioni del Gap.™* 
di Capodistria sulla chiesa di S. Sisto nel luogo di Barato non 
danno lume a decidere 1 perchè ambo gli esami, così quello 



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-39 - 

( formato sopra la produzione detta parte, come quello intro- 
i dotto ex officio in una cosa medesima di fatto provano 

< r opposito l'un dell'altro e poi bisogna che la verità .... 
«sia o per l'uno o per l'altro» laonde si commette al detto 
rappresentante d'inquirire i quali de testimoni delle due prove 
t habbino prodotto, et giurato il falso, e se sia, o non sia la 

< Chiesa ondata, o posseduta al presente da Padri di San 

• Paolo ; se vi easercitino gli ofjicii spirituali ; se la Chiesa sìa 
« in buon essere; et se l'entrate sian asportate fuor. dello stato; 
«o quello sia effettivamente di questa Chiesa; di queste en- 
( irate; di questi esercizi spirituali; et di questo possesso con 
t c^ni particolare ben comprobato; col debito riguardo nell'u- 
t nire la contrarietà delle produzioni de testimoni, al tempo; 
f la diversità del quale può haver anche prodotto, e provalo il 
( fallo istesso con diversità > — Intanto vuole il senato che 
detta chiesa sia ufliziata puntualmente, e contento del popolo, 
servizio delle anime e di Dio. — (e. 13). 

i638 — maggio 8 ^ L'Amb." Rabata parlò alla Sig."" 
di accordo per cacciare -ed inseguire i banditi, volendo l'Imp." 
dar quiete al paese e confine. Le cariche di Raspo e Capod.' 
nonché altre di paesi confinanti corrispondano sollecite alle 
richieste che pel fine sudd. facessero i ministri cesarei — (e. 20). 

i638 — .giugno 5 — Puntuali riuscirono le informazioni 
del Pod. di Capod. sulla chiesa di S. Sisto nella villa di Baratto; 
si risolve di concedere e la continuazione dell' assistenza e go- 

< verno della Chiesa med.""' alli Padri di 8. Paulo; tale (essendo) 
«l'universale sodisfazionc di quei sudditi». II Pod.'^ però 
avverta • con rigorosa comminazione .... essi Padri all'ese- 
« cuzione del proprio debito, e ad astenersi affatto dalle passate 
« ommissioni, onde gli esercizi spirituali non manchino, e la 
» Chiesa resti u^ìciata principalmente tutte le domeniche e feste 
«solenni; l'entrate non s'asportino, ma s'impieghino nei bi- 

• sogni della Chiesa, e nel vitto loro • onde non si ripetano 
« gli inconvenienti — {e. 28. t). 

i638 — luglio 8 — Sono importantissime le cause di beni 
usurpati alla Sig.'" in Istria, e dei nuovi abitanti. Per le prime 



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— 40 — 

le cariche tutte di quella prov. mandino ogni più esatta infor- 
mazione al Cap."° -di Raspo a cui competono — (e. 47,), 

i638 — luglio 8 — Spiace al Senato l'avvenuto «arresto 
di alcuni animali carichi di sale per opera de sudditi imperiali ■; 
avendo poco giovato la fede fatta dal Cap."° di Raspo agl'in- 
teressati, sarà m^lio -questi tratti col Cap."" di Trieste onde <si 
possa risapere la volontà et l' intenzione de imperiali » ed 
ognuno abbia il suo. t Per l' interesse de novi habitantt, e per 
I !a forma, che si deve tenere, per penetrar le vendite et l'u- 
1 surpazioni dei beni di pubblica ragione » piace Io zelo del 
Cap."° di Raspo sudd.; ed oltre la conferenza sopra ti luogo 
gli gioveranno le scritture commesse alle cariche d' Istria — 
(e. 47. t.). 

i638 — luglio 32 — Si scrive a Capod." 11 Cap."" di Raspo 
riferisce che i ministri imp.'' tentano con violenza disturbare 
la buona vicinanza e distruggere specialmente il commercio* 
dei sali. Anno detti ministri colla < sponda > dei villici di Claues 
in num/^ dì cinquanta il 2 corr. mediante molti tiri di archibugio 
predato la più parte del sale acquistato in Istria e di duecento 
cavalli con morte di alcuni sudditi tedeschi e maltrattamento 
e ferite dei nostri ; di ciò fu causa l' ingordigia di certo dazio 
di i5 lire per ogni somma di sale condotto dall' Istria. U Pod. 
di Capod." unisca i suoi u0ìci per avvalorare le ricerche si 
commisero in corte imp.'*^ dì quanto sìa nelle intenzioni degli 
austriaci a danno delle ragioni della Rep.ca. — (e. 61). 

Pur in detto giorno 22 luglio si scrive al Cap,"° di Raspo. 
- (e. 64.). 

i638 — luglio 24 — Piacciono le solìe'citudini del Provv." 
a Pola conferitosi a visitare le vecchie conserve d' acqua, che 
potessero esser facilmente ripristinale; contìnui perchè sì possa 
devenire poi a qualche buona risoluzione — (e. 67. t.). 

i638 — luglio 24 — II Pod. di Capod." trasmetta al Provv,^ 
in Dalmazia la barca armata giunta a GrJgnano e di cui riferi; 
ne avrà altra in sostituzione.; ciò per togliere occasione di ran- 
core agli austrìaci. Lo stesso rappresentante inquisisca ed informi 
il Provv. sudd. sul furto di danaro d' elemosine in certa chiesa 
di cui sarebbesi resa rea detta barca. — (e. 67 t.). 



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i638 — agosto 31 — Sì scrive al Cap.™* di Raspo. La 
sentenza del Pod. di Dignano Contro quei Capi di famiglia non 
vale se sono veramente nuovi abitanti deputati al Cap."^ sudd. 
e « per capo d' ordine ancora deve haversi riflesso al scontento 
( di tanto numero di genti, la partita de quali dallo. Stato (il 
1 rapp." di Raspo) rappresenta sicura » — 1^ restituzione dei 
cavalli che i ministri austriaci promettono ai sudditi di Dana 
non si accolga per la condizione imposta che detti sudd. veneti 
rìnunzino e certo tratto di strada ove s^uì l' imprigionamento 
e che fu sempre strada comune ad ambe le parti, ma tolta 
questa condizione i sudditi devengano pure a concludere. —- 

È veramente grave il danno che arreca il pascolo degli 
animali di sudditi veneti su territorio estero ; se però è frutto 
dì necessità non può impedirsi ; ma in caso contrario se n'a- 
stengano d.' sudditi e la prudenza del Gap,"" vi s'adoperi. 
Intanto alla Sig.^* dì Ciana e a Germanico dall' Argento risponda 
che, trovati giusti i loro desideri potranno rivolgersi alla giu- 
stizia della Sig.""". Quanto alle « richieste del Giusdicente di 
1 Muna dì far intimar col mezzo (di esso Gap."") diffese A sudditi 
« della Rep.^', perchè s'escolpino da delitto commesso nella 
I dizione imp.'' > opportuncmente non fu data risposta, ed in 
caso si potrà fargli noto per qualche persona a voce che » stile 
di questa natura non si pratica. • Circa l'appellazione ottenuta 
da alcuni sudditi di quella prov. dal Coli" dei XX Savi per 
sentenza del preced.'^ Cap. di Raspo sarà eseguita in tutto la 
deliberazione ii giù. iSgS di Maggior Gens. Si prenderanno 
in considerazione le gravezze, a cui soggiacciono quei nuovi 
abitanti — (e. 94.). 

1038 — agosto 3i — Il Pod. dì Capodìstria informi sulla 
cattura di tre barche operata da quelle armate e su cui versa 
memoriale dell' Amb." Ces.° Si raccomanda prudenza a dette 
barche armate nel loro servizio essendo espresso in esso memo- 
riale che le stesse i si faccino veder fino in bocca di Trieste, 
4 assediando la città, e perturbando gli abitanti — (e. 102 t.) 

In data 4 settembre si rinnovano queste raccomandazioni 
tanto più che nell' ultime tre barche armate non trovavansì 
merci di coritrabbando, ma sole maioliche; ciò non fu riferìtg 



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_ 42 ~ 

dal Pod. di Capod. ma se è esatto, faccia restituire agi' inte- 
ressati Triestini il danaro o merce loro tolti, e le maioliche 
trattenute « et anche il denaro, che fosse stato tolto da 
Capitani per profitto, e civanzo. » — (e. 104. t.) 

Alcune lettere scritte da Trieste, se sono veritiere, meri- 
tano considerazione e su di esse si richiama l'attenzione del 
Pod. di Capodistria addi 11 sctt. — (e. 11 a. t.). 

i638 — settembre 18 — Conosce il Pod. di Capodistria 
quanto hanno deliberato i ministri imp.'' circa l' imposizione 
applicata ai sali che estraggonsi da paese veneto. Acciocché 
oltre alle pratiche fatte presso l' Imp," meglio si vegga il van- 
taggio delia rimozione di detto aggravio comunichi il Pod. in 
che esso consista, la causa che lo determinò, il danno che arreca, 
come può impedirsi, e quali trattati parlino in proposito — 
(e. 114). 

i638 — ottobre i3 — Si scrive a Capodistria che, circa 
il vascello ritrovato nel porto di Umago con l^nami levati da 
Trieste e destinati a vendita nello stato Veneto e cos) pei casi 
simili, basterà percepire una ricognizione ordinaria acciò non 
rimangano gli interessati scontenti, ed abbiasi pretesto di do- 
glianze — (e. 124}. 

IÓ38 -7- ottobre 20 — Il Pod. di Capodistria faccia mettere 
in libertà il vascello con legnami di cui la parte precedente 
ed instruisca procedura per scoprire chi tagliò la gomena a 
certa barca vuota ferma a Grignano conducendola poi in mare 
ed ivi lasciandola in abbandono. Di questi fatti si lagnò l'Amb/' 
imp.'' accennando pure • che le maioliche non sieno ancora 
restituite 3 — (e. 128. t.). 

i638 — ott, 3o — Le diligenze del Provv." a Pola in 
tenere ■ sicura et inosservata » la galeotta barbaresca colà tra- 
dotta da Liosena dal sopracomito Zeno con tanta accuratezza 
sono degne di lode. Per più cause sarà bene che lo Zeno 
traduca la stessa galeotta a Venezia — (e. i36. t.). 

i638 — dicembre g — La barca d'ogli del patron Buda 
da Trieste che fu fermata e condotta in Istria si rilasci senza 
riscossione di dazio in grazia dell' Amb.'* Cesareo — (e. 167 t.) 

]638 — febbraio 6 — {m. v.) Il Pod. di Capodistria in- 



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strutsca processo contro quella delle barche armate che penetrò 
nell'Isonzo, e vi prevaricò l' autorità conferitale dimorando an- 
che nella giurisdizione Cesarea — (e. 188. t.).* 

i638 — febbraio 5 — (m. v.) Il Cap. di Baspo annuisca 
ad istanza del Cap."** di Pisino che passi pel suo territorio un 
condannato che è destinato a Trieste ; usi però le debite in- 
dagini per scoprire il vero motivo della richiesta sudd. — (e. 189.}. 

Registro io — (^16}^.) 

1639 — marzo 5 — Il Pod. di Albona faccia imprigionare 
Gioirlo Ratrovich richiesto dall' Amb. Ces." Informi poi sul 
delitto di cui è reo, della sentenza emanata etc. — (e. i. t.). 

1639 — aprile g — Ai consultori in Jure siano fatte vedere 
le scritture relative al negozio dei sali in Capodistria essendo 
necessario il loro giudizio circa le nuove imposizioni degli ar- 
ciducali. — (e. 14. t). 

1639 — novembre 12 — Pochi giorni sono nei pressi di 
Trieste fu ucciso Francesco Mica da Spalato. 1 rei Leonardo e 
Gio. Pugliese e Domenico Amigoni rifuggirono a Muggia. Quel 
Pod. li faccia imprigionare, e se di là sono fuggiti procuri 
averne, notizie e le comunichi al rappresentante di Capodistria. 
-^ (e. 108). 

In data 17 die. successivo il Senato si compiace col Pod. 
di Capod.' per l'imprigionamento' ivi operato di Gio. Pugliese 
ed al Luogot.'' di Udine, ove si trovano gli altri 2, commette 
il loro arresto — (e. 117). 

1639 — ■ febbraio 4 — (m. v.) Si intese quanto scrisse il 
Pod. di Capodistria « nel negotio importante per il pubblico e 
< per il privato interesse delie gabelle eccessive, et altri devia- 
I menti, con quali hanno Austriaci confinanti privata quella 
« città dell'ordinario suo libero commercio e tracco dei sali ■ 
per il qual rispetto volcano quei sudditi spedire alla Sìg/'^ 
altro Amb." presso l'imp! perchè acceleri la conclusione del- 
l'affare, ed approva divertito dal Pod. dì Capodistria l' invio di 
nuovo deputato a Venezia — (e. 129). 

(Conlinua) 



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PROCESSI DI LUTERANISMO IN ISTRIA 



'(CoHtitmaeione v. voi. XVII fase. } e 4) 



E^dem Die, 

His auditis a R.""*^ D. Episc. et R. p. Inq." decreverunt 
sic instante Cl."^ D. assistente admilere ad Abìurationem se- 
cretam.iudiciaJiter tamcn et coram duobus testibus s."" m,"" 
Antonium Rotta non costante quod in processa superioribus 
diebus formato, esset de herrcsi dìffamatum ac acciisatum tamen 
considerantcs quod deposuit in favorem fidei non solum contra 
hereticum sed etiam contra magistrum et seminatorem herre- 
sum atcndentes quin ctìam quod volontarie Comparti, et hu- 
miiiter ac instanter petiit absoiutioncm cum tacrimis et con- 
tritione promitens libenter acceptare el adimplere qUam libet 
penitentiam ci datam a Donr, Judicibus inherendo ergo divinae ' 
bonitati; ac misericordiae decreverunt cumdem mag.""" Anto- 
nium herrelicum inventum ex propria confessione, sed volun- 
tarìe fore scntentìandum modo infrascripto intendentes tamen 
in aliquo pregiuditium non Tacere off. S. Inquis."'" 

Noi Math ° Barbabianca dottor de luna et laltra legge et 
per la Iddio gratta et della S. Sede Apost.*^' Vescovo di Fola, 
et frate fermo, dal' Olmo Venetiano del' ordine de menori con- 
ventuali dottor delle arti et della sacra Theologia et in tutta 
la Prov.^'* del Istria lnquis.'°' del' herrelica pravità dalla S,'" 
Sede Apost."^^ specialmente delegato, con assistentia del CI."" 
Sig."' Troilo Malipiero Dign.™" Podestà de Adignano, Consi- 
derando quanto benigno, et misericordioso sia N. S. Iddio ìi) 



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acetar quelli che veramente et di core si pentiscono delli herror 
loro, et come pietosamente la S." Madre Chiesa Catt." Romana 
abbrazza tutti quelli che ritornano con contricione al grcmbio 
suo alle qual cose inherendo Noi, a quali è imposta la cura 
de piantare ne cuori delli huomeni la S."* fede catl." et dalle 
menti loro estirpare la erretica pravità, et volendo noi, come 
siamo tenuti far quanto per giustìtia*si ricerca et quanto a noi 
comandano le constitutioni, et legge canoniche; Però havendo 
noi trovato te Antonio Rotta de Dignano per la sua propria 
confessione, et spontanea comparitione con giuramento fatta 
esser caduto, nell' erretica pravità et haver creduto per alcuni 
anni, come in la sua confessione le infrascritte erresie, imparate 
in diversi tempi, varii tuocliì, et più occasioni, da Andrea ca- 
legaro de Adignano, come appar nella sop.*' sua volontaria 
comparitione et confessione, et primum (qui sono ripetut) gli 
errori) per le qual cose sei veramente caduto in erresia, et in 
disgratia de Iddio, nondimeno, N. S. Iddio, è pieno di mise- 
ricordia et abbrazza volentieri quelli che con il core humile 
et contrito ritornano a lui, però meritamente havendo noi con- 
siderato la spontanea tua comparitione et volontaria tua con- 
Tessione, et la tua depositionc fatta in favor delia S. fede Catt." 
Romana, la molta contricione che hai mostrato, et le lacrime 
che in gcnochioni innanzi a noi- hai sparso et finalmente la 
spontanea exibitione che hai mostrato in voler accettar et 
adìmpir in tutto la penitentia che ti sarà da noi data, considerate 
. adunque et dilligentemente examinate tutte le cose che da noi 
dovevano esser jconsiderate el examinate, et de conseglio de 
periti, habiamo determinato di concludere dichiarare et senten- 
tiare la causa tua nel modo infrascritto. 

Invocato adunque il SS.'"* Nome di Gesù Cristo N. Sign. 
et della beat."" Vergine sua Madre Noi Math," Barbabianca 
Vesc." di Fola, et fr. Fermo, Inq.^" della erretica pravità nella 
provincia del Istria seSendo noi prò Tribunali, et solamente 
havendo innanzi alli occhi nosto Signor Iddio dal qual proviene 
tutti li giusti giudici], nella causa, nel S}° off." del' Inquisitione 
che vertissc tra esso sacro Tribunal da una parte, et te Antonio 
Rotta de Adignano, reo, et erretico per la tua propria spontanea 



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-46- 

comparitionc, et confessione retrovato dall' altra parte, qui alla 
prescntìa nostra constìtuito, Pronontiamo, sententìamo et de- 
chiariamo ti Ant." Rotta esser et esser stato erretico, et per 
questo esser incorso in tutte le censure, et pene ecclesiastiche 
tanto dà sacri canoni et constitutioni, quanto da tutte le altre 
leggi contra simili delinquenti imposte et ordinate, ma perchè 
humil." et spontaneamente sei comparso et hai confessato gl'er- 
rori tuoi, et di quelli hora genuflexo chiedi perdono dicendo, 
esser preparato, et ben disposto fd abiurar tutte le hercsie che 
hai tenuto, et creduto, et anche tutte le altre erresie, et errori 
insurgenti contra la fede catt.*^ dicendo, che per l'avenir vuoi . 
vivere secondo gli instituti della S." et ortodossa Romana 
chiesa, però ordcniamo, che nel grcmbio della instessa S.'* 
Romana chiesa sia admesso, et accetato, et assoluto dalle censure 
Eccl."'"» nelle quale sei incorso pur che con cor sincero, et fede 
non fìnta abiuri, maledichi et detesti le prefate erresie che hai 
tenuto et creduto et qualonque altra errcsia con il modo, et 
con la forma che hora da noi ti sarà data et questo farai in 
questo luoco alla presentia nostra et di questi téstìmonii in 
questa hora, acciò li tuoi peccati non restino impuniti et gi'altri 
per esempio tuo imparino schivare tale erresie, benignamente 
teco procedendo, te condaniamo, che per un'anno continuo, 
un venere al mese degiuni in pane et aqua, che ogni venere 
tutto il tempo della tua vita dichi cinque Pater nostri, et cinque 
Ave Marie in honor de Iddio et della Beata Vergine et de tutti 
li Santi ; che ogni Dominica tutto il tempo delia tua vitta vadi 
a visitar tre Chiese nella terra de Dignano, o dove te ritroverai, 
pregando nostro Sig."' Iddio per la felice conservatione della 
S." chiesa catt.*^ Romana; che dui volte al' anno cioè nel 
giorno della S," Pasqua della Ressuretione, et del Natale de 
N. S." Gesù Christo ti confessi et comunichi devotamente, 
resservando però a noi authorità in tutto et in parte di mittigar, 
moderar, et comuttar la s.*' pcnitentia secondo che a noi parerà 
espediente intendendo però di non pregiudicar con la presente 
sententia in modo alcuno alla giustitia et a questo s."" Tribunal 
per causa nel petto nostro riservate. 

Letta et publicata et pronuntiata fuit sup.-" sententia coram 



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— 47 - 

sup.*". ... in domo . . . episcopi . . . presentibus M." et R. 
D. Fed."* Surdo Ju. ut. doctoris et D. Micaele Columbo testibus 
ad hoc specialiter vocatis et rogatis per me presbiterum Ma- 
rinum de Furlanis pleb. Galisa-cii pubb. Not."" ad hoc spec."' 
ellectum. 

Dieta die. 

(Qui segue l'abiura che si ommette nulla essendo in essa 
di nuovo) Facta fuit hec abiuratio in domo . . . episcopi . . . 
in terra Adignani , , . per Ant. Rotta reum . , . presentibus , . . 
et statim R."" D. eps et R. p, Inq.^*" mandarunt ipsi abiurato 
ut propria manu subscriberet sue confessioni et abiurationi. 

dieta die. 

Coram R."" D."" Episcopo et R. p. Inquisitore cum assi- 
stentia antelati CI.™' D. Potestatis et presentibus D. Micaele 
Columbo et Baptista Linza familiare R."" D. Episc. testibus ad 
hoc specialiter vocatis et rogatis Comparuit ser Jacobus Betiga 
habitator Adignani lit supra in processo diebus elapsis formato, 
uti reus nominatus, sed modo sponte et ex se comparens et 
dicens R.""" Mons.*" et voi altri Sig.** in questo S.'" Tribunal 
giudici, dovete sapere, come io son comparso in questo luoco, 
mosso dal zello del honor de Iddio et salute del anima mia 
et desidero scoprir alle vostre Sig."* alcune cose et erresie che 
mi sono state insegnate da Andrea Calegaro figliuolo de m.'" 
Marco qual sta qui in Dignano, in diversi tempi et in diverse 
occasioni, nellt quali errori et erresie, anchor io son caduto, 
per le persuasioni fattemi dal sop.'" m/" Andrea, et prima mi 
ha insegnato che vai tanto le orationi fatte fuor di chiesa quanto 
quelle che si fano in chiesa ; chcl non si deve honorar li santi, 
né creder che possino esser intercessori nostri, appresso la Divina" 
Maestà del N. S. Iddio ; che le anime quando parteno di questa 
vitta vano dove sono destinate et che non si possono agiutare, 
né con messe, né con elemosine, né con orationi, ma che il 
bene che si ha da fare, bisogna farlo innanzi la morte, et non 
dopo ; che le induglientie mandate da summi Pont.*^' non va- 
gliono niente, et che il mangiar carne in tempi prohibiti dalla 



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- 48 - 

* S. Chiesa non è peccato, le qual erresie me insegnava quando 
eravamo soli, et non presente alcuno et questo ritrovandomi 
qualche volta la matina in sua Compagnia et dicendo che voleva 
andar a Messa, m ™ Andrea me diceva, che voi tu far a andar 
alla Chiesa ! tanto ti vai a far le oration in un bosco quanto in 
chiesa, perchè non occore tante chiese, et delli santi ragionando 
me diceva anchora, che non bisogna honorar li santi, né ado- 
rarli, perchè bisogna adorar un solo Iddio, et che lì santi non 
possono pregar per noi, et ragionandosi della quadragesima 
me persuadeva a mangiar della carne, dicendo che non è 
peccato quel che entra, ma quel che esce, et insieme me per- 
suadeva a creder che le orationi et ellemosine non vagliono 
niente alle aninie de morti, perchè bisogna far il bene innanzi 
la morte et non dopo! perchè le messe non vagliono niente 
al' bora, et quando veniva qualche induglientia, me diceva et 
me persuadeva a creder che non vagliono niente et burlandosi 
diceva, vien tante induglientie plenarie che se vive&semo mille 
anni, in un dì solo noi sconteriamo tutti li peccati ; et io per 
le sue persuasioni ho creduto et tenuto che sia la verità che 
non sia bene andare alle chiese più che altrove a far oration, 
le altre erresie veramente che il ditto m/" Andrea mi persuadeva 
son stato per un tempo in dubbio, se io le doveva creder o 
non, perchè egli me le insegnava, et persuadeva a crederle 
come cose buone et vere, et così io in me stesso dubbioso 
qualche volta le credevo et qualche volta non, et può esser 
che io sia stato in questa dubietà dui o tre giorni, né io de 
quanto ho sop'" ho parlato in alcun tempo con alc\ina persona, 
ma hora tocco dalla gratia del Sig/ Dio et per salute del anima 
mia son venuto, qui innanzi le Sig/'^ vostre spontaneamente 
a confessar questi miei errori, et humilmente con li genocchi 
in terra contrito et pentito, chieder perdono, et 1' assolutionc 
di tanto mio grave peccato et Int."" R.*" 

lo ho inteso a dire che il ditto m.'° Andrea calegher già 
alquanti anni, é stato inquisito, et condenato, in Pola per erresie, 
ma le sop.*'^ erresie, che a me ha insegnate, me l' ha insegnate 
assai doppo, et'questo puoi esser già dui anni incirca ne so 
che in questo luoco vi sia alcun altro erretico, o diffamato o 



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— 49 — 

suspeto, salvo che m." Marco padre di esso m.'" Andrea, perchè 
non so se in tutto il tempo della vitta mia l'ho visto una, o 
dui volte in chiesa. Quibus dìctts statim iterum genibus flexis 
veniam petiit. dicens. R.™" Mons. p." Inq. et voi CI."" Sig"'' 
Pod. si come conosco, et con tutto il core confesso haver errato 
imparando et credendo le sop."^ erresie ins^natemi dal sop/° 
m/° Andrea, cosi con lutto l'animo adimando perdono huroil- 
mente a Iddio et a questo S.'" Tribunal perchè conosco haver 
falato. Onde mi sottopongo volontariamente ai giuditio di vostre 
Sig/'^ et prometto che volentieri obedirò a quanto le me co- 
manderano, et farò la penitcntia intieramente che alle vostre 
Sig.'" parerà de darmi, et dato eidem atquc ab eodem accepto 
iuramento si que dixit deposuit contra sup."™ m."™ Andream 
vera sint et an amore vel odio dixerit. R." Sig." tutto quello 
che ho detto è la verità. Et R."° conf." 

Dieta die. 

(Qui va la sentenza ; le penalità particolari sono :) le con- 
daniamo che per un anno continuo digiuni un venere al mese 
in pane et aqua ; che tutto il tempo della tua vitta il sabbato 
dichi il psalmo misere mei deus con quella oratione omnipo- 
tens sempiterne deus qui vivorum dominaris eie pregando il 
nostro Sig."' Iddìo per tutto il populo chrtstìano et per tutti 
li fedeli defonti ; 3° che ogni giorno tutto il tempo della vitta 
tua visiti una chiesa dove te ritroverai et dichi un Pater N. 
et una Ave Maria, in remi^sion delH tuoi peccati et per la 
conservalion de tutti li prelati della S.^ Chiesa! 4;"* che dui 
volte al' ano ciò è alla S.'^ Pasqua et al Natale del Nostro 
Sig.**" Gesù Christo ti confessi et communichi devotamente 
riservando però a noi authorità in tutto et in parte di mittigar, 
modificar et comuttar la p." penitcntia secondo che a noi parerà 
espediente, intendendo però di non pregiudicare colla presente 
scntentia in modo alcuno alla giustilìa et a questo S.'° Tribunal 
per cause nel petto nostro riservate. 

(Qui seguono I' abiura, e le solite dichiarazioni del notaio). 

Die Jovis a.' mensis fcbruarii i583, presentata per R. patrem 
Magistrum Firmum de Ulmis Inq,'"" Istriae. 



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Noi Angelo Giustiniano, per la Ser."" Sig.' di Venctìa etc. 
Pod. dì Dignano a qualunque CI.""* HI.""' et Ecc.""* Magistrato 
Dell' Incl. Città di Ven.''", et specialmente al S. off. dell'Inq."' 
facciamo ampia et indubitata fede, come alla prcsentia del Rev.'''' 
Padre fra Vinc. Pred."^* Vicario del deto S.'" Off." e Nostra, il 
giorno di beri, nella Chiesa maggiore di questa Terra fra la 
solennità delle messe, et nel mezo della Predica d'esso R.*" 
Padre, servate le solite cerimonie che in simil occasione si so- 
gliono servare, essendovi moltitudine di Populo, fumo per il 
Cane." nostro publicate le sententie digìnitive, pronuntiate, et 
publicate già per esso santo otjìcio centra Marco Calegaro, et 
Giovanni pclizzaro di questo luocho, T una sotto di i6 luglio 
passato et 1' altra sotto li 5 agosto presente, et le loro abgiu- 
rationi, et fu per esso R.*" Padre Vicario assignato in essecu- 
tione di esse sententie, alli predetti abgiurati le case delle loro 
habitationi qui in Dignano per preggioni, et datagli copia delle 
loro penitenze, et in fede della verità, habbiamo sottoscrìtto le 
presenti de nostra propria mano In quorum etc, Datum Adi- 
gnanì Die Lunae XXII mensis Augusti MDLXXXIII. 
Anzolo Justtnian podestà, 

Alex.'' Mandi de Venetiis Cane' p." 
Cl."^ D. Potestatis m.'" subscrìpsit. 

Die 8." mensis Novembris 1592. 

Dati fuerunt per A.^" R.''™ Patrem Inquisitorem etc. Ve- 
netum A.^" R.''° Patri Inq." Gen." Istrìe Patri Mag.''" Ant.° 
Cancello ord. S.'' Francisci quatuor Processus quorumdam de 
Adignano ncmpc Marci cerdonis Andreac et eius filli et alio- 
rum. Alius contra Sanctum fìlium Marci cerdonis Bertum Ci- 
nei et alios. Alius contra Bertum Cinei Alius contra Presbiterum 
Jacobum Cinei et Andream eius Fratreih sìgnati num." 30, 32, 
32 et 43 ad affectum ut ea quae sibi sunt necessaria prò causis 
emergentibus illis in partibus complendis possit extrahere ea 
quae sibi videbuntur necessaria. Qui pred. Adm. R. Inq."' pro- 
pria manu se subscripsit dictos processus recepisse. 

Ego frater Thomas Senensis Not. Apost."" prò S.'" off." 
Inq."'* Venetiarum scripsi de mandato suprad. propria manu. 



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— 5i — 

Ego fr. Ant.** Cancello Islrie inq.'"^ actu suprad. processus 
recepì cum obligatione restituendi. 

Die i3 Nov, suprad. Adm, R. Inq. Istriae restiluìt pred, 
quatuor processus suprascriptos mihi F. J, Gabrieli Salutisan (?) 
Inq. Ven."* Eadem die habui ab admodum R. P. Inq," Geo,'' 
Ven. Fragmenta i3 computatis sententiis abiurationibus de- 
nuntiationibus, informationibus, cum oblìgatione restituen- 
di ut S.' 

Ego fr. Ant.' Cancello Inq' Istrie. 

(Nd fascicolo che si sta trascrivendo seguono i seguenti 
incartamenti che qui vengono copiati o descritti secondo la 
loro materiale successione, come s'è fatto del resto fido ad ora) 

(A tergo) i583, 14 Junii — contra — Marcum cordonem 
Andream eius iìlium et Joannem peliparium de Adìgnano. 

Vide abiuralionem suprascripti magistri Joannis de Paulis 
pelizzarii utì hcretici for."' sub die 16 mensis Julii i583. 

Vide etiam abiuralionem supradicti mag. Marci cerdonis 
uti herelici for.''* sub die 4 mensis aug." i583. 

Vide etiam sententiam contra Andream filium dicti Marcì 
rclapsum consignatum brachio secularì sub die 8 mensis 
martii 1S84. 



(Neil' interno) 

CI."' Sig." oss.""' 

Questa mattina in esecutìone di lettere di V. V. S. S. CI.™ 
date sotto gli 34 di Maggio, et presentatemi mentre che mi 
trovo nella visita di questa provincia, ho fatto con tutta quella 
maggior secretezza è stato possibile, carcerare Marco Callegaro, 
Andrea suo figliuolo, et Giovanni pelliciaro nelle sue lettere 
nominati, mercè al molto valor, et diligenza del CI.""* m. An- 
gelo Giustiniano Potestà di questo luogo d'anni giovane, ma 
di senno assai vecchio. Mando dunque essi 3 prigioni sotto 



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— 53 — 

buona custodia della corte di questo Regimento, et di Pela, 
con barca a posta, fatti accompagnare sino alla barca dalia 
fantaria, acciò che non nascesse qualche inconveniente, si come 
facilmente sarebbe causato. Di nolo al barcaruolo (cosi con esso 
lui d'accordo) VV. SS. CI.'"' faran contare lire 5o, et parimenti 
faranno sodisfare essi uQìciali cosi delle loro mercedi, come 
di spese che per il viaggio havranno fatto. E' vero che io gli 
ho contato lire 21 ad essi upiciali, et altrettanti al barcaruolo, 
che tanto meno dovran bavere, le quali piacerà a VV. SS. CI."" 
far a nome mio contar al CI.""* S. Marco Quirini mio genero, 
et se in altro posso servirle, me lo offerisco per servirle sem- 
pre paratissimo et me le raccomando. 

Di Dignano, a X di Giugno i583. 

Di V. V. S. S. CI.""' ser 

Gabriel Emo Cap."° di Raspo e Pascnatico 



CI."' Sig.'* oss."' 

Doppo scritta la lettera alle V. V. S. S. Cl."= della retten- 
tione di Marco Callegaro, suo figliuolo, et Pellìzzaro, ho voluto, 
essendo il negotio importantissimo, che per ciò, ricercha molta 
sicurezza nel condurli, agglonger altri homini, alli primi, che 
saranno sei in tutto, a quatro de quali, ho esborsato lire quatro 
per uno, et al cavalliero del Cl."'° S,'"' Pod. detto altri tre scudi, . 
per le spese, parendomi non si dover riguardare al dinaro, 
purchèquesto scrvitio habbia il desiato (ine; li 4 homeni sudetti, 
lasciando le loro moglie, et figliuoli con ogni prontezza per 
essequir la volontà mia, et di questo CI.™" Sig." prego V. V. 
S. S. CI.™ quanto prima ispedirli, acciò possano ritornare alli 
affari suoi, facendoli dar dinari per il ritorno, et sodisfar il 
detto Cavalliero col suo Vicio come nell'altra ho scritto alle 
V. V. S. S. CI."" alle quali offerendomi prego nostro Sig."^ darle 
ogni contento. 

Da Dignano alli io Giugno i583. 
Di V. V. S. S. CI."' servitor 

Gabriel Emo Cap." di Raspo et Pasenatico. 



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— 53 ~ 

CI.™" Sig.™ Habbiamo ricevuto la lettera di V. S. CI.™" 
delli X di questo et insemi con essa la consìgna dclli tre pre- 
gioni fatta far con molta prudentia di V^ S. CI.'™' della quale 
lei bavera merito con Idio et Noi gliene restamo per il bene- 
fìcio publico molto obltgati, si è fatto satisfare il Cavallicri (sic), 
il paron di barca, li soldati delle cernede in tutto secondo 
l'aviso di V. S. CI."" et cosi della mercede della cattura come 
potrà veder per l' alligata nota, et per li danari sborsati da lei 
a questo conto chi sono lire 38 se restituiranno al CI '"'* mcsser 
Marco Quirini suo genero secondo 1' avviso suo. 

Di più habiamo visto quanto lei scrive a Mons. R."™ et 
111,"" patriarcha d' intorno al Bertolino mastro di scola heretico 
et che in casa sua si legge et predica, cosa di molta impor- 
tantia però V, S. CI."" con la solita prudentia et pietà sua 
sarà contenta de informarsene bene et parendoli così espediente 
et servitio publico laudamo se ne assicuri di esso bertolìno 
con farlo ritener sotto bona custodia et mandarlo di qua si- 
curamente con quella maggior informatione che potrà bavere. 

Di Venezia il dì i3 zugno i583. 

Di V. S. CI."' 

Ilier, Venicr all'Inq.' Vido Moresini all' Inq/ Aug.""" Bar- 
barigo all' Inq.' — Al CI.""* Sig."'^ Gabriel Emo dig."'° Gap."" 
di Raspo come fratello etc. 

Cl."^ Signor 

Data essecutione fatta deli 3 preggioni dì Dignano et da 
quello che ce ne scrive il CI.""" Sig.'*'^ Gabriel Emo cap. dì Ra- 
spo habiamo visto la dìligentìa et pietà dì V. S. CI."' in servitio 
de Dio e publico dil che merita molta lode e noi glie ne re- 
stiamo molto oblìgatì pregandola in servitio dcla S. Fede 
Catholica et quiete di questo stato dì star molto advertito in 
procurar che luto questo mal costì sì scuopra aciò che ci si 
possa pigliare opportuno remedio a fine che il male non di- 
venti maggiore dii che ne bavera merito apresso Iddio et farà 
servitio a questo stato. Non essendo questa etc. etc, 



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-54 - 

Al CI™ Sig. Anzolo justiniano dig™ Pod. di Dignan come 
fratello carissimo. 

(Segue nota di sQpse per la cattura dei tre rei: si ommette). 

(Segue una lunga serie di costituti che oltre ad essere di 
lettura dipcilissima è a credere, come in parte si è verifìcato, 
che vengano poi ripetuti in ristretto nelle sentenze ; perciò si 
è qui fatta copia soltanto di dette sentenze. La prima però dì 
dette sentenze e relativa abiura contro m. Giov. de Paoli pe- 
lizzarium di Adìgnano fu già più sopra trascritta da altra copia 
esistente in questo fascicolo ; quindi si ommette.) 

SententiacontraMarcum cerdonem hab. Adignani Noi Lau- 
rentio Campegio per gratia de Dio et della S. Sede apost.*^ 
Episcopo di Cervia del S."*° S." nostro papa de luna et laltra 
signatura referendario et prelato domestico e in tuto el Ser."™* 
Dominio Veneto legato ap,*" 

Joanne Trivisano Dottor de V una et 1' altra legge per mi- 
seration divina Patriarcha de Venetia et primate deia Dalmatia. 

Maestro Angelo Mirabino da Faenza dell'ordine de predi- 
catori de osservanza dela sacra theologia dottor e in tuto el 
p.'" Scr.'"° Dominio veneto inq.'*" general con Tassistcntia de 
voi CI."*' Sig." Vido Moresini et Augustin Barbarigo. 

Essendo venuto a notitia de questo S}" Tribunal che tu 
maestro Marco calegaro greco holo del q. Zuane de Famagosta... 

(A questo punto si sospende la copia di questa sentenza 
essendo stata anche questa trascritta più sopra dal fase, stesso). 

(L'abiura di Marco calegaro greca vien subito dopo, niente 
ha di nuovo, è con segno di croce del sentenziato che non sa 
scrivere e la data 4 ago. i583.) 

(Segue un costituto di piegio che fa M. cechin Cigrini per 
il sentenziato ad una promessa di questo che osserverà le pre- 
scrizioni con nuova garanzia dello suocero Giuseppe Corte (?) — ) 
Die sabbati 12 mensis novembris i583 R.'" Hieronymus 
vitriarius minister S. opcii se die Jovis prox, p," mandato S. 
Tribunalis transtulisse suprascn ptum Andream de Adignano 
ex carceribus novis S. off. ad carceres sive camerotos de noctis 
ad criminalia ipsumque recomendasse custodibus. 



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Contra Andream de Adignano Relapsum Sententia 

Noi Laurentio Campegio per gratia de Dio, et della S." 
Sede Apost." Episcopo di Cervia del S.""" Sig/ nostro papa 
dell' una etc. (come sopra) 

Joanne Trivisano Dottor etc. (e. s.) 

Maestro Angelo Mirabino da Favenza etc. (e. s.) con l'as- 
sistenza di voi CI.™ S." Jacomo Emo Vido Moresini et Augustin 
barbarigo. 

Essendo noi Icgitimamente informati, come Andrea figliuolo 
di Marcho Callegaro d' Adignano nell' anno 1S69 come heretico 
formale abiurò pubicamente con la propria bocca l' infrascritte 
formale heresie nella forma consueta della chiesa, avanti il 
R."° Vescovo di Pola, et inquisitore di detta città et Diocesi, 
ciò è che la Messa non vai niente, che 1' haveva per niente et 
non si curava di Messa. 

Che è stato un becco fotudo d' un papa il quale haveva 
delle sardelle da vendere, e non potendole spazzare fece la X."* 

Ch'el Concilio non si spazzare mai. 

Che la fede de lutherani, è megliore della Catholica e della 
nostra. 

Che le processioni sonno superflue, et un andare a torno, 
e che basta il Cuore. 

Che non si trova el purgatorio, e che messer Domenedio 
ha purgato per noi. 

Che l'oglio che si tiene nelle cesendelli delle Chiese saria 
meglio a darlo a poveri, che impizzarle avanti le fìgure de 
santi nelle Chiese. 

Che non si debbano adorare le figure de santi che sono 
in chiesa, perchè sonno fatte d'uomini, ma Iddio solo. 

Per la qualcosa il predetto R.""* Vescovo et Inq." credendo 
che esso Andrea Calegaro d'Adignano fosse veramente convertito 
al grembo della S." M. Chiesa Catholica Romana, lo assolse 
dalla scomunica maggiore nella quale era involto per haver 
credute le sudette heresie, pensando che di vero Cuore, et fede 
non fìnta, fusse ritornato esso Andrea all'unità d'essa S." m. 
Chiesa, e gli impose la penitenza salutare come manifestamente 



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— 56 — 

appare nella sentenza. Nondimeno dopoi nell'anno i58i di novo 
fu denunciato l' istesso Andrea al S.'° officio di Pola da molti 
testimoni! degni di fede, come appare ne! processo formato 
contro d'esso Andrea dal R. Maestro fermo Olmi Inq ™ di Ca- 
podistria in Dignano, et mandato a questo S.'" ojìtio di Venetia. 
Ch'el detto Andrea Callegaro ha insegnato a molti suoi com- 
plici molte hcresìe Che ha mangiato carne essendo sano al 
tempo di quadragesima, ed altri giorni prohibiti, dicendo, che 
non è peccato a marciare carne e che quello che entra per 
la bocca non machia I' homo ma quello che eice. 

Che li S." non si debbano n' invocare, n' honorare — Che 
i suffragti de vivi non giovino alli morii — Che l'indulgenze 
mandate dal papa sono di niun valore — Che nell' hostia con- 
secrata non v' è realmente il corpo dì Christo — Ch' el papa 
non ha alcuna authorità — Che ha creduto solamente nel te- 
stamento vechio. — Che non fa differenza tra gli preti, et 
l'Asini — Che l'opere nostre non sono necessarie alla salute, 
ma che Christo ha sodisfatto per noi — Che s' è trovato 
presente alla lectione de libri di Calvino. — Che sprezza le 
chiese, ed ha voluto metter le mani adosso al Vescovo che Io 
riprendeva — Che ringratiava Iddio d' haver convertito molti 
alta sua fede — Che quando uno' s' ordinava alli ordini sacri 
diceva che entrava in compagnia dell' Asini. — Che l' ordinare 
un sacerdote altro non è. che ungerli il capo con un puoco 
d'oglio. — Che ha tenuto tutte I' heresie di suo padre maestro 
Marcho Calegaro. 

Le qual cose havendole noi udite, et essendoci legitima- 
mente informati da molti testimoni degni di fede, comettessimo 
che fusse ritenuto dalli ministri della Corte seculare, et condotto 
sotto sicura custodia a Venetia, et posto nelle carcere del S.'" 
officio Et havendolo molte volte constituìto in gìuditio, et 
essaminatolo diligentemente, dopo molte ncgationi, tergiversa- 
tioni, vacillationi, et varietà, finalmente ha confessato con la 
propria bocca spontaneamente come chiaramente appare nel 
processo l' infrascritte heresie cioè. Ch'el papa non ha authorità 
più dell'altri homini — Che l' indulgentie sono di niun valore 
— Che non si debbano riverire l' imagine de S." — Che la 



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-57- 

quadragesima è stata instituita d' un papa che havcva molte 
sardelle da vendere. — Che non si debbano invocare li santi 
ma solo Dio. — Che le cerimonie della chiesa non sonno 
buone — Che l'ìntrade della chiesa, non si debbano dispensare 
n' a preti, n'a frati, n'a monache. — Che è licito a magnar 
carne la XL', et altri giorni prohibìti — Che nell'altra vita 
non v'è il purgatorio — Che non sonno buoni i voti che si 
fanno dalli Christian! d' andare in peregri naggio, et simili — 
Che r elemosine che si fanno per gli morti non gli giovano 
— Et che è stato nelli predetti errori, et herresie cinque o 
sei anni dopo l'abiurationc fatta in Pola dal sudetto Andrea. 
Et oltra le predotte heresie ha creduto, et tenuto che nell'ho- 
stia consecrata non vi è il vero corpo di Christo - Che l'uso 
dell'imagine de Santi non è buono — Che non si deve far la 
confes ione sacramentale ai sacerdoti — Ch'el papa non è vero 
Vicario dì Christo, e che non ha alcuna authorità nelle cose 
spirituale. — Che sono solamente duoi sacramenti della Chiesa 
cioè el Battesmo, et il Matrimonio — E finalmente che è tor- 
nato a creder et tener tutte le sudette heresie, da lui abiurate 
a Pola, se bene haveva promesso, et giurato nella sua abiu- 
ratione per l'avvenire di vivere, el credere quello che tiene 
et crede la S. M. Chiesa Catholìca Romana. 

Per le qual cose meritamente, et giustamente habbiamo 
il detto Andrea Calegaro d'Adignano per relapso formale se- 
condo le leggi, et instttuti Canonici. Ma perchè come siamo 
informati da persone religiose, et degni di fede inspirato dalla 
Divina gratta come esso Andrea dice è ritornato al grembo 
della istessa S. Madre Chiesa Catholìca Romana l' habbiamo 
admesso a ricevere i SS. Sacramenti della penìtentìa. Ma bora 
volendo dar fine alla causa d' esso Andrea Calegaro de Dignano, 
siamo venuti all' infrascritta definitiva sentenza. 

Invocato dunque el nome di Dio, et delia B. Vergine, et 
de tutti i S." Noi antedetti Laurentio Campegio legato Aposto- 
lico, Jeanne Trivisano patriarcha di Venetia, et Maestro Angelo 
MirabinodaFaenzainquis.'* generale Con l'assistenza di voi Clar.™ 

Sedendo in Tribunale, ed havendo posti avvinti di noi ì 
sacrosanti Evangelii, accioche dalla facia de Dio eschi el t)ostrg 



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— 58 — 

giuditio, et che gì' occhi nostri veggano i' equità havendo avanti 
gì' occhi solamente Iddio con I' unità della S. M. Chiesa, Et 
hauto il maturo conscglio de periti Dottori nel!' una, et l'altra 
legge et nella sacra Theotogia. Nella causa, et cause vertenti 
tra questo S.'" ogìcio della Inquis."* et Andrea Calegaro prefato, 
reo, et processato, absenle come presente, confesso, et convinto, 
in quest' hora et giorno assignatoli per questa sentenza deflì- 
nitiva sententìalmente giudicamo, et dechiaramo, che esso 
Andrea Calegaro da Dignano, è veramente rclapso nell' heretica 
pravità, et come realmente relapso nell' heresie, doversi consi- 
gnare alle potestà et braccio secular^, come consignamo et così 
dicemo, sententìamo, dechìatamo et consignamo. 



Lata data et sententialiter promulgata fuit suprascripta 
sententia di^Snitiva per antelatos 111.™"' et R,"'^ D. D. Legalum 
Patriarcham et multum R. p. Inquìsìtorem prò tribunali sedentcs 
in domo R. D. Joannis a prato Canonici S.^ Marci posila in 
canonica S. Marci lecta vero de eorum mandato per me vin- 
ccntium trolato (?) cancellarium S. ogìcìi Die Jovìs 8 mensis 
martii 1584 presentibus R. D. Eustachio Almerico presbitero.... 
et D. Alfonsio de Sartis.... familiaribus prcdicti IH.™' D. legati 
testibus. 

Ita pronunliamus et consignamus Laur." Épisc. Cerviensis 
legatus. 

Ita pronuntiamus et consignamus Joannes Patriarcha Ve- 
netiarum. 

Ita pronunciamus et consignamus fr. Angelus faventinus 
Inq."" qui supra. 

Die martis i3 mensis martii i584- Li CI."" S." Jacomo Emo 
et Augustin Barbarigo stante la consignation p." fatta del p.'" 
Andrea da Dignan lo hano condanato che in questa notte a 
hora dela mezi notte in circa sia condolo in una barcha et 
sia butado in mar fuora dei do castelli et li sia anegato ita 
che in esso mar si babbi a suffogar et morir et questo in es- 
secution dela sententia del S.'" Tribunal del Sopradetto come 
relapso. 



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-59- 

Die Jovis i5 mcnsis marttì 1584 Rctulit Ilier.""' vìtriarius 
ministcr S." o^cii se hesterna nocte vìdelicet noctc die tnarlis 
proxime pret," bora circiter 7." in circa una cum sociis suis 
executum fuisse prout in suprascripta sententia. 



(Altro fascicolctto con a tergo la scritta : « Die 23 mensis 
» novembris i583 centra Bertum Cinci de Adìgnano. — ■ Vide 
• eius sententiam uti heretici formalis et abiurationem sub die 
t 4 februarii 1584. >) 

(Precedono alcuni costituti che qui si tralascia di trascri- 
vere ; segue :) 

Noi Laurcntio Campegio per gratia de Dio et de la S." 
Sede Apostolica Episcopo de Cervia del S."" S." nostro papa 
dell'una et l'altra signatura referendario et prelato domestico 
e in tuto el Ser."" Dominio veneto legato apostolico. 

loanne Trivisano Dottor dell'una et l'altra legge per mi- 
seration divina Patriarcha de Venetia et primate de la Dalmatìa. 

Maestro Angelo Mirabino da Faenza dell'ordine di predicatori 
d'osservanza dela sacra theologia Dottore e in tutto el p.'** 
Ser.™" Dominio Veneto Inq."" generale. 

Con l'assistenza de voi Ci.""' S." lac." Emo et Vido 
Moresini. 

Essendo venuto a notitia de questo S. off." etiam per te- 
stimoni! degni de fede con suo iuramento essaminati che nella 
terra de Dignano erano molte persone heretìche che facevano 
congregatione in casa loro et 1' hano fatta insegnando a diversi 
Dotrina lutherana et cathìva et che sono da 7 anni in circa 
che tu Benho Cinei mangiando a cena con alcuni altri doppo 
cena solevi cavare un libro dela grandezza d'un plicco di lettere 
il quale lo chiamavi o Martino o Vergerio et dicevi che era 
venuto da terra thodescha et qualche volta tu lo leggevi a 
quelli altri et persuadevi molte cose. 

P.' Che non bisogna andar alla messa che dal vangelio 
in fuora la messa non vale niente — Che tanto vale a torre 
un pezzo di panne quanto l'hostia parlando del S."'° Sacramento 



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— 6o — 

dell' altare. — Che non se trova purgatorio — che parlando 
dela processione dele palme alla quale francesco pelizzaro vo- 
leva andare tu lo prendesti per la mano et lo menasti nel tuo 
horto et aperto un libro grande quale ghe parse che chiamassi 
la Bibia et havendolo letto un puoco gli dicesti: Adesso è venuto 
il tempo come dice questo libro. Che li homeni si travesUriano 
et meneriano Christo in Mostra per la terra. 

Et parlando deli preti che andavano in processione dice 
guarda adesso è venuto il tempo. 

Solevi dire nei tuoi raggionamentì Che si deve adorare 
un sol Dio et a lui andare et non dalli Santi — Che li Santi 
sono di legno che si bene si chiamano non respondeno ne si 
muovono dicendo andate et tirateli giù che non dirano niente 

— Che le opere nostre non vagliono niente — Che Christo 
jesu S."' nostro sopra il legno della croce ha pagato per noi 
et che non accade altro. 

Che essendo tu ripreso in strada a quello che ti reprendeva 
li dicevi hebreo. — Che parlando con li tuoi compagni dicevi 

— Che loro sono de li eletti et noi boni Christiani maledetti. 

Che basta confessarsi solo a Dio et non andare da preti 
et da frati a confessarsi. — Et che tu eri presente doppo cena 
alla predica di pre Biasio quale insegnava de cose lutherane 
et leggeva un libro Et possono esser da otto anni in circa et 
dicevi — 

Questi papisti vogliono dare ad intendere che lijubilei et 
indulgentie che manda il papa sono vere et che possono aiutare 
l'anime a liberarsi da peccati ma s'inganano non vagliono 
niente, ma solo el sangue de Christo è quelo che vale dicendo 
atendetc pure voi altri a dare de li soldi alli preti per che va- 
dano a spasso con le concubine et impoverire le case vostre. 

Che persuadevi a non credere l' indulgentie et tutti quelli 
che erano ti credevano et aQìrmavano le sopraditte cose. 

Che hai minaciato il soprascritto pslizzaro che se lui di- 
scopriva niente contra di te et altri tuoi complici che! saria 
stato amazato. 

Et che possono esser da 5 anni in circa che in la tua vi- 
gna e| ditto pelizzaro cav6 fuori yn libro in forma di donado 



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— oi- 
di altezza de doi ditta et te lo diede in mano et tu lo comin- 
ciasti a leggere, et dechiarire et dar ad intendere alli circon- 
stanti diverse falsità et h^resie di sopra narrate si che tu leggevi 
et il detto pellizzaro rispondeva et dechiariva et tu confirmavi 
SI che tutti doi eravate di una istessa opinione et ti affatichavi 
a dare ad intendere le soprascritte falsità Et gìonti li cacciatori 
tu ascondesti il libro. Ed doppo alcuni giorni tu domandasti a 
maestro Mattheo moscarda che era ancor lui stato presente 
alla ditta litione quel che li pareva di quel libro. 

Et che in quella vigna sei stato più volte quando a lavo- 
rare quando a parlare de cose lutherane et perchè m. Joanne 
de Paulis pellizaro si trovava haver un librò intitolato 1' insti- 
tutione de la fede Christiana di Ganevra. — Et quando se diceva 
che non è bono a impizzare lumi avanti V imagini de Sacti tu 
respondevi esser it vero. — Et che era meglio a dare quel 
oglio a poveri et altre cose di sopra narrate. 

Che raggionando con m. paulo pelizzaro hai detto che 
credevi che fosse licito a manzar carne la X4"" et ogni altro 
giorno prohibito dicendo el Signor Dio ha fatto tute le cose 
bone. — Et di molte cose che esso leggeva et raggionava con 
ti tu le affermavi et tutti dui insieme affermavi molte cose 
essere vere et bone, ma erano lutherane. — Che tu Santo et 
Andrea tuoi fratelli eravate presenti alla lecione del libro — 
Et parlando dela comunione dicQvi questi moltonazzi ragio- 
nando de fideli chrìstìani vano a rizever quell' hostìa pensando 
che vi sia el corpo de Christo e non sano i gop che non e 
altro che un puocho dì pasta fatta con farina. 

Che quello che noi facciamo lo facciamo per dar vista alli 
orbi. — Per le qual cose te facessimo carcerare et essendo 
sopra di esse constituido hai spontaneamente confessato che 
già sono 5 anni in circa vegnando dala tua vigna te incontrai 
in uno che se domanda Biasio che era stato prete de Galesan 
el qual andava a sesolar e cominciò a parlarte dela chiesa di- 
cendo che i predicatori dicevano el falso et te disse che in 
quanto alla confession Bisognava confessarse a Dio et poi prc- 
sentarse all'aitar et che l'hostia consecrata era un pezzo de 
paA et che quando l'andava a comunicar et la portava in una 



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— 62 — 

mancga et diceva che non se trovava Purgatorio et che Christo 
haveva purgato per noi Et biasmava i iubilei del papa con dir 
che non erano bone tante indalgentte et che li santi non pos- 
sono intercieder per noi et che non era bene adorar et rcvertr 
l' imagine et che erano legni fatti da gì' bomeni et che questo 
uso de apparati dele chiese dele cerimonie dei lumi dele cere 
con h cerimonie che non era bone et te disse de molte altre 
cose dele quali non te ricordi et poi te disse chel raccoman- 
dassi a suo fìolo. Et cosi tu tornato nella terra de Dignan 
dicesti a Biasio che havevi parlato con suo padre et lui te disse 
ben che homo ve parelo ? e tu gli dicesti che se quello che 
ti haveva detto fusse vero le sariano gran cose Et te pareva 
che Biasio fosse dek opinion del padre. Doppo 5, o 6 mesi 
in circa detto pre Biasio vene dal ditto suo figliuolo a Dignan 
pur dal ditto Biasio el qual è zappador et te fece chiamar per 
' mezo del detto suo figliuolo tu andasti de notte e in prescntia 
de detto suo figliuolo te tornò a dir quelle medesme opinion, 
che tu hai raccontate de sopra et che te disse in viaggio. Et 
tu intrasti nelle dette oppinioni per un anno in circa. Doppo 
detto pre Biasio tornò un' altra volta in casa di detto suo fiolo 
et te domandò tornando pur de notte perchè esso pre Biasio 
era bandito et redicendoti le medesime cose tu non le volesti 
più creder perchè havevi visto un miracolo in Momaran che 
essendo venuto un cathivo tempo vedesti do candelle sopra un 
campaniel dela chiesa granfa che se domanda el Domo che 
se fa la festa de S. Maria Madalena le qua! candele pareva 
verde et li homeni sonava le campane per el cathivo tempo 
el qual durete forsi un bora et meza et poi cessò et te co- 
comenzasti a inmaginar nel tuo cuor dele parole che te haveva 
ditto el ditto pre Biasio et dicesti chel te diceva che i santi 
non puoi et all' bora tu tene ravedesti che quelle parole non 
erano vere. 

Et che eravate in casa de checho pelizer e un Padrin frate 
che sta in una giesiola a S. Zuane de rovigno de età de 3o 
anni in circa che haveva amicitia con Joanne pelizaro e lui 
leggeva el qual baveva doi libri un più piccolo dell'altro et 
erano vulgari tutti doi in stampa lo grande diceva che era de 



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— 63 — 

Martin Luthero -che insegnava la sua Dottrina quel piccolo era 
de quel fratino ma era bono secondo la Dotrìna Calholica e 
il frate leniva el suo per bono el contrastava con le opinione 
de detto Joanne pelizaro il quale haveva portato quei libri da 
Rovigno dove lui stava et eravate nella casa de detto checho 
pelizaro esso checho detto loane suo fratello biasio tessaro 
detto fratino et tu benho et checho non era contrario alla 
opinion del frale ma tulli voi altri contrastavi col detto frale 
et eravate de la opinion che era del libro de la Dotrina de 
Martin luther nel qual libro vì era — Che non bisognava an- 
dar alla Messa — Che dal vangelio in fuora la messa non 
valeva niente — Et ci era che tanto valeva tuor un pezzo di 
pane quanto l'hostia parlando del Sacramento dell'aitar — Et 
il detto libro parlava che non ci era il purgatorio — Et nel 
detto libro era che se debba adorar un sol dio e non andar 
da li santi. — Et che li santi erano de legno che se bene se 
chiamano non r^spondeno ne si moveno dicendo andate et 
tirateli giù che non vagliano niente — El era in detto libro 
che basta confessarsi solo a Dio e non andar a confessarsi da 
preti et frati. — Et che ti sei trovato anche quando Biasio 
che era stato prete et che ora stato bandito per lutherano et 
veniva secretamente in casa de Biasio suo figliolo et predicava 
che non faceva mai altro che raggionar et insegnar mal circa 
le cose dela Religione el parlava de li Jubilei — dele indul- 
genlie del papa che non valeno niente — Et che li predicatori 
in pergolo dicevano dcle buggie el parlavano de tute le cose 
dela Religion biasmandole el laudando le cose de lutherani — 
El è vero che andando tu un giorno alla vigna vene detto 
Joanne pelizaro et Matthio Moscardo m. loanne cavò fuora un 
libro che era la dotrina Christiana de Ginevra et Io diede a te 
et lo cominciasti a leggere dechiarandolo el dandolo ad in- 
tendere che la messa non era buona se non lo evangelio — 
Che r hoslia consccrata non era altro che un pezzo di panne 

— che non è purgatorio — che bisogna adorar un solo Dio 

— che le indulgentie non son bone — Et cosi andava discor- 
rendo de mano in mano — Et si leggeva quel libro da esso 
m. Joanne et alhora tu credevi et così non havesti creduto 



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-64- 

quella dotrina che era in quel libro lutherano ~ Et che una 
volta te imbatesti con Santo fiolo de m." Marco calegher in 
un horto a legger la bìbià vulgare dove se lezete de Thobia 
et se incontrò se ben ti ricordi tonin civitico ma non se rag- 
gionò altro de quella letione non ti ricordi che si raggionasse 
de opinion cathive. — Un'altra volta essendo vegnuto in De- 
gnano pre Biasio che era bandito per la fede in casa de Biasio 
suo fìolo detto Biasio te chiamò et questo fu doi volte che 
vene ditto pre biasio et tu andasti ove era ditto Biasio suo 
fiolo et checho pelizaro fratello de lohane et (?) Andrea fio 
de m." Marco calegaro. 11 detto pre Biasio che era venuto de 
fuora ve parlava come el giera sta bandito ve parlava delc 
giesic, de voti che non eran boni, de sto andar a dorar le 
inraagìne che non se doveva .... et non disse altro in quella 
sera perchè ci voleva andar via ne voi altri dicesti altro. 

Et de ti a doi matine Andrea calegher fio de m. Marco 
te scontrò per mezo S. Crose a le zucche in Dignan te disse 
che te par de pre Biasio, et tu non dicesti altro niente et che 
da quella volta in qua puoi esser da 6 in 7 anni. 

Et che tu qualche volta hai invidato a magnar Biasio 
tessaro francesco pelizaro, et m.° Andrea calegaro vene anco 
lui do o tre volte a manzar a casa tua, et ancor tu andavi a 
manzar a casa del ditto Biasio perchè la casa sua era arentc 
la tua et tu sei stato circa doi volte a manzar a casa de m. 
Andrea calegaro Et Andriolo tuo fratello è stato parecchie 
volte a magnar a casa tua et tu a casa sua la sera et la matina 
secondo che occoreva Et bora uno et bora l'altro de li sudetti 
che manzavi insieme doppo cena leggendo quelli libretti del 
capuzino et quello dell' institutìon de Zenevra andava a per- 
suadendo alli compagni lì sopraditti errori ma principalmente 
era Joanne pelizaro che persuadeva più de li altri. 

Andriolo tuo fratello non si trovava presente quando si 
leggevano li su detti libri doppo cena potria ben esser chel 
fusse stato in quella compagnia in tua absentia perchè el ditto 
Joanne si cazzava per luto et parlava de li sudetti errori. 

Et che potria essere che tuo fratello Andriolo sia stato 
molte volte in compagnia tua et de li altri sopranominati quando 



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— òs- 
si raggionava de li sopraditti errori ma non ti ricordi se non 
che ti è venuto a memoria che esso Andriolo s' imbatete a 
venir de fuora et vene in un horto incontro a m." Marco ca- 
lcare qua! è del ditto Andriolo nel qual horto eravate con- 
gregati insieme li sopraditi Biasio, Andrea et tu et si raggionò 
de li su detti errori in presentia anco de esso Andriolo tuo 
fratello el qual stava ascoltar insieme con li altri Et anchora 
che tu leggessi li sopraditti libri in compagnia de li sopraditti 
tuoi complici non ti ricordi però che esso Andriolo leggesse 
li su detti libri ne manco sai che lui havesse li su detti libri 
in casa sua et che li portasse via sai ben che m." Joane pelì- 
zaro andava a casa sua de Andriolo. Et mentre chel detto pre 
Biasio te ins(^nava li su detti errori da te confessati te insegnava 
ancora che il deggiunar la quadrag. le 4 tempore et le vigilie 
comandate non era ben fatto et che niuno era obligato ad osser- 
varlo et che si poteva magnar indifferentemente d'ogni sorte de 
cibi et in quel tempo tu eri de quella ìstessa opinione. Et che 
un giorno de X4'™ sono più do 4 anni m.° Joanne pelizaro ti trovò 
per strada et te invitò con lui et esso haveva una galina cotta 
la quale voi due la magnasti et i suoi fioli. E in questi errori 
sei stato da un anno et mezo in circa. 

Onde volendo venir alla espeditione di questa tua causa 
con il parer et consiglio de periti nell'una et l'altra legge et 
in sacra theologia devenimo alla infrascritta sententia. 

Invocato adunque ci nome de Christo noi antedelti Lau- 
rentio Campegio leg. ap., loane Trivisano Patr. de Ven., et 
Maestro Ang. Mirabino da Faenza Inq."^ gen. sedendo in tri- 
bunale et havendo i sacrosanti Evangeli posti ■ avanti de noi 
aciochè il nostro iudicio eschi da la faza de Dio nella causa 
et cause qual vertiscono in questo S. off." tra esso S. off." per 
una et te Bertho Cinei su detto per l'altra — Per questa 
nostra sententia qual in questi scrìtti diamo, pronuntiamo et 
sententiamo che tu Bertho sei stato herelico et però sei incorso 
in tute le pene che da tali delinquenti se sogliono incorrere 
et che come tale debbi abiurare primieramente ogni sorta di 
heresia in generale et in particolare detesti et maledichi le su 
dette hcresie da te confessate. Et per che hai detto esser pen- 

5 



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— 66 — 

tito "et pronto far ogni penitentia che da questo S. Tribunal 
ti sarà imposta et che sei pentito et dolente esser incorso in 
si gravi errori Però ordiniamo che sii assoluto dale censure 
ecclesiastiche nelle quali sei incorso. Et aciochè per l'avenire 
sii più cauto et che gl'altri a essempio tuo imparino schivarsi 
da questi et ogni altro errore. 

Ti condanniamo a perpetuo carcere dal qual non uscirai 
senza nostra llcentia in scriptis. 

Che tu degiuni per un anno intiero ogni venerdì, et nelli 
istessi giorni dichi la corona della Beata Vergine. 

Che ti confessi quatro volte l' anno ad un sacerdote idoneo, 
ed approbato, et che ricevi la S."^ Comunione nelli istessi 
tempi, cioè nella Pascha di resurrectione, nella Pentecoste, 
nell'Assumptione della Madona et nella natività del Signore, 
e diciò ne porti la fede all' ordinario tuo. 

Che tu dichi ogni giorno dì festa per un anno le letanie 
genuflesso avanti qualche santa imagine. — Che dichi ogni 
giorno sette pater nostri et sette Ave Marie per i morti. 

Item ordiniamo che questa tua sentenza, et abiuratione, 
sia pubicamente Ietta nella Chiesa di Dìgnano in un giorno 
di festa comandata al tempo che sì congrega il populo nella 
chiesa, et mentre si leggera tal sentenza, et abiuratione in 
segno di penitenza, haverai 1' habitello solito a tali penitenti, 
con una Candela accesa in mano, acciò che quelle persone le 
quali si sono scandalizate, havendote visto involtato in tanti 
errori, et heresie, bora venghino ad edificarsi vedendo in te 
segno di penitenza et contritione, et d' humiltà et veramente 
convertito alla S." Madre Chiesa Catholica Romana e che tu 
dimandi perdonanza al populo d'Adignano. 

Rcsservando però a noi facultà d'accrescere, sminuire, 
mutare, o alterare detta sentenza, o in tutto o in parte, se- 
condo che a noi parerà esser espediente alla tua salute. 

Cosi diciamo pronuntiamo, sentcntiamo a laude de Dio. 

Lata data et sententialiter promulgata fuit supradicta dif- 
fìnitiva sententia per antelaios 111.""^ et R.""** D. D. legatum 
Patriarcham et multum R. p. Inq."'" prò tribunali sedentes in 
capclla S. Theodori prope canonicam S. Marci lecta vero de 



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-67- 

eorum mandato per me Vincentium Terlatum cancell/'"" S. 
O0ÌCÌÌ die vero sabbati 4 mensis februarii 1684 presentibus R. 
D. Joseph de Vitalibus et Franc.'^° Lurano primicerio eccl." 
Patr.''^ Venel.™ testibus. 

Nos Laus. Epi. Cervìensis leg. ita pronuntiamus. 

Nosjoannes Patriarcha Venet. ita pronuntiamus. 7 Angelus 
Favent' Inq."" qui supra ita pron."" 

(Segue l'abiura che qui si tralasc'a di scrivere: 

finisce: Adi 4 febraro 1584. 

lo berto Cine! così guro at^uro prometo e me sotto pongo. 

Acta, lecta, alta et intelligibili voce. 



Laurentius Campegius Dei et Ap." sedis gratia Episc. 
Cerviensis .... Joannes Trivisanus .... et Magister Angelus 
Mirabinus faventinus sacrae theotogie etc. cum assistentia CI."' 
D. Augustini Barbadici dilecto nobis in Christo presb. Jacobo 
Cineo olim Plebano Adignani salutem in Domino tenore pre- 
sentium tibi per quemcumque Noi.'" pubi, seu iuratum nuntium 
cutuscumque curile prescntandarum scu intimandarum cuius 
not." seu nuntii R,"" a tergo presentium faciendam plenam 
prestabimus fìdem te citamus quatenus in termino i5 dierum 
post huiusmodi prescntationem tibi ut s." faciendam quorum 
iS dierum quinque prò primo quinque prò 2." et reliquos 
quìnque dics prò 3. ultimo et peremptorio termine tibi assi- 
gnamus debeas personaliter et non per procuratorem coram 
sup.'" officio inquisitionis Venetiarum contra hereticam pra- 
vitatem comparere de mane bora tertìarum vel circa in 
diebus scilicet martis [ovis et sabbati ad respondendum de his 
de quibus fueris int.'" pertinentibus ad dictum S."" off."" Alio- 
quin si comparere neglexeris contra te procedetur prout iuris 
fuerit etiam usque ad sententiam diffinitivam inclusive te am- 
plius non citato nisi per cedulas a0ìgendas valvìs S. off. more 
contradictarum. 

In quorum fìdem etc. Datum Venetiis ex dicto S. off. die 
Jovis 2 2* mensis scttem. 1583. 



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— 68 — 

(Qui c'è una garanzia che Lorenzo Cinei fu Bart.""" fu il 
20 die. i583 in casa del R. p. GÌov. de Prato, di presentare 
entro il mese di gennaio pross. il fratello prete Giacomo al 
S.'° ugìcio.) 

Die Sabbati i8 mensis febr. 1S84 assistentibus CI. DD. 
Vitto Mauroceno et Aug."" Barbadico. 

D. p. jac' Cinei de Adig." se presentai huic S. Off. et 
Laur. eius frater eum presentavit et sic fuit presentatus car- 
ceribus novis etc. 

Die Martis 2. mensis februarii i584 assist CI.™" D. Aug, 
Barbadico. 

p. const. — Andreolus Cinei q. magistri Barth."*' lapicide 
de Adg." se presentai S. off. — Et eidem dato, iuramcnto de 
ventate dicenda Int.*"* se luì sa o si puoi immaginar la causa 
dela sua chiamata R.'*" lo non so perchè. Ei dictum se lui se 
è trovato in ale." ridoto conventicola de notte o di giorno 
massime in qualche casa in Dignano dove se sic parlato dela 
nostra S. fede Christiana — R.*"' non mi ricordo mai esser 
stato — Int. se lui ha alcun inimico et chi et per qual causa 
R.'" io non cognosco haver inimici. Ei dictum se lui mai se 
è trovato in ale," casa insieme con benho suo fratello m. An- 
drea calcg." biasio tesser frane. ^° pelizaro magnar insieme over 
a raggionar di cose dela fede Christiana. R.'"' non son mai 
stato con questi compagni perchè stago fuora la mazor parte 
a lavorar de taiapiera me ritrovai puoi esser 3, 0, 4 anni In 
circa venir a casa et ho un horto vidi che glera mio fratel 
benho Zuane pelizaro e santo de m." Marco caleg. che legge- 
vano tra di loro un libro grando che dicevano era la bibia e 
ghe domandavi che cosa fete qua e loro dissero e lezemo e 
mi ghe dissi .... lezè e non intende non dovevate vegnir 
nel mio horto a far ste cose rcprcndendoli loro me volevano 
dar da intender non so che cose dicendo non da qua baruch 
che i diseva chel giera iin prophela che parlava. M. Marco 
veniva qualche volta a cazzarse in casa mia con quella bibia 
e mi el mandava con Dio chel non me desse impazo et questo 
è stato doi volte. — Ei dictum se lui sapeva le opinione de 
li detti in materia dela fede. 



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Resp. io haveva le opinion loro per cathive in materia 
dela nostra religion perchè dicevano che non erano bone le 
processione bon impizzar lampade alle figure et per adesso 
non mi recordo di altro. — Ei dictum se lui ha denuntiato li 
pred." come ogni fedel christ." è obligato de fare al S.'° off." 
R.*" io non li ho denuntiati altramente — ■ Ei dictum che tanto 
magg.'" questo S. Off. vìen in opinione che lui sia heretico 
poiché oltra le testimonianze contra di lui per la sua confession 
si vede che sapendo lui li heretìci non li habbia denunciati al 
S. O. come lui era obbl.'" Resp.^" che volete che ve responda 
quanto a questo io non andava dietro a queste cose Io aten- 
deva a lavorar et far i fatti miei. Et ad reiteratam interroga- 
tìonem dixit havevano anco dei libri piccoli. Quibus habitis 
(fu r interrogato fatto chiudei-e in carceribus novis.) 

Die martis r3 m. martii 1584 etc. 

Coram etc. etc. Constitutus sup."* Andreas eductus de 
carceribus (omissis) Et ad interrogationem dixit lo ho sepelito 
un libro di evanzeli vulgari in tei mio horto a Dignan in tun 
canton — Ei dictum per che causa Ihai sepelito R.*" sto libro 
Iho tolto in bottega a Zuane pelìzer le più de un anno el 
qual libro Iho visto a lezer nel horto come ho ditto nel mio 
p." constituto. 

Et dictum perche causa un libro in stampa Iha sepelito. 
R.*" Iho sepelito per haverlo per libro prohibito subdens lera 
una bibia volgare et lo sepelì perchè era libro prohibito. 

Ei dictum che questa atione et operatione lo condanna 
poiché sapendo lui che quello era un libro prohibito et che 
lui era obbligato denuntiarlo al Vescovo o Inq." sotto pena 
di excomunica e che questa è cosa notoria disposta dale leggi 
comune de S. Chiesa et che almeno se lintention sua era bona 
doveva brusar detto libro et non sepelirlo. 

R.''" Lho sepelido perchè non ho volesto che quei di casa 
mia el sapia aciò che non andasse alle orechie del ditto Zuan 
pelizer et chel non me facesse qualche dispiacer. 

Ei dictum in che opinione lui haveva detto Ioanne pelizaro 
et biasio et marco ... in materia dela nostra S. Fede Christiana. 



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— 70 — 

R."* io de Joane lo haveva in cathiva opinione et per mal 
Christiane perchè tenìva questi libri ma deli altri non sa più 
qual fosse la loro opinione. — (Dettogli che anche ciò lo con- 
danna perchè dovea farne denunzia). 

R.'Ji' è vero che io era obligato ma non ho havuto altro 
discorso. (omissis) 

Die martis ao mensis martii 1584 assistente CI."" D. 
lac," Emo. 

Coram IIL""" R. Patriarcha et multum R. p. Inq. Constitutus 
presb. jacobus Cinei de Adignano et dclato sibi iur.*" de veritate 
dicenda. 

Int. se lui è stato mai accusato processato o inquisito 
d'alcun delitto et di quale et da chi et quando. R."' Son stato 
processato da Mons.*" barba bianca vescovo de Puola et anco 
r inq." dell' Istria m." Fermo fui processato sotto pretesto 
eh' io havesse detto che Dio non perdona i peccadi et perchè 
io provai la causa fui assoluto ; fui anco imputato che dicendo 
la messa havesse un comunichino sotto i piedi ma ne fui assolto 
perchè avanti che cominciasse la messa io poisi una gran summa 
de comunichini sopra 1* aitar nel corporale et doppoi havendo 
cominciato a dir le messa el diacono o subdiacono me tirò el 
paramento et me advertì che una particula era nel scabello 
del aitar et cosi io andai con gli ochi et viddì questa particula 
che era vicina alli mei piedi et cos'i la tolsi suso et la misi 
da una banda per non esser consccrata. Subdens non so se la 
tolesse io o la tolesse el diacono, et di questo ne fui assoluto 
et fui anco processalo in materia di donne et de questo ne 
fui anco assoluto perchè non fu trovato niente. 

Ei dictum che dechiari qual fosse sopra di ciò la sua im- 
putatione R.*"' la imputatione fu che io havesse ditto chel non 
era peccato haver da far carnalmente con doi sorelle — (In- 
terrogato) R.*" realmente che io non mi ricordo d'altro et 
gratandose el capo disse se la S. V. me darà tempo. Et stando 
cogitabondo disse non so de heresia che me tratti de heresia 
per quest'ostia Et per questi altri capi che ho detto di sopra. 
{Negò poi di essere stato processato od imputato per atti car- 
nali con alcuna figlia spirituale). — Ei dictum se è mai stato 



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— 7' — 

suspeso dala cura delc anime nel beneficio S. Biasio dela pa- 
rochia de Dignan. 

R.*" Sig."' si per le dete ìmputation ; et anchora non son 
stato restituito ma vene la morte del vescovo qual morse già 
un anno e mezo in circa. — Ei dictum se in questo tempo 
doppo la morte del detto vescovo la procurato la absolution 
da la detta suspensìon — (Supervenit CI. D. Vitus Maurocenus) 

R.*" Sig.*"" si r ho procurata per via di Roma et Iho havuta 
la qual ho inteso che ò in mano del detto m." Fermo Inq."" 
el qual dice che è d'ogni bora (?) ch'io sia assolto dall'off." 
dela Inq."' dice che io sia messo al mio locho. — Et ad in- 
terrogati onem dixit me suspese l' III.™ di Verona visitator. 

Int.'° per qual causa particulare fu suspesó dal detto III."" 
visitator o suo auditor. 

R.*" io non ho visto le scritture, ma per quanto me disse 
el vescovo per imputation de heresic. — Ei dictum che la 
deta suspensione anzi privatione fu perché lui haveva havuto 
a far carnalmente con una sua figliuola spirituale nominata 
Agnete et per la sua ignorantia. 

R.*' la verità è che io ho havuto da far carnalmente con 
la detta Agnete una volta sola et gratandosc el capo poi disse 
più volte et fui essaminato da un chierico (?) del R.™" visitatore 
et io non so quello che lui me indicasse. Et io non ho havuto 
a far carnalmente per le sorelle de dita Agnete — Ei dictum 
se lui ha mai confessata sacramentalmente la ditta Agnete o 
comunicatola R.*"' S."^ no. — Ei diclun se lui ha celebrato 
messa doppo la detta suspentione et se ha fatto alcun atto 
pertinente alla cura dcle anime. R.'" io ho celebrato e ho 
ditto messa fino che me son amalato che sono da 5, o 6 mesi 
— Ei dictum in che modo lui ha celebrato messa essendo so- 
speso — R.'" mi non ho ditto messa che mi sapia esser sta 
suspeso — Ei dictum che la suspensione fu fatta del 
i58o alli 22 di genaro et che lui ha confessato di sopra haver 
saputo la ditta suspensione R.'"' fin che mi son sta suspeso 
che ho sapudo mi non ho ditto messa, ma quando i me ìis- 
solse da tute queste imputation che fu el di de S. Filippo Ja- 
como i me dete licentia che dicesse messa et così la dissi. — 



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— 73 — 

Ei dictum che lui si confonde et non responde a! proposito 
et cerca dì coprir la verità perché lui ha deto di sopra esser 
stato suspeso dal R."" Visitatore et haverlo saputo particolar- 
mente dala bocha del detto R."" Vescovo e avendo doppo 
celebrato è fatto irregolare perchè essendo stato sospeso dal 
R.™" visitatore apostolico non doveva celebrare. — Re- 
sp.'" io non son stato suspeso dala messa ma dala cura 
de le anime — Ei dictum che havendo lui detto di so- 
pra esser stato suspeso a divinis dal R."" Mon.°^ Vescovo et R. p. 
Inq."' et d'esser stato assoluto et reintegrato dica da chi quando 
et in che modo — R."' io ho detto chel R.""* Vescovo et R.** pa- 
tre Inq." me suspese a divinis et doppoi che io fui liberato 
dal processo me liberarono dala suspcnsionc et la prima messa 
che io dissi fu quella che io dissi al R.™° Vescovo et de questo 
ne appar in processo. — Ei dictun se lui ha alcun inimico et 
quale R.*"' S." si che io ho inimici Alvise beretero con li suoi 
figliuoli per costion de mei fratelli — Et ho inimicitia con 
pre Pasqualin Velico che fece i cartelli contra de mi me infa- 
mava de queste donne de quest' hostia et del resto non me 
ricordo. 

Et ho per inimico un pre Marin Furlani perchè el me ha 
sempre perseguitado per amor de mei fratelli ma si parlemo 
e adesso che me vien a memoria perchè questo è nodaro et 
formava el processo contra di me mi fu ditto che non scriveva 
quello che li veniva ditto. Et io non ho altri inimici che io 
sapia e in quanto a mi le ho tuti per homeni da bene dio 
ghe perdona a tuti. 

Et quia bora erat tarda non fui ulterius interrogatus sed 
remissus ad lochum suum. 

Die mercurii 6 mensis Junii 

1 584 assistente CI." D. Jacobo Emo. 

Coram etc. (omissis) — Constitutus suprascriptus p. Jac. 
Cinei — Interrog, se lui ha deliberato de confessar la verità 
perchè consta alla iustìcia che trattandose de alcuni processi 
del S}° off." contra alcuni lui persuase che si abbrugiassero 
detti processi o in altro modo di modo che non si trovassero 
pii!i Et questo fu doppo la morte de mons."' Barbabiancha ve- 



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scovo di Puola. R.'"' questo no ne manco mai Iho sentido a 
dir da nissun dio me ne varda. — Ei dictum se ha parlato 
alcuna volta doppo la morte del detto vescovo col Sig." Uier." 
suo fratello et Vie." figliuol di quello in matiiria de detti pro- 
cessi. — R.*" S." che me ricorda io non ho mai parlato con 
essi in materia de processi dela lnq."°" Ma potria esser che 
io havessi parlato con messer Vicenzo de questi processi, ma 

se Dio me che non me aricordo, ma parlando dei 

mei libri che i me tolse et poi mi furono rcstìtuidì parlando 
dei processi dissi chel saria bona cosa che i fossero preservadi 
— Ei dictum se lui era stato processato al S.'" off." in quel 
tempo. R.*" S." si che io era stato processato ma anche as- 
solto — Ei dictum che non è verissimile che trattandosi di 
processi fatti contra di se proprio et contra de suoi fratelli 
morto il vescovo lui cercasse di persuadere la conservation de 
quelli ma più presto è credibile che cercasse la destruzion o 
occupation di quelli. R.'^" non è vero niente ho cercado la 
conservation e de mei libri e anche de essi processi — Ei 
dictum che consta al S. Off.** che lui di XL.™' etiam non stando 
amalato magnava carne insieme con 6orth.° beticha Mengolin 
biasiol e Ant.° Gambaleta E andando altri nel locho dove la 
cucinavano e mangiavano esso constituto fece {?} nascondere i 
lavezi dove bogliva essa carne. R.^" non è vero dicono la bugia 
mentono per la gola. 

(Dopo ciò fu rimandato i ad locum suum •) 

Die Jovis XniI mensis Junii 1584 

Assist.''" CI.™* D."'' Jacobo Emo et Jo Bapt. Quirini. 

(Il patriarca Giovanni Trevisan, frate Angelo da Faenza 

inquisitore, Roberto Tamio auditor generale dichiarano ■ dictum 

presb. Jacobum prò nunc sine preiuditio contcntorum in pro- 

cessu fore ex carceribus relaxandum assignatam eidem totam 

civitatem Venetiarum loco carceris prestila prius cau- 

tione .... etc.) 



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— 74 — 

Die sabbati p.' mensis 7mbris 
1584 assist. CI. D, J. Emo et j. B. Quirini. Suprascriptum 
tribunal terminum octo dierum assignavit sup."* Andriolo ad 
faciendum suas defcnsiones. 



Die martis 4 mensis 7bris 1584 
Sup.*"» Trib." mitius agendo cum diete p. Jac.° Cineo pre- 
stila prìus per eum Jdonea fideiussione due, duccntorum de 
se presentando S. Off." tolies quocies eidem liccntiam conces- 
sil quod possit se conferre ad locum Adignani ubi domicilium 
suum habet et in eo habitare. 

Die iovis 6 mensis 7bris 1584 in domo habitationis mei 
cane.'" de conf." S.'' Severi. M."' D. Paulus Pola q."" mag." 
equitis d. Johannis Bapt. Nob. Tarvisini habit. Venet. in cen- 
trata S. Joannis decolati in domibus de ca Venerìo 

(si fa piegio per il prete Cinei). 



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CENNI STORICI ^y 

SULL'ETNOGRAFIA DELL'ISTRIA 



Di speciale interesse si presenta il fatto delio stanziarsi di 
cittadini fiorentini, o toscani in generale, nelle nostre città co- 
stiere avvenuto nei decorso dei secolo XIV, 

In grazia delle frequenti convulsioni sociali in cui nella 
prima metà del secolo XIV trovavasi Firenze, ove spadroneg- 
giava il partito guelfo detto anche dei Neri, il quale per man- 
tenersi al potere gettava la città nelle braccia di questo o di 
quel tiranno ; molti cittadini appartenenti al partito ghibellino, 
o dei Bianchi, lasciavano la patria spontaneamente o ne veni- 
vano scacciati e, sulT esempio dell' Alighieri, vagavano per l'Eu- 
ropa in cerca d'una più tranquilla dimora. 

Le città marittime dell' Istria, allora, ove il popolo scar- 
seggiava, ma ove ì commerci, se spinti con acume, sarebbero 
potuti fiorire, offersero ai fuggiaschi di Firenze, quanto cercavano. 

Capodislria ricettava nel 1340 i fratelli Pietro-Paolo, Matteo, 
Diodato, Giacomo, Angelo, Bonacorsio e Leonardo Cambini fi- 
gli di Diodato (Donusdci), '} il quale ultimo, pertinente a Tre- 
viso, era nato a Firenze. 



') Senato Misti. — Atli e Mcm., cit. lU, a6a, 



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-76- 

Un Truffa de ZamboruUis da Firenze s'era domiciliato a 
Capodistria, già nella prima metà del secolo XIV. Gli succede 
in eredità un altro fiorentino, Giovanni RiguH fu Odone, il quale 
stabilivasi nella città nel 1354. ■) 

In Isola s' erano pure rifuggiati parecchi fiorentini. Nel 1840 
vi si stabilisce Francesco ZusH di Scarpana, già di Firenze. ') 
Nel 1346 vi troviamo il Cavai. Lamberto de Soldaneriis fu Ti- 
gnoso, Baldemaro de Erris fu Bruno, Paolo Toscano, Nicola del 
Pisano. 8) 

A IHrano veniva da Firenze nel 1839 un Giovanni Dome- 
nico Cursi (Corsi) e nel i35o un certo Bollini pure da Firenze, *) 
i quali vi si stabilirono quali fcneratori. 

Né solo da Firenze, ma anche da altre città d' Italia av- 
vennero emigr£tzioni nella nostra provincia. 

Nel 1354 troviamo a Capodistria un Ftanceschino da Rimini, 
già stabilito come cittadino di Capodistria, "} e nel i385 un 
Rinaldo da Rimini (de Arimino) forse suo figlio. *) Un Pucio da 
Bologna vi è stabilito ne! i357 ^) e nel i359 vi troviamo la fa- 
mìglia Trevisano (Trevisanus) già da parecchio tempo stabilita, s) 

In Isola troviamo stabilito nel 1846 un Francesco figlio di 
Arditone de PitegoHs da Bologna, un Paolo de Bonomo da Ve- 
nezia, un Giulio da PiacenT^a, un Domenico da Aquila. ^) 

In Pirano riscontriamo ne) i320 un Matteo da Majortca i") 
e nel i33o un Rado da Marano. ") 

In Pala abitava nel 1334 \ia Marco da Tìinnfà) (da Treviso) 



») Ibid.. IV. loi. 

«) Ibid.. Ili, 264, 

') MoRTEAKi prof. Luigi — Isola ed i suoi statuti. — Atti > 
III, 36i ; V. 198. 

*) MoBTEANi prof. Luigi — Notizie storiche di Pirano. — 
trieat.. s. n„ XII, 13?. 

*) Senato misti. — Atti e Mem., cil. IV, 101. 

«} Ibid,, V, 83. 

■') Ibid.. IV, 1 16. 

») Ibid., IV, 137. 

•) MORTEANi — Op. cit. — Atti e Mem., cit. V, 198-199, 

">) Documenta ad Forumjulii ecc. — Atti e Mem., XII, 7. 

") Ibid., XIII, 344. 



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— 77 — 

delia contrada di S. Paolo (S. Favuli), perciò Veneziano. ') Nel 
i335 vi troviamo un Galvalino de Mediolano,*) nel i339 un 
Giovanni Ferrarese (loh, Ferrarensis), *) e nel 1341 un Nicola 
Ferrarese *). — Nel i339 poi vi era notajo (imp. auct.) un 
Venecianus de Valencia, cittadino polese. s}NeI i363 vi eragià 
stabilito un Paolo de Ancona quale cittadino polese. «) 

A Sovigno vi era nel i357 un Giacomo da Cesena ed un 
Sello da Bologna ''). 

A Montona troviamo nel i33o un Leonardo Furiano.^) 

Nel 1341 esercìtava« Ch^rso la sua arte di medico salariato 
Andrea da Viterbo. ^) 

Dalla vicina Dalmazia immigravano pure parecchie famìglie 
in Istria. 

Troviamo perciò nel 1341 in Fòla uno Antichus de Jadra 
(da Zara) ">) ed in Isola un Similiano e Pietro Catarini. ") 

Fra le varie città istriane avveniva poi uno scambio con- 
tinuo di abitanti, in modo tale che vediamo stabilirsi in Isola 
dei Capodistriani, Piranesi, Polesi, Torresani e Muggesani ; in 
Pirano occorrono individui da Raverigo (Lavarigo) vicino Pola; 
in Montona e ParenTfi famiglie oriunde da Buje; in Fola fami- 
glie di Dignano, in Rovigno famiglie dì Pola; ed in Cherso in- 
dividui provenienti dall'Istria continentale (de Istria) 1*). 

L'elemento tedesco trovava pure opportuno di soffermarsi 
nelle città, specialmente della costa : esso distinguevasi special- 



') Ibid-, XIII, 6. 

*) Monum. Slavor. merid,, I. 451. 

») Senato misti. — Atti e Mcm., cit. Ili, a58. 

*) Ibid., Ili, 373. 

') Documenta ad Forumjulii ecc. Atti e Mem. Vili. ìo. 

•) Senato misti — Atti e Mem. cit. V. 13. 

I) Ibid. IV. 1 17. 

*) Documenta ad Forumjulii ecc. — Atti e Mem. XIII. 34Ó. 

*) Monutp. Slavor-mcrid. II. ii5. 

">) Senato misti - Atti e Mem. cit. III. 373. 

") MORTEANI — Op. cit. V. 199. 

'•) Atti e Mem. cit. IV. 83. - V. 39. 3o, 55, 174, 199. - X 354. 
- XII. 3o3. 



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-78 - 

mente a Pirano, Isola, Montona, Capodistria, Valle, Pisino, 
Albona, Tarviso, Muggìa, Umago ed altri siti, in modo ora 
più, ora meno abbondante. ') 



Un altro elemento etnografico importante compariva in 
Istria nella seconda metà del i3oo, e questo fu V elemento 
rumeno. 

In riguardo alla sua comparsa in fttria ecco quanto si pu6 
supporre. 

L'imperatore Aureliano (a. -270-375 d. C), quando non 
potè ulteriormente difendere la Dacia contro i Goti, traspor- 
tava i coloni romani nei territorii siti alla riva destra del Da- 
nubio, nella Mcsia. Da qui l'elemento romano trasferivasi di 
bel nuovo, durante il secolo XIII, nelle regioni della Dacia, 
quasi deserte percorse solamente da orde nomadi. Una parte 
però di quei popoli, chiamati dalla lingua parlata (un misto di 
favelle in cui il 5o % è d' origine latina, il resto è bulgaro, 
slavo, albanese greco) Rumeni, rimase al Sud del Danubio, 
nei paesi balcanici, ove esiste ancora ai dì d'oggi sotto il nome 
di Zingari. Questa frazione di Rumeni s' era sparsa qua e là 
in tutta quest'ultima regione, e buona parte s' era stanziata fra 
i fiumi Unna e Verbas nelP attuale Bosnia. 



') Guozulos de Prevosto i3oo, Pirano — Corradino de Pliscka i3o6, 
Umago — de Guamerio. i3o9. Valle — Henrighttus iSao, Valle — Men- 
gossius 1324, Isola — Lorius Poltomis i33i, Paremo — de Bertutcio l33^, 
Valle; — Pineta (. latori i339, Pota; — Voìclier. Prexo leulltonicus 1341, 
Pisino; — Totfttann, Vaiperti 1346, Isola; — Grimtierti, Gainberti. 1347, 
Isola ; — Guezeltonis, de Camberto, 1348, Tsola; — Ano, i35i, Capodistria; 
de Adetperio. i352, Capodistria; — Delhemario, i358, Pirano; — de Fol- 
cherio, Cottnan, SuLkerio, i36o. Isola; — Aso. l363, Capodistria; — de 
Gusmeriis, i373, Muggia; — de Aeotu, 1378, Capodistria; — Dethemarus, 
1378. Umago; — Atti e Mem. III. 353, 575. 36i, IV, 48,"5i. 89, 93, 199. 
385; V. 19. 54, 71. "^ 174. 199; Vili, ao; X. 33. 363; XII. 9. 3o3; XIII. 
7. a56. 



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_ 79 ~ 

Nella prima metà del laoo (probabilmente) questi Rumeni 
vennero incalzati alle spalle dall' irruzione tartara, che, vitto- 
riosa e crudele, dall'oriente spingevasi verso l'occidente d'Eu- 
ropa, e dinanzi agli orrori, che accompagnava l'avanzarsi di 
quelle orde, si rifuggiarono soli' isola di Veglia. 

Però neppure qui trovarono pace, che essendosi i Tartari 
presentati eziandio nelle isole del Quarnero, nell'anno 1248, 
dovettero i Rumeni cercare nuovo rifugio neil' Istria orientale. 

Traccie di loro si riscontrano nella Val d'Arsa già nella 
seconda metà del i3oo, ove, nei documenti riferentisi alle ba- 
ronie di quella valle, contengonsi molti nomi personali e locali 
di radice e desinenza romanica. 

Della loro presenza, benché passeggiera nell'isola di Veglia, 
ci dà testimonianza un antico dialetto, che sta per estinguersi 
e che si parlava a Poglizza ed a Dobasnìzza, dialetto che ha 
vari tratti rumeni, i) mentre la provenienza dei rumeni istriani 
dalla penisola balcanica ci viene testimoniata dalla presenza 
nella parlata di elementi linguistici d' origine bulgara o slava. 

Giunti i rumeni in Istria, stanziaronsi specialmente nella 
valle dell'Arsa superiore, e colà si stabilirono a canto a po- 
polazione ladina che vi preesisteva, e con essa si fusero. 

Altri stanziaronsi nell' Istria meridionale, e specialmente 
nel vecchio territorio di Momorano dove iormarono le ville 
di Peueschi e Vareschi, la di cui desinenza non slava ed il 
tipo degli abitanti, nonché una tradizione vigente fra di essi, 
che ricorda loro la provenienza non slava ; tradiscono la loro 
derivazione rumena. Traccia di essi riscontransi altresì nell'at- 
bonese, ove a Schittazza, fino a memoria dei vecchi, c'era 
chi parlava un po' di rumeno e nel territorio di Barbana, ove 
una villa di Schittazza ed alcuni cognomi di famiglia li ricor- 
dano. 2} 



') Vatova G. Recensione della Memoria del Prol. D. A. Mussafia 
« zur Praescnsbildimg im Romanischen — Atti e Mem. cil. I. 353 — ' 
D.r Ani. Ive — L'antico dialetto di Veglia — Recensione, A. e M. II. ai3. 

*> Quest' ultime notizie le devo alla cortesia del signor Consigliere 
Covaz di Dignano. 



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Oltre ai territorii ora indicati, non toccarono i rumeni 
nei secolo XIV altri territorii istriani. 



XI. 



L' elemento tedesco, al contrario, spariva un po' alla volta 
dalle città costiere, sia per la sua esiguità, sia per l' influenza 
esercitata dal predominante elemento indìgeno veneziano, de- 
leterio alla sua esistenza ; sicché lo scarso numero dei tedeschi 
si italianizzò a poco a poco, quindi sparì non essendone so- 
pravenuti di nuovi, com' era avvenuto nei secoli antecedenti, 
quali rappresentanti del potere e dell'esercito. 

Nella Contea avveniva invece l'opposto. Favoriti da quel 
Governo, eransi i tedeschi introdotti colà stabilmente, prendendo 
dimora nelle terre e nelle castella. 1 feudi tutti, o quasi, erano 
passati nelle loro mani, ed i feudatari aveano sparso nelle 
campagne loro dipendenti numerosi elementi teutonici, che, 
misti agli slavi, troviamo in quell' epoca abbondanti. In Pisino, 
in Tarviso, in Albona, figurano nel 1341, ') mentre nelle città 
costiere non si presentano che singoli, palesati dai nomi teu- 
tonici, e già forse italianizzati. 

Nella Contea e nei paesi settentrionali dell' Istria vennero 
persino germanizzati, o lo si tentò almeno, i nomi delle loca- 
lità,^ italiani stavi che essi fossero stati prima. 

Tuttavia le nuove introduzioni di popoli stranieri nell' 1- 
strìa non diminuirono per nulla l' influenza che l'avita cottura 
latina v'esercitava da secoli. 

Nelle città e nelle castella di tutta la provincia e nelle 
isole parlavasi italiano, ed in italiano o latino scrivevasi in 
tutta r Istria. Un solo documento, di cui si ha notizia, trovasi 



') Volcher, Preo teuthonicus, Praxe, Sicha (Pisino) — Raburg 
(Tervisa) — Ditrich (Smnberg) — de Sìth (Albona) — Arch. triest. S-n. 
I. 9 — Atti e Mem. Ili, 375. 

*) Cubiliglof (Cubilaglava) — Vemobilz (Bcrnobich) — Strephin 
(Sterpin) ~ Zemitz (Semich) — Wouxdorf (Lesiachire) — Atti e Mem. 

XIV. 173. 



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redatto nelle lingue tedesca e slava, oltre che nella latina, do- 
cumento che porta la data del i335, i) mentre, al contrario, 
nel secolo XIV, persino le iscrizioni sui sepolcri a Castua, pro- 
pugnacolo odierno degli slavi liburnici, si facevano in lingua 
italiana. *) 



XU. 



Le pesti, che al finire del secolo XIV infierirono ancora • 
nelle provincie venete, ' estesero la loro azione deleteria anche 
nei primordi del secolo seguenti*. 

Dal Veneto il morbo passa nel 1413 in Istria, e prima a 
venirne colpita è Bujc, da dove nell'anno appresso s'estende 
in tutta la provincia. *) 

Il morbo si mantiene per parecchi anni e si manifesta con 
ferocia specialmente nel 1420, infierendo specialmente in Mug- 
gia, *) ove ricompare anche nel 1424.5) 

11 morbo si ripresenta in provincia nel 1437 ed invade 
tutti i paesi della costa, da Salvore a Fola, e ne decima la 
popolazione. ^) Cessato per certo tempo, assale Trieste nel 
1429 e vi mena stragi. '') 

Ricomparisce in provincia nel 1437 e specialmente a Pola, 
ove decima la popolazione. ^) 

Decorrono 9 anni di tregua, dopo dei quali colpisce Mug- 
gia nel i446,aPirano nel 1447, Trieste nel 1449 e Montona 
nel 1450. ^) Nel 1452 s'estende su tutto il resto della pro- 
vincia, ed attacca specialmente Parenzo e di nuovo Montona. 



•) Capodiatria e provincia tutta ecc. — Atti e Mem. cit. VI! 178. 
*) Stradnbr G. — Rund um die Adria — Graz 1893, pag. 36. 
»} Kandlbr - Istria VI. 19. 

*) B. ScHiAVOzii — Le epidemie di peste bubbonica in Istria — 
Atti e Mem. IV. 
e) Ibid. 
•) Ibid. 
') Ibid. 

8) Atti e Mem. cit. VI. 89. 
*) Mio lavoro sopra citato. 



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— 83 — 

Nella prima città, il podestà Zaccaria Giustiniani tenta il pos- 
sibile, al primo scoppio, di preservare almeno la città, dal mo- 
mento che una parte della campagna era stata invasa, spe- 
cialmente a S. Cherino (S. Quirino ora Valcarino) dove il morbo 
infuriava. Il morbo entra tuttavia in Parenzo e riduce la città 
nelle più misere condizioni. Montona stessa viene quasi del 
tutto spopolata. ') 

Nel Novembre del 1465 il morbo scoppia ancora a Mon- 
tona, indi a Parenzo, Albona, Fianona e Capodistria. Sembra 
però che l'epidemia si limiti quasi nelle sole città, dal momento 
che ì relativi Podestà ottengono la licenza d' abbandonarle e 
di ritirarsi nei luoghi sani del -loro territorio. 2) 

Nel 1467, in Marzo, s'introduce in Parenzo di bel nuovo 
e v'infierisce crudelmente. ^) Nell'anno appresso scoppia in 
Rovigno ed in Montona. *) 

Seguono otto anni di tregua, dopo de' quali il morbo ir- 
rompe nella prima metà dell'anno 1476 in Pìrano e vi per- 
dura fino al Luglio. Nel 1478 ricompare in Parenzo, che ne 
viene colpita anche nel 1483 e nel 1487.5) ■ 

Tre anni più tardi si ripresenta in provincia, colpisce spe- 
cialmente Trusche (Ceruscolo, Truscolo), nel territorio di Ca- 
podistria. *) 

Per la durata di otto anni il morbo risparmia la provincia, 
ma poi ricompare nel 1498 in Muggia, T) 

Immani furono le stragi arrecate in quest' ultima città. Il 
borgo alla marina restò spopolato del tutto, nonché le abita- 
zioni che lungo le mura estendevansi dal iato di ponente e 
tramontana. 

Con quest' anno terminò la serie delie 30 annate di peste 
che nei secolo XV desolarono la provincia istriana. 

■) Atti e Mem. cit. VII. a65. 

*) Mio lavoro cit. 

0) Ibid. 

*) Ibid. 

*) Marsich — Provincia XXIV. i. 

•) Mio lavoro cit. 

'') Senato misti. — Atti e Mem. cit. V. 396 



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— 83 — 

A ciò, quando si aggiunga le carestie che dcsolarorio la 
provincia, causate dalle frequenti annate fredde, e le fazioni 
di guerra, che in tutto quel periodo non furono rare, si avrà 
un cumulo di elementi bastanti per ispìegare le cause che pro- 
dussero il deterioramento sofferto dalla provincia e l'estendersi 
progressivo dell' infezione malarica del suolo. 

11 fattore principale di siffatto deterioramento è da ricer- 
carsi appunto nella diminuzione della popolazione. Alcune città 
della provincia, colpite ripetutamente dalla peste, perdettero 
oltre la metà degli abitanti. 

Cittanova p. e. e la sua diocesi vennero gettate nella più 
squallida miseria ; cosi pure la città di Montona. Il territorio 
di S. Pietro in Selve, prima popolatìssimo, era nel 14Ò0 quando 
i Paolìni vi presero possesso, quasi privo del tutto di abitatori, 
l monasteri benedettini, che numerosi ancora esistevano nel- 
l'aperta campagna, vennero quasi tutti abbandonati sì p>;r le 
pesti, che per l' inquinamento malarico del suolo e dell' atmo- 
sfera. Prova questa dello stato d' abbandono in cui si trovavano 
le campagne. 

Si mantennero ancora in istato relativamente buono le città 
di Pirano, Capodistria, Umago, Parenzo e Rovigno ed anche 
Pola; il territorio però di quest'ultima perdette la maggior 
parte degli abitanti. 

Contribuirono ancora all'abbandono del territorio veneto 
istriano le tasse non poche, che il Governo veneto, perchè 
costretto dalle guerre, dovette imporre alle popolazioni, noiichè 
parecchie restrizioni nei commerci, specialmente di quello 
del vino. 

Abbiamo testimonianza di ciò, in una relazione del Podestà 
di Grisigiiana al senato del a3 Settembre 1400, in cui espone, 
che l'obbligo dei terrazzani di vendere tutto il loro vino alla 
taverna tenuta dallo Stato, fa si che non ritraendo da tale pro- 
dotto un margine di guadagno, i villici trascurano la coltiva- 
zione ed emigrano; mentre invece colvenir incontro al loro 
desiderio, ch'era quello di render libera la vendita del vino, si 



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-84- 

vedrebbe aumentare la popolazione per Ti m migrazione e rifio- 
rire l'agricoltura. 11 Senato accordava, i) 

La stessa cosa avveniva nel 1402 nel contado di Fola, ove 
i villici sentendosi aggravati dalla proibizione ' di condurre il 
vino in città e di venderlo prima che sia smaltito quello dei 
cittadini, abbandonavano il territorio per stabilirsi in Albona, 
Castelnuovo e Sanvincenti ; per il che il Senato toglieva il di- 
vieto esistente. 2) 

Le guerre sostenute durante il secolo dalla dominante col 
re d' Ungheria, combattute anche nella provincia, contribuirono 
pure, per i guasti recati dalle scorrerie e pel tributo d'uomini 
imposto dal Governo, allo spopolamento del territorio. 

Capodistria già nel 1413 si lagna, che il contingente di 
soldati che le viene imposto spopola la città e chiede di esser- 
ne risparmiata, ciò che non le si concede, perchè la città, come 
tutte le altre dell' Istria, deve concorrere con un tributo d'uomini 
alla difesa dello Stato. ») 

Oltremodo soffersero per le guerre cogli Ungheri i territorii 
posti sotto il Capitanato di Raspo, Le ville dì Crèstenich, Vo- 
dizze, Melonizza e Novach vennero bruciate ed indi abbandonate 
dagli abitanti ; sicché if Govern.) per ripopolarle esenta per 5 
anni dalle decime tutti coloro che si recassero ad abitarle, 
quando sieno od antichi abitanti delle stesse o persone non 
suddite di Venezia. *) 

Nel 1433 la villa di Colmo Tu distrutta in modo che vi 
rimasero tre famiglie, e per vederla riabitata il Governo dichiara 
esenti da ogni regalia e consuetudine onerosa tutti quelli che 
vi stanno al presente e che andranno ad abitarvi, dopo esserne 
partiti s) 

Di non lieve danno e causa di spopolamento furono le 



1) Senato misti - Atti e Mctn cit. V. 299. 
*) Ibid. V. 3i6. 
») Ibid. VI. 16, 

*) - PerdescenBÌonem Rothcr » Senato misti — Atti e Mem.cit. VI. a3. 
*) Archcogr. triesi. II. s. n. pag. 393 — De Franceschi. Op. cit, 
pag. 363, 366, 170. 



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— 85 — 

incursioni dei Turchi nel Litorale, avvenute negli anni 1469, 
1470, 1471, 1472, 1476, 1477, 1478, 1483, 1493, 1498, 1499, 
le quali toccarono l'Istria nei territori settentrionali, devastando 
il Carso di Raspo, Semich, Colmo e Draguch e trascinando in 
schiavitù la maggior parte degli abitanti. 1] 

Le tristi condizioni in cui siffatte avversità gettarono la 
provincia, ecciltarono il Governo di Venezia ed il Marchese, 
cui stava a cuore il miglioramento economico della provincia, 
a tentare ogni mezzo onde ripopolarla. E siccome quelli non 
erano i tempi, in cui al mantenimento del carattere antico 
della nazionalità si desse importanza — ad uno anzi dei Go- 
verni, ciò era del tutto indifferente — si accettò qualsiasi ele- 
mento, che si presentasse ai confini, quale benvenuto. 

l territori privi d'abitanti non mancavano, per cui i ter- 
reni abbandonati senza proprietario erano abbondanti ovunque. 
Da ciò grandi danni economici pei mancati prodotti, danni che 
si riflettevano sui Comuni e sui Governi. 

Vediamo, per tal motivo, sì quelli che questi, accettare 
nelle vicinanze delle città e castella popolazioni eterogenee, 
per la maggior parte slave, cui venivano investite dì terreni, 
che prima per secoli erano appartenuti agli abitanti autoctoni 
di nazionalità italiana. 

Speciali circostanze favorirono poi le immigrazioni stra- 
niere in Istria. 

La conquista della Bosnia, avvenuta da parte dei Turchi 
nel 1401, per quanto momentanea, per divenire definitiva nel 
1463, costrinse molti bosniaci a fuggire ed a cercare un asilo 
negli stati del Marchese e della Repubblica veneta. L'immigra- 
zione di tal gente nelle regioni finitime all' Istria e nell' Istria 
stessa, cominciarono tosto al principio del secolo. 

Diffatti troviamo che nel 1413 il consìglio della città di 
Trieste stabiliva i terreni fra Contovello e Prosecco per gli 
slavi già venuti e per quelli che si attendevano dai confini 
della Bosnia e Dalmazia. ^) 



>) Bbnussi, op. cit. A. M, IX 198 (del Codice diplomatico istriano). 
') De Francbschi — Op. cit, p^. 356, 



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Nel 1449 le famiglie morlacche di Michele Pavecich, Ivan 
Narevich e Matteo Druscovich, che fuggite dalla Bosnia vaga- 
vano inlorno Grisignana e Momiano, venivano investite di ter- 
reni nel Comune di Buie, con licenza di formare una villetta 
nella contrada Bibali. ') 

Nell'anno 1463 numerose famiglie morlacche 2) dell'Erze- 
govina passano sulle isole del Quarnero, ^ì e nello stesso anno 
una tribù slava si stabilisce in Salvore disertata dalla peste *) 

Nel 1476 il comune di Pirano concede ad immigrati slavi 
di stabilirsi in Castelvenere. ^) 

Correndo l'anno 1490, dei Bosniaci fuggendo dinanzi ai 
Turchi, giungono colie loro greggi sul Carso sì austriaco che 
veneto e si stabiliscono persino in qualche villaggio del terri- 
torio di Capodistria, il loro arrivo fu di molto danno perchè 
i boschi della Carsia vennero incendiati durante il loro passaggio. 

Quei profughi bosniaci non erano perà, nella generalità, 
slavi, ma appartennero in buona parte a quelle schiatte ru- 
mene,"che ancor risiedevano nella Bosnia e nelle isole del 
Quarnero, le quali a somiglianza di quanto avvenne nel secolo 
antecedente per opera dei Tartari, fuggendo ora dinanzi all'ir- 
ruzione turchesca, abbandonarono le antiche sedi e cercarono 
un rifuggio oltre i contini istriani. 

Dall'immigrazione di codesti pastori ha di certo origine 
la popolazione dei Cici romanici, ora in buona parte slavizza- 
ta, che risiede sull'altipiano del Carso. 

Sebbene d'altre immigrazioni oltre i confini istriani, av- 

') Sotto il nome di Morlacchi (sinonimo spesso di Valacchi) in- 
tendevasi allora quei Rumeni e quegli Slavi, o quel miscuglio di am- 
bedue questi popoli, che abitavano nelle provincie di confine della Tur- 
chia; in generale servivano ad indicare • i pastori venuti dai confìni 
turchi. Il termine Morlacco non t altro che il greco Mauroblacos cioè 
« latino nero • pel colore abbronzito della pelle. — Da Benussi Prof. 
B. Op. cit. A. M. IX 198 e in nota a pa;;. 194 negli A. M. cit. I. sulla 
; dell'Opera • die Romane etc. di H. i. Dr. Bidermann. • 

2) Ibid. 198. 

*) Ibid. 199. • 

*) Ibid. 199. . . 

^) Archeogr. trìest. n-a, I. 49. 



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- 87- 

venute nel secolo, non sì abbia notizia, dcvesi ritenere che le 
sopra menzionate non -sieno state le sole, giacché a differenza 
di quanto avvenne nel secolo antecedente, si riscontrano nel 
XV nomi di localiti slave nonché di persone di quella nazio- 
nalità non solo nei territorii orientali dell^ provincia, come in 
Albona, ') a Cosliaco, -) ma bensì si ha anche notizia di Slavi 
stanziati vicino a Capodistria, vale a dire nella villa di Decani, 
che fino allora era proprietà della nobile famiglia de Carta, s) 
di cui un discendente viveva a Capodistria ancora nel 1431. *) 

Oltre allo stanziarsi in Istria di forestieri per immigrazioni 
in massa, avveniva che singole famiglie straniere pigliassero 
dimora nelle città della provincia. 

Troviamo quindi nel 1417 a Capodistria un Antonio .^/*a- 
jiensis, divenuto indi podestà di Due Castelli *); nel 1422 uno 
da Crema ^; e vi sì stabilisce anche la famiglia Nu^io o 
Mu:{io proveniente da Udine. 

In Albona troviamo nel 1423 un Zorzi Sckiavon da Zara '}, 
nel 1425 un Dragogna de Pago. *) 

A Pirano riscontransi nel 1400 un Pier Paolo da Treviso ; 
nel 1406 un Giovanni de Seraval medici; nel 1426 uno detto 
Sardo *) ; nel 1452 un Facina Malaspina da Fiume '"). Nel 1456 
un Pietro Crasove:^, un Ait^^ de Janes, Michele de Crapina, slavi 



') De Franceschi Camillo. — I castelli della Va! d'Arsa — A. 
N. XV 35i. 

') Ibid. 349. 

*) La testimonianza di ciò suona non poco di barbaro, ^lel 1430 
Iacopo Radozicti pirala della banda di Decano viene catturato ed appic- 
cato a Lovrana — Alti e Mem. VI 33. Un'altro bel campione deve 
essere stato lo slavo Giacomo Siach pure dei distretto di Capodistria, 
che uccise nel 1473 un Gregorio di Pirano suo creditore. — Atti e Mem. 
VII 370- 

') Archeogr. triest. s. n. I, 141. 

s) Atti e Mem. cii. VI. 13. 

•) -Archcog. triest. s. n. II. 90. 

') Ibid. 1. 49- 

8) Ibid. I. 49. 

■) Ibid. XII. 146. 

>«) Atti e Mem. cit. XIV. 348. 



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stabiliti in città '). Nel 1476 un Nicolò de Soldaneri medico 2) 
e finalmente nel 1483 i due ebrei Sacerdote e Stella 8). 

Troviamo in Isola nel 1444 un Giacomo da Bologna. 

Nel 1469 riscontrasi a Pola un Veronese^) enei 1498 uno 
da Caitaro (Catarino). 

A Cherso troviamo nel 1488 uno da F^via (de Papia). *) 

Siffatte immigrazioni servono da testimonio qualmente le 
relazioni coi paesi vicini della Dalmazia e della penisola ita- 
liana, ad onta delle disgrazie toccate alla provincia, si mante- 
nessero vive. 

Né poteva essere altrimenti ; giacché se le condizioni della 
provincia furono oltremodo deplorevoli per le cause prima enu- 
merate, non meno Io furono i paesi limitrofi, per cui, prescin- 
dendo dagli ostacoli frapposti ad intervalli dalle contumacie 
sanitarie e dalle frequenti dì^coltà di guerra, i comuni inte- 
ressi nei commercii e in altro, specialmente l'importazione dei 
cereali e dei vini, divenuti scarsi nella provincia per la spopo- 
lazione delle terre, furono d'attrattiva a forestieri per stabilirsi 
in essa. Fra questi primeggiarono degli elementi del ceto dei 
commercianti o dei feneralori, ora fiorentini, ora israeliti, e 
non mancarono altresì delle famiglie stabilitesi, derivanti dai 
veneti magistrati. 

Codesti elementi ripararono almeno in parte il danno che 
alla nazionalità italiana della provincia ebbe a derivare dallo 
stanziamento di slavi negli agri istriani, stanziamento imposto 
dalle circostanze, favorito non solo dai Governi, ma anche, 
purtroppo, dai singoli comuni. 

Xlll. 

Nel decorso del secolo XVI le condizioni demografiche 
della provincia non migliorarono di certo e ciò sempre a me- 

") Alti e Mcm. ni 390. 
*) Arch. triest. s. n. XII. 143- 
1) Atti e Mcm. cit. I. 355. 
*) Arch. triest. XXII. 76. 
^) Rivista dalmata 1. i5o. 



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rito delle pesti e della progrediente infezione malarica del 
territorio. 

Le pesti si presentarono in provincia tosto al principio 
del secolo. 

il morbo lo troviamo in Umago nel i5o7, cui si aggiunge 
una grande carestia, i) 

Nel iSio e i5ii invade i territorii della baronia di Lu- 
poglavo, che spopola in modo crudele. ^) Nello stesso anno 
(iSii) scoppiò pure a Capodistria '). 

Subentra una pausa di 14 anni, dopo di che il morbo ir- 
rompe di nuovo e precisamente a Corgnale, sui Carsi ed al 
molino di Risano *) . 

Due anni più tardi, nel i527, s'introduce nuovamente in 
Istria e la riduce ad estrema calamità. Specialmente Fola e 
Capodistria se ne risentirono più gravemente, in maggior 
grado la prima, ove, per la moria degli abitanti, le case resta- 
rono abbandonate e cadenti, la campagna isterilita ed incolta >). 

Per parecchi anni, ad onta d' irruzioni nelld vicina Trieste 
e nel suo territorio, l'Istria veniva risparmiata dalle pesti; 
quando queste riprescntavansi nel i553 e la desolavano per 
la durata di Éi anni in modo miserevole. 

Capodistria ne fu la vittima principale. Entratavi nel i553, 
riduceva la popolazione^ che era di 8000 abitanti, a 23oo, e 
così la privava dei lavoratori della campagna e di buona parte 
della guarnigione. ^] La peste si mantiene anche nei due anni 
seguenti e così nel i556, in modo da ridurre la città nelle più 
tristi condizioni economiche. '} 

Nel i553 e i554 il morbo colpiva pure Muggia, e vi du- 
rava otto mesi. 



') V. mio lavoro e Atti e Mem. IX. i 

*) Atti e Mem. cit. XIV. 177. 

') Archcogr. triest. XX. 380 n. s. 

*) V. Mio lavoro cit. 

6) Alti e Mem. cit. VI. aSg. 

•) Atti e Mem cit. IX. 304 e mio la' 

') Alti e Mem. cit. IX. 33i. 



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— go — ■ 

Negli anni i557 e i558 la peste irrompeva anche a Pirano, 
rubandovi due terzi della popolazione. 

Buje ne veniva colpita nel iSS?, ') ■ 

L'Istria veniva indi risparmiata fino al i568. In quest'anno 
la peste invadeva il territorio di Capodistria, che resta dan- 
neggiato assai crudelmente. 

Scoppiò di nuovo nel i573 con grande violenza in Capo- 
distria, e da questa città s'estende nella provincia, ove mena 
immani stragi. *) 

L'Istria avrebbe potuto chiudere conqucst' epidemia la 
luttuosa serie delle pesti, se le guerre non avessero creato 
dietro di sé lo strascico di quel morbo fatale, che dalla Ger- 
mania passò nel iSyS in Italia. 

La prima città a venirne colpita fu Isola nel 1677, rimasta 
esente per parecchi anni. ») 

Nell'anno che segue il contagio scoppia a Capodistria, 
danneggiando sommamente i commercii della città. *) 

Con quest'epidemia, finalmente, si chiude la serie delle 
pesti istriane nel secolo XVI. 

Sedici furono gli anni d'epidemia ed enormi furono i danni 
arrecati alle popolazioni, si in linea demografica che economica. 

Lo spopolamento riesci in alcuni luoghi oltremodo sensibile. 

Darò alcuni esempi : . 

Il comune di Besca nelle isole del Quarnero, che nel iSa? 
aveva i58o abitanti, vedeva ridotti gli stessi a 1 180 nel iSS? 
ed a loSo nel 1600. *) 

Capodistria, fino all'anno i533, aveva approssimativamente 
dai 6000 agli 80QO abitanti Dall'anno i553 al 1679 quésta 
cifra discende a 23oo, per aumentare quindi a 35oo circa. Le 
cifre esatte ufpciali fanno ascendere però il numero degli abi- 
tanti nel i58o a SaSo, nel i58i a 4253, nel 1584 a 3931, nel 
i585 a 4170, nel 1589 a 3945, nel 1S93 a 3597 e nel i5g8 a 

1) Atti e Mcm. IX. 359. 

*) Arch. triest. s. n. XX. j86. 

s) Arch. triest. s. n. XXII. ii3. 

«) Atti e Mem. XI. 5i. 

*) Atti e Mem. II. io3, iia. 114. 



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— 91 — 

436o, il che vuol dire che la città nel decorso del secolo aveva i) 
perduta circa la metà degli abitanti. ^) 

Castehnuschio, nelle isole del Quarnero, aveva 1 195 abitanti 
nel i537, ridotti a 65o nel 1587 ed a 390 nel lòoo. *) 

dllanova riducevasi nel 159Ò a 976 persone. *) 

DobasniiT^a nelle isole del Quarnero aveva nel i527, 3352 
abitanti, che, discendevano a ii56 nel 158?. ^) 

Isola che nel 1S81 avea 3ooo abitanti circa, era ridotta a 
soli 1490 nel 1596. 

Il territorio di Pota con Momorano non avea nel iSgoche 
soli 3665 abitanti. 

Pareni^o, 'che alla metà del secolo XIV contava 3ooo abi- 
tanti circa, veniva ridotta nel i58o a soli 698 e nel 1601 a 
circa 3oo. 

Veglia col contado contava 3393 abitanti nel i537 e ridu- 
cevasi ad averne soli 1750 nel i587, e 1200 nel 1600. 

Alle stragi commesse dalle pesti s'aggiunsero, come il 
solito, le incursioni che accompagnarono la guerra accesasi 
fra r imperatore Massimiliano I e la repubblica di Venezia, 
nonché le aggressioni dei Turchi e degli Uscocchi. 

La guerra cessava nel i5i4; ma grave ne fu il danno 
che ne risentì la provincia, avendo essa avuto di conseguenza 
stragi d' uomini, depredazioni, guasti ed incendii 

Le incursioni turchesche colpirono specialmente il Carso 
nel i5oi e i5ii, nonché la Contea di Pisino, ove, dalle terre 
perchè non murate e perciò non atte a resistere, vennero tratti 
a schiavitìi gli abitanti od uccisi. 

Alla fine de! secolo sopraggì unsero le note incursioni de- 
gli Uscocchi, per le quali soffersero Rovigno e Veglia nel iSgy, 
Albona nel iSgg, e Fianona. Fra i paesi più danneggiati pri- 



") Provincia, X. 7, Atti e Mem. VI. 5a, 58. 84. 
*) La Malaria in Istria, mio lavoro. 
») Ibid. 
*) Ibid. 
») Ibid. 



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— 92 — 

meggiano le isole dei Lussini, le cui ville, quasi tutte, vennero 
abbandonate, restò disperso il gregge e gli armenti. 

Aggiungansi inoltre gli anni di sterilità e di fame, cele- 
berrimi fra tutti il i5io, 154Ó, i58i e i5go, 

A compiere il quadro si presenta poi la malaria, quale 
conseguenza dello spopolamento delle terre lasciate incolte ; per 
cui divengono inabitabili la maggior parte dei territori dell'Istria 
rossa, specialmente la Polesana e le ìsole dì Veglia e di Cherso. 



Ad eccezione dei provvedimenti per la ripopolazione dei 
territorii, presi di caso in caso, di cui si fece cenno nell'esporre 
le vicende dei secoli antecedenti, un serio provvedimento in 
proposito non venne adottato dai due governi, se non nella 
seconda metà del secolo decìmosesto. 

Per tale motivo fino a quell' epoca non si può parlare di 
importazioni di popoli stranieri, ma bensì di arrivi spontanei 
di singole famiglie tribù. 

Già nel i5o6 si ha notizia di Morlacchi in S. Giorgio vicino 
Grisignana '), ove un Francesco di Cittanova ed un Giorgio 
di Pirano uccidono in queir anno un Tommaso Murlacco nella 
propria abitazione posta in S. Giorgio, territorio del Castello 
di Grisignana. 

Nel Maggio del i5o8 troviamo già degli Slavi nella villa 
di Torre, una volta suddita imperiale ed ora passata alla giu- 
risdizione di Cittanova; e vi si riscontrano le famiglie di Gio- 
vanni Goligna, Nicoliza di Misigna, Antonio Labniaz*) e lurco ■ 
di Crebava. 



■) Ritengo che trattisi della località sull'alto dei monti fra Grisi- 
gnana e Piemonte. o»e esiste la Chiesa di S Giorgio, ancor oggi ogi- 
ciaia e non di S. Giorgio al Quieto, allora già diruto. A. M. IX, 86. 

*) Atti e Mem. IX. 87, Labìnaz da Lahin-Albona immigrato for- 
se da colà. 



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-93- 

Nel i5u, dopo le stragi delle pesti, gli Herberstein signori 
di Lupi^lavo, cominciano ad accogliere nei loro dominii i Gei 
(romanici) fuggiaschi dalla Croazia s dalla Bosnia occupate dai 
Turchi, ed assegnano loro le terre rimaste deserte ') Questa 
immigrazione di Rumeni nell' Istria sarebbe la terza. 

Altri romanici, che dall' Erzegovina s'erano ancor nel 1463 2) 
stabiliti nelle isole del Quarnero, passavano nel i523 sul Ca- 
stelnovano e sopra un tratto della Carsia, ove pure vengono 
distinti col nome di Cici. s) 

Nel t533 troviamo nelterritorio di Grisignana uno slavo 
Mochor (Ermagora) Mansorich *), nel i5i6 in Barbana un Santo 
Vìscovich e Martino Vinodolaz. >) 

Nel i525 dei Morlacchi passano su quel di Parenzo even- 
gono obbligati a formare un villaggio unito, cui fu dato il nome 
di Villanova. Nel i53g vi si aggiungono delle altre famiglie 
morlacche, il cui numero a quell'epoca ascendeva a sessanta. 

Codesta villa ebbe privilegi speciali. Li i3 Marzo i558 il 
suo capo, detto Zuppano, ottenne il diritto di far sentenze tino 
a multe di 5 lire di piccoli, diritto confermato dippoi col de- 
creto governativo del 9 Decembre 1574. La villa dipendeva 
dalla giurisdizione del capitano di Raspo e non aveva anghe- 
ria in contribuzione di legna verso Parenzo. Pagava in cambio 
al podestà di questa città una regalia di pollastri.^) 

Nel i535 stesso il Comune di Rovigno assegnava a varie 
famiglie di Morlacchi venute dalla Dalmazia un terreno nella 
valle dì lago Vcrzo, ove fondavasi una villa, detta ora Villa di 
Rovigno. Li 24 Giugno i530 ottengono la regolare investitura. 

Le famìglie portavano i cognomi Brancovìch, Sarsich, Gra- 
dovich, de Piezo de Zara, Vratovich, Starich, de Craise, Zonta, 
Sachoch. 



1) De Franceschi — 1 castelli della Val d'Arsa — Atti e Mem. 
XIV. 177- 

») Vedi pag. 74. 

*) Bbnussi Prof. B. La liturgia slava nell' Istria. Atti e Mem. tX. 199. 

*) Atti e Mem. IX. 104. 

») Atti e Mem. IX. 97. 

') De Franc. — Op. cit. 357. — Alti e Mem. IX. 33a — Ibid. XI. 46. 



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— 94 — 

La villa dipendeva direttamente dal Podestà di Rovigno, 
in base a deciso della Signoria del 35 Luglio 1654.'} 

Contemporaneamente la città di Moulona collocava nel suo 
territorio molte famiglie morlacche e le distribuiva nelle ville 
di Montreo, S. Giovanni della Cisterna e Mendel lebotte, 2) 

Nella stessa epoca circa figurano a S. Vitale, l'antico Mon- 
telino o Medetino presso Visinada, le famiglie slave Bictarovìch, 
Poropatich, Vehotica, Livcevich e Milucchi, indizio non dubbio 
di stanziamenti slavi colà avvenuti in antecedenza. 3] 

In S. Lorenzo del Pasenatico erano nel 1537 diggià sta- 
bilite delle famiglie slave, giacché vi troviamo i cognomi Fa- 
rinovich, Vitropachovich e Radonevich. *) 

Nel i535 l'imperatore Ferdinando tenta di collocare nella 
Contea degli esuli slavi della Bosnia e Croazia. Gli indigeni 
perù fermamente e ripetutamente si rifiutano di accettare presso 
di loro simili ospiti, s) Il che non giova, giacché lo stanzia- 
mento avviene egualmente, ciò che si desume dalla circostanza 
che l'imperatore credette di trovare opportuno di aumentare 
le imposte, riformandone 1' urbario. °) 

Nel territorio dipendente dal Conte di Pola esistevano già 



") Atti e Mcm. I. i3o e seg. XV. 36o. 

*) Atti e Mcm. IX. 199. Vi troviamo un Andrea Decovich ed un 
Giovanni Bislavich. 

") Atti e Mcm. IX. 108 Andrea Bictorovich, Ferco Poropatich. 
Radich Veholica. Michula Livcevich. Iure tìglio di Miluco uccidono nel 
Novembre i526 certo Gregorio Cotuchia corriere del Podestà di Mon- 
tona, neir esercizio delle sue funzioni, per cui il Senato con deciso 4 
Decembre t5i6 li pone al bando con una taglia sul loro capo. 

*) Giacomo figlio di Bortolo Farinovich e Radoslavo Vitropacho- 
vich uccidono Giovanni detto Antigo de Majurbio e lo derubano, ed 
Ivano figlio di Burchio Radonevich uccide il proprio servo. Il Senato 
dà loro il bando e pone sul loro capo una taglia. (Decreto 1 1 Gennajo 
i537, Atti e Mem. IX. 109. 

*) Kaxdlbb — Notizie storiche di Montona, pag. 70 — Atti e Mem. . 
IX. 318. 

') Citiamo la famiglia di Pietro Bugdan — Atti e Mem. IX. 118. 



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-95- 

nel i535 delle famiglie slave, trovandovlsi i cognomi Camerich, 
Tonchovich e Perincich. i) 

Nel 1539 troviamo che il territorio di Moschienizze è già 
da parecchi anni abitato da Slavi, in modo che di 9 località, 
3 sole conservano il vecchio nome italiano, mentre le altre sei 
hanno termini slavi, e di otto famiglie una sola è italiana, le 
altre sono slave, compresa quella del pievano. ^) 

Li i3 Maggio i53g il veneto senato decide, che essendo 
ritornate alla devozione dello stato veneto duemila case di mor- 
lacchi (Case di MurUicchi), le quali vivevano nello Stato turco 
e desiderando di passare in Istria, sia loro concesso di stan- 
ziarvisi, potendo ricuperare quei beni, che avessero lasciati in 
pi^no, quando passarono nei paesi dei Turchi, pagando però 
i debiti contratti. Inoltre che sieno pareggiati ai coloni perpe- 
tui dell'Istria, che non siano, cioè, tenuti a pagar tassa alcuna 
per 1 pascoli ; che possano fabbricare, nelle città e castella, dei 
casoni per meglio attendere alla pastorizia ed all'agricoltura e 
che per due anni sieno esenti dalle gravezze di carriaggi o di 
altro che si suole imporre ai sudditi veneti. Finalmente che 
sieno bene trattati da tutti i Rettori veneti in Istria, e che i 
cancellieri ed u0ìciali, per notarli nel libro « Coloni i , non esi- 
gano più di otto soldi per testa, intendendosi una sola testa 
il capo di famìglia per tutti i suoi. ^) 

Nel 1540 il prìncipe veneto mandava a Pola da Napoli di 
Romania e da Malvasia i.i Grecia settanta famìglie greche, le 
quali, scacciate dalla loro patria dai Turchi, furono destinate 
a far esperienza dì ripopolare la città ed il contado ed a ri- 
durre a coltivazione i terreni abbandonati. 

Però male loro occorse, che furono i primi ad esperire la 
triste accoglienza apparecchiata per sisterha dagli abitanti di 



<) Atti e Mem. IX. 119. — Anche atavolta per omicidìi commessi, 
Nel Giugno i536 il senato veneto pone al bando ed applica taglia con- 
tro Vedo Camerich e Marco Tonchovich per omicidio commesso nella 
persona di Polo figlio di Greguol Pemicich. 

») A. M. XV 356. 

>; Atti e >lem. IX. \t2. 



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-96- 

Polff ai neo-arrivati; perchè non solo vennero derubati degli 
istrumenti rurali e vennero uccisi ì loro animali, ma furono 
talmente perseguitati, da dover allontanarsi dall' Istria, onde 
aver salva la vita. 

Cosi avvenne pure ad un'altra importazione di uomini la- 
voratori mandati dai N, U. M. Ferrigo Badoer e M. Andrea da 
Lezc, cui vennero gettati a terra i Casoni eretti in campagna 
e tentato di ammazzare M. Z. Fedel loro commesso. 

Ciò avveniva ad istigazione dei Nobili potesi, che per es- 
sere rimasti in pochi, divennero sempre più potenti e gustavano 
la dolcezza del dominar soli nel bel paese ; sicché non solo 
col dipingere a foschi colori l'insalubrità dell' aria e la qualità 
dei terreni ai forestieri, che capitavano onde stabilirvisi, ma 
anche con violenze ed omicidii, rimovevano dal loro divisa- 
mento, chi si presentava. ") 

Nello stesso anno, dei fuggitivi dinanzi all' occupazione 
turca, di nazione slava (morlacca), albanese e greca ottenevano 
terreni nei territorìi di Cittanova, 2} Umago, Buje e nel Carso 
di Pingucntc. 

Nel 1541 si stabilirono definitivamente parecchie delle 2000 
casate di Morlacchi, che in precedenza venute e poi emigrate, 
aveano nel i539 chiesto ed ottenuto di ritornare nello stato 
veneto. Molte perà restarono in Dalmazia ai confini di Zara, 
ove il governo concedette .loro franchigie pel valore dimo- 
strato quali militi, si nella cavalleria che nell' infanteria. 

Quelle famiglie, a cura del provveditore generale di Dal- 
maziaj Alvise Badoer, stabilironsi in buona parte, assieme ad 
altre provenute pure dalla Dalmazia nell'agro di Parenzo, e 
qu\ formarono le ville di Radolovich, Radmani, lechnich,' Sta- 
rich, Delich e Prodanich s) 



1) Relazione Maliptero — Memorie storiche di Pota, pag. 809 
*) Fra queste la famiglia Oasenich, di cui Gargato Ossenich as- 
sieme a dei complici, ai rese reo di furto di cavalli in Cittanova, per 
cui dal veneto aenato' veniva bandito da tutto il dominio veneto — Atti 
e Mera. IX. i3i. 

») Atti e Mem, IX. 365. 



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— 97 — 

Il conte di Polsi concedeva li 2S Agosto i553 a Baldìs- 
sera Gabiano di poter far abitare le ville di quel territorio, 
che allora per la malaria erano disabitate ed incolte. Nel i554 
il Gabiano chiedeva la conferma della concessione al veneto 
Senato, il quale la accordava, attenendosi alle condizioni, espresse 
nella sentenza del 5 Aprile iS3ó del Capitano di Raspo, Do- 
nato Malìpiero, a sensi della quale per i primi 5 anni esso Ga- 
biano veniva esentato dall' onere dì carriaggio, dalla contribu- 
zione di galeoti e di olii ; nei susseguenti 3 anni doveva sotto- 
stare alle dette imposizioni ; e dQpo decorsi i io anni suben- 
trava nei carichi comuni agli altri possessori del territorio 
di Pola. 1) 

XV. 

Le irregolarità però che succedevano nell' assegnare i beni 
incolti e, spopolati ai nuovi abitanti; le lagnanze che di con- 
tinuo piovevano a Venezia si da parte dei vecchi, che dei nuovi 
abitanti, e la necessità che ne derivava di porre in chiaro la 
questione e di far ordine, -indussero il senato veneto colla de- 
liberazione del 10 Ottobre iS5& e colle successive del 14 Ago- 
sto i56o ed II Marzo i562 a delegare tre provveditori all'uopo 
e ad istituire un apposito Magistrato dei beni inculti. ^) 

I terreni di tal genere erano abbondantissimi. Nella sola 
Polesana il catasto fatto nel i563 diede per risultanti il N. di 
i35, 632 8) campi padovani. 

Nelle deliberazioni sopracitate veniva deciso, che a coloro 
che conducevano dei nuovi abitanti in Istria venisse concesso 
il 4 % di tutte le rendite che derivassero dai terreni da colti- 
varsi, e che i terreni venissero divisi in proporzioni adeguate 
alla possibilità da parte del nuovo abitante di ridurle in coU 
tura entro il termine di due anni — il qual termine poi, col 
deciso 1578, 30 Decembre, veniva In favore dei Ciprioti, Napo- 



>) Dk Prancbschi. — L' Istria, 358. 

») Atti e Mera. IX. 3oa. 

•) Alti e Mem. VI. 3oo - IX. 19S. — XI, 53. 



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litani e Malvasioti portato ad anni cinque. Sì accordava infine 
agli abitanti so anni d' esenzione d'ogni gravezza. 

Altre deliberazioni disponevano per la tutela dei terreni , 
coltivati e dei boschi, nonché degli animali da lavoro conse- 
gnati prodottisi in seguito. 

Assicuravasi indi ai nuovi abitanti una sovvenzione ade- 
guata in danaro verso rifusione, e si provvedevano gli stessi 
dei nccessarii istrumcnti agricoli. . 

Il primo provveditore d' Istria, cui venne devoluta 1' ese- 
cuzione inappellabile di siffatte deliberazioni, fu il nobiluomo 
ser G. Battista Calbo, entrato in carica in base alla commis- 
sione del 3Ó Settembre iSyg. Esso tenne il mandato fino al- 
l'anno seguente, in cui moriva.') 

Favorito da tali decisi senatoriali, l' immigrazione straniera 
nèir Istria continuava su larga scala. 

Nel i558 delle famiglie morlacche, venute dalla Dalmazia, 
stanzìavanst nel territorio di S. Lorenzo del Pasenatico, in una 
località in cui già nel i55ò s'erano stabilite le famiglie mor- 
lacche Pascotich, Dunsan, Descovìch, Gardcvich, Cossulich, 
Rupenovich, Vratovich e Grubazevich, e vi fondavano una villa, 
che venne detta Villanova, ^) 

.Addi 27 Febbrajo 155/ la Comunità di Parenzo accordava 
ad Antonio fu Pietro Stringher, nuovo abitante, un terreno 
incolto vicino alla punta d'Abrega, onde ridurlo a coltura, a 
livello perpetuo, colla corrisponsione di ducati 3o all'anno.') 

Nei primi giorni dell'Aprile i558 presentavasi al Conte di 
Pola, Giovanni Manolesso, Ser Nicolò Caliga greco di Napoli 
(Nauplia) in Romania con altri tre compagni e s' offriva di ve- 
nir ad abitare la città, recando seco 180 famiglie circa. 

Il consiglio di Pola, interrogato dal Conte, prendeva li 16 
Aprile 16 Aprile i558 la decisione, confermata poi col delibe- 
rato del senato veneto dell' undici Giugno dello stesso anno, 



■) De Franceschi — L'Istria, 357, 

*) Atti e Mem. VI. 398. 

'} De Franc. — L'Istria 338 e Atti e Mem. IX. 3i6, 3a3. 



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— 99 — 

di accogliere ben volentieri quelle, famiglie, onde far riabitare 
la città « hormai quasi disolula > . 

A tale scopo veniva fatto un elenco di tutte le case • cosi 
vacue come minale una per una et li patroni di quelli » e veniva 
fatta una cavalcata in Mariana e nelle Merlere comunali della 
città, additando ai Greci quei territorii, onde volessero far 
scelta d' uno dei due. Di più venivano loro assegnati d^li ap- 
pezzamenti di terreno in contrada Mmil nelle vicinanze di Pola. 

I terreni erano dati gratuitamente col diritto di proprietà 
e di trasmetterli per eredità ai successori, escluso però il di- 
ritto di vendita, e colla condizione che debbano essere occupati 
nel termine di sei mesi, decorrenti, dal giorno n Giugno i558, 
e col patto ancora che qualora li abbandonassero, essi beni 
avessero a ritornare proprietà del Comune, i) 

I Greci però non avrebbero occupati che i terreni di Mar- 
zana, e ciò si desume dalla decisione del Senato veneto del 
17 Giugno 1559, con cui veniva esleso ai terreni occupati dai 
Greci in Marzana il divieto di tagliare i boschi cedui, se non 
in capo ad otto anni ; mentre, come s' apprende dal decìso del 
consiglio di Pola del 3o Luglio i5ói, essi non occuparono i 
territorii delle Merlere e di Musil.^) 

II governo veneto tentò anche di promuovere fra le per- 
sone dello Stato veneto la cura di rimettere in coltura i ter- 
reni abbandonati dell' Istria. Diffatti nel i562 esso concedeva 
a nobili e cittadini di Venezia e dello stato veneto dì terra- 
ferma dei terreni da coltivarsi. Ma gli ostacoli loro frapposti 
dai cittadini di Pola e le persecuzioni di cui furono vittime, 
li distolsero in massima parte. 

Alcune di queste importazioni attecchirono almeno ìn parte 
e lasciarono- traccia fino ai giorni nostri. 3) 

Neir Agosto i56o Leonardo Fieravanti (0 Fioravanti) e Zuan 
Antonio all' occha bolognesi presentavano a! veneto senato una 
istanza, con cui chiedevano di poter mostrare ai provveditori 



«) Atti e Mcm. IX. 33i, 

*) Atti e Mem. cit. IX. 335, 338, 

>) Atti e Mem. IX.. 35o. 



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sopra i beni incolti, un loro progètto per far popolare la città 
e territorio di Pota e ridurre quest'ultimo alla coltivazione. H 
"senato incaricava i provveditori unitamente ai loro ingegneri 
di dar ascolto ai supplicanti e conosciuto che si possa trar 
vantaggio dalla loro proposta, di passare all'esecuzione, dando 
ai due sudditi sopraindicati il quattro per cento del raccolto 
che produrranno i terreni incoiti. 

Leonardo FUravanti otteneva indi, assieme ad altri due capi. 
Sabba di Franceschi e Vincenxp dall'Acqua, dal Consiglio di Fola 
col deciso 3o Luglio [5ói, confermato dal Senato veneto li 
ai Marzo i563, l' investitura desiderata. 

Le proposte del Fieravanti presentale li 3o Luglio al con- 
siglio di Fola contenevano quanto segue : E^li, assieme agli 
altri due capi, ricordava al consiglio, che il territorio di Pola 
era incolto ed inabitato per l' intemperanza dell' aere, per la 
-scarsezza d'acque e per la non intesa agricoltura E^si s'offri- 
vano senza alcuna spesa pubblica o privata di purificar Paere, 
di scaturirvi delle acque, dar in luce nuovi modi utili e ne- 
cessari! all' agricoltura, in modo che in breve ■ si viverà uber- 
tosamente e si estrarrà tanta quantità di grani sì grandi che 
piccoli, vini ed altro, da tornarne sommo utile all'erario dello 
stato ed ai cittadini. > 

A tale scopo s'obbligavano dì condurre 124 famiglie dai 
loro paesi (dal Bolognese) e chiedevano in cambio l'esenzione 
per 30 'anni d'ogni gravezza personale e reale per tutte le 
famiglie, la comunanza di tutti i pascoli e laghi, di poter te- 
nere due fiere franche in Aprile e Settembre d' ogni anno nel 
4 Cotiseo cioè Arena 1 di Pola ed alla fontana, luoghi vicini 
alla Marina. 

11 consiglio di Pota nel giorno di Mercoledì 3o Luglio i56r, 
dietro proposta dei consiglieri Zuanne Barbo ed Iseppa Garrarto, 
concedeva, in seguito a domanda, agli stessi i casali di città 
disabitati -appartenenti ai membri del consiglio ed il Comunal 
delle M£rlere e Pedroli (Peroi), più alcuni appezzamenti a Mu- 
sil, col patto che venissero ad abitare il territorio entro due 
anni. Concedeva quindi agli stessi 1' uso dei prati e dei laghi, 
col dovere di attenersi alle disposizioni dello statuto civico. 



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Accordava loro altresì per un ducato all'anno e per venti anai 
in agìtto V Arena per tenervi le due fiere franche, colla con- 
dizione però « che non passino in quella fabrkar, nemeno de- 
stnurla. J) 

Una parte di essi, forse quella che dipendeva da Sabba 
di Franceschi, otteneva la villa di Pomer per dimora, nonché le 
Merlere coi paludi per la coltivazione, come risulta dall' inve- 
stitura *) analoga e dal fatto che nel i635 esistevano a Pomer, 
assieme ad altre famìglie italiane, parecchie famiglie de Franceschi. 

La maggior parte però di questi bolognesi abbandonò più 
tardi il territorio di Pola. La causa dì ciò è da ricercarsi nelle 
persecuzioni loro fatte dai Polesi stessi, nelle impugnazioni in- 
coate e nella sospensione perciò derivata dalle loro investiture 
dei terreni assegnati. Quelli che riescirono ad ottenere l'inve- 
stitura, vinti dal tedio delle liti, abbandonarono in buona parte 
l'impresa. L'odio dei Polesi verso di loro fu tale che persino 
uno dei tre capi, Vincenzo dall'Acqua, fu ucciso nell'anno 
iS63 da un nobile di Pola il quale, ancora nel i583, vìveva 
tranquillo in città. ') 

Sembra altresì, che il quattro per cento delle rendite de- 
volute ài capi sopracitati, nominati * inventori della nuova 
agricoltura » fosse motivo a lunghi attriti fra il popolo di Pola 
e quello del suo territorio ed essi; come evincesi da una la- 
gnanza prodotta da loro al Senato veneto li 3i Décembre i566, 
in cui si protesta pei sequestri « pìgnorìe * perpetrati dai bo- 
lognesi, onde incassare la quota. ■*) 

Fra gli abitanti nuovi importati dal Governo figurano an- 
che i fratelli veneti Pietro e Marc' Antonio Memmo. Dopo il i562 
furono concessi ad essi trecento campi nella villa di Marana 
posta nel territorio di Fasana, tolti questi al complesso dei 
fondi pascolativi appartenenti alle due ville. Tornando ciò di 



') Memorie storiche di Pola. 34. 

*) Atti e Mem. IX 344, 35i. 

') La trovai in carte riflettenti una lite acccBasi 100 anni più tardi 
fra quelli di Pomer e quelli di Promontore, che ebbi dalla e 
r A mm ini strai ore parrocchiale di Promontore, don Mattich. 
, *) Memorie sloriche di Pola, 3i5, 



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pregiudizio agli stessi vecchi abitanti, questi ottennero dal Se- 
nato, colla decisione 23 Aprile i5Ò7, che i trecento campi ve- 
nissero tolti ai Memmo e ritornati alle due ville di Fasana e 
Marana, verso pagamento ai Memmo delle migliorie apportate. >) 

Nell'anno t57o il capitano Giorgio Filippini daZemonico, 
fortezza nel territorio di Zara e possessìonato a Knin, condu- 
ceva da quei paesi 40 famiglie morlacche nel territorio di Pa- 
renzo nel \iiogo chiamato Sbanda/i. ^) 

Apprendesi ancora che nel Giugno dello stesso anno al- 
cuni sudditi veneti, scacciati dal contado di Zara, passarono 
su quel di Dìgnano, e che il Governo non credendo opportuno 
di lasciarli colà, temendo per la conservazione dei boschi, com- 
mise al Provveditore d'Istria di assegnar loro terreni su quel 
di Pola e sugli scogli Brioni. ^) 

Serva questo fatto di prova che il governo veneto, nella 
foga di ripopolare l' Istria, non fece sempre il m^lio, anzi 
talvolta favori lo stanziarsi nella provincia di soggetti di cat- 
tivo genere. 

In questo riguardo deve aggiungersi che riesci oltremodo 
deleteria per la provincia la concessione fatta li 4 Dccembrc 
1570 dal senato veneto ai Morlacchi, in grazia della quale ai 
banditi d' Istria vennero rimossi i bandi, e concesso loro di 
abitare sicuramente e liberamente, e praticare in tutti i luoghi 
del dominio Veneto. *) 

Press' a poco in quest'epoca stanziansi nel territorio di 
Valle le famiglie morlacche Povich e Bubich. ^) 

Nel 1576 la valle di Torre, su quel di Parenzo, veniva ri- 
popolata con genti slave venute da Zara vecchia e fuggite di- 
nanzi r occupazione turca, b) 

Nell'epoca decorrente fra l'anno i573 ed il 1677 la villa 
di Monspinoso vicino Parenzo, ora denominata slavamente Dra- 

') Atti e Memorie, IX. 35?, 

*) Atti e Mcm. IX. 358. 

s) De Franceschi, L" Istria, 358. 

*) Atti e Memorie cit. IX. 370. 

*) Atti e Mem. cit. IX. 373. 

•) Ibid. VII. ai8. 



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— io3 — 

cgDOTi, accoglieva le famiglie slave Basanich, Zombar, Sadmilovich, 
lambar, de Rado da Cattare, Molick da Zara. Notisi, che la 
stessa era ancor abitata da famiglie italiane, quali i de Sina, 
Sassomel, de Giacomini, Malacarne, Malia, Segala, Maxzprana, 
da Veja, de Betlon, Basego, de Fine, de Steno, dalle Porle, Ma^- 
Zarini. •) 

Col deciso del 5 Luglio i573 il Governo veneto faceva 
concessioni di terreni nel Polesano con investitura d'anni 31 
ad abitanti dell'isola di Cipro, fuggiti dinanzi all' occupazio- 
ne turca. 

La venuta però degli stessi in Istria non avveniva che 
nel 1S78, ad interruzioni negli anni seguenti. 

In quest'anno, colla deliberazione del 30 Dccembre, il ve- 
neto senato concedeva al Nobile di Famagosta Francesco Ca- 
ler^ dei terreni nel territorio di Pola. 11 Calergi s' impegnava 
di condurre in Istria 5o famiglie di Cipro ed altrettante di 
Napoli (Nauplia) di Bomanta e di Malvasia. I terreni venivano 
concessi colla condizione di ridurli a coltura entro cinque anni. 2) 

L'arrivo nel territorio polese era fissato al massimo pel 
giorno 21 Decembre i58o. Però per quell'epoca non tutti rag- 
giunsero Pola, perchè le burrasche ed in generale i venti sfa- 
vorevoli fecero si che neppure nel Gsnnajo dell' anno seguente 
parecchi non avevano raggiunto la meta del viaggio ; sicché 
il Governo accordava ad analoga supplica del capo dei Napo- 
litani Polo Tandi, il prolungamento del termine fino al 21 
Marzo i58i. 

Delle famiglie arrivate nel i58o, aS Napolitane e^I altret- 
tante cipriotte, ebbero terreni in Peroì ed in Moderno su quel 
di Pola. s) 

Nel frattempo, nell'anno 1579 '^ famiglia Barbarigo di 
Venezia, che era proprietaria di Monticchio (anticamente Ru- 
minianumj, che comprendeva Castagna e Fratta, conduceva 
dei coloni slavi dall'agro di Zara. *) 

■) Ibid. IX. aoo, 

1) Ibid. VII 319. 

•) Atti e Mem. XI. 5j 53. 

*) Ibid. IX aoo. - 



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— 104 — 

Nel i58o, allorché Marin Malipiero entrava in Pola quale 
provveditore per l' Istria, successore al defunto Giov. Batt. Calte, 
trovava arrivate in quella città 48 famiglie di Cìpriotti, due 
di meno di quelle che avrebbero dovuto arrivarvi ; ed ^lì, 
per completare il numero, vi aggiunse un Sacerdoie ed uno 
speciale greci. <] 

Nello stesso anno poi dei Greci di Candia passavano a 
Pola ed. a Parenzo. ') 

Di altri 35 capi di famìglia di Napolitani e Malvasiotti, 
che avrebbero dovuto arrivare in Istria fino al 31 Marzo i58i, 
soli t5 vi giunsero. Le altre 6 rinunziarono al divisamento, 
spaventate dai mali trattamenti e dalle liti intentate dai vecchi 
abitanti polesi, contro i nuovi abitanti. 

Nel i583 sopraggiunsero anche alcuni Calogeri ed un'ab- 
badcssa con 14 monache greche, ma anche questi come quelle 
se ne partirono, appena giunte. 

Il provveditore Malipiero durante la sua reggenza (i58o-83) 
assi^nò alle i5 famiglie napolìtane, di cui sopra, 400 campi 
in Peroi. ') 

Egli accolse oltre a ciò nel i58i altre 360 famiglie emi- 
grate dalla Contea dì Pisino, nonché 40 famiglie di sudditi 
veneti ed alieni venuti da diversi luoghi. *) 

Sotto la sua reggenza devono essere arrivati i primi abi- 
tanti slavi in Li'signano, ì quali ancora nel 1S83 riedifìcarono 
la Chiesetta di S. Lorenzo in Contrada Suargnan ed ottene- 
vano li 45 Giugno 1587, 3o campi di terreni quale dotazione 
per la stessa. ^) 

Nel i583 dei Morlacchi del territorio di Zara vengono in 



') De Franc. — Op. cit. 367. 

») Mcm. Stor. Pola. 333. 

») De Franc. Op. cit. 36o. 

'} Mcm. stor. Pola. 3a3. 

(■) Mem. stor. Pola. SiS. — Fra queste investiture trovo quella toc- 
cata K Zuane Mira, che viene dal Malipiero investito nel a8 Nov. i583 
di terreni in Madriito (MadernoJ grande su quel di Pola (Libro Altu- 
ra io). 



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. — io5 — 

Istria ed ottengono terreni su quel di Mariana, ove distrug- 
gono i) bosco, nonché su quel di Pomer e di Monticchio. >) 

In Mariana si trovano a contatto coi Napolitani andativi 
nel i558, in Forrur coi Bolognesi di Sabba De Franceschi ed 
in Monticchio alle prese col Nobile veneto Girolamo Barbarìgo, 
che nel 1 578 aveva acquistata da Pietro Difico da Medolìno e 
net i58o da Giovanni Antonio da Momorano tutte le terre che 
essi possedevano nelle Contrade di Monticchio, Rutninan e la 
Fratta -di Castagno *) e' le aveva ridotte a buon termine. 

Il Malipìero ebbe a lottare oltremodo coi Nobili polcsi ed 
anche col popolo aizzato da quelli, i quali non ristavano dal 
provocare incessantemente liti contro gli abitanti nuovi. 

Siccome il Governo veneto non tollerava che si lasciassero 
incolti i terreni, e questi senza riguardo al proprietario seque- 
strava, i vecchi abitanti tentavano di deludere l' imposizione e 
di evitare il sequestro, col coltivarli a piccoli tratti, coll'arare 
delle piccofe porzioni. 

Non contenti di tale provvedimento, diretto a dimostrare 
che scarseggiassero ! terreni sequestrati da distribuirsi ai nuovi 
coloni, l'artificiosità del quale colpiva a vista d'occhio, si ri- 
corse alle liti, alle contese, alle violenze, arrivando persino ad 
opporsi all'erezione d'un molino da parte d'un Cipriotto, 
allo storpiare gli animali dei Greci, alla rottura e sperpero dei 
loro carri e degli aratri, al rifiuto di macinare loro la farina 
coi propri! pestrini, infine si giunse al punto da mostrare il 
proprio malvolere persino verso lo stesso Malipìero, che con 
carità paterna ajutava in ogni modo i nuovi abitanti, col ne- 
gare allo stesso i cariaggi, la paglia ed il fieno pei suoi ani- 
mali ; mentre persino i preti si rifiutavano di dire per lui la 
messa. ') 

E si che a Fola te condizioni erano tutt' altro che splendi- 
de. Le pesti 'aveano quasi distrutta la popolazione della città 
e la malaria aveva decimata quella della campagna. 



>) Carte Lisignano. 

*) Atti e Memorie cit. IX. 301. 

■) Atti e Memorie cit. XI. 5i, 61. 



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— io6 — 

Delle antiche famiglie di Fola, il gran numero delle quali 
si arguiva dall' esten^tione della città e dal numero delle case, 
non esistevano nel i583 che otto famiglie di nobili e ventitre 
di popolani, resi cittadini appena da circa loo anni. Le altre 
tutte erano di genti nuove od avventizie andate ad abitarvi da 
3o o 40 anni addietro. 

Delle 73 ville che una volta popolava il suo territorio, 
solo 13 esistevano ancora. Le altre erano tutte disabitate e ri- 
dotte in rovina. E su tutte le terre, che una volta erano pro- 
prietà delle famiglie di quelle ville, pretendevano i pochi vecchi 
abitanti della città e delle ville ancora esistenti, diritti di pos- 
sesso, mentre era ragionevole a credersi, che per le stragi pro- 
dotte dalle pesti molti terreni fossero rimasti privi di posses- 
sori l^ali ed equo il diritto del fisco, di cercare per questi i 
coltivatori. ') 

XVI. 

Li 4 Giugno i583 succedeva a Marin Malipiero, nella ca- 
rica di Provveditore, Giacomo Renier.- 

Al suo arrivo in Pola trovava il Renier 55i vecchi abi- 
tanti e nelle i3 ville del suo territorio altri $349; mentre i 
nuovi abitanti sommavano in tutto 271 persone e consistevano 
di Cipriotti, Napolitani, Morlacchi, Zaratini, Sebenzani e vari! 
altri sparsi in Pola o nel suo territorio ^) 

Sotto la sua reggenza continuò su larga scala l' importa- 
zione di genti nell'Istria. Già li 18 Agosto 1584 il Senato scri- 
veva al provveditore, qualmente dai rettori di Zara e dai prov- 



') Mcm. stor. Pola, 338. 

*} Ecco le famigtie greche introdotte in varie epoche neh' Istria. 
Nella PoUsatM Caliga, Calergi, Mira, Pandimò, Mina, .Moscomi, de Ra- 
mes, Agapito, So/omeno, Paleòlogo, Flebra. In 5. Lorenzo del Pasenalico 
Oramai icopolo; in Rovigno Todero Gallici q.m Manoli da Cerigo, Co- 
stantin de Olivier da Corfù, indi le famiglie Cipriolto, da Zante, Grego, 
Malvasia; in Capodistria Atanasio da Corfù q.m Vassili, Piero Cipriolto, 
q.m Andrea. Greco ed un Teofanie — Atti e Mem. li. i37, 140. ai5, 317. 
— Atti e Mcm, IX, 119, 



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— I07 — 

veditore generale della cavalleria in Dalmazia veniva fatto pre- 
sente che diversi sudditi turcheschi, ma cristiani, avessero il 
desiderio di abbandonare le loro sedi e di recarsi ad abitare . 
in Istria, e raccomandava allo stesso di assegnare loro, nel 
caso che venissero, quei terreni, che a lui m^lio parerà • fa- 
cendo loro buona ciera » . 

In seguito a che Vediamo stanziarsi in Istria nel mese di 
Agosto del i584 Chirin (Quirino) Stoinich con altre famìglie, 
fuggite dalia villa di Tin net territorio di Zara, occupato dai 
Turchi, e porre sede nella villa di Abrega nel territorio di Pa- 
rcnzo, ove ottiene gli stessi privilegi, goduti dagli abitanti dì 
Villanova. l't 

Nel i58S Renier introduceva in Istria altre Ì3 famiglie 
slave, 4 dal territorio di Sebenico ed 8 da quello di Zara. 

Le prime egli allogava qua e là nel territorio di Fola, le 
altre accomodava sulla punta di Promontore. Era veramente 
sua intenzione di ripopolare la villa di MedoUno, una volta fio- 
rente ed ora quasi priva d'abitanti; ma gli zaratini vi si op- 
posero, temendo le conseguenze dell' aria cattiva colà domi- 
nante, e preferirono le alture sulla punta di Promontore. 

Li 2 Maggio i585 il Renier investiva le 8 famiglie di tutti 
i terreni esistenti dalla punta verso il continente, togliendo 
verso permuta agli anteriori proprietari gli eventuali terreni 
posseduti, ^) ed accordando ad essi il diritto di pascolo nel pro- 
stimo di Promontore e di Pomer. 

Le famiglie da esso importate 4'urono quelle di Simone 
Milovich da Zvonigrad, capo, d'anni 40 con moglie, 3 (ìglic, 
2 figli, 2 nipoti ed una sorella; quella di Marco figlio del conte 
Obrad Radosolovich da Nadin, d'anni 24 con moglie e sette 
figli ; quella di Vuko e Mihovile fratelli di Millo, il primo d'anni 
35, il secondo d' anni 22 con moglie e sette figli ; quella di 
Tomaso Radivojnich, d'anni 40 con due fratelli, la moglie, la 
madre e due figli ; quella di Giacomo Arnicick ovvero Marko- 
vich, d' anni 33 con due fratelli Qadria e Zuanne), la madre, 

') Memorie stor. Pola 353. 
•) Atti e Mem. XI. 77. 89. 



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— io8 — 

la moglie, quattro figli di Jadrìa, la .moglie dello stesso, un 
figlio di Zuanne ed uno proprio ; quella di Mihovile SHpanovick 
d'anni 65 con moglie, quattro figlie e tre figli;. quella d'un 
ignoto ') ; quella di Piero Cernigora^ d'anni 27 con moglie e 
cinque figli. 

11 Governo veneto donava agli stessi, in seguito a preghiera 
di Simone Mìlovicti e di Giacomo Arnic*icli, sette paja di buoi, 
del valore di 300 .ducati, inculcando però agli stessi d'invitare 
altre famiglie a stanziarsi in Promontore. ^) 

Nello stesso anno concedeva il Renier dei terreni sotto le 
pertinenze di Sissano ed alle Merlere ai due fratelli da Ca' da 
Giiox^a da Rettimo (Candia) ed a M. Mickiel Pandimà pure da 
Rettimo. 8)' 

In quel tomo di tempo stàbilJvansi in Fola le due fami- 
glie Max3;ucaio e Gobbo, ricevendo terreni e pascoli. *] 

Però sotto la Reggenza del Renier i Greci napolitani, che 
dal Malipiero erano stati collocati a Pero! e forniti d'ottimi 
terreni, abbandonavano nel i585 il luogo e s' altontanavano 
dall' Istria. 

Li i3 Settembre i585 destinava il Senato a successore del 
Renier nella carica di provveditore Nicolò Salomon "), carica 
che egli occupava appena nel Dccembrc, e durava nella stessa 
fino al Febbrajo i588. 



1) Li 3 Giugno i885 Biasio Rosso ed altri di Potner r 
versi corpi di lerre in Azzan e Bagnolc in risarcimento di altri loro 
tolti e dati ai Promonloresi, mentre i pascoli restano in comune con 
questi ultimi. Libro manoscritto nella parrocchia di Promontore. 

*) Questi non toccò Promontore. ma per questione avuta, arrivò 
alla villa di S. Martino del Monte del Castèllo sotto Sìssano. Toccaro- 
no Promontore la moglie e sei figli. Una tradizione vuole che esso si 
chiamasse Martino Siipsevich e che per aver nella nave che lo traspor- - 
lava dalla Dalmazia ucciso un suo compagno, fosSe poi stato giustiziato 
nel Castello di Sissano 

«) Libro Promontore ed Atti e M. XI. 84. 

*) Mem, stor. Pota. 36o. 

») Atti e Mem. XI. 80 — Libro Promontore. 



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— log — 
XVll. 

Il Salomon trovava al suo arrivo nel territorio polese 33oo 
vecchi abitanti nelle ville di Pola e 600 nella città, nonché 
fra Cipriotti, Napolitani, Morlacchi, Zaratini,Sebenzani,Trauri- 
ni ed altri, 607 nuòvi abitanti ; in tutto 4507 persone. ') 

Di queste, le 37 di Ciprioti, le 9 di Napolitani e Malva- 
siotti, vale a dire di Greci, nonché 18 d' altre nazioni vivevano 
a loco e foco in Pola, le altre 43 famiglie CipHotte delle 5o 
arrivate, nonché 27 famiglie di morlacchi, zaratini, sebenzani 
e traurini s' attrovavano sparse nel territorio, provvedute di 
terreni loro assegnati. 

Durante la sua reggenza altre famiglie arrivarono in Istria. 
Nel i588 dalla Dalmazia 16 famiglie, e sono allogate parte nelle 
pertinenze di Sissano e parte in quelle di Lisignano, sebbene 
il provveditore avrebbe voluto collocarle in Medolìno disabitata 
ed offrente un complesso di case abbandonate e molti terreni, *) 
godente però sempre la triste fama di essere insalubre oltremodo. 

Vennero pure accolte alquante famiglie d' imperiali fug- 
gite dalla Contea, pei troppo severi rigori di quei dominanti. 
-Queste erano pure di razza slava simile alla morlacca. 

Altre famiglie vi trovarono ricetto, parte slave, ma in buo- 
na parte appartenenti ad altre nazioni, in modo che il Salomon 
sotto il suo reggimento ne introdusse Sa in tutto, di comples- 
sive 3g3 persone. 

Fra i Greci vanno distinte le famiglie Soiiomeno, Paleologo 
e Flebra dell' isola di Cipro. 

La prima sotto la direzione del nobile Giulio Sozomeno 
da Nicosia, feudatario nel regno di Cipro, venne nel i586 ed 
ottenne li i5 Aprile di quell'anno l' investitura di estesi terreni 
nella posizione ora detta Campi d' Altura, fra la ora sparita 
ChUsa di S. Gemtaho e rispettivo laco e la contrada Mademo ; 
nonché di 80 campi nel tenere di Torlian, *) formando una te- 



1) Mem. Btor. Pola 35]. 
*) Atti e Mem. XI, So?. 
s) Mem. stor. Pota. 379, 



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nuta che dalla Chiesa omonima allora esistente' si chiamava 
Contrada di S. Giacomo delle ire porte, e che dalla strada che 
conduceva a Magran, passava sotto i Sevi piccoli e confinava 
colla strada che conduceva a Pomer e colla tenuta di Sanpanos, 
feudo dell'Abbazia di Santa Maria del Cannello. 

Oltre a ciò i Sozomcno venivano investiti di parecchie 
case a Pola, ove s'innalzarono a dignità cospicua ; basti dire 
che due fratelli di Giulio Sozomeno, vale a dire Claudia e Cor- 
nelio occuparono successivamente la cattedra vescovile di Pola 
del 158? al 1618. ') 

La seconda famìglia, quella dei Paleologo, venne nella 
stessa epoca con a capo Ercole Paleologo, ed ebbe pure estesi 
terreni nei campi ora detti d' Altura. 

Contemporanea vi fu la famìglia di Isabella Flebra da Ci- 
pro, che ottenne io3 campi nel Polesano, fra Sìssano e Lisi- 
gnano, col dovere di coltivarli entco due anni. Ambo le famiglie 
ebbero le investiture relative ti 18 Aprile i586. 

Press' a poco in quel torno di tempo formavansi i caso- 
lari di Sichici vicino a Pola, mediante stanziamento su quel 
rialzo di terreno delle famìglie di Simon e Matteo Sickich da 
Carnizza «) 



Nel Febbrajo 1 588 al provveditore Salamon succedeva ser 
Lodovico Memo, per la commissione del senato del 19 Decem- 
bre 158?. 

A lui spettava, in base alla commissione, di sovvenire in 
ogni modo i Cipriotti, i quali trovavansi ìn miseria per le spese 
fatte per le coltivazioni e per le lìti dovut.e sostenere. Infatti 
venne assegnato agli stessi l' importo di ducati 260, da distri- 



'} Mem. Btor. Pola, 38o. 

*) Corrisponde su per giù all' attuale Stanzia Tortian degli eredi 
Demartini. 



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buirsi in parti eguali fra quelle famiglie che loco e foco abi- 
tavano il territorio di Fola, i) 

Durante la sua reggenza continuarono le importazioni dì 
popolazioni straniere. 

Già li 3 Decembre i588 il senato veneto trasmettevagli 
lettera del provveditore generale della cavallerìa in Dalmazia, 
colla quale gli era fatto noto qualmente 3oo famiglie di sud- 
diti turchi sotto la condotta di Pietro Belulovich e' Giovanni 
Velanovich, avessero espresso il desiderio di ridursi a vivere 
sotto il dominio veneto. 

Il Memo riceveva l'ordine di accoglierli e d'assegnare ai 
due capi quattro ducati al mese vita loro durante in segno di 
gratitudine, e di concedere alle 200 famiglie un luogo separato 
ove potessero farsi una villa per loro, onde evitare collisioni 
coi vecchi abitanti. 

L'immigrazione dì codesti morlacchi non tardò ad ef- 
fettuarsi. 

Già nel iSSg assegnava la Comunità di Parenzo abusiva- 
mente a Giorgio Poropatich ed ad altre famiglie di suoi con- 
nazionali dei terreni in Fratta a scopo di coltura ; concessione 
che per la sua illegalità veniva col deciso del Senato an- 
nullata, in data 13 Aprile 1.S89. ^) Però l'approvazione non 
tardava a venir concessa, giacché il Memo, nello stesso anno, 
lasciava la famiglia Poropatich e le altre in Fratta ed anzi le 
portava al numero di venticinque, s) 

Dal nomignolo di t Cemogora^ » {montenegrino) portato 
da Giorgio Poropatich e dal capo iVlarco Poropat (forse suo 
figlio), il dì cui stemma esiste sul torchio di Fratta, colla data 
dell'anno iSgo, puossi arguire, che quello' famiglie provenis- 
sero dai Montenegro. *) 

1) La famiglia s' estinse nel secolo XVII e la sostanza passò nella 
famiglia Franchini, pel matrimonio di Andrìana Sozomcno con Giro- 
lamo Franchini. — Da Carte ricevute dal M. R. Don Luca Kirac par- 
roco in Lisignano, 

') Notìzie estratte dalle carte di Lisignano, V. Nota antecedente. 

*) Atti e Mcm. XI. 93. 

*) Fra queste probabilmente le famiglie di Giorgio e Matteo Ru- 
penovich (Atti e Mem. XII. 73, 737. 



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Altri Morlacchi venivano dal Memmo collocati ne! territo- 
rio di Dignano, Gallesano, Sissano, Stignano, Lisignano, Pro- 
montore, Cittanova, Vaile e due Castelli, cui venivano concessi 
i terreni incoiti. 

11 Memmo accoglieva anche favorevolmente le proposte 
dei vecchi abitanti, e probabilmente a questi assegnava pure 
degli appezzamenti di terreno. Anzi alla Comunità di Rovigno 
assegnava per la coltura tutto il suo territOTÌo incolto. 

■ Né mancò di accontentare i nobili polesi, coli' arricchirli 
di beni da coltivarsi, come lo prova l'investitura fatta li 17 
Agosto i58g a Girolamo Barbo da Fola di terreni posti in 
contrada di Santo Loro e di Momjancl. >) 

A merito di siffatte introduzioni di nuovi abitanti ebbe 
ad avvantaggiarsene specialmente il territorio di Pola. I pro- 
dotti di biade aumentarono in modo, che ne vennero esporta- 
te in varii luoghi dell' Istria e del Golfo, ove scarseggiavano, 
come in Rovigno, Pirano, Cherso, Veglia. Le condizioni sani- 
tarie cominciarono a migliorare, specialmente in Pola. 

In codesta città contava il Memmo, al finire- della sua 
reggenza, fra Cipriotti, Napolitani ed altri nuovi abitanti circa 
3oo persone e 964 di altri vecchi abitanti. 

Il suo territorio, cui andava compreso quello di Memorano, 
aveva 3665 abitanti, sicché con Pola compresa, l'intera popo- 
lazione ascendeva a 4989 persone circa. 

Digitano poi, assieme al sud territorio, contava 2987 abitanti. 

Tuttavia le condizioni di Pola non s'erano rese soddisfa- 
centi. Gl'i odìi dei vecchi polesi contro i nuovi abitanti e spe- 
cialmente contro i Greci, esplodevano di tratto in tratto, ma- 
nifestandosi con aggressioni reciproche; sicché il provveditore 
stesso dovette intromettersi, proferendo minacele di forca con- 
tro gli aggressori. 2) 



') Db Franceschi — Op. cit, 358. 
•) Libro d' Altura cit. 1 1. 



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Col Memmo cessava la carica dei Provveditori d' Istria con 
la sede a Pola, >) e colla terminazione i8 Giuguo 1593 veniva 
dal Senato dettato al Capitano di Raspo tutta 1' autorità, di 
cui, in riguardo ai nuovi abitanti, loro giurisdizione ed asse- 
gno di terreni, apparteneva ai primi. 

Frattanto nel territorio di Parenzo trovavansi ì Morlacchi 
in continue collisioni colla Comunità e col vescovo; colla 
prima perchè non li voleva riconoscere come concittadini, col 
secondo perchè rifiutavansi di pagare le decime. La lotta si 
rese più manifesta specialmente fra i Morlacchi dipendenti dal 
capo Giorgio (Iure) Filippino e fra quelli della villa d'Abrega. 
Fu chiamato il Capitano di Elaspo a decidere. ^ 

Né mancarono neppure i fatti di sangue, per ì quali il 
Capitano stesso dovette venir delegato, col deciso 10 Luglio 
1593, a procedere contro alcuni di essi, che arrivati di fresco, 
erano accusati d' omicidio perpetrato su quel di Parenzo. S) 

Ciò non impedì che i tentativi d' importazioni slave con- 
tinuassero su larga scala. 

Il Capitano di Raspo Giacomo Renìer li 25 Aprile 1693 
investiva Antonio e Martino Gulich, da quattro anni venuti dai 
paesi turchi, di 80 campi di terre incolte nello spiadino (sic) 
e territorio di Parenzo nella contrada di Maggio, vicino alle 
terre che il* Provveditor Nicolò Salamon aveva assegnate a 
Martino Manganich, Jurai Cossinovich e Jvan Chenesich pur 
venuti di Turchia *) 



■) Diede occasione a ciò anche l'omicidio perpetrato dai Ciprìotti • 
Marc'Antonio. Faòricto e Giacomo Moscorno e Giannesio de Rarties nella 
persona del Cìprìotto Zuanne Mina e di Anniesa d' Albona sua serva. 
Mem. stor. Pola 400. 

*) Però ad istanza dei Ciprìotti di Pola delibera il Senato colla 
decisione del 39 Giugno 1593 di ripristinare la carica del Provveditore 
in Istria, ciò che però non ebbe eg'etto. 

») Atti e Mem. X!I, 64. 67. 

*) Ibid. VI. 317. 



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— 114 — 

Col deciso del 17 Settembre 1594 il veneto Senato inca- 
ricava il Capitano di Raspo di accoglier bene alcune famiglie 
di Morlacchi, le quali, partite dal territorio turchesco, deside- 
ravano di prender dimora nello stato veneto e se venissero 
neir Istria, di allogarle nel territorio di Pola. 1) 

Nel Gennajo del iSgS il Conte Nicolò Cocoeich o Qoéovkh 
Clococeo conduceva su quel di Rovìgno alcune famiglie slave, 
le quali ricevevano dei terreni sul manie delle Arche, terreni 
che poi gli furono tolti dai Rovignesi; per cui il Governo do- 
vette nell'anno 1603 ordinarne la restituzione. ^) 

U Capitano Giorgio Filippino otteneva li 28 Settembre iSgS 
la promessa di esenzione di tutte le gravezze reali e personali 
per sé ed i figli, tostocchè avesse condotte 5 famiglie d'altra 
Giurisdizione ad abitare in Istria. "] 

Diffatti avendo egli ciò-effettuato, veniva li 38 Ottobre 
dello stesso anno investito dal Capitano di Raspo Giacomo 
Renier di 600 campi nel territorio di Sbandati vicino Parenzo, . 
che egli divise fra quelle cinque famiglie, fondendo altresì una 
villa per loro, da lui detta Varvari. *) 

In data 3 ottobre 1595 il Capitano ^^nari^ ^frtn' da An- 
tivari, caduta nel tS?! in mano dei Turchi, viene investito 
dal Capitano di Raspo di terreni nelle contrade di Fontane, 
Aquadixxa, Monte Pighera e Scoglia Riviera presso Parenzo, sui 
quali esso trasportava dalla Zeta in Albania alcune famiglie 
Morlacche, formanti un complesso di 47 persone. ») 

Stefano Radoicovick suddito turco si stabiliva nel 1S96 in 
Torre, ed attesa la sua numerosa famìglia, otteneva 1' esenzione 
d' (^ni gravezza reale personale, ■) 

In Promontore aggiungevansi li 11 Gennaio i5g7 alle fa- 
miglie Morlacche colà esistenti quelle di Marco Stipsevich da 
' Velim d'anni 73 con moglie, 5 figli, la mc^lie d' uno dei figli 



') De Franceschi — Op. cit. 36a. 

») Alti e Mem. cit. VI. 3i8. 

») Ibid. XII. 75. 76, 99. 

♦) Ibid. XII. 74 

') De Franceschi — Op. cit. 358. 

•) Ibid. 363, 



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— ii5 — 

e 3 nipoti; quella di Mikula Vradcovich da Vclìm d'anni 5o 
con moglie e 4 iìgli ; quella di Zuanne Markovich da Vclim 
d'anni 18 colla madre ed un fratello e nell'anno seguente 
Ivan Radosinovich delta ^toko da Velim d'anni 60 con 3 figlie 
3 figlie ed un'altra famiglia ignota. <) 

A Stani\xa Vratavìch forse da Promontore concedevasi per 
meriti di guerra l'esenzione d'ogni gravezza reale e perso- 
nale, 8) vita sua durante e dei figli. ^) 

Nel 1599 parecchie famiglie di Morlacchi ottenevano ter- 
reni sul territorio di Buje e di Momiano. *) Fra queste sono 
note quelle di Martino Villanavich e Paolo Glamovich, le quali 
danno ben tosto da fare al Podestà di Buje ed al Capitano 
di Raspo, s) 

XX. 

Riassumendo i fatti esposti nei capitoli riflettenti le intro- 
duzioni di popolazioni straniere nella provìncia durante il se- 
colo XVI e le conseguenze che in linea economica e demo- 
gra6ca nonché civile derivarono alia stessa, dobbiamo osser- 
vare quanto segue : 

Di certo la massima parte degli immigrati fu di naziona- 
lità slava e specialmente del ramo degli slavi meridionali serbo- 
• croati. 

Fuggiti dinanzi l' onda invadente dei turchi, abbandonarono 
essi i beni posseduti nella Bosnia o nel!' Erzegovina e si po- 
sero sotto il rifuggio del leone di San Marco, dominante su 
tutta la costa orientale dell' Adria. 

Le popolazioni della costa dalmata, verso la quale river- 
savansì, non accolsero che di mala voglia i fuggiaschi e fecero 
il possibile perchè loro non venissero distribuiti dei terreni. 



') Atti e Mcm. cit. XII. 75. 
*) Libro Promontore. 
») Atti e Mem. cit. XII. 78. 
«) Ibid. IX. aoi. 
B) Ibid XII. 8^. 



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— ii6 — 

che pur colà, in seguito ai vuoti lasciati dalle pesti, non man- 
cavano. 

U Governo veneto allora, a mezzo dei suoi rappresentanti 
di Dalmazia, pensò dì ripopolare con quelle genti gli estesi 
territori] abbandonati della Polesana, di Rovigno, Valle, Due 
Castelli, Parenzo e d' oltre il Quieto, prendendo in riflesso so- 
lamente l'abbondanza dei nuovi coloni, la loro ferrea fibra e 
le attitudini agricole. Consegnò loro le terre abbandonate, senza 
vagliare i diritti che i superstiti degli antichi abitanti potes- 
sero accampare sopra le stesse, oppure quelli che i Comuni o 
le corporazioni pretendevano di far valere. 

Meno che meno poi il governo veneto prese in disanima 
la differenza di nazionalità dei nuovi coloni. Ad esso poco in- 
teressava di mantenere l'incolumità nazionale avita italiana della 
provincia. Ad esso stava solamente a cuore, che le terre ve- 
nissero coltivate, onde compulsare il reddito, e cRe non man- 
casse il personale per armare le galee. 

Perciò ne nacque, che il materiale introdotto fosse causa 
di continui attriti coi vecchi abitanti e che gli omicidi, le risse 
si ripetessero di frequente. Né altrimenti poteva avvenire- con 
individui, che facilmente davano mano al coltello ed a! fucile, i} 

Da una lagnanza prodotta li 3i Marzo 1544 dalle Comu- 
nità dell' Istria al Consiglio dei Pregadi in Venezia contro i 
nuovi abitanti, rilevasi che i furti d' animali, di biade e d'altro 
nei territorii di Parenzo, Pola, S. Lorenzo, Dignano, Rovigno, 
Valle e Due Castelli fossero all'ordine del giorno e che i ban- 
diti per ladri od assassini, che rifuggiavansi nella Contea, pas- 
sassero di tanto in tanto i confini e ripetessero le loro imprese 
nefaste nel territorio veneto. 

Ciò che spaventava i poveri vecchi abitanti era il giura- 



') Quale prova dell' animo violento dei Morlacchi bastino il parrici- 
dio commesso nel 1541 nel territorio d"Albona da Cosma Radovan, l'uc- 
cisione d'un ufjìziale avvenuta a S, Lorenzo del Pasenatico nel 1540 
da parte di Antonio Carlich e le insolenze di cui furono oggetto nel 
1540 a Venezia due sacerdoti da parte di Spagnoletlo figlio d" un Mor- 
lacco detto Spagnol da Torre. (Alti e Mem cìi. IX 125, 126, 139). 



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— 117 — 

mento di vendetta dai Mórlacchi detto « Urasba*, pei quale 
tutti i parenti, amici e benevolenti giuravano di vendicarsi dei 
dcnunciatarì, sicché nessuno ardiva di farsi accusatore degli 
assassini, dei ladri ed in generale dei malfattori, per non in- 
correre nelle vendette dei denunciati, i) 

Contro siffatte condizioni il Governo veneto procedeva, 
ma le cose stiracchiavansi, perchè i Mórlacchi, come tutti i 
nuovi abitanti, sfuggivano alla Giurisdizione penale del resi- 
dente veneto de! territorio, dipendendo prima dal Provveditore- 
per l' Istria e poi dal Capitano di Raspo, i quali, perchè occu- 
patissimi in altro, non potevano prendere delle pronte decisioni 
sopra fatti avvenuti lontano dalla loro residenza. 

Oltre ai Mórlacchi vennero, come si vide, introdotti in 
Istria degli altri elementi, fra i quali primeggiano quelli di 
nazionalità greca, fuggiti dai possedimenti veneti occupati 
dai Turchi, ^) nonché degli Albanesi ed in parte minima dei 
coloni veneti o bolognesi. ") 

1 primi non snazionalizzarono il paese che loro diede ri- 
cetto, che anzi divennero col tempo italiani, e sebbene aves- 
sero a soffrire nelle lotte sostenute coi vecchi abitanti, porta- 
rono in Istria un po' della civiltà greca ed alcuni occupavano 
delle distinte cariche. 

Gli ultimi purtroppo in buona parte tornarono ai loro 
paesi, e gli Albanesi furono troppo pochi onde prevalere na- 
zionalmente nei paesi da loro occupati, già prima assegnati ai 
Mórlacchi. 

Nelle città istriane, specialmente in quelle della costa, l'im- 
migrazione .si effettuò durante il secolo su larga scala. 

1) Atti e Mcm cit. IX. i33 e seg. 

*) Notisi che i rifuggiati Greci non toccarono solamente la Polc- 
sana. Riscontratisi diffatti in Capodìstrìa un Atanasio da Corrai q. Vas- 
sili ed un Piero Ciprioto q. Andrea nel i5^i, un Gfeco nel 1549 ed un 
Tcofanio ne! i56i {A. M, IX. 29; II. 3i5. 317J. 

3) Fra le famiglie Albanesi venute in queir epoca in Istria, notia- 
mo le seguenti : Quella di Giacomo Brutti fu Antonio nobile di Dutcigno 
in Capodisiria, le famiglie Albanese di Capodistrìa e le 3 di Rovigno, 
provenienti pure da Dulcigno. — Atti e Mem. XII. 68; VI 397 eli, 140. 



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La Dalmazia, specialmente, diede la maggior parte degli 
immigrati. Quale base ci serve la città di Rovigno, la quale 
alla fine del iSgS annoverava fra le sue famiglie i da Gissa, 

1 di' Arbe, 3 da Curzpla, i da Slagno, 5 da Zara, 3 dalla Bra^^ji, 

2 da Sebenifo, 2 dal Narenta, 2 da Perasto, i da Ragusa, i da 
Salata. 

Dalle altre Provincie italiane troviamo venute in Istria a 
Capodislria i Verona, i da Salò, i da Siena, i da Cologna, i de 
Lcgnago ; in Isola i Veronese ; a Pirano i Furiano, i Morosini, 
i Condulmier, ì Venier ; a Muggia \ Senese ; in Umago i Ro- 
mani ; a Montana i da Treviso ; a S- Lorenzo del Pasertatico ì 
di Previdali; a Grisignana i de Aitino o Altin ; a Sanvincenti 
i Raguzio; a Rovigno i Bello da Torccllo, i Basilisco da Lodi, 
i Burla de Locatelli da Bergamo, i Biondo, i Bressan, gli Stoc- 
cada da Venezia, ì da Ferrara, da Fiume, dalla Motta, da Caorle, 
da Venezia, i Ferrarese, i lustinìano, i Milanese, i Visentin! 
(Vincentinus) : a Fola i Condulmier ed i di Bergamo. 

Fra le stesse località della provincia ebbero luogo altresì 
degli scambi d' abitanti. Così troviamo a Fianona ì da Berces, 
(Bersez), a Fola, CitlanotHi ed Isola i Parenzan o Parentin, a 
Capodistria i da Fola, a 5. Lorenzo del Pasenatico i de Vicinatu, 
a Rovigno i Brioncso, i Ciprìan da Parenzo, t d' Albona, i da 
Brioni, da Canfanaro, da Cherso, da Dignan, da • Ossero, da 
Pcdena, da Pinguente, da Piran, da Pisin, da Pola, da Veggia, 
da Zumin, da Barbana, de Coslaco, del Canio, de Cavo d' I- 
stria, de Galignana, Lus in, Mcdelin, de Lipoglavo. 

Ad onta di ciò deve ammettersi che il secolo XVI segnò 
un notevole cambiamento etnografico nella provincia, avendo 
esso affidato ad una nazionalità straniera e del tutto diff.irente 
per lingua e civiltà buona parte dell' ubertosa campagna, base 
della benestanza e delle risorse economiche. 

L'influenza deleteria di siffatto avvenimento non si fece 
tosto sentire, giacché i territorii che da Pola s' estendevano 
fino alla Punta di Salvore mantenevano ancora intatti i nomi 



') Notizie estratte da vari documenti e scritti, specialmente di Be- 
nussi — Abitanti, animali e pascoli ecc. Atti e Mem. Il, 



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— 119 — 

vecchi italiani delle località, che gli slavi importati non aveano 
ancor tradotti o sostituiti con altri di loro conio, i) e l'aspetto 
dì quei tcrritoriì non si mutò si tosto. 

Ciò non può dirsi però in riguardo al territorio che dal 
Dragogna s'estende fino ai confini settentrionali delta provin- 
cia e nel territorio lungo la costa orientale, ove la popolazione 
della campagna per essere in gran parte slava, diede allo 
stesso r impronta straniera ed introdusse nomi slavi di località. 

-Rimasero però saldo baluardo tutte le città e le borgate 
dell'Istria, nelle quali la coltura italiana s'impose superba a 
mantenne alta la civiltà ereditata, non modificandola per nulla 
r infiltrazione slava, leggiermente penetratavi, che anzi gli slavi 
stessi assunsero la lingua italiana ^) ed alcuni di essi ne di- 
vennero splendida illustrazione, come Piaccio (Vlacich-Franco- 
vich) d'Atbona, Rapicela di Pisino. 

Per l'Istria stessa fu il i5oo il secolo d'oro delle lettere. 
1 letterati cultori della lingua latina, greca ed italiana ed altri 
forti ingegni non mancarono, ad onta delle grandi avversità, 
diede l' Istria uomini insignì, i quali tennero alto il prestigio 
della civiltà italiana. Fra i molti citerò i Capodistriani Andrea 
Divo traduttore d'Omero in latino e Cristoforo Zarolti oratore 
famoso e commentatore d'Ovidio; Pietro Coppo da Isola co- 
smografo ; Giov, Battista Goìneo (Goina) da Pirano dotto me- 
dico e distinto letterato ; Giov. Antonio Pantera da Parenzo, 
autore detta Monarchia celeste da esso dedicata ad Enrico re 



') Uardosella, Padoa ovvcr Caachcrga su quel di Pisino; Monapi- 
noBo, Rompajago. Montovaro, Valfcrma, Mòncastelli, Monlongo. Mari- 
gnana, Mondezane, Montiscllc. Aquadizza, Baiban, Pizzai, Fusine, Sar- 
zian, Zimaré su quel di Partnzo; Mon Caurìoli, S. Za. dì Zoaro su quel 
d'Orsera. — Nel i54o — A M. VII. -in, la. 

^) In Pirano Pusega (i579>. in Capodistria Filepas (1584), in Rovigno 
Zaccai (1596), in Albona Bogovichio. Bosdacovi echio, Dragaribba, Dra- 
ghicchio, lurizza, Stocovaz. Vlacich Prancovich, in Fianorta Sfìnich, 
Casportich (i558. i587). in Ossero Glavocìch (i58a). in Veglia Ungarich, 
Grabre. Stossich {i559, 1577. 1594), in Cktrso Drasa. Radova, Radogaz, 
lurmanich {i577, i55i, i573, i53i). — Atti e Mcm. cit. II. e aeg, 



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— 120 — 

di Francia ; Mattia Flaccio (Francovich) d' Albona, gran^ e 
forte ingegno, divenuto indi protestante, resosi celebre --per 
molti scritti, Girolamo Muzio da Capodistria, insigne letterato ; 
Andrea Rapicio da famiglia di Pisino, vescovo di Trieste, col- 
tissimo e distinto poeta latino. <) 

(Continua) Bernardo dott. Schiavuzzi 



>) Da De Franceschi. — L' Istria cit. pag. 495. 



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RELAZIONE PRELIMINARE \J 

SUGLI SCAVI DI NESAZIO*) • 



Sito e nome di Nesazio. 

Perdute le più antiche fonti, quali il XVI libro degli annali 
di Ennio e il ■ bellum histricum • di Ostio, il nome di Nesazio 
compare per la prima volta in Livio (41, 11, i), dov'è narrata 
l'ultima fase della guerra istriana. Senonchè tutta la partita 
dell'opera liviana dal libro 41." al 45.° ci è tramandata in un 
unico codice del VI o VII secolo, ora alla biblioteca dì corte 
a Vienna, ed il passo relativo non reca nemmeno indubitato 



*) Da parecchio tempo, fra i nostri studiosi, si coltivava 1' idea di 
intraprendere degli scavi in Altura, presso a Pola, e precisamente nel 
luogo dove sorse l'antica Nesactium. A tradurre in pratica però la bella 
impresa facevano ostacolo gii scarsi mezzi di cui la nostra Società po- 
teva disporre. La Giunta provinciale rendendosi interprete di si^atto 
desiderio, propose alla Dieta provinciale, nella sessione del i8q8, di voler 
stanziare, come stanziò, un determinato importo per 1' acquisto di alcuni 
fondi nella delta località, e per gli ulteriori scavi. E poichÈ questi ave- 
vano dato, nel loro inizio buoni risultati, la Provincia continuò a soc- 
correre l'opera con nuovi importi, associandosi in questo il Municipio 
di Pola, e, da ultimo, quello di Trieste. 

Assicurata cosi la parte finanziaria dell'operazione che si voleva 
eseguire, la Società storica, radunata a Condreaso addi 14 luglio 1899, 
el^geva un Comitato composto dei signori : dott. Cleva, prof. Puschi, 



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il nome di Nesazio, sibbene le parole oppidumelmatlius, le quali 
appena dal Cluverio ') furono emendate, per una congettura 
generalmente accettata, in loppìdum Nesaclium^)». 

Nell'epitome liviana di Floro lib. 1 cap. 26 non si fa invece 
menzione di Nesazio ^)- Plinio in due luoghi della sua naluralis 
historia *) chiama la nostra città Naactium ; Tolomeo *) la 
grecizza, pare, in NMastrov. 

Nella tabula Peutingerana, com'è stato osservato dal Momm- 
sen, n'è segnato il sito, ma si dimenticò d'apporvi il vocabolo. 
L'itinerario Ravennate *) infine porta la forma assimilata e forse 
più recente: Nesatium. 



Quasi tutti gli autori nostri si occuparono più meno di 
Nesazio, cui posero ora in questa ora, in quella parte della 
penisola, attenendosi di preferenza alla vaga descrizione di 



dott. Schiavuzzi e prof. Slicotti. coli" incarico di studiare 1" argomento, 
di rilevare i piani preliminari e di proporre i mezzi per condurlo a com- 
pimento. Il Comitato -- che l'anno 3i;orso venne aumentalo colf aggre- 
gazione di Don Buzolich e del prof. Vatova — si mise subito all'opera, 
nei limiti del programma tracciatogli, ed iniziò anche degli scavi, che 
proseguirono poi con maggior lena negli anni successivi, come ne dà 
qui relazione il chiarissimo prof. Sticotti. (Nota della Direzione). 

') Italia antica I p. 3i3. 

*) Il chiar. prof. M. Gltlbauer dell'università di Vienna, avendo gen- 
tilmente corrisposto alla mia preghiera di collazionare questo passo 
sull'originale manoscritto, ne conferma la lezione osservando che oppi- 
dutnel sta in fin di riga e tnattiiis al principio della linea seguente. 

*) Importante è invece il ricomparire della forma Aeputo in nomi- 
nativo quale si legge in Livio, e che in italiano si dovrebbe rigorosa- 
mente rendere per £/iu/i7Me, forma anche alcune volte adottata dal nostro 
Tommasini (cf. archeog, trlest. vecchia serie IV p. 34 seg.). 

*) III 19, 129: mox (dopo Pola) oppidutn NesacliutH tt nunc Jinis 
Ualiae fiuvius Arsia; Ibld. 31. 140: per orain a Nesactio Alvona... ed 
altre città. 

») 3. I, 17. 

•) 3, 14, cf. 4, 3i. 



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Tito Livio. È merito dei principe fra essi, Pietro Kandler, 
dì aver additato il modo di risolvere anche questa questione 
mettendosi sulle tracce d'un nome moderno, che ricordasse 
l'antico, e di un sito, che corrispondesse alquanto alle distanze 
indicate negli antichi itinerari. E nei diplomi del medio evo 
trovò Isaccio, Campi hacci o Isa^U nel sito dell'odierna Gradina 

Visazze, collinetta sita a nord-est di Fola, alla distanza di 
circa II chil. a volo d'uccello e di la a i3.5 per la strada 
attuale che conduce ad Altura, dalla quale essa collina è di- 
scosta per 2o-3o minuti. 

A questa felice idea del maestro diedero corpo e colore 
Tomaso Luciani e Carlo De Franceschi mediante una diligente 
autopsia dei luoghi. 11 primo recatosi più volte a Visazze ne 
descrisse le caratteristiche locali con mirabile precisione e caldo 
amor patrio. L'articolo principale è quello pubblicato nella 

1 Provincia dell'Istria » 1878 n.° 6 e 7, nel quale egli riferisce 
alla Giunta provinciale d'una gita fatta colà nell'anno 1878 
in compagnia del dott. Andrea Amoroso, avv. Scampicchio, 
Ant. Covaz, ing. Mattiassi. In quell'occasione oltre i soliti cocci 
a fior del suolo si scopersero, facendo qualche tasto, le pareti 
di due cisterne od impluvi, mucchi di pietre riquadrate, anche 
con resti di scultura; con altre gli abitanti avevano fatto i loro 
tegori. Fu riveduta inoltre un' iscrizione. Da Visazze si re- 
cano a Monticchio, dove vedono i due frammenti scultì, di 
cui diremo piìi oltre, di piii alcuni cornicioni e due altre 
iscrizioni romane. 

Anche l'articolo della i Provincia t del 1° febbraio 1880 
n, 3 è interessante per una lettera, che vi è riportata di R- F, 
Burton e A. Scampicchio, nella quale si parla d'un torrente, 
che scorre nella valle di Badò, la cui acqua, presso il mare, 
viene utilizzata per un mulino. Si riferisce poi di tracce di 
abitati romani in questa località, e si fa la supposizione, che 
la strada Monticchio-Allura possa essere l'antica. Vien detto 
inoltre, che presso una « muraglia diroccata, che attraversa 
Visazze nella parte superiore da nord a sud, eretta a difesa 
della parte più alta verso Altura e Monticchio, i contadini 
scavarono e trovarono fondamenta, antiche cisterne, pietre la- 



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— 134 — 

vorate ecc. » e un' iscrizione dedicata a una divinità Eia, presso 
la quale fu rinvenuto un altro piedistallo consimile ma ane- 
pigrafe. 

Carlo De Franceschi continua e migliora l'opera del Lu- 
ciani. Ottremodo interessante è un suo estratto manoscritto da 
un' antica cronaca di Momorano, gentilmente favoritami da 
suo figlio, il sig. Camillo De Franceschi, di cui mi piace ri- 
portare il seguente brano: « vi è un villaggio, chiamato Ca- 
« vrano e poco discosto da) detto villaggio anticamente esisteva 
» una città chiamata Gradina, che ancora presentemente so- 
c no alcune vestigia sopra di un Monticcllo, poco discosta 
t dalla Marina. Sono le situazioni chiamate Visace di sopra ÌI 
«villaggio chiamato Altura i. Al che Carlo De Franceschi os- 
serva come postilla : « importante la notizia che a Gradina di 
Altura nel sito Visaze o Isaze vi fosse antica città. Questa è 
Ncsazio » . 

Dì lui pure leggiamo nella • Provincia * 1880 n.° 5, pag. 35 
s^. una relazione mandata con sette allegati dì disegni e schizzi 
alla Giunta provinciale sopra una gita intrapresa per incarico del 
capitano provinciale, dott. Vidulich, in compagnia di suo figlio 
Giulio pittore, Tomaso Sottocorona, dott. G. Cleva e del tecnico 
M, Toffetti. Vi si parla anzitutto di un' iscrizione trovata fra 
Monticchio e Galesano. Da quest' ultimo luogo una strada 
stretta, chiamata Umedo, lì conduce a Monticchio, dove rive- 
dono alcune iscrizioni, ne copiano una inedita, fanno disegni 
del bassorilievo e di un pezzo di cornicione. A questo proposito 
viene riferita un' opinione dei contadini, secondo la quale tutte 
queste architetture provengono dal sito lontano circa 3oo m., 
detto gromazze, rovine d' una distrutta casa della famiglia 
Licìni di Dignano; ritiene il relatore, che questa fosse già la 
villa dei veneziani Barbarigo, che possedevano Monticchio nel 
i5oo. Visitano poi fra Monticchio e Visazze tracce di antiche 
cave di pietra, che i villici chiamano » cave romane »■. — Di 
Visazze stessa si narra, che nel sito chiamato dai villici « porta 
di Visazze » ancor prima Sottocorona e Clcva avevano scavato 
trovando due pezzi di statua dì marmo panneggiata, e pochi 
mesi prima era stato rinvenuto un tubo di pietra, che pare 



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— 125 — 

appartenga ad un acquedotto: di simili se n'cran trovati nei 
dintorni. Li presso i cercatori scavarono stipiti, architravi, una 
base di colonna e un' iscrizione. Allargato Io scavo si trova- 
rono muraglie di un edifìcio in forma dì stanza con scalinata, 
ove vennero alla luce un frammento dì coscia, un piccolo ca- 
pitello e varie cornici: forse il tempietto d'Eia, indicata nella 
iscrizione scoperta da Burton e Scampicchio. Questo supposto 
tempietto trovasi all'estremità d' una lunga maceria verso la 
valle; all'estremità opposta, sulla stessa linea, quattro cisterne 
(il Luciani ne aveva vedute due), tra loro separate regolarmente 
da uno spazio di alcuni metri. Vicino al tempietto si scavò 
una piccola stanza. Altrove c'è uno scavo di quasi 2 m. con 
sotterraneo a volta. — Tra gli oggetti sparsi, trovati in questa 
gita, vengono ricorda i pezzi di tufo, granito orientale, marmo, 
macine a mano, tornati di forma particolare), che Sottoco- 
rona trasportò a Dignano. Si riferisce infine, che mesi addietro 
erasi smarrito un bassorilievo con iscrizione. 



Queste le osservazioni dei nostri autori, le quali, come si 
vedrà in seguito, si coprono in parte coi ritrovamenti fatti 
negli ultimi scavi. D'altro canto il Mommsen '), sulla fede dei 
geografi e degli itinerari, senza conoscere, pare, né il nome 
né il sito di Visazze, opinò che Nesazio dovesse giacere in 
mezzo circa tra Fola e la foce dell'Arsìa, nella regione degli 
odierni villaggi di Altura e Cavrano. 

Come si vedrà nel corso della presente relazione, un' im- 
portante scoperta epigrafica degli ultimi scavi, fatta sull'area 
di Visazze, ha messo per sempre fuor di dubbio il sito dell'antica 
Nesazio confermando appieno queste supposizioni. Ben è vero 
che l'iscrizione in parola non reca se non il principio del nome 
NES in. abbreviazione, né si può per conseguenza guarentirne 
l'uscita. 

Si potrebbe pertanto essere in dubbio, se esso sonasse Ne- 



') Corpus inscript, lat. voi. V p. I, pag. : 



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— I2Ò — 

saclium, com' è tramandato in Plinio, o non piuttosto Nesdctum, 
che si otterrebbe trascrivendo in latino il Nésmtov di Tolomeo. 
A questa seconda forma ìl prof. Gitibauer dà senz'altro la 
preferenza per ragioni paleografiche. Senonchè il rammollimento 
della consonante nel moderno Visazze, Visazc o Visace non si 
può altrimenti spiegare che colla presenza della vocale i nel 
vocabolo latino (come a mo' d'esempio vezzo da vitium, spazzo 
da spatium). Nisoxtsv è dunque una forma grecizzata, la quale 
forse riflette più puramente l'originario nome istro ; ma la la- 
tinizzazione di questo, il nome romano della città, doveva es- 
sere Nesaciium o Nesatium. Ambedue queste. forme, sono pos- 
sibili e non rappresentano per avventura che varianti; sia di 
grafìa sia di pronuncia, usate in epoche diverse, come più 
sopra abbiamo accennato. La decisione a futuri rinvenimenti 
epigrafici 1 

Quanto al mutamento poi dciriniziale, l'amico dott. Matteo 
Bartoli mi scrive, che una filiazione o un passaggio diretto 
per vie fonetiche di « - in o - è inammissibile, ma proba- 
bilmente vi sì nasconde un fenomeno sintattico. Trattandosi 
cioè di nome di luogo, l'uso di un in preposto {in NesacHo) 
doveva essere frequente; da qui e per l'illusione che N - fosse 
l'eco di queir /«, si poteva estrarre un * EsacHo. Dìfatti nei di- 
plomi medioevali del Kandler si legge Isaccio e simili. Egual- 
mente p, e. da Nispra si estrasse per la combinazione in [N]ispra 
il nome I^ra nella Lombardia svizzera. Giustificata cosi l'aferesi 
di N- si può ricorrere alia prostesi di a -, onde V ~ isace, come 
serbo - cr. V-is da Issa (Lissa). L'i al posto di e si può fa- 
cilmente spiegare coH'assimilazione in Nisactìo. 

ali scavi del 1900 ') 

sf estesero sull'area delle particelle N.' 389, 290 della mappa cata- 
stale, in un terreno che grado grado declina verso mez- 
zogiorno per scendere, dopo un certo tratto, bruscamente a 

1) Vedi il primo rapporto del dott. B. Benussi nell'a Istria» 8 sett. 
1900, cui Ta seguito il mio articolo comparso neir< Indipendente dei 
35 gennaio 1901. 



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— Ì27 - 

valle nel canale di Badò con una gradinata di scaglioni arti- 
ficiali. Da questo punto, sito circa nel centro della spianata, 
si gode intero lo spettacolo delle colline, che tutto in giro 
aeirìmmenso silenzio (anno corona al colle disabitato e deserto 
di Visazzc : Cavrano, Momorano, Altura, Monticchio ; nello 
sfondo a nord giganteggia la vaporosa mole del Monte Mag- 
giore; volgendo indietro lo sguardo si scopre un lembo azzurro 
del Quarnaro colla maestosa piramide del Monte d'Ossero. E 
sull'area dell'antica città, ove in tempo passato si fecero ten- 
tativi di coltivazione, ora s'alternano cumuli dt sassi a cespugli 
d'erbe selvatiche. 



Avanzi di edifìci. 

La presenza di due complessi di fabbricati romani, divisi 
da una pubblica via, dimostra, che ci troviamo nel cuore del- 
l'abitato. 

La strada A corre in direzione di est-ovest ed ha una 
larghezza complessiva di circa 740 m., equivalenti a 25 piedi 
romani. Pare che essa continuando ad ovest per la lunghezza 
di 73 m. costeggi poi un edifìcio venuto alla luce negli scavi 
del 1901. Non è lastricata a poligoni comete vie principati in 
tutte le città romane, ma è fatta di ciottoli e di terra battuta. 
La sponda settentrionale, sulla quale sì apre l'ingresso d'un 
esteso edifìcio, è fìancheggiata da un marciapiede della larghezza 
media di v3 m., il quale si eleva alquanto dal piano stradale: 
l'acciottolato di questo marciapiede è definito all'orto mediante 
una corsia di soglie di pietra locale, sulle quali sono praticati 
a varie distanze dei fori destinati ad accogliere aste di metallo 
per cancellate o sostegni di tende o simiti. Dall'altra parte il 
marciapiede è completamente distrutto non esisteva nem- 
meno, essendoché da questa parte la strada costeggiava il muro 
postico d'una casa privo affatto d'aperture. In quella vece è pian- 
tato di fronte alta pietra angolare (a) della medesima casa un masso 
rozzamente riquadrato da un blocco di roccia, che doveva 
fungere da paracarro {b). 



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— 128 — 

Questa casa privata d'abitazione aveva la sua facciata 
coir ingresso principale probabilmente in una strada a sud^ - 
parallela alla descritta; senonchè qui, causa il declivio più forte, 
t scomparsa ogni traccia di muratura. Ben conservata è invece 
l'ala settentrionale: circa la metà dell'atrio coi vanì adiacenti. 

L'atrio aveva al più tre bracci di corridoio, a nord, ad 
est e presumibilmente anche a sud; mentre il lato occidentale 
della vasca per l'impluvio (e) non era accessibile dall'atrio, ma 
confinava con una parete. Il lato conservato dell'atrio {d di d^} 
misura IO m.; il corridoio, largo 3 m, ha pavimento musivo 
bianco a grossi cubetti, incorniciato da una fascia di tesselli 
verdastri d'arenaria. — Come lo indicano fori ed altre traccie 
visibili sulla sponda settentrionale della vasca («), il tetto a 
compluvio veniva da questo lato sorretto da cinque sostegni 
distribuiti in una linea di 7 m.: da tre colonne nel mezzo, 
all'angolo occidentale da un pilastro di sezione quadrata e ad 
est da una mezzacolonna addossata alla suddetta parte di con- 
fine; trammezzo a questi sostegni correva una ringhiera o un 
parapetto. La base della mezzacolonna è tuttora a posto; delle 
colonne intermedie si rinvenne nel sotterraneo li presso un 
rocchio calcare senza scanalature (diametro inferiore del fusto 
0.3 m.; periferia, senza Io scapo, rio), — L'acqua piovana, 
grondando dai quattro versanti del compluvio in un bacino 
piatto sottostante, veniva in parte condotta in un canale di scolo 
{/), il cui letto era formato da una corsia di tegoloni della fabbrica 
Pansiana col bollo dell'imperatore Nerone, in parte si racco- 
glieva nella cisterna. S'apre questa (B) sul lato ovest dell'im- 
pluvio, in forma d'ipogeo quadrangolare di m. 35X3, alla 
profondità di m. i'5, tutto scavato nella roccia vìva, di solidissima 
costruzione. Il fondo consta di tre lastroni di pietra, coperti 
posteriormente da uno strato generale dì grosso terrazzo, fatto 
di pezzetti di cotto {opus signinum). Tuffali' ingiro poi corre 
una scanalatura angolare, larga oió, nella quale erano impostate 
perpendicolarmente, a mo' dì plutei, delle lastre saldate fra 
loro mediante denti ed incastri; s'appoggiavano esse alle pareti 
rocciose e verso l'interno erano greggìamente martellate per 
sostenere una crosta di cemento. Nell'angolo nord-est é scavata 



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— 129 — 

sul fondo di pietra una ciotola, del diametro di 62 cent, e della 
profondità di i5, per la deposizione dell'acqua. Reggeva la volta 
un pilastro greggio, che s' erge nel mezzo {g). 

Dal corridoio settentrionale dell'atrio {d di dg) si accede 
direttamente a cinque stanze o celie. Ad ovest per una porta 
dalla stalla intatta, con un pezzo di cardine aeneo ancora infìtto 
nel rispettivo foro, si entra in una camera di m. 3-6X3'9: 
ottimamente conservato è il pavimento a musaico bianco fa- 
sciato con tramezzo verde-scuro; le pareti erano incrostate 
d'intonaco bianco-rosa, di cui si distinguono in certi punti 
due strati sovrapposti. Qui si rinvenne una moneta in bronzo 
d'Adriano ed altra del basso impero. — A nord s'aprono tre 
vani della profondità di m. 3-75. II primo, incominciando ad 
ovest (i>), è una stanza del tipo detto da Vitruvio < ala » 
aprendosi nell'atrio senza porte, mediante una soglia, in tutta 
la sua larghezza di m. 35; ha ancora di notevole, che col suo 
grossolano pavimento a mosaico monocromo, simile a quel- 
lo dell' atrio, segue il pendio del terreno salendo sensi- 
bilmente da sud a nord. — Da questo vano si accede a sinistra 
per una porticina in uno stanzino {£) pure a mosaico, che sarà 
stato un cubiculo. — Segue ad oriente dell'ala una stanza {F), 
larga 2-5 m., che dà sull'atrio mediante una porta fiancheggiata 
da due ante: vi si vedono poche traccie d"un finissimo mosaico 
ad intreccio di vari colori. — Il locate (G) è il più vasto misu- 
rando in apertura oltre 6 metri. Vi si accede per due porte 
attigue, una più piccola ed una più grande, separate da un 
solco nella soglia comune, sul quale doveva scorrere una parete 
di legno. Il piano di questo stanzone essendo completamente 
distrutto, non si può determinarne lo scopo. Finalmente sul 
lato est dell'atrio, ma ancora nel braccio settentrionale del 
medesimo, una porta a due battenti mette in uno stanzino (H) 
della profondità di oltre 35 m. e della larghezza di 3 m., adia- 
cente col lato nord alla grande camera testé descritta. Il pavimento 
di calcestruzzo posava su quattro pilastrini, detti suspmntrae, a 
parecchi strati di tabelle di cotto. Nel vuoto sottostante sboccava 
un canale, il quale dal fornello della cucina {L), sita con altri 
locali accessori all'angolo nord-est della casa, passando sotto 



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— i3o — 

l'angolo sud-Hìst della grande stanza, conduceva mediante tubi 
di cotto l'aria calda per la calefazione. É dunque verosìmile, 
che questo locale con speciale riscaldamento ad ipocausto sia 
stato adibito ad uso di bagno per la famiglia. Fra il terriccio 
si rinvennero alcuni bronzi di Vespasiano, Massìmino ed altri 
più tardi. — Costeggia il lato est della casa, correndo verso 
sud, un canale di scolo (k) per l'acqua sudicia, simile in tutto 
a quello che serviva di sfogo all'impluvio. 

Sull'altro lato della strada dirimpetto prospettavano, pare, 
due case attigue: la più orientale con una grande soglia a 
stipiti di pietra viva (i), di cui rimane un avanzo a sinistra. 
A destra dell'ingresso, divisa da un assito, una laberna dava 
con larga finestra sulla via. Seguono a nord altri locali, tutti 
con leggera pendenza verso sud-est, pavimentati a calcestruzzo, 
il cui uso e nesso però è dit^cile precisare stante la cattivissima 
conservazione dei muri. Ad est correva, a quanto pare, lungo 
il fianco dell'edificio una strada secondaria. — Anche questa 
casa ha la sua cisterna (/), profonda m. i'65, in forma di qua- 
drilatero, con un vano di m. 2'6X3V5; il fondo, sul cui mezzo 
s'erge una colonna di pietra, era stato più tardi rivestito d'un 
terrazzo di mattonelle disposte in taglio a spina-pesce,sida na- 
scondere la buse tutta della colonna; le pareti sono di fortissimo 
cemento. 

Né meno dubbia è la distribuzione dei locali nella casa 
attigua ad ovest, la quale era pure provvista di grande cisterna 
(m), profonda m. la, in forma di parallelogrammo di m. 5XiV) 
con fondo e pareti cementate. 

Lungo il limite occidentale di questa casa menava un' an- 
drone con marciapiede (n), fianchcggìante ad ovest un edificio 
publico (Af). Di questo, che mostra indizi sicuri divari rima- 
neggiamenti, è conservata circa metà d' una grande soglia, larga 
m. o 87, per la lunghezza di m. 46, con poche scheggio d'uno 
degli stipiti (m. o 5 di lato), che fiancheggiavano la porta d'in- 
gresso. Davanti a questa soglia si vedono avanzi di soslruzioni 
per una scalinata. Inoltre si sono salvati alcuni frammenti di 
grande architettura monumentale, quali una base di grossa 
colonna e molti pezzi di cornicioni. — Degni di speciale men- 



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— i3i — 

zione sono due frammenti d'un timpano triangolare, del quale 
manca tutta la parte di mezzo, salvo un piccolo pezzo, che, 
prima che incominciassero gii scavi, si portò via poco garba- 
tamente il proprietario del fondo, allo scopo di venderlo poi 
ad altissimo prezzo. Ora siccome le esigenze di costui sono 
esorbitanti sì da renderne impossibile l'acquisto e la pietra è 
segretamente celata in casa sua, non posso presentare qui che 
le due parti estreme del frontone. (Vedi tav. Il fig. i). 

Esso ha lo spessore di circa 38 cent. Vi sono rappresentate 
due agili figure di giovinetti ignudi, libranti sull'ali, uno di qua 
e uno di là simmetricamente, i quali dovevano tenere, presen- 
tandolo di faccia, un medaglione colla protome di qualche divinità, 
ad analogìa del tempio di Roma e Augusto a Fola i). Un avanzo 
della tenia che ne avvolgeva la cornice fatta ad intreccio d'al- 
loro, mi sembra di scoicene nella prominenza, che si vede 
air orlo destro del pezzo maggiore. 

Se non erriamo, è questo il sito, di cui si fa parola nelle 
succitate relazioni del Burton e dello Scampicchio ed in quella 
del De Franceschi. Quest'ultimo, dal rinvenimento della lapide 
votiva ad Eia, deduce, che quivi sorgesse un sacello dedicato 
a questa divinità locale. E può aver ragione; tuttavia ne la 
scoperta di due nuovi frammenti epigrafici (vedi più sotto), né 
il magro materiale architettonico, anche ammesso sia stato 
ritrovato in silu, né i pochi brandelli di muri a contrafforti, 
che s'allineano dietro la soglia, potranno condurci ad una rico- 
struzione per quanto approssimativa d' un edifìcio, il quale 
porta troppi segni dì devastazioni e adattamenti posteriori. 



Ricordiamo infine che un tentativo di scavo fatto eseguire 

') Il frontone del tempio, a detta del Carli (Ant. It. Milano 1788 p. II 
pag. 187, cf. tav. mi «era fregiato d'un medaglione con due mezze 
ligure galeate. rappresentanti Roma ed Augusto; di qua e di là due 
geni». — Alquanto diversamente però leggesi nel manoscritto de! ca- 
nonico Vidovich, di proprietà del dott B. Benussi. Del resto tutti questi 
fregi non ci sono più. e a nessuno, per quanto io sappia, consta dove 
sieno anilati a finire. 



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- i3a — 

dal dolt. eleva mise felicemente allo scoperto un breve tratto 
della somma cinta murale, precisandone ti corso e la struttura, 
e che un saggio praticato dal rev. d. Angelo Buzzolich con- 
dusse sulle traccio d' una necropoli romana, ricca di suppcl- 
lettile sepolcrale, adiacente alla strada, che doveva condurre 
a Pola. 

Iscrizioni. 

Finora è scarsa la messe epigrafìca. Il V volume del Corpus 
inscripHonutn latinorum edito dal Mommsen nel 1873 apriva la 
serie delle iscrizioni nostre con Nosazio : vi sono riportale 5 
epigrafi insignificanti, tutte dei dintorni. Altre 5 si leggono 
negli additamenti publicati nel 1877 in calce al medesimo volume, 
di cui due votive (una dedicata a Hera, l'altra a M£Usoco,A\w\m\À 
locali o regionali), e di nuovo cinque nei supplementi italici 
al detto V volume, editi da Ettore Pais nel 1884: 2 sacre, di 
cui quella votiva ad Eia; un'altra, fino allora la più impor- 
tante, ricorda la costruzione di portici a spese d'una privata. 

La maggior parte dì queste iscrizioni erano note già al 
Kandier, al Luciani e al De Franceschi, che ne fornirono copia 
agli editori del Corpus. 

A queste s'aggiunsero ultimamente soltanto 6 epigrafi, e 
precisamente, oltre alla base dell'imperatore Gordiano, di cui 
più sotto, vennero alla luce durante gli scavi due esigui 
frammenti di calcare nostrano, trovati fra le macerie davanti al 
cosidetto tempietto d'Eia, della cui architettura sembrano anzi 
aver fatto parte: l'uno di essi reca nella seconda riga MAX..., 
che ricorda il nome di quella Maxima, di cui nell'iscrizione 
suaccennata, ora al tempio di Augusto a Pola, è detto che fece 
costruire dei portici. Se dunque anche questa epigrafe è di là. 
si otterrebbe nuovo materiale per la ricostruzione di quell'edi- 
ficio nesaziese. — Tre altri frammenti provengono dai luoghi 
vicini: uno fu rinvenuto nel burrone verso nord, vicino a Nesa- 
zio ; un altro, che è una lapide votiva di un certo Maecenas a 
non so quale divinità, si trovava nella campagna Persiclas 
presso Visazzc e fu ceduta a noi insieme ad un' altra pietra 



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— i33 — 

già nota ; il terzo frammento serve da pietra angolare alla 
casa Giov. Scu0ìch di Montlcchìo: è segata da un'attica, che 
portava un'iscrizione monumentale dì due o più righe. La let- 
tera M, conservata nella prima linea, ha l'altezza di 20 cent.; 
PI della feconda da i5 a 36 cent. 

Di ìscrìzioni su tegole ho notato finora i seguenti bolli, 
tutti conosciuti, della figulina Pansiana: PANSIANA, TiPAN- 

SlAN/a, TI -PANSIANA I-PAISIATA, C ■ CJ>ESAR • PAIS , 

....J>ESPNS/»,^El CAVJPAISIN; inoltre SOLONA... pure noto; 
il notissimo Q. Godio Ambrosio, ed uno, forse inedito, C*AR... 
Infine il tegolo CLODIBO =^ Clodi Bo...,\n rilievo entro un pa- 
rallelogrammo incusso di Oli Xo"o35 cent , trovo registrato nel 
CIL V 8ii5, 3i come bollo dì vaso fittile colla leggenda 
CLODIRO, che sarà forse la medesima. 

Fra i vasi cretacei noto il bollo Q • IVLI sulla pancia 
d'una ciotola, e PLACID in un vaso fine d'ai^ìlla. 

Su due lucerne fittili leggo ORESTI e TRANQVILl. 

Questa deficenza di monumenti scritti, anziché scoraggiare, 
deve dar adito alle più belle speranze: evidentemente ne risulta, 
che gran parte di essi deve esisere ascosa nel seno della terra. 
E non v'è dubbio che, com'è venuta alla luce la base, che 
sosteneva nel foro nesaziesc la statua di Gordiano, altre simili 
se ne troveranno di imperatori e cittadini benemeriti, per le 
quali si verrà a conoscere e la tribù, cui erano ascritti i Ne- 
saziesi, e il carattere municipale o coloniale della città, e le 
sue magistrature, i suoi sacerdozi, i suoi collegi, le sue famiglie, 
tutta insomma la vita publìca e privata di Nesazio. 

Oggetti dì scavo. 

Mentre per le monete rinvenute durante gli scavi riman- 
diamo i lettori all'articolo speciale del dott. B. Schiavuzzi, 
diamo qui un elenco degli oggetti più importanti venuti alla' 
luce durante i lavori di sterro, distribuendoli secondo il ma- 
teriale. 

Pietra. Un frammento di vaso lapideo con anse corte, una 
macina di tufo, un peso con attacco per il manico. Vari fram- 



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- I34- 

menti di lastrine sottili di marmi, pezzi diversi di sluccki ed 
intonachi monocromi. Parte di un oggetto semicilindrico di 
onice, probabilmente astuccio per medicamenti o per stempe- 
rare colori simili. 

Terracotla. Frammenti di vasellame locale a rilievo e graffito, 
di rozzo impasto; frammenti dì vasi cretacei con vernice nera 
a strisele rosse (merce apula); un frammento di terra sigillata con 
rappresentanza di due figure femminili bacchiche accanto a 
un albero; altro frammento dì terra sigillata, in rilievo: tra 
alberi, un guerriero affcna per le chiome una figura prostrata: 
collo d'anfora col segno 11 fra i due manichi; coperchi d'anfora 
umbilicati e radiati; vari frammenti di vasellame ordinario con 
bolli di fabbrica (vedi iscrizioni); lucerne fìttili figurate, dalla 
necropoli romana : cane in corsa, gallo vincitore con palma, 
gladiatore, corvo apollineo con alloro, amorino, rosette. 

Vetro. Fondo di fiaschetto circolare con protome dell'im- 
peratrice Faustina in profilo a destra ed in giro la scritta: 
DIVA FAVSTINA '}; inoltre frantumi di varie forme e colori, 
fra cui una boccetta sferica intatta di color turchino carico, 
dalla necropoli romana; paste vitree. 

Bronco. Una fibula ad arco, un manico di cista, aghi crinali; 
borchie e bottoni, chiovi ad ampia capocchia; un frammento 
di specchio circolare ed un' ansa di lucerna. 

Ferro. Diversi strumenti rurali; chiavi, di cui una con 
pettine a quattro denti, lunga 0.2 m.; anelli, chiovi, scalpelli; 
un sonaglio. 

Osso. Manico di lama, bottoni, spilloni. 



Fra i luoghi che in maggior numero conservano avanzi 
sia architettonici sia epigrafici dell'antica Ncsazio, emerge il 
villaggio di Monticchio. 



') Impresso probabilmente secondo il grande bronzo Cohen II p. 439 

D. ,93. 



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— i35 — 

Sulla facciata della casa di Anna Pteticos sono immurali, 
l'uno vicino all'altro, come si vede nella fotografìa riportata 
a tav. 11 fig. 2, che dobbiamo alla gentilezza del signor Guido 
Marchesi di Dignano, un pezzo di frontone triangolare a sini- 
stra, e a destra un frammento di bassorilievo. 

Il primo è l'estremità sinistra d'un timpano ed ha l'altezza 
massima di 70 cent., la lunghezza di circa 2 m, e mostra un 
delfino e un altro animale marino natanti a destra verso it 
centro. 

L'altro, a quanto pare, entro cornice rotonda, porta in 
rilievo la testa d'un dio dalle lunghe chiome inanellate. Il lavoro 
di scalpello è simile a quello del frontone trovato a Nesazio 
(Vedi fig, I). Non è escluso anzi che questo frammento fosse 
parte del medaglione, che ne occupava il mezzo, coll'eflìgie 
divina. 

Nella casa del fu Pasquale Mircovìch si trova un fram- 
mento di cornicione a lacunari ed altri due simili frammenti 
nella casa di Giorgio Plelicos fu Antonio, mentre nei pressi di 
queste due case si vedono a terra pezzi di pietre riquadrate. 
Nella casa di Giov. ScuBìch è immurato come pietra angolare 
il frammento di architettura monumentale iscritto di cui sopra. 

A Studenzo, circa a tre quarti d'altezza della collina, sul 
fianco prospiciente Nesazio e Altura, s' apre, incompletamente 
scavato dai contadini, un cistcrnonc piscina a quattro pilastri 
quadrati, largo circa 3 m. e lungo circa ó m. 



Scavi del 1901. 



Come appendice a questo resoconto mi fo un dovere 
d'aggiungere alcune notizie sugli scavi eseguiti nel 1901 limi- 
tandomi a quel tanto che possa orientare i lettori sulla quantità 
e sulla portata delle ultime scoperte. Sarà poi compito d' una 
successiva relazione trattarne colla dovuta diligenza, ora che 
è dato assetto alta suppellettile sepolcrale disposta per tombe 
in luogo idoneo e definitivo. Che in breve la modesta stan- 



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— i36 — 

za adibita ad uso di museo nella parocchia d' Altura non 
potè capire la folla d^li oggetti di scavo, e si deve principal- 
mente all'opera energica ed amorevole dell'illustrissimo sig. 
podestà, dott. L. Rizzi, se il Comune di Pola, d'accordo colla 
Giunta provinciale, preso di mira 1' edifìcio della Società ope- 
raia presso l'arco dei Sergi, ha dato mano ai necessari adat- 
tamenti per farne un musco speciale nesaziese nominandone 
contemporaneamente apposito curatorio. 

Trincea di blocchi architettonici. 

Nel fondo, particella cat. n. 3o7, non lungi dal tratto me- 
ridionale della somma cinta murale, essendosi aperta una fossa 
in direzione di est-ovest, per la lunghezza di circa 38 m., ven- 
nero alla luce a poca profondità i6 pezzi di buona architettura 
alla maniera corinzio-romana, parte in questo, parte in quel 
senso, quale giacente e quale riverso, allineati però in un certo 
ordine l'uno appresso dell'altro. Tutti questi materiali non 
erano sul posto né potevano appartenere ad un unico edifìcio 
che s'alzasse in quei paraggi, ma vi dovevano essere stati 
trasportati di qua e di là per fondamcntare qualche muro d'età 
posteriore, un riparo tumultuario contro qualche incursione 
del basso impero o d' epoca più recente ancora. 

S'offrirà più tardi occasione di enumerare un per uno 
questi avanzi architettonici e di riferirli — quando saranno 
più progrediti gli scavi — ai vari edifici, cui appartenevano. 
Per ora basti scegliere i più caratteristici congiungendo i pezzi 
che indubitatamente vanno insieme. Cosi presento a tav. Il 
fig. 3 due parti di timpano triangolare. 

Lo spessore varia dai 42 ai 45 cent., l'altezza massima 
del pezzo a destra, di cui sono conservati gli orli, è di i m. 
e 6 cent., che sarà stata all'incirca l' altezza pure del triangolo. 

Come si vede dalla figura, un clipeo occupava il centro 
e a destra e a [.sinistra erano scolpite simmetricamente due 
cornucopie. Il resto del frontone, a mio avviso, era liscio né 
portava altri ornati. Ammesso che abbia appartenuto ad un 
tempio, credo che questo non sia il frontone principale, il quale 



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- .37- 

doveva essere insignito coll'e^ìgle della divinità, come s'è 
visto per il cosidctto tempietto d' Eia. — Anche qui però 
la disposizione simmetrica è la medesima ; senonchè in- 
vece del medaglione nel centro abbiamo un clìpeo a fascie 
diagonali, forse originariamente policrome, e al posto delle due 
figure libranti le cornucopie, notevoli per la stilizzazione ar- 
chitettonica delle loro forme : infatti il corno appare scanalato 
e bacccllato come un fusto di colonna. Del resto l'idea del 
lavoro è puramente decorativa né credo si sia voluto dare ai 
bassorilievi speciale carattere di attributi divini. 

Sui timpano posava un cornicione, di cui credo aver 
trovato alcuni frammenti del tipo, che riportiamo a tav. II 
lìg. 4, della seguente membratura: di faccia, d'alto in basso, 
un listello, poi una gola con foglie d' acanto, altro listello, 
altra gola più bassa a foglie lesbie; di sotto un sistema di 
mensole intramezzate da cassettoni a rosette, lista di ovuli, 
altra di dentelli, gola a fogliole lesbiche. Sul lato superiore, a 
31 cent, dall'orto, una grondaia semicilindrica della prof, dì 
circa 7 cent, e dell'apertura di cent. 2 1. Una ricostruzione, ese- 
guita dal sig. Gino VVeis dell'utpcio tecnico di Pola, mostra 
come i singoli pezzi a mensole salienti ed altri con mensole 
a taglio orizzontale coronassero il timpano. (Vedi tav. Il fìg 5). 
Altri pezzi di cornicione pììi ricco dovevano appartenere 
a un edifìcio di maggiori dimensioni, con sistema di mensole 
a fogliame alternate da cassettoni ornati di rosone di 37 cent. 
in quadrato, con giro perenne di foglie Icsbie ed una cornice 
ad ovuli; in facciata diviso in parecchi listelli e gole con or- 
nati di ovuli, foglie a dentelli e gola supcriore con meandri 
nastriformi. (Vedi tav. Il Bg. o). 

Dai medesimo edificio proviene forse anche un plinto di 
colonna dì cent. 75 in quadrato, munito nel centro d'un foro 
per il perno e del solito canaletto per l' infusione del piombo. 

Infine non è escluso che alcuni di questi ed altri avanzi 
architettonici si riconnettano al cosidetto tempietto d' Eia. 

In questa trincea si trovò insperatamente il giorno 39 di 



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— i38 — 

settembre una base in piedi quasi intatta, colla faccia scritta, 
rivolta a nord, ossia verso l' interno della città. 

H dado misura in altezza m. ogS, in larghezza o.5i ed 
ha 0.43 di spessore. Ai due fianchi della cimasa (alta 0.24) dal 
rozzo profilo si osservano dei fori per i sostegni d'apposito 
plinto, su cui poggiava la statua in piedi dell' imperatore. 

Il zoccolo, pure roz- 
zamente sagomato, è alto 
o 3o5 ed ha al piede la 
larghezza di o.58. — Stra- 
no poi è che il lato po- 
steriore in tutto il senso 
dell' altezza mostra la 
struttura d'un architrave 
d'ordine corinzio-romano 
colla fascia recante il fre- 
gio scalpellato, e che sul 
fianco destro al piede della 
base è praticato uno di 
quei forami per arpioni. 
E' chiaro dunque, che in 
origine il blocco faceva 
parte d'epistilio in qualche 
edifìcio e che per farne 
una base esso fu capovol- 
to e se ne scalpellò il fre- 
gio che forse portava un' i- 
scrizione. — Mentre i fian- 
chi della base sono lisci, 
lo specchio dell'epigrafe è 
circondato dì cornice lar- 
ga circa 14 cent., piatta ' i- 
e informe. La dedica ■' 
suona cosi: — - — , .■_„ .-.,— » 

imp{eralori) Cae(sari) \ Mfarco) Anto(nio) \ Gordiano \ pio 
fet(ici) I Augfuslo) I p(onHfici) m(aximo) pfatri) p(atriae) \ rfesj 
p(ublica) N£s(acliensium). 



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— i3g — 

Esclusi i due Gordiani dell'anno 338, sia perchè questi 
portavano il titolo dì Africanus, che qui non comparisce, sia 
perchè regnarono insieme e non piti di venti giorni, resta il 
fanciullo Gordiano III (338-244^ Gli fu inalzata la statua in 
occasione della vittoria sui Goti nell'anno 342 ? Se si riflette 
alla mancanca d'ogni indicazione sia nella potestà tribunicia 
sia nel consolato, è piuttosto probabile, che gli sia stato reso 
questo onore nella circostanza della sua salita al trono. 

Senonchè la maggior importanza di questo monumento 
sta ncirullìma riga, dove per la prima volta in un testo epi- 
grafico appare il nome di Ncsazio ; fatto questo che insieme 
vale a suggellare l'opinione dei nostri, che il luogo degli scavi 
sia propriamente il sito dell'antica città istriana. 

Oltre di che questa pietra, al posto in cui fu rinvenuta, 
ci addita un ferminus post quem nel tempo da assegnarsi al- 
l' invasione, che dovette occasionare la costruzione di quei 
muro. E' evidente cioè che questo piedestallo, come gli altri 
frammenti d'architettura suoi compagni, no;i si trova /n f//u : 
certamente esso vi fu trasportato dal foro della città, ove so- 
steneva, non sappiamo per quanto tempo, la statua dell'im- 
peratore. 

Ai piedi di questa base si rinvenne una moneta di Giulia 
Mammea. 

Necropoli preromana. 

Dalla trincea descritta si diparte quasi ad angolo retto 
verso nord un muracelo largo circa 60 cent,, di cui si sono 
messi a nudo finora buoni 30 metri in lunghezza. E' fatto di 
breccia con saldame di terra rossa e calcina, come tuttora i 
contadini di quei luoghi sogliono costruire di preferenza i 
muri dei loro sotterranei. Ad ovest, fra questo e la trincea, 
si posero allo scoperto, alla profondità di circa i metro daf 
livello superiore del muro, tri;ntadue tombe preromane, orien- 
tate, salvo poche eccezioni, da est a ovest. Mentre le prime, 
che furono aperte nell' immediata vicinanza della trincea ro- 
mana, appartenevano ad un unico strato, più si inoltrava lo 



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— 140 — 

scavo verso nord risalendo il pendio naturale, e più numerosi 
si facevano gli ordini di sovrapposizione ; nello stesso tempo 
però la conservazione lasciava man mano a desiderare, e ciò 
in causa d'un qualche franamento prodotto dalla pressione 
enorme delle tombe soprastanti. D'altra parte, com' è naturale, 
le tombe più vicine al livello attuale del suolo, soffrirono non 
poco per i lavori di coltivazione. — Evidentemente nel muraccio 
sunnominato riconosceremo il recinto della necropoli ; uno 
della medesima larghezza e di simile fattura è quello descritto 
dal Prosdocimi nelle necropoli atcstina ; in altri luoghi aveva 
il medesimo u0ìcio una fossa. 

Fra le tombe dello strato più profondo descriverò per ora 
soltanto quella che mercè la perfetta conservazione è destinata 
a figurare come tomba-modello nel museo nesaziese a Pola. 
Consta di un letto di ghiaia ') di metri i.35 per 07 su fondo 
di roccia viva, ricinto da quattro lastre in taglio. Serviva da 
coperchio un lastrone di m. i*7Xii rozzamente riquadrato, 
il quale mediante un solco girante lungo gli orli era fatto 
combaciare colf imboccatura del sepolcro. L'arredo sepolcrale 
era composto di undici vasi di cotto, tutti ridotti in frantumi, 
meno due pentole sferiche di grossolana fattura locale, l'una 
dentro all'altra, contenente le ossa cremate del defunto. S'ag- 
giungeva una cista cordonata a due manichi, trovata in piedi 
al suo posto, di cui si poteva vedere l'impronta ossidata del- 
l' imboccatura nella parte interna del coperchio sepolcrale, ed 
una situla molto guasta, che s'era rovesciata obliquamente sulla 
cista. Tutti questi vasi erano tenuti fìssi al fondo mediante 
scaglie di pietra. 



') La gente del luogo mi assicurava di rìconoscere la ghiaia del 
sottostante canale di Badò. Se ciò fosse, sì comproverebbe 1' esistenza 
in quella valle dell' acqua corrente mentovata da Livio. Un esame del 
terreno varrà a mettere in chiaro la questione. 

Noto a questo riguardo che le parole atnnis pratterfluens moenia 
non si debbono necessariamente intendere cosi che le acque avessero 
proprio lambito il piÈ delle mura, ma come in un passo Itviano paral- 
lelo possono anche semplicemente sìgnilìcare che il fiume scorreva alle 
falde della collina, su cui solleva la città. 



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In altre tombe il letto è circoscritto da un muricciolo a 
secco ed il lastrone-coperchio è a contorni irregolari, enorme : 
uno di essi p. e. misura 3'i5Xt'S m. con uno spessore di 
i8 cent, l vasi, sia fittili sia bronzei, contenenti ora ossa com- 
buste, ora oggetti in bronzo, poggiano talvolta su sottili lastrine 
di pietra esimili servono a coprirne l' imboccatura conservando 
il s^no circolare verdastro della medesima. 

Della suppellettile sepolcrale sì parlerà diffusamente a tempo 
e lu(^o. Ora basti accennare, che accanto ai vasi fìttili a grosse 
pareti di rozzo impasto e cottura primitiva, a pancia sferica, 
privi di anse, dall' ampia bocca, i quali servono solitamente 
da ossuari — indubbiamente locali — appaiono i comuni vasi 
apuli di maggior capacità, di terra grigiastra, dai larghi manichi, 
ad ornamenti lineari e concentrici, ed altri più perfetti ad 
imitazione della ceramica ateniese, tanto a figure rosse che a 
figure nere, provenienti pur essi dall' Italia meridionale. 

D* importazione sono anche senza dubbio le ciste e le situle 
e tutti gli altri oggetti di bronzo e precisamente, a nostro av- 
viso, dovrebbero venire da centri di cultura greco-italica per 
la via di mare, sìa pure per il tramite dei centri atestini, dì 
cui ricordano alquanto lo stile e la tecnica. Cosi p. e. alcuni 
frammenti di situle istoriate che si poterono ricuperare e che 
riproduciamo a tav. HI secondo disegni gentilmente favoritici 
dalla signora Evelina Schiavuzzi-Alpi, a metà della grandezza 
naturale. 

In a un duplice fregio di animali della famiglia dei cervi 
pascolanti 1' un dietro l'altro con in bocca alcuni fili d' erba : 
maschio e femmina alternativamente. — Il frammento b ha 
sopra una fascia di baccelli un fregio di animali acquatici na- 
tanti, che si rincorrono sbattendo 1' ali. — In e vediamo un 
pezzo dell' imboccatura con una delle anse trilobate e la con- 
giuntura della foglia di bronzo coi saldami. La pancia era fre- 
giata con duplice ordine di animali (un lupa, un cervo, un 
altro animale dalla lunga coda), intrammezzatt, come pare, da 
gruppi di palmette. — d rappresenta un cocchio a due ruote, 
aperto di dietro, col parapetto molto alto ; il timone è molto 
lungo e congiunto con la cassa del carro mediante un sostegno 



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trasversale; v'è aggiogato un cavallo, tenuto per le briglie 
da un uomo in piedi sul cocchio, che nella destra impugna 
la frusta. — Resti d'una simile rappresentanza si riscontrano 
pure nel frammento e, dove la spirale tra le gambe posteriori 
del cavallo ìndica una pianta e 1' uccello rigorosamente stiliz- 
zato ricorda una cornacchia. — Nei tre frammenti f, g, h, sono 
raffigurate sacre cerimonie: le tre figure del frammento g in- 
cedenti a destra e le due del frammento h, che portano sul 
capo, a quanto sembra, delle ciste di bronzo a borchie, fanno 
parte di qualche processione, mentre in fs\ scorge una donna 
velata, la quale offre una situla ed altro ad una persona, forse 
divina, che le sta seduta di contro. 

Ricchissima fu pure la messe dt oggetti isolati e dispersi, 
che furono raccolti negli strati superiori o a fior dì terra, og- 
getti tutti appartenenti a tombe manomesse ; e' è p. e. tutta 
una collezione interessantissima dei più svariati cocci, che il- 
lustreremo quanto prima. Notiamo qui soltanto un vasetto di 
fine terracotta in forma di testina muliebre, di cui sono trac- 
ciate a vernice nera i capelli, le ciglia, le pupille; un piccolo 
cigno di bronzo a collo teso, il quale con un perno doveva 
venir infìsso in qualche oggetto; la bocca d'un vaso fìttile 
adorna di una maschera di Hermes con pctaso alato e recante 
sul collo due forellini per passarvi una cordicella ; un'elegante 
accetta di ferro ecc. 

Traccie d! una civiltà micenea. 

La presenza d' una civiltà non solo anteriore, ma anche 
di carattere af^tto dissimile ci fu rivelata subitamente da uno 
strano rinvenimento fatto nella tomba, che più sopra abbiamo 
descritta. Fra le tante scbeggic di pietra, che tenevano fìssi 
sul letto sepolcrale ossuari ed altri vasi, si tiovò una scaglia 
di calcare con un disegno inciso a spirale, il quale ricordava 
senz'altro lo stile miceneo. Più tardi, mentre si demoliva un 
pìccolo tratto del muraccio-rccinto per studiarne la struttura, 
venne alla luce un frammento di grossa lastra colle medesime 
spirali, un altro pezzo simile copriva in parte una delle tombe. 



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- 143- 

Era chiaro dunque che si erano messi in opera pezzi di qualche 
monumento più antico distrutto. Proseguendo gli scavi fin 
entro la maceria sovrastante a nord la necropoli sì raccolsero 
in mezzo al terriccio molti altri frammenti, piccoli e grandi. 
Erano lastre grosse, dello spessore fra i io e i 20cenl., prov- 
viste di incanalature di circa 4 cent, in profondità, in cui 
dovevano scorrere a gargame altre lastre, ed esse portavano 
vari sistemi di spirali, di meandri, di gradini a tratteggio e 
dentelli. 

La fìg. 7 a tav. IV (tolta da un ottimo calco cartaceo del 
prof. Puschì) ci presenta una stela, alta m. r3o, larga 0*3, 
di cui l'estremità inferiore rastremandosi a dente doveva essere 
conficcata sotterra o impostare su d'un zoccolo o dado. Entro 
una cornice dentellata si svolge un meandro di semplici e 
duplici volute avvicendate. L' esecuzione è di grande esattezza 
ed in pari tempo piena di slancio. 

A fìg. 8 è riprodotto un frammento di lastra con doppio 
fregio a spirali ricorrenti in senso inverso. 

Nella figura 9 un simile frammento con uno specchio di 
meandri rettilinei ad incrocio perpetuo, racchiuso da una cor- 
nice di gradelli a tratteggio ricordanti per il loro movimento 
il notissimo fregio delle anitrellc al passo. 

C'è speranza che dando futuri scavi nuovi e più numerosi 
contributi di questo genere si potranno congiungere alcuni di 
questi frammenti e farsi un" idea delia forma o almeno del 
genere d: monumenti cui appartenevano. 

Agli esempi ora riportati aggiungiamo, per l'interesse del 
tutto speciale che offre, un pezzo di basamentino che presen- 
tiamo da due lati a tav. IV fìg. io. Sulla faccia a, che chiamere- 
mo anteriore, sì scorge un sistema di spirali in due ordini e a 
doppio intreccio, mentre il lato b (posteriore) è adorno d'una 
serie di grandi spirali, da cui si sviluppano ad ogni giro due 
minori come nella stele più sopra descrìtta. Il Iato destro poi 
presenta un nodo dì spirali a forma di asola od omega, motivo 
questo che p. e. si trova ripetuto in due file in un paio di 
braccialetti d'oro di Troia •). Sul piano orizzontale vedonsi 
<J Schliemann a Ilios ■ p, 4^5. 



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— 144 — 

gli avanzi di una figura umana, e precisamente le due gambe 
dal ginocchio in giù, che si sporgono in atteggiamento di per- 
sona sedente ; a questa sembrano appartenere i resti di sedile 
che si scorgono di dietro con un panneggiamento. 1 piedi 
nudi e oltremodo go0ì poggiano a terra davanti un rialzo ar- 
tificiale a tronco di cono, i cui fianchi vanno gradatamente 
confondendosi col resto del terreno : esso termina superior- 
mente in una specie di coperchio umbiiicato e porta davanti 
e di dietro un intaglio triangolare. Un altro esempio dì tre 
simili rialzi spezzati, che si ricuperarono negli scavi, è ripro- 
dotto daccanto a lettera d: esso doveva appartenere ad un ba- 
samento simile, ma fr^iato a meandri con orlo di gradini. Un 
altro infine fu trovato molti anni sono nello stesso sito >) e si 
conserva nella villa Francesca del sig. Tomaso Sottocorona a 
Dignano. L' incertezza di queste forme affatto nuove nell'arte 
antica si fa maggiore e perchè ci manca il linguaggio della poli- 
cromia, di cui forse il tempio cancellò ogni traccia, ed anche 
perchè il nostro monumento non è intiero, ma manca di 
chissà quanto a sinistra. Quel rialzo sarà un altare !^ o qual- 
che altra forma di oggetto sacro, come un incensiere o simile? 
o non forse un'architettura^ S'è lecito paragonare questo og- 
getto per la sua forma a qualche cosa di noto, non si potrebbe 
assomigliarlo che a una tenda. E la figura seduta sarà un dio.' 
un defunto eroizzato .' un offerente ? 

Di alcuni avanzi di figure umane, in bassorilievo ed in 
tutta plastica, le quali dovevano far parte di queste architet- 
ture, si parlerà prossimamente. 

A detta dei maestri scalpellini di Fola, il materiale ìn cui 
sono lavorati questi monumenti micenei viene dalle cave locali 
d'Altura. Questa circo.stanza è importante siccome prova l'esi- 
stenza di un'antichissima industria paesana. 

Ornamenti di stile a0ìne, ma di ben più rozza fattura e 
limitati unicamente al genere delle stcle o cippi, fecero finora 
scarsa apparizione in alcuni scavi praticati lungo la costa del- 



') Vedi la relazione del De Franceschi ove parla di ■ ornati di for- 
1 particolare d, che Sottocorona trasportò a Dignano. 



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- 145 - 

l'antico Piceno, a Monteroberto, Ancona, Numana, Osiano e 
Tolentino e specialmente in uno importantissimo diretto dal 
prof. E. Brìzio nei sepolcreti Molaroni e Servici della necropoli 
di Novilara in quel di Pesaro; e questa mostra il rito esclusivo 
di umazione rannicchiata. >) 

Dai fatti surriferiti, con cui accordano le indagini del Brizio, 
risulta ad evidenza, che i nostri avanzi di monumenti micenei 
non appartengono alla necropoli da noi designata col nome di 
t preromana > , la quale è a cremazione. La necropoli micenea, 
anteriore d'età, resta dunque a scoprirsi. Si troverà essa negli 
strati inferiori della necropoli preromana ? E' probabile ed è 
anche desiderabile che non sia così : che altrimenti dobbiamo 
forse fin d'ora disperare dì poterne restituire sia pure una 
parte alla luce del giorno, se ne vediamo fatto tale sperpero 
dagli abitatori successivi. Comunque, la teoria d' un popolo 
solo, che abitasse ambe le coste dell' Adriatico, guadagna nuovo 
terreno mercè le scoperte di Nesazio, d' un popolo di ceppo 
illirico, il quale già in remotissimi tempi subì l' influenza della 
cultura greca. Auguriamoci che come la sorte ci favori per la 
Nesazio romana col donarci la base di Gordiano, le prossime 
indagini ci fruttino superba ed intatta una stela micenea con 
iscrizione paleoveneta. 



Massi cupellizxatì. 

Fra le altre sorprese di questi scavi va annoverato anche 
il rinvenimento di un coperchio dì tomba cupeliizzato. Essendo 
nei nostri paesi il primo esemplare noto o riconosciuto di 
questo primitivo genere di monumenti, si credette dapprima 
ad un gioco di natura, per quanto i contadini, ben pratici in 
queste cose, vi scorgessero tosto la mano dell' uomo. Infatti 
la superfìcie di questo lastrone largo m. 0-96 e lungo circa iS è 



') Monumenti antichi publicati per cura della r. Accademia dei Lincei 
V (1895) p. 85 8cgg. 



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— 146 — 

tutta disseminata di scodelle o incavi emisferici comunicanti me- 
diante canaletti, a gruppi, con una certa regolarità e respon- 
sione. Ma gli occhielli escono qua e là dall' ambito del coper- 
chio; quindi non erano stati praticati sul lastrone stesso, bensì 
questo sarà stato staccato da qualche gran masso già anterior- 
mente cupellìzzato. Sta il fatto che, per quanto sappiamo, simili 
segni si riscontrano soltanto su roccie fisse, su massi erratici 
o ciottoli alluvionali. Simili scodelle credo aver ancora osser- 
vato sul Iato stretto d' un altro coperchio e sulla faccia d'una 
di quelle lastre micenee. Ciò prova, come a priori si poteva 
credere, che questi ornali cupelliformi risalgono ad epoca an- 
tichissima, assolutamente primitiva. Sullo scopo e il significato 
di questi segni regna la più completa oscurità : certo è solo, 
eh' essi appaiono in gran numero in tutte le r^ionì d' Europa, 
fino al più estremo settentrione. <) 

Edifici romani. 

Ad est della necropoli preromana, pure sul versante meri- 
dionale della collina di Visazze, si iniziò lo scavo d' una casa 
con bell'atrio a pilastri di pietra agli angoli e colonnine fatte 
di tamburi di cotto incrostati dì cemento. In uno dei vani pro- 
spicenti quest' atrio è degna di partìcolar nota una parete, 
la cui superfice cementata formicola di graditi rappresentanti 
architetture intramezzate da tabelle votive ansate con iscri- 
zioni. Mercè un ottimo calco favoritoci dal sig prof. G. Va- 
tova sarà agevole in avvenire riprodurre per la stampa quei 
graflìti, i quali del resto furono felicemente levati per opera 
del dott. B. Schiavuzzi e si conservano nel museo nesaziese a 
Pola. In questo scavo si rinvennero monete ben conservate 
dell' impero nonché utensili domestici. Si riferirà di più nel 



') Rimandiamo per ora il lettore all' esauriente articolo del dottor 
Antonio Magni (su alcune pietre cupelliformi scoperte nei dintorni di 
Como) nella Rivista archeologica della provincia dì Como, fase. 43-^4. 
giugno 1901. dov'è raccolta pure tutta l'immensa letteratura relativa 
alla questione. 



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- 147 — 

prossimo resoconto, quando lo scavo sarà condotto a com- 
pimento. 

Altri restì di edificio si scopersero, in parte, in un'arca 
adiacente alla necropoli, con pavimento a suspensure. 

Conclusione. 

Non può certo sfuggire a nessuno l'importanza eccezio- 
nale dei risultati ottenuti mediante queste due brevi campagne 
di scavo, sia per la quantità sia per la qualità, se si considera 
che si mìsero in evidenza le traccie di cinque e forse anche 
sei epoche nella storia dì Nesazio e dell' Istria. Così le pietre 
cupcilizzatc sembrano rimontare ad età litica, e ai pochi ma 
chiari avanzi d'una civiltà micenea, o egea che si dica, s^ue il 
periodo immediatamente preromano con una necropoli di ca- 
rattere atestino, nella quale si potranno facilmente, alla mano 
della suppellettile sepolcrale, distinguere varie epoche ed arri- 
vare certo fino al tempo della conquista romana. Del lungo 
periodo romano, che forse è stato 1' ultimo di questa città, 
abbiamo ricordi dei primi tempi dell'impero (epoca di Nerone) 
nella casa scoperta nel 1900, dell'epoca probabilmente d'A- 
driano negli avanzi dei templi e d'altri edifici pubblici ; final- 
mente del basso impero ci parla l' iscrizione di Gordiano, e 
quel vallo fatto di antichi pezzi architettonici ci rappresenta 
al vivo il tempo delle incursioni e dell' incipiente barbarie. 

Chiudiamo intanto questa prima relazione colle parole fa- 
tidiche del Kandler : altre cose latenti si desiderano e si sperano. 

DoTT. Piero Stic»tti 



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MONETE ROMANE 
pinveoate negli scavi di ]lesazio 1900-1901 



Le monete venute alla luce sono 48. Di queste 42 sono 
decifrabili, 29 furono trovate sparse nel terreno d' escavo, 
13 si rinvennero quasi unite assieme nella cosidetta * Casa 
del grafito * 3 vennero alla luce nelle tombe del campo 
Batel vicino a Nesazio, ed una in una tomba al lato della strada 
che conduce a Badò. 

Il loro grado di conservazione è vario e nella descrizione 
viene segnato con un C accompagnato dalle cifre i, 2, 3. 

Le epoche da esse rappresentate abbracciano uno spazio 
di tempo che va dal 240 circa avanti Cristo fino al 378 dopo 
Cristo; quindi 6 secoli. 

Asse onciale 268-217 a. G. 

I. D). Testa di Giano bifronte laureata. Al disopra | 

R). Prora di nave. Al disotto ROMA. 

Sopra la prora ci doveva essere un simbolo. La moneta 



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— 149 — 

è però colà mancante d' un pezzo ed alquanto corrosa, per cui 
del simbolo nulla si può vedere. 

C.*; diametro 32 Mm-; peso 19.87 grm. '\ 

Babelon I. pag. 5o N.° 26. 

Vittorìato 268-217 a. C. 

3. D]. Testa laureata e barbata di Giove. 

R). ROMA. Vittoria in piedi rivolta a d., corona un trofeo. 
Nel campo a destra P {Pacstum ?). 

Argento di bassa lega, in modo che la moneta è verdo- 
gnola. C.'; diametro 17 Mm. ; peso 3.04 grm. 

Babelon 1. pag. 56, N. 36. Non trovo però fra le lettere 
ed i monogrammi da lui segnati la lettera P (Pacstum), che 
non manca fra i bronzi delia stessa epoca. 

Scavi 1900 — Oggetti sparsi. 

Deaarìo della Gens Cassia — C. Cassìus Longlaus 109 a. C. 

D). 3. Testa nuda della dea Roma coli' elmo alato a destra, 
di dietro * ed un'urna pei voti. 

R). C CASSI. ROMA. La Libertà tiene uno scettro ed un 
berretto, in piedi sopra una quadriga al galoppo verso destra. 

AR. C.2; diametro 17 Mm. ; peso 3,g5 grm. 

Babelon I. pag. 325, N.° i. 

Scavi 1900. — Oggetti sparsi. 

Augusto 13 a. C — 14 d. C. 

4-6. D). DIVVS AVGVSTVS PATER. Testa radiata a si- 
nistra. 

S). Altare. Ai lati S. C. Sotto PROVIDENT. 

MB. 

Coniata sotto Tiberio. 

Cohen L pag. 75 N." 272. 

Di questa moneta vennero trovate tre varietà, differenti 
fra di loro pel conio, diametro e peso. 



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Viriti 


(liKIn 


PI. 

Or»Bl 


Altezza delle lettere 




MI li 
Citili 


diritto 


rovescio 


llOiI 


p,»„„| ..e. 


MB. 


Hilllixtrl 


1. 


32 


lO.O 


3 V* 


3 


9 'h 


c 


1900 


li. 


37 


10.22 


3 


! V« 


7 Vj 


Cs 


1900 ; 


111. 


29 


8.84 


2 3/4 


3 V, 


S Vi 


C! 


1901 



7. D). DIVVS AVGVSTVS PATER. Testa radiata a sinistra. 
R). Aquila colle ali aperte, sopra un globo. W Iati S. C. 
MB. C* ; diametro 29 Mm. ; peso 11.27 grm. 

Coniata sotto Tiberio. 
Cohen 1. pag. 72 N. 282. 
Scavi 1900 — Oggetti sparsi. 

Agrìppa, morto 12 a. G. 

8. D). M, AGRIPPA L. F. COS. HI. Testa coronata a 
sinistra. 

K). S. C. Nettuno in piedi nudo, con un mantello sulle 
spalle, tiene un delfino colla destra ed un tridente nella si- 
nistra. 

MB. 0.*; diametro 28 Mm. ; peso 10.75 grm. 

Cohe 
Scavi 



9. D] 
sta nuda 



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— i5i — 

fi). PONTIF. TRIBVN. POTEST. ITER. Nel campo S. C. 
MB. C.i ; diametro 29 Mm.; peso 11. o5 grm. 

Coniata nei 23 d. C. 
Cohen I. pag. i3i. N.° 2. 
Scavi 1901 — Casa del grafito. 

Germanico, morto 19 d. C. 

10. D). GERMANICVS CAESAR TI. AVGVST. F. DIVI 
AVG. N. Testa nuda a sinistra. 

R). C. CAESAR AVG. GERMANICVS PON. M. TR. POT. 
In mezzo S. C. 

MB. CJ; diametro 28 Mm. ; peso ii.32 grm. 

Coniata sotto Caligola 3? d. C. 
Cohen 1. N." 3. 
Scavi 1901 — Casa del grafito. 

Agrippina madre, morta 33 d. C. 

11. D}. AGRIPPINA M. F. GERMANICI CAESARIS. Busto 
a destra. 

R). TI CLAVDIVS CAESAR AVG. GERM. P. M. TR. P. 
IMP. P. P. In mezzo S. C. 

CB. C8 (molto corrosa) ; diametro 34 Mm. ; peso 26.09 S"""^- 

Coniata sotto Claudio. 
Cohen I, piag. 142. N." 2. 
Scavi 1901 — Casa del grafito. 

Claudio I. 41-54. d. C. 

12. D). TI CLAVDIVS CAESAR AVG. P. M. TR. V. IMP. 
P. P, Testa nuda a sinistra. 

S). S. C. Pallade coli' elmo e scudo in piedi, gradiente a 
destra, lancia un giavellotto. 

MB. C; diametro 28 Mm. ; peso 11.70 grm. 

Coniata nel 41 d. C. 
Cohen I. pag. i65 — N." 87. 
Scavi 1901 — Casa del grafito. 



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Nerone 64-68 d. C. 

i3. D). NERO CLAVD. CAESAR AVG. GER. P.M. TR. 
P. IMP. P. P. Testa radiata a destra. 

R). S. C. Air esergo ROMA. Roma cimata seduta sopra 
una corazza e scudi a sinistra, tiene una Vittoria ed il para- 
zonio, it piede sopra un elmo. 

MB. (Oricalco) C.^; diametro 3o Mm. ; peso 14,36 grm, 

Cohen 1. pag. 3o3, N.° 339. 

Scavi 1901 — Casa del grafito. 

Veapasiano 60-79 d. C. 

14. D). IMP. CAES. VESPASIAN. AVG. COS. Ili. Testa 
laureata a destra. 

R) S. C Aquila sopra un globo, colle ali aperte, rivolta a 
destra. 

MB. C; diametro 37 Mm. ; peso 9.14 grm. Porta le 
traccie del fuoco. 

Coniata nel 71 d. C. 

Cohen I. pag. 324. N." 446. 

Scavi 1900. Tombe nei campo Batel. 

i5. D). Da destra a sinistra IMP. CAESAR VESPASIANVS 
AVG. Testa laureata a destra. 

R}. Da destra a sinistra. PON. MAX. TR P. COS. V. Ca- 
duceo alato. 

AR. C*; diametro 18 Mm. ; peso 3.19 grm. 
Coniata nel 74 d. C. 

Cohen 1. pag. 387, N." i5i. 

Scavi 1900 — Oggetti sparsi. 

16. D). Da destra a sinistra. IMP. CAESAR VESPASIANVS 
AVG. Testa laureata a destra. 

R). Air esergo COS. Vili. Due buoi aggiogati all'aratro. 
AR, C; diametro r8 Mm. ; peso 3.09 grmi. 
Coniata nel 77-78. 



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- i53 — 

Simile al Cohen I, pag. 378, N.** 73, differisce però, que- 
stó ultima ha VESP. 

Scavi 1900 — Oggetti sparsi. 

17. D). IMP. CAES. VESPASIAN. AVG. COS. III. Testa 
radiata a destra. 

J^. S. C. All' esergo ROMA. Roma elmata seduta sopra 
una corazza, ha il parazonio ; tiene colla destra una corona. 
Di dietro alcuni scudi. 

MB. (oricalco) C ; diametro 27 Mm. ; peso 8.5a grm. 
Coniata nel 71 d. C. 

Cohen 1. pag. 3i5. N." 38j. 

Scavi 1901. Casa del grafito. 

18. D). IMP. CAES. VESPASIAN. AVG. P. M. TR. P. P. 
P. COS. Ili Testa laureata a destra. 

R). MARS VICTOR. S. C. Marte in piedi rivolto a destra, 
tiene un'asta nella destra ed un trofeo nella sinistra. 
GB. C.i ; diametro 34 Mm. ; peso 28.04 grm. 

Coniata nel 71 d. C. 
Cohen 1 pag. 309, N.*> 335. 
Scavi 1901. — Casa del grafito. 

Tito. 72-ai d. e. 

19. D}. IMP. T. CAES. AVG. P. M. TR. P.COSVIIL Te- 
sta laureata a destra. 

S). AEQVITAS AVGV3T. L' Equità in piedi a sinistra, 
tiene una bilancia ed un' asta. 

MB. C.S ; diametro 36 Mm.; peso ti.oo grm. 

Coniata nell'80 d. C. 
Cohen I. pag. 357 N,** 143, 
Scavi 1901. Casa del grafito. 

Domìciano. 72-96 d. C. 

30. Di. CAESAR AVG. F. DOMiTIANVS COS. H. Testa 
laureata a destra. 



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- i54- 

R.) VICTORIA AVGVSTA S. C. Vittoria a destra in piedi 
sopra una prova di nave, tiene una palma ed una corona. 

MB. C; diametro 3? Mm. peso 9.64 grm. Porta le traccie 
del fuoco. 

Coniata nel 73 d. C. 

Cohen [. pag. 4S3, N. 542. 

Scavi 1900. Tombe sulla strada che conduce a Badò. 

Trajaao. 08-117. 

31. D). IMP.CAES. NERVA TRAIAN. AVO. GERM. P. M. 
Busto laureato a destra. 

S). TR. FOT. COS. 1111 P. P. S. C. Vittoria gradiente a 
sinistra, tiene una palma ed uno scudo sul quale si li^ge S. 
P. Q. R. 

MB. C.*; diametro 37 Mm.; peso 10.75 grm. 
Coniata nel 101-103. 

Cohen li. pag. 84. N. 536. 

Scavi 1900. Oggetti sparsi. 

32. Eguale al N." 21, differisce però pel peso che è di 
grammi 7.07. Porta traccie del fuoco. 

Scavi 1900. Tombe nel campo Batel. 

23. D). IMP. CAES. NERVA TRAIAN. AVO. GERM. P. M. 
Testa laureata a destra. 

R). TR. POT. COS. mi. P. P. S. C. Vittoria gradiente a 
sinistra con una palma ed uno scudo entro cui sta scritto S. 
P. Q. R. 

MB. C»; diametro 36 Mm. ; peso 9.80 grm. 
Coniata nel 101-103. 

Cohen li. pag. 84. N. 536. 

Scavi 1901. Casa del grafito. 

Adriano 117-138 d. C. 

34. D). HADRIANVS AVGVSTVS. Testa laureata a destra. 
R). COS. III. 5. C. La Salute in piedi a destra, dà da 
mangiare ad un serpente che tiene fra le braccia. 



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~ i55 — 

MB. C; diametro 36 Mm. ; peso 8.73 grm. 
Cohen II. pag. 191. N.° 739. 
Scavi 1900 — Oggetti sparsi. 

25. D). HADRIANVS AVO. COS. Ili P. P. Testa nuda a 
destra. 

R). ANNONA AVO. Modio con 4 spiche ed un papavero 
nel mezzo. 

AR. (suberata) C.*; diametro 19 Mm. ; peso 3.6S grm. 
Coniata nel 118 d. C. 

Cohen II. pag. tia. N." 95. 

Scavi 1900. Oggetti sparsi. 

Aotonino pio 138-161 d. C. 

36. Ui. ANTONINVS AVG. PIVS P. P. TR. P. XI. Testa 
laureata a destra. 

R). Air esergo VOTA. Al mainine COS. III. S. C. Antonino 
in piedi a sinistra, tiene colia destra una patera sopra un tri- 
pode acceso ed un libro. A terra una vittima. 

MB. C," ; diametro 26 Mm. ; peso 8.84 grm. Porta le 
traccie del fuoco. 

Coniata nei 148 d. C. 

Cohen li. pag. 140. N.° 973. 

Scavi 1900. Tombe nel camp>o Batel. 

27. D). ANTONINVS AVG. PIVS P. P. TR. P. COS. 111. 
Testa laureata a destra. 

R). FELICITAS AVO. La Felicità in piedi a sinistra, tiene 
nella destra un globo e nella sinistra una cornucopia. S. C. 

MB. C»; diametro 38 Mm. ; peso 8.92 grm. 

Non esiste in Cohen. La rappresentazione del rovescio 
corrisponde al N.° 593. Però ambo le leggende non corri- 
spondono. 

Coniata nel lòc d. C. 

Scavi 1901. Casa del grafito. 

28. D). ANTONINVS AVGVSTVS PIVS P. P. TR P. COS. 
IH. Testa laureata a destra. 



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— i56 - 

S). IMPERATOR II S. C. La Libertà in piedi a sinistra, 
tiene un berretto ed uno scettro. 

MB. CJ ; diametro 38 Mm. ; peso 1 1-73 grm. 

Coniata 140-143 d. C. 
Cohen VII. pag. 149. N.° 73. 
Scavi 1901. Oggetti sparsi. 

Faustina madre, morta 141 d. C. 

29. D}. DIVA FAVSTINA. Busto a destra senza velo. 
R). AVGVSTA S. C. Diana gradiente a sinistra tiene il 

velo sul capo ed una torchia. 

MB. C.*; diametro 26 Mm ; peso 10.33 grm. 

Coniata dopo la sua morte. 
Cohen II. pag. 443. N. 179. 
ScaTÌ 1900. Oggetti sparsi. 

30. D). DIVA FAVSTINA. Busto senza velo a destra. 

R). AVGVSTA S. C. Cerere (?) in piedi a sinistra, tiene 
una torchia e solleva le vesti. 

MB. C; diametro 39 Mm. ; peso 7.90 grm. Porta le 
traccie del fuoco. 

Coniata dopo la sua morte. 

Cohen II. pag. 443. N.° 190. 

Scavi 1900. Oggetti sparsi. 

Settimio Severo 193-211 d. C. 

3\. Dt. SEVERVS PIVS AVO. Testa laureata a destra. 
R). P. M. TR. P. XIII COS. III. P. P. Minerva elmata in 
piedi a sinistra, colla Vittoria in mano ed un'asta rovesciata, 
AR. C; diametro 20 Mm. ; peso 3.oi grm. 

Coniata nel 2o5. 
Cohen III. pag. 268 N.° 293. 
Scavi 1901. Oggetti sparsi. 

Giulia Domaa, morta 217 d. C. 

32. B). IVLIA AVGVSTA. Busto a destra. 



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- i57- 

S). PIETAS PVBLICA. La Pietà in piedi presso d'un 
altare parato, acceso; alza ambo le mani. 

AR. C.*; diametro ig Mm. ; peso 3.1 1 grm. 

Coniata circa il 3o3. 
Cohen 111. pag. 340, N." 83. 
Scavi igoo. — Oggetti sparsi. 

33. La stessa moneta. Differisce per la forma dell'altare, 
che è più ristretto. Il peso è di 2.g3 gr. 

Scavi iggo. — Oggetti sparsi. 

Caraealta 196-217 d. C. 

34. D). IMP. ANTONINVS PIVS AVO. Busto laureato a 
destra con paludamento e corazza. 

R). LIBERTAS AVG. La Libertà in piedi a sinistra con 
scettro e berretto. 

AR. CI ; diametro 30 Mm. ; peso 3.g2 grm. 

Coniata nel 204-309 d. C. 
Cohen 111. pag. 374, N.° gó. 
Scavi 1901. — Oggetti sparsi. 

Giulia Mammea, morta 236 d. C. 

35. Di. IVLIA MAMMAEA AVG. Testa a destra. 

R}. IVNO CONSERVATRIX. Giunone diademata e velata 
in piedi a sinistra, tiene una patera e lo scettro. Ha il pavone 
ai suoi piedi. 

AR. (molto basso) C.>; diametro 18 Mm.; peso 3.85 grm. 

Cohen 111, pag. 78, N.° 11. 

Scavi 1901. — Oggetti aparsi. 

Massimlno I. 236-238 d. C. 

36. D). IMP. MAXIMINVS PIVS AVG. Busto laureato a 
destra con paludamento e corazza. 



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— i58 — 

S). FIDES MILITVM. La Fedeltà in piedi a sinistra, tiene 
in ambo le mani un' insegna militare. 

AR. C.>; diametro 21 Mm.; peso 2.79 grm. 
Cohen IV. pag. 8g N." 6. 
Scavi 1900. — Oggetti sparsi. 

Valerìano padre. 264-260 d. C. 

37. D). IMP. C. P. LIC. VALERIANUS P. F. AVG. Busto 
radiato a destra. 

S). APOLINI CONSERV. Apollo nudo in piedi a sinistra, 
tiene un ramo d'alloro, è appoggiato ad una lira collocata so- 
pra una roccia. 

AR. (coperta solamente d'argento). C.i; diametro 33 Mm. 
peso 4.0S grm. 

Cohen IV pag. 3i5, N.° 19. 

Scavi 1900. Ometti sparsi. 

Claudio II. gotico. 269-270 d. C. 

38. D). IMP. C. CLAVDIVS AVG. Testa radiata a destra, 
S). MARS VLTOR. Marte cimato nudo in piedi, gradiente 

a destra, col mantello svolazzante, con lancia nella destra e 
trofeo nella sinistra. A destra H. 

PB. C; diametro 23 Mm.; peso a.44 grm. 

Cohen V. pag. 97, N. 124. 

Scavi 1900. — Oggetti sparsi. 

Costantino magno 306-337 d. C. 

39. D). CONSTANTINVS P. F. AVG. Testa laureata a 
destra. 

R}. GENIO POPVLI ROMANI. Il Genio con una patera 
nella destra ed una cornucopia nella sinistra. 
Air esergo P. T. (Prima Tarraco). 
PB. C»; diametro 24 Mm. ; peso 4.62 grammi. 



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- i59- 

Simile al Cohen VI, pag. i3ò, N° 298; differisce però 
perchè vi manca l' IMP. 

Scavi 1901, — Casa del grafito. 

Costante I. 333-360 d. C. 

40. Di. CONSTANS AVG. Testa diademata a d. con palu- 
damento e corazza. 

R). GLORIA EXERCITVS. In mezzo un'insegna col monogr. 
ài Cristo sul drappo ; ai lati due guerrieri coli' elmo ed un'asta 
in giù, appoggiantisi ad uno scudo. 

All' esergo R * T (Roma tcrtia). 

PB. C* ; diametro 1 5 Mm. ; peso i .07 grm. 

Cohen VI. pag. 367 N." 143. 

Scavi 1900. — Ometti sparsi. 

Costanzo Gallo 331-34 d. C. 

41. D). D. N. CONSTANTIVS IVN. NOB. CAES. Busto 
nudo a destra con paludamento. Dietro la testa A. 

R], PEL. TEMP. REPARATIO. Milite cimalo in piedi s'av- 
venta con furore, armato d'asta, contro un nemico, che cade 
assieme al cavallo e tende supplichevole una mano: a terra 
uno scudo. Nel campo a sinistra LXXU. 

PB. C diametro 21 Mm. ; peso 3.85 grm. 

Cohen VI. pag. 353, N.° 39. 

Scavi 1900. — Oggetti sparsi. 

Valente. 364-378 d. C. 

42. D). D. N. VALENS P. F. AVG. Busto diademato a 
destra con paludamento. 

R). SECVRITAS REIPVBLICAE. Vittoria gradiente a sini- 
stra ; tiene una corona ed una palma. 



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^ lÒo- 

R 

A destra S a sinistra C (il C attaccato alla parte supe- 
riore dell' A 

All'esergo ASISCE (Prima Siscia) 

PB. C ; diametro 19 Mm.; peso 3.35 grm. 

Cohen VI. pag. 420. N.° 73. 

Scavi 1901. — Oggetti sparsi. 



Pota, ij Mar\o 1903. 



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QUARNÀROoCARNÀRO?QUARNÈROoCARNÈR07 

Postilla etimologica. 



Innanzi tutto un po' di storia sul nostro golfo. 

E r antico sirtus ftanaticus % oggidì detto comunemente 
Quarnero, golfo che bagna ad Est le spiagge della Croazia, ad 
Ovest, ed un po' anche a Nord-Ovest, le coste della penisola 
istriana. 

Già Dante, nel ben noto passo dell'Inferno (e. IX, v. ii3). 
lo ricorda sotto la forma di Quarnaro ^). Alcuni commentatori 
però, tra' quali il Foscolo 3), leggono qui Carnaro. Secondo 
questi, it nostro golfo sarebbe stato cosi appellato da un vento, 
detto appunto Carnaro, pericolosissimo ai naviganti che solca- 
vano quel tratto di mare, tanto che non di rado trovavan colà 
la morte *). Secondo altri, quel nome starebbe 11 ad indicare 



I) Singotar invero ci pare la derivazione di flanaticus da Flattona. 
Perchè non piuttosto Jlanottalicus ? Plinio (Nat. Hisl. IH ai [a5] iSg del 
V tdiz. Detlefsen) però ha: • lus Ilaltcmii habenl eo (Scanionitano) 
ionventtt Alulae, Flanales a qutbiis stiius notninalur. • 

') È questa anche la le;(ÌDne più esatta ed accettata oggidì da quasi 
tutti i commentatori della Divina Commedia. 

^) Cfr. la Divina Commedia di Dante Alighieri illustrata (Londra, 
Roland! 184^), tom. II pp. 92-93 n. 

*) Fr. da Buti. Commento sopra la Divina Commedia di Dante 
Alighieri pubblicato per cura di Urea Giannini (Pisa. Nistri i858) 1 p. J70. 



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chiaramente la grande quantità di tombe (!) che trovavansi su 
quelle spiaggic, così da formarne un vero e proprio cimitero : 
simili luoghi venendo, con denominazione comune dell'evo 
medio, chiamati anche carnaria '). Questi sieasi commentatori 
poi, per sostener meglio la loro spiegazione, citano in proposito 
l'autorità di Flavio Biondo da Forlì, il quale chiosando il noto 
passo affermava: Camarius a multitudine cadavemm, quae fre- 
quentibus ibi tempestatibus fiunt, esl appellatus. Fu precisamente 
per questa cagione più poetica, del resto, che altro che il Foscolo 
si sentì indotto a preferire la lezione Carnaro all'altra più comune, 
più antica ed etimologicamente più esatta che è Quamaro, 
* perchè — egli dice — Carnaro fa indovinare più presto la 
ragione della spiaggia montuosa di tumuli sepolcrali (che questo 
è il significato del mro dantesco) per l' infinità di cadaveri 
portativi dalle burrasche del mare ^]>. 

Se ben si riguarda la posizione geografica, anziché sulla 
costa istriana, specie coli' imperversare di Borea, i cadaveri dei 
naufraghi stanno per esser risospinti sia sulle isole del Quarnero, 
sta in alto mare. 

L' arabo Idrisi, che, vissuto alla corte di Ruggero li, re 
dì Sicilia^ compilò la vasta sua opera geografica verso la fine 
del 1 153, ci ebbe a lasciare preziose indicazioni topografiche 
sulle diverse cittadelle dell'Istria (Isteria, com'egli la chiama). 
Così, dopo averci narrato di Mùgla, Umàgò, Bareni^ò, Ròìghnò 
o Rùighnù, Bòia (che risulterebbe, secondo lui, di antichissi- 
ma fondazione greca, avvenuta per opera dei Colchi che la 
dissero IliXa), tocca anche dell'altra costa, ricordandoci quali 



I) Camarium spiega il Du Gange 'Glossarium ecc. II s v.) con 
OssariutH . . . Coetneierium V. anche Canello in Archivio glollologico ita- 
liano, V. UT p. 3o6 ; Diez. Et Wt. d. rom. Spr. 3. Js. cimeterio); KBrting. 
Laleinisck-romaniadtes Wòrttrbuc-h I ed n. 1671; II ed. n 19.(6. 

*) Gfr, l'articolo di Giorgio Trenta in Giornale Dantesco III pp. 
333-39. — Sempre arzigogolando su questa eiimologia, un altro poeta 
italiano, il Berlingeri, cantò : 

• Per le molle tempeste ora 6 Carnaro 
da naufraga detto gente e morta. > 



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— i63 - 

città : Aidwrana, Albana, Flàmòna, Mòlendhìna (I' odierno Me- 
dolino); ma del Quarnaro non fa parola. 

Il compianto prof. Guglielmo Tomaschek, il quale nei Ren- 
diconti dell'i. Accademia delle scienze di Vienna pubblicò, anni 
or sono, uno studio assai pregevole sul geografo arabo inti- 
tolato: t ZurKundeder Hàmus-Halbinsel. Die Handelswi^e im 
12. jahrhundert nach den Erkundigungen des Arabers Idrist i);> 
osserva a pag. 341 : « Golfo de Quarnar, Quamer oder Golfo 
Carnale (sici) bewahrt noch, wie der Landesname Krain, das 
Andenkcn an die keltischen Carni ^. » 

in una notizia privata che l' egregio professore ci volle 
gentilmente fornire, ritorna di nuovo, e si direbbe con certa 
compiacenza, su questo suo etimo. A conferma del quale ^U 
ricorda l'a. a. ted. Chreinara, » Kraimr » [Carnero); m. a. t. (^rei- 
narii dei t Monumenta Boica* (voi. 28 I, 3io; a. 974). 

Però su questa sua derivazione del nome del golfo dal 
celtico pare non voglia troppo insistere, poiché, quasi ad at- 
tenuarne la portata, soggiunge .'dubito dopo : 

t Sehr wohl móglìch wàre auch Ableitung von lat. quercus, 
quernus, querneus, *quemalis (!) (mit Strandeichen bewachsen), 
was Tur Cherso etc. gut zutriffi». Ed in coda aggiunge: «Bei 
Novara in Piemont heisst eine Ortschaft Quarna. » 

Ora, con tutto il rispetto dovuto ad un uomo cosi bene- 
merito della scienza geografica quale è il Tomaschek, noi ci 
permettiamo di non accettar per buona nessuna delle etimolo- 
gie ch'egli presunse dare del golfo in questione. 

Che, per esempio, le Alpi Giulie si sieno potute considerare, 



') Cfr. SilsuHgsberichfe der phii-kislor. Classe der K. Akoilemie der 
IVissenscìrafIen in ìVien. Jahr i88(>. Bd. CXIII. p. 385-373. 

*) Vero è che i Cnmi erano popoli ben noti ai Romani. Cosi Tito 
Livio, descrivendo il viaggio di Cassio da Aquileja. nomina i Carni ed 
i Giapidi accanto agli Istriani ; distinguendo però queste popolazioni dai 
Galli. 'Circa questo tempo vennero i deputali dei Carni, degli Islri e 
dei Giapidi >. (Cfr. lib. XLHl. 5: Lucio, Dalmat. p, 70;. Del resto, il no- 
me de' detti Carni si fa da alcuni (I C. Zcuss p. 348) derivare dal celt. Cam 
(lat cortili, led. Hom)-. con che si risalirebbe sempre alla nostra base Cornu. 



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_ i64- 

ed anzi risultino fino ad un certo punto quasi la continuazione 
delle Gamiche, sta bene ; ma che poi tutto quel tratto di mare 
ove r Adria ad oriente s' tnsena abbia dovuto ripeter il suo 
nome da' Carni o da' Celti (Kópvai, Carnia, Cantiola), a noi al- 
meno non pare probabile; e nemmeno riteniamo possibile che 
il golfo, il quale bagna la costa orientale dell' Istria, sia stato 
denominato Quarnero dalle querce ■) onde un di andava ricca 
e superba quella spiaggia. Certo, anche noi non abbiamo la 
pretesa di scioglier interamente la questione col tentatifo che 
qui mettiamo innanzi; serva esso, se non altro, a rendere in 
qualche guisa conto della ragion etimologica del vocabolo 
cotanto torturato. 

Ma, proseguiamo nella rassegna degli altri etimi, più o men 
felici, proposti da' varj autori. 

Altri volle vedere nel nome dato all' antico f/nuf^na/iciu 
rispecchiata quasi un' idea poetica. Quasi tutta la costa istriana, 
si disse, è rinomata per gli scogli e per i dirupi sporgenti più 
o meno a picco sul mare. Una tale accidentata conformazione 
di terreno deve aver colpito già nell' antichità la fantasia dei 
poeti, se questi qua e là ce la ritrassero coi più vivi colori. 
Cosi, fra gli altri Lucano, nella Farsaglia lib. IV, vv. 455 sgg., 
la dipinge in modo veramente sublime : 

< Impendent cava saxa mari, ruiluraqut semper 
Stai - mirum - moles et silvìs aequor intimbral. 
Huc fractas aquilone rates summersaque ponlus 
Corpora saepe tuHt caecUque abscondit in anlris: 
Restituii raptus leclum mare cumque cavernae 
Evanuere /return contorli verticis undae » . 
È ben vero che, tenuto conto delia mera ragion poetica 
qui espressa, cioè dei cava saxa, quae impendent mari, e della 
moles semper ruffura, non ci sarebbe da stupire che il nome del 



') Prescìndendo dal fatto un po' singolare che un braccio di mare 
abbia preso il suo nome da piante clic possono aver vegetato so isole 
da esso bagnate, e menando pur buona al prof. Viennese la sua spie- 
gazione, 'Quernario ci condurrebbe ad un 'Chemario, Camario. ma 
a nulla più. 



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— i65 — 

• golfo flanatico • fosse stato poeticamente acconciato a caver- 
nario, donde, con un po' di sforzo, anzi addirittura violenza alle 
leggi fonetiche, se ne sarebbe potuto cavare un *i;at^e)mario, 
*caumario. *comario ed, in fine, il tanto flagellato Quàrnaro, 
Camàro - Quamèro, Camera. 

Cosi dalle rocce cavernose ore era penetrato e pertinace- 
mente stava nascosto, il novello ciclope sarebbe uscito a far 
di sé bella o, se si vuole, brutta mostra appiè del M. Mag- 
giore, di cui tentava e tenta tuttavia sottominare l'esistenza. 
Ma, lasciando da parte le metafore, • per altra via, per altri 
porti > si potrà forse venire a piaggia più sicura. 

Quanto a noi, il nome del golfo che assunse forme si 
molteplici e varie va considerato sotto altro aspetto. È noto 
che denominazioni in parte simili alle ^urriferite ricorron al- 
trove, a dinotare fra 1' altro ciò che a noi precipuamente 
importa — corsi d'acqua '(• Così, per non citarne qui che una 
sola, troviamo in una region ladina Cuàrn di Rosà^X's per l'it. 
Corno di Rosazzo; Cuàrn per l'it. Como (nome di fiume) ; senza 
dire che, d'altro canto, Cornerà, cudrn — è appellativo comu- 
nissimo di monte, sia di vetta che di punta di terra, di esten- 
sione, di tratto, di catena ^) o d'altro consimile. Cfr. ad es. 
Val Cornerà de' Grigionì ; friul. Cuarnàpp per l'it. Cornappo. 

Per chi non voglia acconciarsi ad abbandonar del tutto 
l'idea poetica anzidetta, osserverò che sin da tempo remoto 
un braccio di mare del Bosforo porta ancor oggi il nome di 



') Già in antico ricorre la voce a>mu a designare corsi d'acqua, 
specie di fiumi. Cfr. Virg., En Vili, 77 : 

Corniger Htsperidutn Jluvius regnator aquarunt ; 
Ovid , Metam. IX, 773-74; 

/si. Paraetottium 

Qutie colis el sepiem digestum in cernita Nìlum. 
*) Cfr. it Vocabitlaire rhéloronum iles principaux Lrmes de chorogra- 
pliie ti des nwls qui enlrent le plus fr^quemment dans la cotnposition des 
Moiiis di lìeu, prt-cédé d'uttt inlroducliou géographique, elnograpkique et 
linguistique par It general Ih Parmentier (Paris, 1896), p. 49, dove, a pro- 
posito della voce Cuam, è detto • nam de plusieiirs cours d' eau •. 

y. anche H, Nìssen, Italische Landesltunde (Berlin, 1903) II p aa6. 



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— 166 — 

Corno d'oro {che non è poi altro se non la traduzione It. del 
gr. Xpuffixep*;). 

Ora, se noi ci siamo bene apposti, gli è appunto in un 
cort:o che s' ha a ravvisar 1" orìgine delia prima parte almeno 
della nostra forma. Secondo le leggi fonetiche, vigenti un di 
precisamente nelle isole site entro al bacino, ove il nostro 
golfo va scorazzando, da una base conio si potè facilmente 
avere un cudrn anche in sillaba àtona (come s' ha, ad esem- 
pio, nel veglioto kuarpiàt corpetto; kuaruùla cornata; nel friul. 
c«<srnizc^£ cornata : caami'// cornetto ; cuamà (corneggiare): nel 
galics. Kuargnàno nom. toc, ecc.). L'esito della no.stra voce 
appare chiarissimo, risultando — aria suffisso ben legittima- 
mente latino. Quindi da un ipotetico *Cornarium, che deve. 
a sua volta, equivalere a cornu (clr, seini/arius ^= semi/a : pi- 
lariutn -^ pila), s'avrebbe d'ora innanzi a partire per poter 
addivenire al nostro Quarnàro, Carnàro (e derivato Quamerò- 
lo) : le ulteriori evoluzioni, ì più moderni riflessi, quali i 
ven. quarnér, quarnèra « specie di vento proveniente dal Quar- 
nero » derivando in linea diretta da quello. 
Rovigno, I aprile 1^02. 



Diamo qui in appendice qualche notizia sulle varie forme 
che assunse, specie in bocca agli storici e geografi, il nostro 
golfo. 

Giov. Diacono, che scrisse ne' primi decennj del sec. XI 
la sua Cronaca Veneta (cfr. Pertz, VII 17) osserva al cap. 14, 
a proposito delle incursioni fatte dai Saraceni nell'Adriatico: 

Saraceni maxima cum exercitu usque ad Quarnarii culphurn 
pervenerunt-, quos Venelici,.... '). 



') Cfr. Hon^caXQ. Cronadtt vuntxiaite anlichìssiiiie {Rai 
pag. 114. 



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- i67- 

Nel Diario del cav. Hans von Hirnheim (Des Sitters Hans 
von Hirnheim Reiselagebuck aus dem Jahre iSóg) pubblicato dal 
prof, dott Ferdinando KhuII >), a p. 23 si legge : «Den 6. (De- 
cembris) ist gewesen des heiligen Bischofs S. Nicolaus Tag, und 
hat sich der Wind noch nit verkeren wòllen biss ungcvehr 
umb Miternacht; da hat sich ein guter Wind erhcbt, mit dem 
wir ettlich Stund fortgefaren, und sein in diser Nacht uf 
den Golf Cormei (sicl) odcr Querneri genant kumen. 

Diser Golf ist zwischsn Sclavonia und Istria, hat in die 
Praite 60 welsch oder 13 teutsche Meil Wcgs, und ligen vii 
Inseln darinnen t. 

Fr. Cluverio nella magistrale sua Italia Antiqua (Lugduni, 
1635) p. 316, a proposito del nostro seno di mare, annota: 
< Ceterutn, sìnus hic inter Hisìriam Liburniamque vulgo nunc 
Golfo di Carnero dictus, in quo sitae Absyriida insulae^. 

Il Valvassor nella sua voluminosa opera : Die Ehre des 
Her\ogtkums Krain (Laibach, 1698} voi. Il p. 121 b cosi s'e- 
sprime, a proposito dei confini dclT Istria : 1 Liburniens atte 
Grentzen vorzustellen wurde Mùhe und Kunst setzen. Ptolo- 
maeus, gibt ihm von Niedergange Hystriam, vom Anfange Dal- 
matien von Mitternacht Pannonien, vom Mittage den Sinum 
Flanalicum odcr Golfo di Camero zu Grentzen t. 



') V. Achlundzwanzigsier Jahrcsbericht des zweilen Slaats-Gymna- 
siums in Graz, veraifcnllicht am Schlusse des Schuljahrea 1897. I. Abtheì- 
lung. — La prima parie usci nel programma dello stesso istituto dell'anno 
1896. — Interessante è questo diario, oltre che per la lingua, per i dati 
si storici che geografici che esso ci fornisce, come anche per la luce 
che getta sugli usi e sui costumi del tempo. 



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-\ 



IL COMUNE POLESE 

E 

LA SIGNORIA DEI CASTROPOLA 

INTRODUZIONE 

Il libero Comune italiano — Ag'rancazionc dalle città istriane dal pre- 
dominio dei vescovi — Pola medioevale — Sue relazioni e lotte 
con Venezia sino alla fine del secolo XII — Sviluppo e organizzazione 
interna del suo Comune — Estensione e dipendenze feudali del 
auQ agro. 

Il risolvimento politico e civile del popolo italiano nel 
medio evo fu iniziato con la istituzione del libero Comune, 
il quale, pur conservando forse qualche residuo- tradizionale 
d^li antichi ordinamenti municipali romani, ci apparisce non- 
dimeno, nel suo complesso, come il prodotto nuovo di una 
nuova epoca. 

La storia comunale delle città marittime dell' Istria non è 
gran fatto disforme da quella delle altre città del Settentrione 
d' Italia. 1 nostri Comuni ebbero presso a poco gli stessi comìn- 
ciamenti e subirono le medesime evoluzioni della maggior parte 
delle Repubbliche di Lombardia: ma non raggiunsero tutti un 
completo e rigoglioso sviluppo, perchè posti entro il raggio 
d' influenza politica e commerciale di Venezia, sorta rapida- 
mente a maravìgliosa potenza. Essi soggiacquero fatalmente 
alla costei forza di attrazione e di assorbimento nel burrascoso 
periodo delle discordie e lotte civili che prepararono in tutta 
Italia l'avvento ai tiranni. Soltanto Pola, traendo dalle speciali 
sue condizioni interne maggior virtù di resistenza, potè assistere 
alla trasformazione del proprio Comune in una Signoria quasi 
del tutto indipendente, sorta e raffermatasi nella nobile casata 



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- I&5- 

indigena de" Castropola, caduta la quale, la città dovette seguire 
r umile sorte delle sue consorelle. 

Nelle città episcopali dell' Istria, quindi anche a Fola, 
furono i vescovi che per privilegi econcessionì imperiali, riunendo 
in sé il potere temporale allo spirituale, costituirono quella 
autocrazia feudale, contro la quale cominciò ad agitarsi, nel- 
r XI secolo, la coscienza libera del popolo. Al di sopra dei 
vescovi stavano i margravi, al di sopra di questi gì' impe- 
ratori, ma né gli uni né gli altri prendevano allora una diretta 
ingerenza n^li affari interni delle contee ecclesiastiche, così 
che i vescovi risultavano i veri e soli padroni dei territori loro 
commessi. 

Le tendenze emancipatrici delle città istriane dui predo- 
minio dei vescovi non furono la conseguenza d' un eccessivo 
dispotismo dì questi, giacché il reggimento politico del clero 
va risguardato anzi, generalmente parlando, come piuttosto 
mite e remissivo in quei tempi di sopraffazione e d'arbitrio, 
quando la legge era fatta ludìbrio nelle mani dei più forti. 
AlPopposto, la poca energia spiegata di solito dai prelati nel 
tutelare le prerogative delle loro chiese fu la causa principale 
del progressivo affrancamento del popolo cittadinesco, i ve- 
scovi ebbero di rado a subire un'esautorazione improvvisa e 
violenta, ma piuttosto una graduale usurpazione di poteri, ce- 
dendo essi medesimi a poco a poco quei loro diritti e privilegi, 
che, o non potevano perchè deboli, o non volevano perche ri- 
fuggenti dal sangue, difendere con la forza delle armi. Cosi, 
di rinuncia in rinuncia, ai ridussero al punto, che dell'antica 
supremazia comitale non rimase ad essi che una slarvata pre- 
minenza d' onore. 

Allora la costituzione autonoma dei Comuni divenne un 
fatto compiuto, assumendo una forma concreta e sostanziale 
con la creazione della magistratura consolare, cui venne sostituita 
più tardi la dittatura podestarile. 

Ne" tempi di mezzo Fola primeggiava ancora fra le città 
istriane per numero di abitanti, prosperità economica, ma, so- 



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— 170 — 

pratutto, per l'orgoglio de' passati vanti. Romana, era stata 
assunta, ad opera precipua de' Cesari, a quella classica gran- 
dezza, di cui conservava quasi intatte le stupende vestigia; 
bizantina, aveva mantenuto il posto d'onore come città capitate, 
risiedendo in lei il magister tnilitum, suprema autorità militare 
e civile della provincia. Durò a lungo in quella invidiata flo- 
ridezza, di cui Cassiodoro avea tessuto il magnifico elogio ; e 
accanto alle celebrate opere architettoniche dell' ingegno pagano, 
vide sorgere i non meno ammirevoli monumenti dell'arte cri- 
stiana, ravvivata alle pure fonti d'Oriente, tra cui la sontuosa 
basilica della B. V. del Canneto, all' erezione della quale pro- 
fondendo ricchi tesori, S. Massimiano arcivescovo di Ravenna 
intese onorare con la madre di Dio la propria terra natale. 
Più tardi, col crescere e diffondersi delle congregazioni religiose, 
sorsero dentro e intorno Pota numerosi e ricchi santuari ed asili di 
monaci, specialmente dell' ordine benedettino , indizio non 
dubbio dì civiltà e benessere del paese I Camaldolesi tennero 
il monte di S. Michele, e nella loro chiesa ebbe modesta 
sepoltura il beato Salomone re d'Ungheria, venuto a godere 
deli' ospitalità accordatagli da Ulrico I marchese d' Istria. 
Anche i cavalieri del Tempio fissarono stanza a Pola, isti- 
tuendovi una commenda ed un ospizio, onde proteggere e 
soccorrere le numerose schiere di pellegrini che per la via 
dell' Istria si recavano in Terrasanta. 

Eccellente situazione marittima, quasi punto mediano e di 
congiunzione fra l' Italia, di cui segnava 1' estremo limite 
orientale, e la Schiavonia, fra I' Occidente e 1' Oriente d' Eu- 
ropa, ìndustre attività agricola e commerciale, tradizioni di 
gloria, idealità del genio nazionale, tutto parea predispor- 
re Pola a un fortunato avvenire, che la rendesse pienamente 
libera e signora di sé non solo, ma che la estollesse ad 
un primato onorevole sulle minori terre della provincia. 
Ma mentre il sole della libertà iniziava il suo fulgido corso 
sull'orizzonte dei nostri Comuni, schiudendo al popolo una 
nuova tra di progresso civile e morale, avvenne il fatale cozzo 
con Venezia, che, gelosa d'ogni nascente energia forse atta 
un giorno a contrastarle il predominio dell' Adriatico, dopo 



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lunghe vicende dì guerra e di pace fece cadere a sé, una dopo 
l'altra, tutte, ad eccezione di Trieste, le città liitoranee dell' Istria. 

Dal suo primo giuramento di fedeltà, dato a Rialto nel 
933, al suo definitivo assoggettamento a Venezia, Pola vide tra- 
scorrere ben quattro secoli, durante i quali, ma più nei due 
ultimi, ebbe a sostenere con la potente Repubblica una lotta 
quasi continua, ora aperta e violenta, ora occulta e insidiosa, 
in difesa della propria indipendenza. 

Questa lotta — comune del resto anche agli altri luoghi 
della provincia — apparisce epica in certe sue fasi, gloriosa 
sempre per chi, bambino, la sostenne con pertinace ardimento 
contro un gigante, pur rimanendovi alla fine vinto e prostrato. 

Adattando idee modernissime ad un perìodo storico da 
noi tanto lontano e diverso, si volle talora far quasi apparire 
come vittoria di sentimento ed affermazione nazionale ciò che 
fu invece una necessità inesorabile, frutto dì dolorosi eventi. Le 
città dell' Istria fecero sacrifizio della propria autonomia appe- 
na quando, o per l'antagonismo che le tenca divise ed in armi 
fra loro, o per le fazioni che ne minavano l' interno organismo, 
si videro minacciate da sicura rovina. Allora la dedizione a 
Venezia s' impose ad esse come V unica via di salvezza. 

Ci fu però qualche tempo in cui fra Veneziani e Istriani 
corsero relazioni d'amicizia e di fratellevole accordo, special- 
mente durante le comuni imprese dì guerra del X secolo per 
tenere sgombro l'Adriatico dui pirati, tanto infesti al commer- 
cio marittimo. La spedizione di Pietro Orseolo contro i Croati 
della Damazia fu accompagnata dai fervidi voti degli abitanti 
delle nostre coste; e come il vescovo Andrea di Parcnzo salutò 
il doge sullo scoglio di S. Nicolò, così Bertaldo vescovo dì 
Pola, sull'isolotto di Sant'Andrea, alla testa delle rappresen- 
tanze del clero e dk:l popolo, gli presentò l'omaggio della sua 
città. Già allora l' Istria riconosceva a Venezia una specie di 
protettorato, di cui si giovava ne' suoi rapporti commerciali coi 
popoli vicini e lontani ; ma Venezia, accontentandosi dell' of- 
ferta di tenui tributi, non manifestava ancora alcuna velleità 
di predominio e di conquista. 



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— I7S — 

Appena quando i nostri Comuni, scioltisi quasi completa- 
mente dai ceppi del feudalismo, aspirarono a vita propria ed 
indipendente, cominciò il vero periodo della lotta. Pola, messasi 
alla testa del movimento, subì nel 1 145, in unione a Capodi- 
strìa e a Isola, il primo grave scacco e la prima dolorosa umilia- 
zione. Nel conseguente trattato dì pace, in apparenza bilaterale, 
va in realtà tutto a danno dei Polcsi, questi, oltre a prestare 
il solito giuramento di fedeltà, dovettero farsi vassalli in armi 
dei Veneziani, obbligandosi alla contribuzione d' una galea per 
ogni naviglio ma^iore di quindici navi, che venisse dai me- 
desimi allestito; inoltre dovettero accordar loro privilegi ed 
esenzioni daziarie entro il territorio del Comune polese, ed as- 
segnare al doge una casa in Pola, sulla riva, presso la porta di 
S. Maria del Monastero, che servisse d' abitazione a lui stesso, 
qualora intendesse recarvisi personalmente, o a un suo rap- 
presentante (console), delegato a esercitarvi la giurisdizione 
sui sudditi veneti ivi dimoranti, i quali veniano di tal maniera 
sottratti alla magistratura polese. 

Questa convenzione servì di richiamo e fondamento alle 
pretese di dominio dei Veneziani su Pola per quasi dugento 
anni, cioè sino alla finale sommissione della città- Ma la durezza 
dei patti in essa contenuti, fece maturare ben presto nell'animo 
dei Polesi propositi di ribellione e di vendetta. Cinque soli anni 
di pei, postasi a capo d'una confederazione delle città istriane, 
di cui facevan parte Rovigno, Parenzo, Cittanova e Umago, e 
collegatasi, come vuoisi, anche con Ancona e Rìminì, Pola 
rinnovò il temerario cimento; ma dopo una vigorosa resistenza, 
cedendo all'impeto di cinquanta galee, comandate da Domenico 
Morosini, figlio del doge, e da Marino Gradcnigo, devette darsi, 
debellata ma non doma, alla mercè dei vincitori, che la sotto- 
posero a condizioni di pace ancora più onerose. 

L" importanza di Pola come la più forte, animosa e senza 
dubbio anche come la più popolosa e ricca città dell' Istrìa, 
chiara emette dalle circostanze che accompagnarono questa 
guerra. L'armamento da parte dei Veneziani di una flotta 
così poderosa, destinata specialmente a fiaccare l' alterezza dei 
Polesi^ fa addivedere come la nostra città ispirasse un timo- 



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- 173- 

roso rispetto alla sua grande rivale, la quale menò alto vanto 
della conseguita vittoria, magnifìcata di poi, come un av- 
venimento dì straordinaria importanza, da tutti i cronisti e 
storici repubblicani. 

Nel 1193, mentre le migliori forze navali venete si trova- 
vano impegnate a domare la ribellione di Zara, i Pisani, 
accordatisi, come apparisce manifesto, con quelli di Pola, in- 
viarono una flotta nell'Adriatico, per muover guerra ai Veneziani, 
essendo spirata poco innanzi la tr^ua decennale fra le due Re- 
pubbliche rivali. 

Sembra che i Polesi, pronti a giovarsi d'ogni occasione 
alquanto propizia per ritentare la prova dell'armi, aprissero il 
porto e la città ai Pisani, dopo aver ricusato a Venezia la pre- 
stazione de! contributo di guerra, cui erano obbligati giusta i 
patti del 1145. In conseguenza di che, Giovanni Morosini e Rug- 
gero Premanino, capitani dell'armata veneta contro i Pisani, si 
portarono con dieci galee e sei legni minori a Pola, per ricon- 
durre la città all'obbedienza ; ma avendovi incontrato ostina- 
tissima opposizione, dovettero prenderla d'assalto, e, dopo ab- 
bandonatala al sacco delle loro soldatesche, ne ordinarono lo 
smantellamento delle mura verso la marina. 

Questa novella sconfìtta dolorosa valse a rendere i Polesi 
meno impazienti e temerari nei loro conati di riscossa ; essi 
sentirono il bisogno di un periodo di raccoglimento e di pace, 
per rintegrarsi delle energie perdute, e per rialzare le sorti 
depresse della loro città. S'accinsero difatti a riordinarvi e 
consolidarvi il governo comunale, che raggiunse in quel tempo 
la massima sua autonomia, con la conquista di non poche 
prerc^tive di alto dominio tra cui, a quanto pare, il mero e 
misto imperio, mentre per la lontananza e la trascuratezza 
degli ultimi membri della casa d' Andcchs — Merania, alla 
quale l'Istria era allora infeudata, l'autorità marchionale andava 
perdendo sempre più di forza e di prestigio. 

Gii abitanti di Pola si dividevano in cives e forensts ; 1 
primi erano i cittadini effettivi per origine o per ruotare ag- 
gregazione, i secondi gli esteri, appartenenti cioè ad altri Stati 
o ad altri Comuni, ma per lo più sudditi veneziani, ivi attcn- 



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- '74 - 

denti a speculazioni di traffico. I soli rives costituivano il corpo 
del Comune, ne sostenevano le pubbliche gravezze e ne frui- 
vano i privilegi. 

La più ampia e autorevole rappresentanza del Comune 
era T Assemblea generale del popolo, chiamata volgarmente 
Concio Arengum, della quale facevano parte tutti i cittadini 
capaci, per l'età, di esercitare i diritti politici. A questo Par- 
lamento spettava la facoltà di far leggi, di prendere provvedi- 
menti di pace o di guerra, di accrescere o scemare le pub- 
bliche imposte, di decretare le ambascerie e nominare gli 
ambasciatori, di eleggere gli ufficiali del Comune ; in una parola 
di deliberare in ogni oggetto di governo di qualche importanza. 

L'autorità esecutiva era aQìdata in origine esclusivamente 
ai consoli, i quali, data la moltiplicità e diversità delle comuni 
attribuzioni, si trovavano spesso in conflitto tra di loro. 

Ma verso la fine del secolo X!!, per dare maggior vigoria 
di unità alla pubblica amministrazione, venne istituita anche 
in Pola, dietro T esempio dei maggiori Comuni italiani, la ca- 
rica podestarile, da conferirsi di volta in volta per un solo 
anno a persona, di solito, estranea al paese. 

Accompagnando dì tali cautele la nomina del supremo ma- 
gistrato comunale, volevasi evitare le cause che avrebbero 
potuto condurre al dispotismo : cioè la lunga durata dell' u0icio 
in una stessa persona, e V interessamento e la conseguente 
partecipazione di questa alL' gare e contese cittadine. Quantun- 
que r adottamento di questa carica fosse suggerito e anzi im- 
posto dalla necessità di mettere un freno agli antagonismi e 
alle mene ambiziose degli ottimali del paese, bisogna convenire 
che la libertà pubblica ne risentì un dannoso effetto, poiché, 
mentre da un lato il popolo si trovò sottomesso in certi ri- 
guardi, poco diversamente che durante il regime comitale, al- 
l' autorità quasi dittatoriale d'un solo, d'altro canto la pre- 
minenza dell' U0ÌCÌO fu in molti casi d'incentivo a qualche po- 
tente cittadino di occuparlo indebitamente, o con l'arte o con 
la violenza, per rendersi di poi capo dispotico e signore del 
Comune. 

11 primo podestà di Pola, a noi conosciuto, è il veneziano 



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- 175- 

Ruggero Morosini conte d' Ossero e d' Arbe, il quale resse 
ia città dal 1198 al 1199. 

La magistratura comunale era allora costituita, oltre che 
dal podestà, dal Collegio dei consoli, dì solito in numero di 
tre, e da un Consìglio di sapienti (Consilium sapientum) , di 
dieci o dodici membri. Il podestà riuniva in sé al potere rap- 
presentativo r esecutivo ; giudicava, assistito dai consoli, nelle 
cause criminali e civili di maggior rilievo ed era, in tempo di 
guerra, il comandante delle milizie urbane. 

Ai consoli, oltre l'amministrazione della giustizia e la tu- 
tela dell'ordine pubblico, spettava il disbrigo di tutti gli affari 
di carattere amministrativo. I sapienti, infine, dovevano dare, 
su richiesta del podestà e dei consoli, il loro parere in questioni 
ambigue di qualche importanza, specialmente poi fungere da 
consultori nei processi giudiziari. 

Qui cade in acconcio di dare qualche ragguaglio circa 
l'estensione e la dipendenza giurisdizionale dell'agro polese, 
il quale, nei tempi di mezzo, era diviso in tre principali com- 
partimenti feudali, soggetti all'alto dominio delle Chiese epi- 
scopali di Polii, Parenzo e Ravenna. 

La pace del ii5o con Venezia fu giurata, oltre che dai 
rappresentanti della città, anche dai delegati di quindici ville 
del circondario '), le quali dovevano costituire, a nostro avviso, 
una parte residua dell' antica Contea vescovile di Pola, che in 

1) Queste ville si travano indicate, nel relativo istrumento, coi se- 
guenti nomi, ai qaalt a^iungiunio, Ira parentesi, le corrispondenti 
denominazioni odierne, e per alcune località anche la loro ubicazione: 
Medolinum (Medolino) — Pompitiianum (>) — Lisianutn (Lisignano) — 
Quornianum (poi Guargnano: forse l'attuale Gavrìgnano nel territorio 
di Gallesano) — Sissaiiuiii (Sissano) — Momianum (Momorano ?) — 
Barbolanum (Barbulian, Barbian, forse Barbane) — Tortilanum n 
TurciliaitutM (Tortian o Turcian fra Pola e Sìssano) — Oritus (forse 
Orim presso Dignano) - Cimeliiiiotte (in altra copia del medesimo docu- 
memo sta scritto Cipiclìrone) — Areatium (Arignan, fra Sissano e Lì- 
signano) — Pomarium (Pumer) - Afanum (Azan, al Nord di Pomer) — 
Tavianutn (Tavanian) — Urcivanum (al Nord di Medolino; nel sec. XV 
era ancora villa abitata e si chiamava Orcean; oggidì la località t detta, 
con corruzione alava. Vercivan). 



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- 176 - 

parecchie scritture medioevali si trova distintamente ricordata 
nella formola : I^ila ed gius episcopa/us, sive comilatus, vel di- 
slrictus, ciò che significa in altri termini, che il distretto 
polesc formava o avea formato una Contea soggetta al potere 
civile del vescovo. 

Con io svilupparsi e il consolidarsi dell'autonomia muni- 
cipaie,Ìlprerato territorio venne sotto messo, almeno parzialmente, 
alla giurisdizione del Comune, cui dovette corrispondere spe- 
ciali contribuzioni, tra cui la cosidctta quarta (la quarta parte 
dei frutti delia terra o forse della decima ecclesiastica) e 
il cosidetto erhatìcum (cioè un determinato censo per il diritto 
di pascolo}, conservandovi tuttavia i vescovi alcuni altri redditi 
oltre a una specie di supremazia feudale. Ma quando costoro 
s'avvidero che il Comune tendeva un po' alla volta ad esau- 
torarli completamente, preferirono, in odio allo stesso, di di- 
sfarsi dei loro posse»!ii, infeudandone da prima una parte a 
Ruggero Morosini. e alienando più tardi la restante porzione '), 
ai patriarchi d' Aquileia, divenuti marchesi d' Istria, 

I Polesi, volendo accrescere la potenzialità del loro Co- 
mune con l'allargarne le basi territoriali, non si limitarono 
a invadere i diritti vescovili sulle ville del circondario, ma 
estesero le loro conquiste anche a terre pìii lontane, già poste, 
a quanto pare, sotto i' influenza dei conti di Gorizia. Alcune 
colonie di Slavi, immigrate di fresco dalla Dalmazia o dalla 
Bosnia nella valle inferiore dell'Arsa, avevano fatto delle scor- 
rerie nel distretto polese, commettendovi numerosi furti e 
rapine: contro di esse i Polesi intrapresero una spedizione 
militare col consenso e l'aiuto del conte Engelberto di Gorizia. 



■) La quale si componeva ancora delle dieci ville s^uenti : Mùiila- 
iiuin (Mcdilano, Mediano. Midian presso Dignano) — Baniol (Bagnole 
presso Dignano) — Ignanum (Dignano) — PmUcianiiut (Pudezan. fra 
Dignano e Gallesano, dove esisteva sino a pochi decenni fa la chiesuola 
di S, Pietro) — Galisanum (Callcsano) — Padtmum (Paderno. presso 
Gallesano, e precisamente nella località oggidì chiamata Casali) — Ra- 
vorigum (Lavarigo) — Guranum (Guran, località a sud-ovest di Dignano] 
— SissanutH (Sissano) — Titrecilianu-m (Turciliano. Turcian. di cui alla 
nota precedente) — Fasana. 



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— 177 — 

signore di Pisino, che agiva forse in veste di rappresentante del- 
l'assente marchese d' Istria Bertoldo IV d' Andechs, e, doma- 
tole, le assoggettarono al loro Comune. 

Difatti il te febbraio del 1199 gli abitanti dì Barbana, che 
già da sette anni contribuivano alia città dì Pola la quarta e 
l'erbatico, si obbligarono con solenne giuramento, dinanzi al 
podestà Ruggero Morosini, a queste prestazioni in perpetuo, 
conformemente alle altre ville del territorio polese ; cosi pure 
di ricorrere e sottostare in certe questioni alla magistratura di 
quel Comune, e di non favorire in alcun modo i ladroni in- 
tenti a' danni dei Polesi II 4 marzo successivo, anche gli 
abitanti di Piagna (Porgnana) si assoggettarono a Pola, pre- 
stando a mani di un signor Giroldo (evidentemente primo con- 
sole del Comune, in sostituzione del podestà) una consimile 
giurata promissione, nel palazzo del voacovo e alla presenza 
di questi, cui veniva ancora riconosciuta, come si capisce, una 
certa supremazia civile. 

Abbiamo già osservato che l'agro polese, oltre la locale 
Contea vescovile, comprendeva due altri corpi feudali, posse- 
duti l'uno dalla Chiesa di Ravenna, l'altro da quella di Pa- 
renzo. Il primo traeva le sue origini dall'epoca bizantina, quando 
r Istria apparteneva all' E^rcato di Ravenna, ed era stato forse 
conceduto dall'imperatore Giustiniano al polese S. Massimiano, 
assunto per meriti personali a quella cattedra arcivescovile. Il 
feudo dì S. Apollinare, del quale faremo altrove la storia, si 
componeva di alcuni edifìzì in Pola, e di molti beni rurali, 
diritti decimali, prerogative giurisdizionali nelle ville del ter- 
ritorio. ') Inoltre, speciale e curioso privilegio conservatosi sino 

') Cioè in Cuvis (forse Cuje, in prossimilà a Lisignano) — Florianum 
(Fioran. forse i' attuale Fioban presso Pola) — hasana — Pttrorum (nel 
sec. XV chiamato Pedruol, oggidì Peroi) — Mulilianum (la Mutila pre- 
romana, e probabilmente lo stesso Medilanum, ora -Midian, dì cui alla nota 
antecedente) — Gniìsati iim (Gatìesano) — Casfaiiefiiut (Castagno presso 
Altura; era luogo abitato ancora al principio del sec. XVI) — Sii- 
nìanum (Stignano) — Virtanum (Vintian presso le Cave romane; nel 
1421 ta località, già disabitata, si diceva VitrianJ ~ Rudanum (Ruban 
presso Gallesano) — Finis (?) — Savigiiana (forse 1' odierna Siana. op- 
pure Sparignana nel territorio di Dignano). 



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- 178 - 

allo scorcio del secolo Xlll, come ultimo resìduo dei vincoli di 
dipendenza politica della capitale dell' Istria dalla capitale del- 
l'Esarcato, la Curia ravennate e per essa i di lei antisti frui- 
vano del diritto di decidere in appellazione le sentenze civili 
pronunciate dai magistrati di Pola. 

La Chiesa parentina, intìne, possedeva nell'agro polese la 
villa di Sanvincenti, i Due Castelli al Leme (piCi tardi passati 
ai patriarchi), e numerose tenute e redditi feudali in Valle e 
Medolino. 

Da quanto abbiamo esposto intorno a queste giurisdizioni, 
che i rispettivi vescovi di solito non ritenevano a sé, ma sub- 
infeudavano a potenti e fidati vassalli, onde averne protezione 
e difesa, si ricava che le medesime non comprendevano tre 
corpi territoriali compatti e marcatamente distinti tra di loro, ma 
piuttosto complessi di terreni sparsi e sminuzzati, di modo 
che in una stessa villa potevano incontrarsi e confondersi idi- 
ritti d'alto dominio di due e anche tre potentati. 

Questo frazionamento territoriale — divenuto ancor più 
accentuato in seguito alle numerose concessioni d' investitura 
da parte dei vescovi — rendeva, per la moltiplicità dei diritti 
e degli interessi privati che ne derivavano, assai di0ìcile, per 
non dir quasi impossibile, al Comune di Pold il completo as- 
soggettamento e l' incorporazione del vasto suo agro. 

Il quale abbracciava tutta l' Istria meridionale^ la parte più 
fertile e ricca della provincia; e li estendeva dall'estrema 
punta di Promontore, in forma d' un triangolo acuto, da una 
parte, lungo la costa marina, sino quasi all'altezza di Rovigno. 
dall'altra, lungo il canale dell'Arsa, sino al castello di Barbana. 
Era fama tradizionale, ricordata dal provveditore Marino Mali- 
piero nellasua Relazione del b583 al Senato veneto, cdalTanoni' 
mo autore dei Dialoghi su Pela, che esso contenesse, nel medio 
evo, non meno di 72 ville popolose. 

L' unificazione politica di questo ampio e magnifico terri- 
torio, che la sola forza dell'organizzazione comunale, per le 
ragioni da noi accennate, non era valsa a costituire, divenne 
invece un fatto compiuto, all' inìzio del secolo XIV, sotto la 
feudale Signoria dei Castropola. 



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Infeudazione della Marca d' Istria alla Chiesa d' Aquileìa — Pola sotto 
i patriarchi Volchero e Berloldo — Riforma organica del Comune 
e limitazione della sua autonomia — 11 podestà, i giudici e i con- 
siglieri delta regalia — Guerre municipali e lotte contro i corsali 

— Riassunzione di podestà veneti — Pola si ribella al patriarca — 
B' posta al bando dell'Impero — Viene sottomessa con le armi — 
Le inteme razioni — I Pola o Caslropola capi del partito patriar- 
cale — Loro origini — Vengono assunti al governo del Comune 

— Guerra del 1241 con Venezia — Assedio, espugnazione e rovina 
di Pola — Composizione di pace — 11 Comune polese nelle sue rela- 
zioni col Patriarcato — Lolle ecclcsiasiiche. 



Col SUO passaggio sotto il dominio temporale della Chiesa 
d' Aquileia, s'apre per l'Istria un nuovo periodo storico, ricco 
di eventi fortunosi, di agitazioni, di lotte ; è questo il periodo 
eroico dei nostri Comuni, i quali, già sorti a preminenza, cer- 
cano, di fronte alle rivendicazioni feudali dei patriarchi, di 
mantenere e difendere le libertà faticosamente conquistate. 

Secondate nelle loro aspirazioni dalla incuranza e acquie- 
scenza dì governo degli ultimi marchesi laici della casa ducale 
di Merania, le principali città istriane aveano raggiunto una 
quasi completa autonomìa, allorquando Volchero di Colonia, 
cui Ottone IV imperatore infeudò nel 1209 la Marca, confer- 
matagli cinque anni appresso da Federico II, prese possesso 
del suo nuovo dominio. Era preceduto da una non immeritata 
fama di rettitudine e sapienza politica, derivatagli dai successi 
diplomatici conseguiti in Lombardia, in Toscana, in Romagna, 
ove, in veste di legato, promovendone e0ìcacemente la causa, 
assicurò a Ottone la duplice incoronazione a re d' Italia ed a 
imperatore dei Romani. 

Ma gl'Istriani, e in particolare gli abitanti delle città ma- 
rittime, si dimostrarono poco propensi verso il nuovo principe, 



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— ifio — 

nel quale intuirono tendenze e fini non consentanei alle loro 
aspirazioni, né confacenti ai loro interessi •). E quando Vol- 
chero, deciso a risollevare la depressa autorità marchionale, 
cominciò a stringere ì freni ai Comuni, questi gli si volsero 
contro, e diedero, come vuoisi, anche di piglio alle armi, 
approfittando della guerra mossa al patriarca da Ludovico 
duca di Baviera, che voleva ricuperare le Marche d'Istria e di 
Carniola, stategli in precedenza assegnate e poi tolte dall'im- 
peratore 2). Solo Pirano, non sappiamo per quale spirito 
d'antagonismo verso, le altre terre della provìncia, si pose 
volontaria al servigio di Volchero, offerendosi di coadiuvarlo a 
combattere e reprimere le popolazioni ribelli. Perà questo non 
va risguardato come un atto di abdicazione dei Piranesi alla 
propria libertà municipale, poiché nell' impegnarsi ad accogliere 
entro le loro mura e ad ospitare anche per un intero anno 
il patriarca, ci addussero la condizione che egli non potesse 
introdurvi, senza speciale licenza del podestà e dei consoli, un 
numero maggiore di dieci soldati ^. 

Non è noto il risullamento dell' azione spiegata da Volchero 
in Istria, onde stabilirvi il proprio dominio; certo egli non 
riusci a vincere completamente la resistenza delle principali 
città, con le quali più tardi dovette scendere a opportune tran- 
sazioni. Secondo la concorde affermazione degli storici friulani. 
il patriarca si sarebbe portato nel 121 1 a Pola, ove convocò! 
rappresentanti dei clero, della nobiltà e del popolo, per con- 
fermar loro le antiche prerogative e consuetudini, tra le quali 
però non vanno intese le franchigie di libertà dai Comuni di 
fresco arrogatesi, il di cui riconoscimento integrale sarebbe 
equivalso da parte sua ad una volontaria rinunzia ai diritti 



') NicoLKTTi, Patriarcato d'AquIleia sotto Volfcro di Cotogna. 
(Arch Triest. N, S. Voi. II. pag, 5j e seg. — Buttazzoni, Volchero pa- 
triarca ecc. (Ivi, pag. 176). 

^) BOhuer. Regesia Imperli. V. 242. — RiBZLBR. Geschichte Baiema. 
Gotha, 1880. II, 38. — De Franceschi Carlo, L' Istria, pag. 114. 

3j Buttazzoni, o. e l.cit. Fontes rer. histr. laio, i5 gennaio, Aquileia. 



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dì sovranità '). Forse la cronologia di questo avvenimento è 
errata, potendo esso riferirsi con maggior verisimiglianza al- 
l'anno 1317, <" cui ebbe realmente luogo un concordato tra 
il patriarca e gli abitanti delle città e terre istriane, in ri- 
guardo appunto alle istituzioni comunali ^). 

Volchero, che si mostrò animato da un certo spirito di 
tolleranza e condiscendenza, morì poco appresso, senza aver 
potuto cogliere alcun frutto della sua opera jiaci beatrice, la 
quale andò in gran parte distrutta, durante la breve vacanza 
patriarcale, dai rinnovati tentativi dei Comuni di riconquistare 
la completa autonomìa. Ma ti di lui successore, che fu Bertoldo 
d'Andechs, principe avveduto e di grande energia morale, 
seppe in breve riannodare e rendere più saldi e duraturi i 
vincoli di sudditanza delle terre istriane verso la Sede d'Aqui- 
leia. A tale uopo egli si procurò nel 1220 da Federico II, oltre 
la conferma di tutti i possessi territoriali della sua Chiesa con 
le relative appartenenze giurisdiz'onall, tra cui le regalie dei 
vescovati dell'Istria s), anche, in separato diploma, il ricono- 
scimento dei privilegi di sovranità partitamente specificati. 
L'editto imperiale attribuiva al patriarca la facoltà esclusiva 
di istituire e regolare i mercati, di applicare e revocare la pena 
del bando, di amministrare i beni ecclesiastici durante le va- 
canze vescovili, di fissare i pubblici tributi, di battere moneta, 
di edificare nuovi castelli e molini, di concedere alle città e 



') NiCOLETTi. (Arch. Tr. II, 5i) : et avendo in Pola fatta congrega- 
lionc e de' Magnati (Magnati si chiamavano i Nobili e Feudatari! Islrianl) 
e de' Plebei, acciocché con una mutatione diadicevole e quasi insoppor- 
tabile non og'endesse gli animi, confìrmò le leggi vecchie, e la libertà 
delle Comunità. — Palladio, Hìslorie della prov. del Friuli. Udine, 1660. 
All'annr» 1211: Regolò indi (in Istria) lo sconcertato publico gouerno. 
Sollevò i Comuni dalle gravezze, concedendo loro larghe immunità. — 
LiRUTi. Notizie delle cose del Friuli. IV. 197 : Andò Volfchero in Istria ... 
facendo quelle disposizioni e stabilimenti che in una generale assemblea 
del Clero e del Popolo a lui parvero necessari e convenienti ecc. 

*) Thes. Eccl. Aquil. fi." 566. Pacta habila Inter d. Volcherum Pa- 
triarcham et Paysanos Islrie. Instrumentum anno Domini MCCXVll. 

*) B6HKBR. Rcg. Imp. V. 1219. 



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agli altri lut^hi podestà, rettori e consoli ; mentre inibiva ai 
Veneziani d' imporre censi alle terre patriarcali, e di costrin- 
gere i rispettivi sudditi al giuramento dì fedeltà •}. Due anni 
dopo. Bertoldo rinnovò, confermandoli solennemente. i'M Sta- 
tuti della Marca d'Istria, già promulgati da Volchero 2). 

La riforma amministrativa introdotta da questi principi 
ecclesiastici nei Comuni istriani, la quale supponiamo non 
creazione del tutto nuova, ma piuttosto una rìfacitura delle 
antiche costituzioni feudali, era basata sul privilegio di regalia») 
ossia di alto dominio, goduto dalla Chiesa d'Aquiieia in tutta 
la provìncia. L'intero organismo comunale doveva emanare e 
dipendere dalla potestà suprema del patriarca, cui erano ri- 
servate le nomine dei principali magistrati, destinati a eser- 
citare in suo nome, anziché in rappresentanza del popolo, il 
lorouQìcio. Le maggiori istituzioni del Comune, come l'Arengo, 
il Consiglio dei sapienti, il Collegio dei consoli rimasero bensì 
in vigore, ma con più limitate attribuzioni. 

Di fronte alla magi.stratura comunale sorse con auto- 
rità delegata di mero e misto imperio, una magistratura pa- 
triarcale, che comprendeva un castaldione (gasialdio) in sosti- 
tuzione dell' abolito rettore comunale ; tre giudici (fudices) a 



'J Id. ia52. A. iJìo, 6 dicembre, Tibure. 

") Thes. Eccl. Aquil. N, 536. Siatuta Istric in forma pub li ca con fir- 
mata et de novo facta per I). Halriarcham Pcrloldum in MCCXXII. — 
Vedi anche: LiRUTi, op. cit. IV. 316. 

") Con la parola regalia, si dinotavano nel medio evo. comunemente, 
i diritti regali o (Iscalì (jura regìa, lìscalìa), esercitati, per speciale con- 
cessione di imperatori e re, da potentati ecclesiastici o laici; i quali 
diritti comprendevano la giudicatura criminale alta e bassa (merum et 
mixtum imperiumi, il diritto di zecca [monetatio} la creazione di mercati 
{mercatus. forum). T imposizione di gabelle (leloneumi, le preiogativc 
sulle miniere Ijus melallorum, jus montium:. sulle saline (jus salina- 
rum), sulle foreste (jus forestarium) ecc. Regalia sì dicevano però an- 
che i predi e le terre di diretta ed esclusiva spettanza delle Chiese. 
probabilmente qualora queste r avessero ottenuti dalla liberalità dei su- 
premi imperanti. Regales poi venivano chiamati gli uOìciali pubblici ad- 
detti dal principe concessionario all' esercizio dei diritti di regalia. 



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— i83 - 

riscontro dei consoli ; e un i ollegio di dodici consiglieri (regala) 
a riscontro del corpo dei sapienti i). 

Giova notare che a Pola, almeno sino a tutta la prima 
metà del secolo XIll, il rappresentante del patriarca, non si 
chiamò, come negli altri luoghi deli' Istria e del Friuli, gaslaldia, 
ma con denominazione affatto singolare po/esias regaliag, ^) che 
gli venne data forse a maggior grado di onoranza e per di- 
notare in lui la duplice veste di capo del Comune e di delegato 
del principe. Il podestà della regalia aveva la suprema dirigenza 
di tutta la pubblica azienda cittadina, con potere politico, am- 
ministrativo e giudiziario; egli presiedeva l'Arengo, il Consiglio 
e i due Tribunali ; il criminale e il civile. Doveva in specialità 
tutelare gì' interessi della Chiesa aquileiese tanto in Pola che 
nella Polesjna, essendo la di lui giurisdizione estesa non alla 
sola città, ma pur anche al suo territorio, ossia distretto rurale ; 
amministrare i poderi e le rendite demaniali, imporre e ri- 
scuotere i censi e i tributi della regalia ecc. ^) A questa carica 



') Nel 1370 il Comune di Pirano riconobbe al patriarca il diritto dì 
tenere colà •> de civibus et abitatorìbus Pirani et non de forensibus unum 
suum gastaldionem et tres suos judices de regalia de Pirano ellecti per 
duodecim dominos iuratos concorditer a. (Cod. dipi. istr. 1370, 3 
marzo). — E nel i3o6 il patriarca Ottobono ordinò al suo ma rchee e An- 
selmo da Carisacco di nominare in Pola • tres judices qui cognoscere 
habeant de terrìtorìis et judicio sanguinis, et duodecim judices, qui ap- 
pellantur judices Regalie». (Thes. Eccl. Aquil. N. 1080). 

*) Abbiamo però in Istria un altro esempio, dove il castatdione pa- 
triarcale porta il titolo di podestà. In un atto notarile del ino, rogalo 
in CapodJBlria. lìgurano fra i testi primo Dicterius Bonefoniìs potestas 
lusIÌHopolis (cioè podestà del Comune), e secondo Almericus potestas 
marc/tictiis iCod, dipi, islr.) Riguardo all'attributo regaliate notisi che 
r imperatore Federico I dava il titolo di tnirtister regalium a quelli tra 
i suoi u0ìciaii. che nelle città di Lombardia erano desiinati all'ammini- 
strazione dei beni e delle rendite regali o fiscali. Così nel 1163 in Par- 
ma, oltre al podestà de! Comune, figura un Azo regaliutn imperatoris 
minutar. \. Ficker, Forschungen li, i85-i86- 

3| Va notato che, di solito, il podestà della regalia non assumeva 
tale tilulo che nell'esercizio delle attribuzioni delegategli dal prìncipe, 
mentre negli altri casi, in cui trattava gli afari di spettanza del Comune, 
o si appellava podestà senz' altra designazione, oppure prendeva il primo 
posto fra i consoli. 



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importantissima e di speciale fiducia veniva assunto dal pa- 
triarca, solitamente, un cospicuo cittadino poiesc, talora per 
un solo anno, ma più spesso por un periodo di tempo mag- 
giore. La sua mercede era costituita da una parte delle pene 
pecuniarie. 

1 giudici, sotto la direzione del podestà della regalia e con 
r assistenza dei consiglieri, istruivano i processi e pronunciavano 
le sentenze (secundum /[U«/«xum r^t^a/Ia«) nelle caus* criminali 
contemplanti le cosidetto pene di sangue, cioè la pena di morte 
(che veniva eseguita per impiccagione), l' estrazione degli occhi, 
la recisione dei membri ecc., inoltre nelle cause civili concer- 
nenti questioni private di proprietà e di servitù territoriale. ^) 

Accanto a questa Corte di giustizia patriarcale, i cui uf- 
ficiali erano nominati dal principe, seguitò a funzionare il 
Tribunale comunale rappresentato dal podestà' della regalia, 
dai consoli e dai sapienti, per le cause civili e criminali minori 
e per le infrazioni agli ordinamenti statutari. 

C'era ancora un terzo giudizio supremo, il cosidetto fia- 
citum Regatiae, tenuto dal patriarca in persona ogni qual volta 
si portava in visita in Istria, oppure da un suo apposito inca- 
ricato, coi concorso di uno o più giurisperiti e di alcuni con- 
siglieri giurati, nel quale ventano trattate le appellazioni cri- 
minali, inoltre tutte le liti e vertenze fra enti .giuridici, cioè 
fra Comuni e baroni si laici che ecclesiastici. 

Si capisce che V applicazione di questa riforma costituzio- 
nale doveva indebolire il governo comunale a segno da ridurlo 
ad un vano simulacro di sé stesso. Il Comune poiesc n'ebbe 



') Nella composizione arbitra mentale dell'anno 1139 fra il patriarca 
Bertoldo e i Capodistrìani fu stabilito: quod Ciastaldio D. Patriarche et 
Marchionis potestatcm habcat faciendi, omnibus presentibus suis iudi- 
cibus, rationem de propriis et allodiis, item debeat diclus Gastaldio su- 
spendere. eiaculare, omnia membra iruncare et omnem pcnam sanguinia 
inferre praeter penam fustigationis ecc (Vedi loppi, Aggiunte ined. al 
Cod. dipi, iatro-tergestino, pag. 3i. — Minotto. Documenta, negli Atti 
C Mem. Vili, 45). 



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— 185 — 

a soffrire una notevole restrizione delle sue libertà, con la 
perdita di tanta parte delle prerogative giurisdizionali sino 
allora godute. Esso sì trovò sottoposto a una specie di 
curatela da parte del patriarca, che vi esercitava, a mezzo 
del suo rappresentante, una diretta ingerenza in ogni ramo 
della pubblica amministrazione. Difatti le deliberazioni del- 
l' Arengo e del Consìglio avevano bisogno, per la loro vali- 
dità, della sanzione del podestà della regalia. Fu questa la causa 
principale dei gravi dissìdi e conflitti sorti in breve fra l'au- 
torità regìa e V autorità popolare, i quali resero per molto 
tempo malfermo il dominio della Chiesa d' Aquilcia ìn Pola. 
Dove i cittadini, pur essendo disposti a riconoscere la sovra- 
nità patriarcale e ì diritti regali alta stessa inerenti, volevano 
però nettamente divisi i poteri del principe da quelli del popolo, 
e ben distinte le rispettive sfere d'attività, onde impedire so- 
praffazioni e arbitri a proprio danno. A tal fine essi approfit- 
tavano d'ogni circostanza propizia per ripristinare almeno 
temporaneamente la carica di podestà comunale, che doveva 
assicurare Ij magistratura popolare da ogni intromissione del 
rappresentante patriarcale. 

Sotto il restrittivo e debilitante regime aquileiese, il Co- 
mune di Pola andò arrestandosi nel suo sviluppo, perdendo 
alquanto di quella vigorosa energìa, che nel tempo della mas' 
sima sua libertà l'aveva animato e spinto ad un felice incre- 
mento del proprio stato. Divenuto più debole in armi, si trovò 
esposto, senza una valida difesa, non solo agli attacchi dei 
popoli vicini, che, mossi da gelosie d' interessi o da mire dì 
conquista si armavano spesso a' suoi danni, ma anche alle 
insidie ed offese dei pirati dalmati, che gli ostacolavano il 
tragico marittimo, suo principale fattore di risorsa economica. 
Appartenevano questi corsali alla feroce tribù croata dei Cacichi, 
aventi il loro centro in Almissa, d'onde uscivano a infestare 
l'Adriatico, invano perseguitati dai Veneziani, che ne risentivano 
ì maggiori danni. Persino i Crociati vel^gianti per la Terra 
Santa venivano spesso assaliti e spogliati da quegli audaci 
predoni, le cui gesta scellerate richiamarono l'attenzione di 
papa Onorio III, che nel lasi inviò a reprìmerli un proprio 



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legato, r energica azione del quale non ebbe per altro un 
durevole successo i). 

Le guerre municipali erano allora assai frequenti e deri- 
vavano dal fatto, che ogni città, vivendo di vita propria e 
quasi isolata, e cercando di allargare sempre più la propria 
cerchia d' azione politica e commerciale, doveva necessariamente 
entrare con le città vicine in aspri; gare d'interessi, che veni- 
vano risolte assai di spesso con le armi. A tale riguardo dob- 
biamo osserva e che i Comuni istriani, anche dopo privati 
delle regalie, conservavano alcuni speciali poteri che conferivano 
loro un certo apparente carattere d' indipendenza Essi avevano 
tuttavia, oltre la facoltà di legiferare, cioè di stabilire nuovi 
ordinamenti per l' interna amministrazione del paese, anche il 
diritto di levare soldati, di stringere alleanze, d'intraprendere 
guerre, di conchiudere trattati di pace, però, naturalmente, 
con l' adesione e il concorso del rettore patriarcale. 

Nel terzo decennio del Dugento (l'anno preciso non ci è 
conosciuto) Pola si trovò implicata in un serio conflitto con 
Arbe, città insulare del Quarnero, soggetta al dominio di Ve- 
nezia. Nella successiva convenzione di pace, stipulata in Pola 
nel palazzo di Roberto Morosini, il podestà polese Giovanni de 
Rosa 3) e t consoli Bertoldo, Mauro e Marco e il sacerdote 
Sisto, col consenso e la volontà dei cittadini di Pola, promi.ero 



') Luci, De r^no Dalmatiae et Croatiae. Vienna. lySS, pag. i56 e 
seguenti. 

^j Giovanni de Rosa, ragguardevole ilittiidino di Pola. che fu quivi 
per più anni rettore patriarcale, compariace nelle poche scritture notarili 
di quel tempo a noi pervenute, risguardanti processi civili demandati al 
giudizio appellatorio della Curia ravennate, come primo console nel 
I330. come podestà della regalia net 1323, e di nuovo come primo con- 
sole net iii5. Egli figura inoltre quale testimonio in un documento dd. 
Ravenna, 37 marzo 1138, in cui il conte di Bag^iacavallo e il conte di 
Castello d' Imola chiedevano in enfiteusi a Matteo priore di S. Maria in 
Porto fra diversi altri terreni, anche alcuni già appartenenti al Monastero 
di S. Andrea di Serra in Istria. (Atti e Mem, Voi IV, pag. 7 e seg. : 
Voi, XII, pag 33 e seg.) ~ Andrea de Rosa, probabilmente figlio del 
precedente, è compreso nella lista dei Polesi che nel 1343 prestarono 
il giuramento di fedeltà ai Veneziani. 



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- i87^ 

con giuramento ai rappresentanti d' Arbc e al toro conte Marco 
(Malipicro), di voler attendere, a scanso d'una penale di loo 
marche, a che agli Arbesani non venga per T innanzi arrecato 
alcun danno da parte degli abitanti di Pola e suo distretto, 
videiicel a Barbana usque ad mare, in rappresaglia di quanto 
era accaduto a questi ultimi presso Arbc, nel tempo in cui vi 
si recarono con le loro galee, e di quanto vi perdettero che fu 
loro tolto dagli Arbesani '). 

Ne' primordi del 1225 ci furono in Istria dei moti di 
guerra, provocati, come narra it Nicoletti, senza precisarne 
le cause e gli eventi, da un'accozzaglia di genti calate giìi 
dalla Carinzia e dalla Carniola -]. È probabile che queste sol- 
datesche operassero in servigio di Lodovico duca di Baviera, 
il quale, trovandosi appunto allora in lotta con Enrico d'Andechs, 
alleato di Leopoldo d'Austria, si sarebbe rivolto anche contro 
il di lui fratello e favoreggiatore, il patriarca d'Aquileia, nel- 
l'intento di riconquistare il Marchesato, sul quale accampava 
tuttavia le antiche pretensioni ^). Reso appena edotto del pe- 



') Bullcttino di Archcol. e Storia dalmata A. VI, N, i, pag 9 Com- 
positio intcr Arbenses et Polenscs. S. a. Die ii inlrante Aprilis 

'') Manzano, Annali del Friuli II. )86. 

'1 RiEZLER, Gesch. Baiems. II, 5i-5i. — Huber. Gesch. Oesterreìchs, 
I. 398-99 (Nola 3». — WiNiLELkANN. K. Friedrich II. I, i\'^ (Nota 1). - 
Oefelb. Gesch d. Grafen v. Andechs, pag. 99. 

Nella pace conchiusa a Graz il 6 giugno del iii.") dal duca d'Austria 
col re d'Ungheria, questi si obbligò d'interporre i suoi buoni uffici per la 
riconciliazione di Leopoldo d' Austria e di Enrico d'Andechs col duca di 
Baviera. Può darsi benissimo, come suppongono gli autori quivi citati, che 
in questa occasione il marchese Enrico d' Andechs avesse mirato a ri- 
cuperare ì suoi possessi feudali, una buona parte dei quali era passata 
in mano del duca di Baviera. Ma non sembra invece ammissibile, che. 
impegnato in tale guerra, fosse egli a invadere 1' Istria e ad attaccare 
lo Stato d'Aquileia. al di cui governo sia.a suo fratello Bertoldo, col 
quale manteneva relazioni molto cordiali. 

11 sospetto che potrebbe forse sorgere, che l'attacco contro la Marca 
fosse partito dal duca Bernardo di Carinzia. trovantesi realmente l'anno 
prima in discordia con gli Andecbs, non apparisce fondato, giacché la 
pace, per intromissione del duca austriaco, fu conchiusa già il 1 mag~ 
gio del 1334 in Frisacco, ove convennero, tra altri, Enrico d'Andechs e 



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— I88 — 

ricolo che minacciava ta provincia, Bertoldo, volendo provvedere 
personalmente alla sua difesa, vi si recò in compagnia del 
conte Mainardo di Gorizia, il giovane, signore di Pisino, col 
di cui aiuto radunò un considerevole corpo dì milizie istriane 
e friulane, al comando delle quali Leonardo d'Arcano riesci 
a respingere l'esercito invasore. >) In questo incontro il pa- 
triarca potè avvedersi delle poche simpatie godute in Istria, 
ov'ebbe un'accoglienza fredda e in qualche luogo apertamente 
ostile. Essendo andato a Valle a far leva d' uomini o a imporre 
tributi per le occorrenze della guerra, ebbe a subirvi, unita- 
mente al Goriziano, dei gravi oltraggi, oltre il diniego d'ogni 
richiesta prestazione; ma il 23 di marzo, trovandosi egli in 
Pola, una deputazione di Vallesi venne a chiedergli perdono 
e a giurargli perpetua fedeltà e ubbidienza *). 

In quell'anno medesimo t Polesi, scorgendo la progressiva 
decadenza politica ed economica del loro Comune, inceppato, 
come dicemmo, nella sua attività e nel suo svolgimento dalla 
diretta supremazia patriarcale, e di più minacciato sul mare 
da potenti nemici, risolsero di chiamare da Venezia un annuo 
rettore, il quale provvedesse al riordinamento interno della 
patria e alla sua esterna (difesa ^). 

Difatti, nel maggio del i335, essi etessero a proprio po- 
destà Ranieri Zeno, divenuto poi doge, e l'anno seguente 
Marino Morosìni, asceso anch'esso più tardi al dogado. Il pri- 



suo fratello Bertoldo patriarca d'Aquileia. Vedi Muchar, Gcsch. d. Her- 
zoglh. Steicrmark V, ic». Tangl, Die Crafen v, Ortenburg in Archiv, f. 
Kunde Ósterr. Gesch. XXX, 3oi-3o3. 

') Leonardo d'Arcano o di Tricano, figlio di Ropretto, fu podestà 
di Pirano nel 1207. L'anno seguente accompagnò in Italia il patriarca 
Volchero, legato imperiale, dal quale ottenne nel uio il governatorato 
di Romagna col titolo comitale (Vedi Ficker, Forschungen, II, 4i3}. 

*; Cod. dipi. istr. i335, 22 marzo. Actum apud Turrim de sursum 
Episcopi Polensis (Pola). 

*J Sembra che il movimento di emancipazione comunale si estendes- 
se contemporaneamente anche alle altre città istriane, giacché troviamo 
nel settembre del luS podestà di Capodistria il nobile veneziano Nicolò 
Cocco, e nel novembre del 121Ò podestà di Pirano Pietro Morosini. 
pure di Venezia. 



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mo prese a prestito, verso un'adeguata malleverìa, dal governo 
delta Repubblica e condusse seco a Pola, una galea e un ber- 
coso armati; inoltre diverse macchine e attrezzi di guerra, 
come manganelle e petrìere, balestre a torno, a pesaruola, a 
lieva, e crocci per arraffare le navi •). Anche il Morosini venne 
a Pola, il prìmo di giugno del lasb, con una galea a|}ìdatagH 
dalla Signoria, della quale galea poteva far uso in servizio e 
difesa dei Polesi per tutta la durata del suo uf^cio, obbligan- 
dosi di rifonderne le eventuali avarìe, escluse quelle che la 
stessa avrebbe sofferto nel combattere i Cacichi o altri nemici 
dì Venezia '). Compiuto il Morosini V anno del suo rettorato, 
i Polesi, a mezzo dei le^ti e procuratori Mauro console e 
Bertoldo, chiesero e ottennero nuovamente a prestito dal go- 
verno veneto una galea armata di :oo remi, due vele e tre 
ancore, valutata 700 lire, al ritorno della quale in Venezia, il 
3o di settembre, il soprastante all' arsenale Giovanni Bolli ne 
stimò i danni a lire 70 circa ^. 

Sotto r illuminato reggimento di questi podestà veneti, 
esperti tanto nell'arte della guerra, che nei maneggi politici 
e amministrativi, i cittadini di Pola videro rialzarsi alquanto le 
sorti della loro città ; e riassaporato il piacere del vivere libero, 
divennero sempre più insofferenti delle umilianti condizioni dì 
vassallaggio a cui 11 voleva astretti il patriarca; laonde comin- 
ciarono ad agitarsi per riconquistare la completa autonomia, 
assecondati nelle comuni aspirazioni dagli altri popoli dell'Istria. 

Nella immane lotta fra il Papato e l'Impero, che travagliava 
allora l'Italia, Bertoldo d'Andcchs, ardente ghibellino al pari 
del suo predecessore Volchero, part^gìava apertamente per 
Federico II, a cui doveva e su cui basava ogni splendore di 
potenza la Chiesa d'Aquileia. Poi che, in seguito alla mancata 
impresa dì Sorìa, Federico venne colpito dall' anatema del 
pontefice Gregorio IX, e le principali terre di Puglia furono 



1) Liber communis (PIcErionim) Regesti di R. Prcdelli. Venezia, 
1871. N. 379—383. 
«) Id.. ibid. N. 387. 
») Id., ibìd. N. 546 e 547. 



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— igo - - 

invase dalle cosldette milizie di Cristo, poste al comando di 
Giovanni di Bricnne e del cardinale Colonna, Bertoldo fu dei 
pochi principi che gli mantennero immutata la fede, e che lo 
aiutarono a raccogliere quel poderoso esercito, che dovea 
riconquistargli le perdute città del Regno. In tale occasione il 
pontefice diresse al presule aquileiesc una bolla datata da Perugia 
il 20 giugno del 1229, accusandolo di essersi portato in Un- 
gheria da re Andrea suo cognato, per indurlo ad abbandonare 
la causa politica della Chiesa di Roma. Lo ammoni di non 
prestare ulteriormente aiuto ai nemici del Papato, ma di op- 
porsi ad essi con ogni possibile energia ; in ispecie di vietare 
r entrata in Pola o in altri porti di sua giurisdizione alle sol- 
datesche imperiali dirette per la Puglia, contro delle quali 
dovea adoperare le armi spirituali e temporali. Altrimenti, per- 
severando egli nel suo protervo atteggiamento, lo minacciò 
della scomunica, incaricando il patriarca di Grado e il vescovo 
di Castello di eventualmente fulminargliela, dopo istruito contro 
di lui un regolare processo inquisitorio '). 

Bertoldo, la di cui coscienza dì sacerdote rimase alquanto 
turbata da questo severo monito papale, volle farsi mediatore 
di pace fra i due contendenti, coadiuvato in tale assunto, che 
ebbe in breve un felice successo, da alcuni altri principi dell'Im- 
pero. A S. Germano d' Abruzzo nel luglio del i23o, avvenne, la 
definitiva conclusione dell'accordo, astante il patriarca d'Aquileia, 
che, volgendo anche in quell'incontro la mira agli interessi 
della propria Chiesa, accolse, dinanzi T imperatore, la solenne 
rinunzia del fratello Ottone duca di .Meranìa a tutti i suoi 
pretesi diritti ereditari sulla Marca d" Istria, derivantigli dalla 
morte dell'altro fratello, io spodestato Enrico d'Andechs^), 

Intanto Pola e le principali città istriane, approfittando 
della lontananza del patriarca e dei negozi politici in cui si 



') Huillard — Breholles, Historia diplom. FriderJci II. Parisìis. i85j 
T. ni, pag, 176. — Mon Germ. histor. — Epist. saec XIII e regestis Ponili. 
Roman. Berolini. i883. T. I., pag. 3ii. 

') Bahmer, Acta Imperiì aelecta N 395. — Cod. dipi, islr, i23o, lu- 
glio — Oefcle, op cit. Reg 567. 



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— jgi — 

trovava implicjto, si rivendicarono a libertà, stringendosi in 
una lega difensiva, a capo della quale posero, come sembra, 
quel Tomaso Zeno, che in qualche scrittura del laSo porta il 
titolo di potestas universitalis Yslriae i). Ma già nel principio 
dell'anno seguente, i Piranesi, venuti a discordia coi Capodi- 
strìanì, si staccarono dalla lega e tolsero a podestà Mainardo 
di Gorizia, col di cui mezzo conchiusero un aggiustamento 
col patriarca, obbligandosi di soccorrerlo, nelle sue intra- 
prese di guerra in Istria, con almeno 5o armati % Qualche tempo 
di poi anche quelli di Capodistria devono essersi momenta- 
neamente pacificati con Bertoldo, avendo accettato il suo arbi- 
trato nelle loro controversie coi Piranesi % 

Ma i Polesi resistettero con maggior fermezza alle lusinghe 
e alle minacce del patriarca, che, impotente a ridurre all' ob- 
bedienza la città defezionata, risolse dì ricorrere all' aiuto 
imperiale. Trovandosi nel febbraio del 1282 in Ravenna, a 
partecipare alla Dieta delPImpero ivi convocata, egli denunziò 
a Federico II la tracotanza e gli abusi degli abitanti dell' Istria, 
in ispccie dei Polesi, Capodistrianì e Parentini, i quali » at- 
tentavano ai suoi diritti giurisdizionali, a vitupero e pregiu- 
dizio dell' Imperio, creando di moto proprio podestà, consoli, 
rettori, giudici, riscuotendo tributi, battendo moneta (?), impo- 
nendo gabelle, detenendo beni censuali e feudi ministeriali, 
e alienando le terre della regalia >. 

L' imperatore dichiarò nulle e irrite tutte le nomine e le 
altre deliberazioni di governo arbitrariamente prese dalle popo- 
lazioni ribelli, alle quali rinnov j l'ordine di rispettare la sovranità 
della Chiesa d' Aquiteia, comminando ai ricalcitranti una pena 
di Soo marche *). 



') Cod. dipi. istr. uSo, 7 maggio. 

*) loppi, Aggiunte ined. al Cod- dipi, istro tergest. Udine, 1878, 
pag. 33. — Minotto, Documenta. ii3i, 11 fcbbr. Aquileia. (Ani e Me- 
morie Vili, j6). 

3) Thes. Eccl Aquil N 53i. 

*) loppi. Aggiunte ined. ecc. pag. 19 e seg. — Minotto. Acta et di- 
ptomata. I, 16, (con l'erronea data del ij3i). — BOhmer, Reg. Imp. V, 
1937. — Winkclmann. Op. cit. U, 33i. 



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-^ 192 — 

burantc la sua prolungata assenza dal Friuli, il patriarca 
Bertoldo avea chiamato a sostituirlo in qualità dì vicario ge- 
nerale il vescovo di Fola Enrico, che, fidando forse nel pro- 
prio prestigio spirituale e nelle proprie aderenze, inviò dei 
nunzi ai Polesi, onde indurli a sottomettersi; ma costoro, 
levatisiatumuìto, cacciarono gli ambasciatori, e contro i partigiani 
aquileiesi trascesero ad atti di violenza e di sangue •). In seguito 
a ciò Bertoldo indusse Federico II a proscrivere i Polesi e a 
dichiararli decaduti dalle leggi comuni 2); ond'essi, temendo 
le conseguenze di s'i grave pena, si appellarono all'imperatore, 
il quale, essendo passato nel frattempo da Ravenna per la via 
di Venezia nel Friuli, a presiedervi la Dieta riconvocata nel marzo 
in Aquileia e trasferita poi nel maggio a Pordenone, citatili 
quivia giudizio 3), riconfermò contro di essi il precetto di bando, 
sino alla loro totale sommissione al patriarca ^). 

Ma neppure la suprema decisione e l' alto ammonimento im- 
periale valsero a smuovere i Polesi dal loro tenace amore alla liber- 
tà. E^i, resistendo ad ogni esterna pressione, seguitarono a reg- 
gersi a Comune autonomo, sino a che Bertoldo, veduto riescirgli 
frustranei i ripetuti tentativi di un pacifico accomodamento, 
decise di domare con la forza la città ribelle; e nel febbraio 
del 1333 si portò in persona con un forte esercito all'assedio 
di Pola, i di cui abitanti si difesero gagliardamente per parecchi 



') Manzano, Annali. Il, 3i3 cil. Nicoleiti. — LiRUTi, op. cit. IV, 117 

*) Il relativo decreto imperiale andò perduto, ma la sua promulga- 
zione risulta dal tenore dei diplomi seguenti. 

^) Thes. Eccl. Aquil. N. 544 Instrumentum presentattonis Htlerarum 
Imperalium Communi Polensi, per quas citanlur, scriptum anno Do- 
mini MCCXXX (recte MCCXXXII/ Indictionc quinta — Le lettere im- 
periali furono intimate al Comune di Pola probabilmenteda quel ftiWJfwts 
ttuncius d. Itnperalaris, che troviamo in missione in Istria nell' Aprile 
del u32. (Vedi Minotto, Ada et diplomata I. 17). 

*) B5HKEK. Reg Imp. V, 1987. — Winkelmasn. op, cit. Il, 36o, — 
Transcriptum Privilegìi Imperatoria Friderici. quo sententiatum extìtit 
coram eo, quod cives Polenses. qui proscripti ab ipso fucrant, non pos- 
sent ab ipsa proscriptione extrahi. nisi prius satisfacercnt Patriarche 
Aquil^ensi, ad cujns querimoniam sunt proscripti, sub data MCCXXXII. 
(Thes Ucci Aquil. N. 5o6). 



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- 193- 

giorni ; ma alla fine, sopraffatti dal numero, dovettero adagiarsi 
alla resa i). Cosa piuttosto insolita in quei tempi, anche da 
parte di un principe ecclesiastico, il patriarca non abusò delta 
vittoria, non sappiamo se per mitezza d'animo o piuttosto per 
consiglio di prudenza. Certamente la città, anche vinta, gl'in- 
cutt;va un certo rispetto, se con essa patteggiò quasi con po- 
tenza a lui pari -). Poiché la base d'ogni dissidio poggiava su 
questioni di diritto pubblico, il risolvimento di queste questioni 
fu rimesso, di comune accordo, all' arbitrato del conte Mainardo 
di Gorizia, il quale pronunciò sentenza di cui non ci è cono- 
sciuto il preciso tenore, ma che dovette condurre inevitabilmente 
alla rintegrazione di quelle leggi restrittive alta libertà del 
popolo, già in precedenza introdotte nella costituzione del 
Comune '). 

Poco di poi i rappresentanti dei Pulesi giurarono a mani 
del vescovo di Cittanova, delegato del patriarca, la perpetua 
osservanza dei capitoli delta pace *). 

Assoggettata finalmente la città, primo pensiero del pa- 
triarca si fu di consolidarvi con accortezza e prudenza, il 
diretto dominio temporale della sua Chiesa, ciò che non doveva 
riuscirgli di diQìcile attuazione, per il parziale mutamento dello 
spirito pubblico, che negli ultimi tempi erasi andato modificando 
in di lui favore. 

Due contrarie correnti polìtiche attraversavano allora Fola. 
1 più caldi fautori dell' autonomìa, dimentichi delle passate 
contese e lotte con Venezia, sembravano quasi disposti ad 
appoggiarsi alla grande Repubblica, pur di scansare la più 

■) Manzano, Annali. II. 3i5 cit. Nìcolciti. 

*) Instrumentum composi ti onis facte Inter Patrìarcham Pcrloldum 
et Polenses A. D ii33. (Thes. Ecd. Aqull. N. 514. 53^). 

^) Compromissum factum in Gomitem Goritie per [). Bertoldum 
Patrìarchsm et homincs Polenses super jurìsdJctione Polensi, i]33. — 
Senlentia lata per D. Comitcm inter D. Bertoldum Patrìarcham et Po- 
lenses. Anno Domini ia33. <Thcs. Eccl. AquU. N. 56o. 559). 

*) Instrumentum quod Episcopus Emonensis recepii juramentum 
a Polensibus super pace et compositione factis Inter D. Bertoldum Pa- 
trìarcham et ipsos Polenses MCGXXXII (recte .MCCXXXIII), — (Thes. 
Eccl. Aquil, 56i). 

i3 



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— 194 - 

prossima e diretta minaccia che loro appariva da Aquileia; 
furoa essi che trascinarono la città alla ribellione e alla guerra 
contro il patriarca. A costoro, sostenendo il bisogno di racco- 
glimento e di pace, ed agitando il fantasma del pericolo veneto, 
cercavano di opporsi i non molti partigiani della Chiesa aqui- 
leiese, che per mire egoistiche ed ambiziose vedevano con piacere 
ricostituirsi e riassodarsi il regime feudale. Gli odi e le discordie 
civili che derivarono dal cozzo di queste due correnti, scossero 
la compagine delle forze cittadine, agevolando la vittoria alle 
armi aquileiesi. 

Dopo la restaurazione patriarcale, la maggioranza dei 
Polesi, per quel senso di generale prostrazione che tien dietro di 
solito ad ogni popolare insuccesso, cominciarono ad adattarsi 
passivamente al nuovo ordine dì cose. Bertoldo cercò allora di 
attirare a sé i più ragguardevoli ed influenti cittadini, asse- 
condandone le brame ambiziose e favorendone gì' interessi, 
onde col loro concorso assicurarsi stabilmente la soggezione 
del Comune. Avvenne così che dal numero di pochi aderenti 
andò formandosi gradatamente una forte fazione ghibellina e 
patriarcale, la quale, vantaggiando il partito guelfo degli auto- 
nomisti, raggiunse alla fine in Pola una incontrastata su- 
premazia. 

A questo punto assistiamo al sorgere improvviso d'una 
casata, che da modesti principi ascese a rapida e straordinaria 
fortuna, e la cui storia si connette e immedesima nella storia 
del Comune polese. É la casata dei de Pola, più tardi appel- 
latasi de Castro Polae, che, postasi risolutamente alla testa della 
fazione ghibellina, ne diresse a lungo e con successo le sorti, 
onde n'ebbe grande premio d'onori e di ricchezze dai pa- 
triarchi, E^sa occupò i più alti uljìci del Comune e del Mar- 
chesato, estese i suoi possessi feudali e allodiali su tutta la 
Polfcsana, e insediatasi nella ròcca di Pola — d'onde la sua 
rinnovata denominazione gentilizia — assorse al Capitanato e 
alla Signoria della città. 

Le primitive sue origini sono ravvolte ancora nelle tenebre, 
a diradare le quali, per quanto possibile, ci è giocoforza di 
procedere sul terreno delle induzioni e congetture, sceverando 



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-„5- 

tra le poche e discordi notizie quelle che ci presentano mag- 
gior fondamento di attendibilità. 

Il Kandler, che la denomina preferentemente de' Sergi, la 
vuole oriunda di Treviso, trasportatasi in Istria al servizio del 
patriarca Volchero, il quale Pavrebbe investita net 1 2 1 1 di alcune 
ville nel territorio poicse '). Non ci fu dato di rilevare d'onde 
lo storico triestino traesse questa notizia, ripetuta poi da) 
Buttazzoni, dal Czoernig e da molti altri, ma che noi, per le 
ragioni che verremo esponendo, dobbiamo porre senz' altro in 
dubbio. 

L'appellazione de' Sergi data in tempi piuttosto recenti 
ai signori di Pola, senza trovar riscontro in alcuna scrittura 
medioevale, derivò dal fatto, che i medesimi si attribuirono la 
discendenza di quella illustre gente Sergia, in onore della quale 
era stato innalzato nell'antica Pietas lulia il celebre arco trion- 
fale di Porta Carata. 

Circa l'attendibilità di codesta attribuzione è assai di0ìcile, 
per non dire quasi impossibile, di farsene un giudizio sicuro. Sorge 
però spontanea la riflessione : Se la famiglia, come pretese il 
Kandler, fosse stata straniera a Pola e all' Istria, e da poco 
tempo quivi stabilita, con quale parvenza di verosimiglianza 
avrebbe essa potuto far risalire la propria genealogìa ad un'an- 
tichissima stirpe polese ? Basterebbe questa semplice conside- 
razione a far rigettare l' asserto dell' origine trevisana della 
nostra casata, anche senza prendere in riflesso la circostanza, 
che un membro di essa fu podestà di Treviso nel 13Ò9, alla 
qual carica sappiamo che per rigorosa disposizione statutaria 
non potcano venir prescelti che nobili forestieri, non aventi 
entro il Comune alcun vincolo di consanguineità né interessi 
propri diretti o indiretti da favorire. Certamente la pretesa di- 
scendenza dei Castropola dai Sergi romani non poteva essere 
basata che, tutt'al più, sulla tradizione domestica, se lo stesso 
loro apologista Domenico Antonio Ronconi, che forse primo 
questa tradizione raccolse, non seppe andare con I' ascendenza 

') Notizie storiche di Pola, pag, 167 189 e 318. — Perà altrove la 
faceva apparire come originaria polese. V. Cenni al forest. pag. ii-aS. 



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— igó — 

genealogica della famiglia at di là del milledugento >). Noi ab- 
biamo però alcuni dati, i quali se non gettano una luce nella 
quistionc, possono servire almeno dt deboli punti d'appoggio 
a chi voglia brancolarvi nel buio. 

Il nome Sergio, non molto in uso net medio evo, ci si 
presenta a due intervalli negli scarsi documenti antichi polesi. 
Un Sergio di Pola viveva nel 990, e doveva essere un ricco e 
ragguardevole personaggio, avendo fatto in quell'anno una 
cospicua donazione di terreni in Rumiano al monastero di San 
Michele in Monte '). Nel 1 194 e' incontriamo in un altro Sergio 
cives Bjlae, presente al placito tenuto in Pola da Bertoldo IV 
d'Andechs marchese d'Istria, per giudicare su certe vertenze 
fra il vescovo e il Comune di Parenzo *). Inoltre diversi membri 
della famiglia Castropola portarono il nome battesimale Sergio, 
cominciando da un figliuolo di Galvano, vissuto nella seconda 
metà del secolo XIII. Ma come stabilire la colleganza dei due 
primi Sergi coi signori di Pola? Mentre può sorgere il dubbio 
che costoro, dalla fortuita coincidenza del nome (divenuto poi 
forse appellativo patronimico del ramo discendente dal figlio 
di Galvano) traessero partilo a nobilitare la propria origine e 
a legittimare in certo qual modo le pretese di premazia e di 
dominio che vantarono in Pola. 

') Nei «Dialoghi due sulle antichità di Pola • operetta anonima, scritta 
circa l'anno i58S, abbastanza veridica nel contenulo storico locale, 
ma di stile ampolloso e contorto, e infarcita di spropositata erudi- 
zione, si ag'erma in un punto, che i Sergi romani furono » l'originai 
principio alla progenie Illustre e generosa dei Castropolìa. mentre 
più avanti i detto vagamente che «ha del verisimile che l'antica loro 
origine (dei Castropola) venisse da Roma, senza la congettura che 
della inscrizione di Porta Rata ce ne vien fatta >, Kandler. (Cenni 
ecc. in Appendice, pag. 64 e 83). Anche il Negri (Lettera a P. 
Gradenigo intorno a un antico sigillo ecc. Notiz stor. di Pola, pag. 361) 
riferisce la leggenda, ma naturalmente senza attribuirle alcuna impor- 
tanza storica : ■ Se credenza prestar dovessimo alle tradizioni, per altro 
uniformi e costanti de' nostri Provinciali, ella (la famiglia Castropola) 
dalla famosa stirpe de' Sergi romani in queste nostre parti assieme con 
tant' altre trapiantata deriva". 

*} Cod, dipi. istr. 990, 8 settembre, Pota. 

') Cod. dipi. iair. 1194, i5 Novembre, Parenzo. 



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— 197 — 

Secondo il citato Ronconi, che, attingendo le notizie alle 
ricche fonti del loro archivio domestico, compilò nel secolo 
XVI! una cronaca genealogica dei conti Pela di Treviso, linea 
diretta dei nostri Castropoia, io stipite della famìglia sarebbe 
stato un Bonifacio, che visse circa l'anno iiSo, >) del quale 
però non troviamo memoria in alcuna carta coeva a noi per- 
venuta. Figli di questo Bonifacio furono i tre fratelli Nascin- 
guerra. Galvano e Papone, che primi compariscono sulla scena 
storica della nostra provincia, come partigiani e fautori del 
patriarca, nel periodo più acuto della lotta per la libertà dei 
Comuni. 

Allorché nel i332, in seguito alla sentenza contro i ribelli 
del Marchesato, pronunciata alla Dieta dì Ravenna da Federico 
II, il patriarca Bertoldo commise a Giovanni de Rivo, castal- 
dìone generale per tutta l'Istria, di accogliere la sommissione 
delle città defezionate, questi con a Iato, tra altri u0ìciali e 
consiglieri, Nasinvera de Fola si recò a Parenzo, ove, il i5 
d'aprile, ingiunse al cittadino parentino Nicolò di Rozzo e 
a quelli di parte sua, di presentarsi entro i5 giorni dinanzi 
al patriarca in Friuli, onde sostenervi le loro ragioni di fronte 
a Marino Mengosio, pure di Parenzo, e ai suoi consorti ^). 

E quando, nel susseguente anno, anche Pola dovette as- 
soggettarsi definitivamente al dominio d' Aquileia, Nascìnguerra 
fu posto dai patriarca a capo di quel Comune riformato, col 
titolo di podestà della regalia, nella qual carica si mantenne, 
a quanto pare senza interruzione, per il corso di circa io anni, 
cioè sino alla guerra del 1242 con Venezia, mentre i suoi due 
fratelli entrarono a far parte tanto della magistratura patriar- 
cale, che del Consolato e del Consiglio comunale. Per tal modo 
il governo della città venne quasi a concentrarsi nelle mani 
dei Pola, i quali col sostenere risolutamente le prerogative 
della Chiesa aquileiese, e coli' avversare e reprimere la fazione 
autonomista, si assicurarono l' incondizionato appoggio dì 



') N^ri, Lettera a Pietro Gradcnigo intorno ad un antico sigilla 
ecc. (Notizie storiche di Pola pag. 36a). 
*) MiNOTTo, Atta et dipi. I, 17. 



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Bertoldo, che li favori moltipticemcnte, talora persino a detri- 
mento degl'interessi di quell'Episcopato. Abbiamo già veduto 
come il vescovo Enrico si adope^as^ie a ricondurre Pola all'ob- 
bedienza verso il suo sovrano ; sembra eh' egli se ne ripromet- 
tesse speciali vantaggi atti a risollevare le depresse condizioni 
civili delia sua Chiesa, rimanendo però in gran parte detu<o 
nelle sue aspettative. In seguito si fecero perline alquanto tese 
le relazioni tra di lui e Bertoldo, e nel i236 il pontefice rimise 
l'esame e la definizione delle loro controversie alt" arciprete 
di Bol(^na Zoenne de Ti^ncanari e al maestro dei decretali 
Raimondo dì Villaquisio '). 

Il patriarca seguitò anche per l' innanzi a mantenersi fedele 
all'imperatore, e non ne disertò la causa neppure durante l'in- 
calzare degli eventi de! 1338-1239, quiindo papa Gregorio IX 
mise in opera ogni mezzo, che stava in suo potere, per abbat- 
tere il temuto avversario, fulminandogli la scomunica e strin- 
gendosi contro di lui in una lega offensiva con le Repubbliche 
di Venezia e di Genova. 

Verso la fine del 1237, Capodistrìa, seguendo gì' incita- 
menti del partito guelfo e dei Veneziani, si ribellò di nuovo 
al patriarca, assumendo un governo autonomo e indipendente. 
Bertoldo, collegatosi col conte Mainardo di Gorizia*), sottomise 
dopo non poco la città, con la quale conchiusc una con- 
cordia, che fu ratificata nell'ottobre del i33S da Federico II, 
allora occupato nell' assedio di Brescia "). Ma l'anno seguente, 
continuando l'agitazione e il malcontento dei Capodistriani, il 
patriarca dovette venire con essi a nuovi patti, definiti, come 
altra volta coi Polesi, dall'arbitrato del conte di Gorizia *). 

Pola, che avrebbe potuto approfittare della sedizione di 
Capodistria e delle gravi di^ìcoità politiche in cui si trovava 
allora il patriarca, per emanciparsi e riconquistare il posto 
d'onore fra le città dell'Istria, non si mosse in questo incontro, 

') Mancano, Annali II, 333-3].). 
*) loppi, Docum. goriz. (Arch. Iriest. XI, 401). 
') HoiLLARD — Bréholles. op. cit. V, ^^i. 
*) ioppi, Aggiunte in ed. pag. 19 e s^. 



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— 199 — 

senza dubbio perchè raffrenata dalla sagace azione di governo 
del suo rettore Nascinguerra, E avendo Bertoldo visitato la pro- 
vincia ne' primi mesi del 1238, chiamatovi appunto dalle turbo- 
lenze dei Giustinopolitani, i Polesi lo accolsero onorevolmente 
entro le loro mura, ove il 4 di marzo sedette in tribunale, nel 
coro della cattedrale, per decidere una causa civile tra i fratelli 
Pietro e Ance Apollonio e il Comune di Pirano. Fra i numerosi 
testimoni, che assistettero a questo giudizio, figura pure Dominus 
Papo frater Nascinwerrae ') 

Contrariamente all' opinione di alcuni nostri storici, i quali, 
seguendo le malsicure orme del Nicoletti, attribuiscono a Vol- 
chcro di Colonia l' istituzione d' un governo provinciale, mai 
esistito, con la sede in Capodistria, ove avrebbero avuto la 
loro stabile residenza, i luogotenenti patriarcali ^) (la serie sicura 
de' quali, ch'ebbero in origine il titolo di ricari, comincia 
appena sotto il successore di Bertoldo), crediamo di poter ri- 
tenere con certezza che almeno sino a tut'a la prima metà 
del secolo XIII Pola seguitasse a venir considerata come il cen- 
tro e la capitale morale dell' Istria, e questa nostra convinzione la 
fondiamo principalmente sui placiti genernli della regalia, che i 
principi ecclesiastici vi tenevano ogni qualvolta visitavano il Mar- 
chesato, come anche sulla cura assidua e manifesta, con cui 
essi cercarono di rinforzarvi, più che in qualunque altra città del- 
l'Istria, il loro potere. 

È fuor di dubbio che i patriarchi ebbero in Pola, ove 
teneano anche proprio palazzo, maggiori interessi da custodire 



') Cod. dipi. istr. n38, 4 marzo, Pola. 

'J In nessun documento conosciuto dell'epoca di Volchero e di 
Bertoldo troviamo memorìa di questi pretesi governatori dell'Istria; 
soltanto nel 1233 comparisce per poco, durante il movimento separatista 
dei Comuni, un loiuinnes de Rivo generalis gaslaldio d. Palriarche Mar~ 
chionis in Istria, il quale ebbe l' incarico di sottomettere le città ribelli 
e di rintrodurvi le istituzioni patriarcali. Del resto 11 titolo marchionale 
era in quel tempo un attributo esclusivo dei patriarchi quali sovrani 
dell'Istria; e appena Raimondo delta Torre cominciò a privarsene con- 
ferendolo la prima volta circa il ì2'j5. 9 suo nipote Goffredo, cui 
commise il governo della provincia. 



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— 300 — 

che altrove, possedendovi, inoltre, nel territorio, vasti beni allo- 
diali, già appartenenti a quel Vescovato, sui quali esercitavano di- 
retta ed esclusiva giurisdizione. Her cui essi cercarono di concor- 
dare anzitutto colà i due opposti principi di autorità sovrana e di 
autorità municipale, concentrandoli in un comune rappresentante, 
che fu il podestà della regalia, al quale venne di certo ricono- 
sciuta una superiorità di grado, di confronto agli altri castaldionì 
della provincia. 

Nascinguerra e i suoi fratelli ebbero la mano abbastanza felice 
nel condurre il reggimento della loro patria, ove, a precipua opera 
dì essi, il trionfante ghibellinismo patriarcale andò attutendo 
gradatamente nel popolo il sentimento, pria cosi vivo, di libertà. 
Essi, intesi ad assicurare stabilmente la città alla Chiesa 
d'Aquileia, mirarono a proscioglierla un po' alla volta dagli 
antichi vincoli di obbligazione verso la Repubblica di S. Marco, 
seguendo in ciò la volontà del patriarca, che agli influenti 
maneggi di es.sa Repubblica ascrìveva, e non del tutto a torto, 
V instabilità del proprio dominio in Istria. 

Ne avvenne però che fra i Polcsi e i Veneti cominciarono 
a ravvivarsi i sospetti, i rancori e le inimicizie d'un tempo, 
che alla fine dovevano prorompere in un nuovo conflitto 
micidiale. 

Rincaloriva appunto allora la guerra tra Federico li, in 
lega coi Pisani e con altri popoli d' Italia, e la Repubblica di 
Genova, principale ausiliatrice del pontefice e della Chiesa. La 
sanguinosa battaglia della Meloria (3 maggio 1241) aveva al- 
quanto rialzato le sorti dell'imperatore, mentre Tarmata ge- 
novese, che trasportava al Concilio ecumenico di Roma buon 
numero di prolati italiani e francesi, era stata vinta e distrutta 
dalle unite flotte di Sicilia e di Pisa. Conseguentemente a questo 
successo. Federico potè trarre a sé molte città ghibelline, e 
col loro concorso allargare il proprio campo d' azione, e far 
impeto per mare e per terra contro la Repubblica ligure, 
ch'i^Lì sperava di poter in breve debellare, per correre di poi 
all'agognata conquista della città eterna. La morte di Gregorio 
IX, avvenuta nell'agosto di quell'anno, rallentò per poco la 
lotta ; intanto i Genovesi si diedero con animo invitto ad 



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— 201 — 

apprestarsi alla riscossa, stringendo ail' uopo nuove alleanze e 
riannodando le antiche. Verso la metà del 124S, mentre una 
poderosa armata imperiale minacciava da vicino le loro spiagg:e, 
essi, come narra ìl Dandolo, si rivolsero per soccorso alla Si- 
gnoria di Venezia, la quale, corrispondendo all'invito, mise 
tosto in assetto sessanta galee, oltre a numerosi legni minori, 
affidandone il comando a Giovanni Tiepolo, figlio del doge, e 
a Leonardo Quirini. 

Ma avendo chiesto in questa occasione i Veneziani alle 
città tributarie dell' Istria e delta Dalmazia la somministrazione 
delle navi armate, dovute in virtù d^li antichi patti, n'ebbero 
da Pola una formale ripulsa, ciò che li indusse, secondo il 
Dandolo, a muoverle guerra, per castigarla della sua inob- 
bedienza '). 

Però questo non fu che l' incentivo occasionale all'azione, 
giacché i Veneziani avevano da vario tempo argomento di 
digìdenza e di recriminazione verso i Polesi, i quali, tra altro, 
non si peritavano, di favorire e ricettare entro le loro mura 
quelli di Albona e Fianona, che, datisi a corseggiare il Quarnero, 
molestavano, assalendole e depredandole, le navi mercantili 
venete *}, 

Le cause dirette di questa guerra vengono vagamente 
attribuite, da un relatore contemporaneo, alle novità imprese 
a danno dei Veneti e loro sudditi dai signori Papone e Nascin- 
guerra, lune dominatores Pale ^) ; tra le quali novità devesi porre^ 
oltre il mancato armamento della galea ricordato dal Dandolo, 
anche la niegata annua contribuzione d' olio alla chiesa di San 
Marco, di cui vien fatto cenno, come vedremo, nclP istrumento 
di pace. 



') Danduli. Chronicon. (R. I. S. XII, 353). 

*) Cesca, Docum. sulle relaz. tra Pola e Venezia. Arezzo, 1888, pag. u. 
Testimonianza del veneziano Giovanni Rosso sulla guerra di Pola del 1 341, 
assunta dal governo veneto nel i3i8. • Causa vero huius exercitus fuit. 
quod illi de albona ed de flaona depredabantur gentem nostrani, et illi 
de pola recipiebant et substeniabant illos predones -. 

') Cksca, ibi, pag. 14. Testimonianza di Biaggio Lombardo sui fatti 
di guerra contro Pola del 1341, assunta dal veneto governo nel i3i8. 



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Da queste poche e incomplete notizie si può argomentare 
qualmente i Polesi, suggestionati senza dubbio dal patriarca, 
avessero iniziato da qualche tempo una politica risolutamente 
avversa ai Veneziani, col manifesto duplice intento di sottrarsi 
del tutto alta loro soggezione, e di favorire la causa dell'im- 
peratore, dal quale speravano forse prolezione ed aiuto. E il 
momento di venire ai fatti, ostentando noncuranza e dispregio 
per l'autorità ducale, parve ad essi propìzio appunto allora, 
che Federico trionfava sui suoi nemici, e che Zara, innalzato 
il vessillo della ribellione, sembrava iniziare un movimento 
generale delle città dalmate e istriane contro il dominio di 
San Marco '). 

I Veneziani erano troppo accorti in politica ed opportunisti 
per non badare prima alle necessità proprie che ai bisogni 
altrui, ne andasse pure a scapito di formali impani assuntisi. 
Invece di correre in aiuto dei Genovesi, diressero la grande 
flotta — che, a detta d' un testimonio oculare, comprendeva 
fra galee, marane, marciliane, oltre centosessanta legni, su cui 
presero posto sessanta giovani delle più cospicue casate 
patriziali ") — verso Pola, che fu sottomessa, come pare, senza 
forte opposizione, e punita col parziale smantellamento delle sue 
fortificazioni alla riva, mentre il Comune dovette pagare una 
determinata somma d'indennizzo per la mancata corrisponsione 
della galea ^). 

Compiuta questa operazione, l'armata veneta discese l'Adria- 
tico, e, lasciata in disparte Zara, già occupata dagli Ungheri, 
gittò le ancore nel porto di Spalato, ricettacolo di pirati, e in 



') Luci, op. cil. p i59 e seg, 

^' Cesca. p. 12. — Secondo il Dandolo. Chronicon, e secondo il Liber 
regiminum Paduae la flotta veneta era composta soltanto di 60 galee. 

") Danduli. Chronicon. 353 ; Cumque Polenses requisiti ut unam 
galeam. sicut tcnebantur. armarent. jussa adìmplcre renuisscnt. Capita- 
liei abeuntes Polam viriliter impugnant. quam obiincntes, diruptis mu- 
ri9, Durachium processerunt. . , . Cfr. Sanuto, Vite de' Duchi di Venezia 
(R. I S. XXII, 553) — Marangone. Croniche della città di Pisa {R. I S. 
1 Florentiae 1748. I, 5o3) : Ed accordati (i Veneziani) con sua annata prima 
vennero a Pola. e volevano alcune galee da quella, dove ebbero solo 



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— 3o3 — 

quelli di Durazzo e Corfù, richiamando ovunque le popolazioni, 
alla devozione verso la Repubblica. Poscia, passata all'opposta 
riva adrialìca, e toccati i porti pugliesi d'Otranto e di Brindisi ') 
senza incontrare gì' Imperiali, sui quali i Genovesi avevano 
testé riportato degl'importanti successi, prese la vìa del ritorno, 
senza dubbio perchè rivocata nelle acque dell' Istria dai nuovi, 
gravi avvenimenti di Pola. Dove nel frattempo i cittadini, insof- 
ferenti dell' umiliazione e del danno patiti, e risoluti a trarne 
aspra vendetta, eransi sollevati, contro i sudditi e parti- 
giani veneti , che cacciarono dalla città sequestrandone i 
beni e gli averi. Quindi, riparate in fretta le mura, diedersi 
con ogni possìbile energìa a prepararsi alla resistenza e alla 
lotta, divenuta omaì inevitabile; e provvi>tìsi d'armi e di 
vettovaglie, chiamarono a raccolta non solo tutti gli uomini 
abili del Comune, ma anche molti aderenti patriarcali di altre 
terre del Marchesato *). Come solevasi in consimili casi. ÌI go- 
verno militare della città venne affidato ad una specie dì Con- 
sìglio di guerra, composto del supremo comandante delle milizie 
urbane, che fu Nascinguerra podestà della regalia, e dei capi 
dei rioni, in numero di dieci, chiamati ffwrit://<or/ar«m, avendo 



') Testimonianza dì Giovanni Rosso, che prese parte alla spedizione. 
Ma il testimone, vecchio di almeno 90 anni, chiamato a deporre nel 
i3i8 su avvenimenti tanto remoti, ne confuse la cronologia e riunì in 
una sola le due ben distinte intraprese venete dei 1343 contro Pola. Di- 
fatti, ^li ag'ermò che l'armata veneta, uscita nel marzo (recte agosto) 
da Venezia, andò direttamente all' attacco della città istriana, che fu in 
queir incontro debellata, arsa e distrutta, mentre ciò avvenne, come 
sappiamo per fede sicura di documenti, appena nell' ottobre al ritomo 
della flotta da Durazzo. Cfr. Danduli, Chronicon, I. e. e Sanuto. Vite de' du- 
chi. 1. e —Vedi anche in proposito la seguente nota del Liber Regiminum 
Paduae (Miscellanea di Storia veneta. Serie II T. VI p. 91) A. 1242. < Et de 
mense augusti Leonardus Quirinus et filius lacobi Teopoli, ducis Ve- 
netiarum cum LX galeis iverunt in civitatem Polae, et eam ceperunt, 
et inde iverunt Dyrachium, et redeuntes acceperunt omnes divilias Polae, 
et urbem ipsam combusserunt ». 

") Et tunc erant in auxiho dìctorum de Pola omnes ìllì de Istria. 
TcBtimon. cfi G. Rosso. (Cesca, 13). 



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— -204 — 

il principale incarico di custodire e difendere le porte coi ri- 
spettivi tratti di mura. 

Allorché, nell'ottobre, i Veneziani rientrarono con l'intera 
squadra nella rada di Pola, si videro obbligati a cingere di re- 
golare assedio la città, respìngente sdegnosa ogni intimazione di 
resa. Per sette interi giorni la batterono colie più potenti 
macchine di guerra; e nell'ottavo, investitala furiosamente 
d'ogni lato, ne scalarono le mura, e dopo lunga ed ostinata 
mischia se ne impadronirono. 

Fu quello uno dei momenti più nefasti per Pola, abban- 
donata in preda alle soldatesche nemiche, che la misero a ruba 
e la devastarono orribilmente col ferro e col fuoco '). Tutte le 
mura, i fortilizi, e persino le case verso la marina, dalla fontana 
all'arsenale, andarono demolite e rase al suolo ^). 

Non meno di undici giorni durarono lo strazio e la ro- 
vina dì Pola; alla fine i Veneziani, tolti alcuni ostaggi, tra 
cui Papone fratello di Nascinguerra, da essi ritenuto come il 
principale promotore della sollevazione, abbandonarono l' infelice 
città, traendosi dietro, quale trofeo di guerra, il naviglio ar- 
mato del Comune. 

Come avveniva di isolilo in tali occasioni, la maggior parte 
degli abitanti e dei difensori di Pola fuggirono dalla città appena 
questa cadde in mano del nemico, riparando nelle più lontane 
ville del territorio, d" onde alcuni fecero ritorno in patria tosto 



') Danduu, Op, e loc. cit. Veneti redeuntes, cum Polenses iniu- 
rioBas minas in Venetos prorupissent. denuo Civìtatem invadunt, et rui- 
nis et incendio de niense Oclobrìs illam destruunt, — Sanuto, op. e 1. 
cit : E perchÈ Pola di nuovo avca ribellato, dopo il suo partire, quella 
rovinò e abbruciò. 

*) Et fuerunt dirrupti et prostracti a fontana usque ad Arsenatum 
omnes porte et muri civitatis usque apud terram, donius etiam de muro 
que crant iuxta muros diete Civitatis versus mare fuerunt omnes pro- 
slracte. (Testimon. di G. Rosso. Ivi). — Terra Pole capta fuit a venelis 
et Iota combusta et muri omnes et macerie et porte et alie fortilicie 
aperte de versus mare a fonte usque arsenatum ruynati fuerunt. (Te- 
Gtimon. di Bi aggio Lombardo, Ivi). 



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— 2o5 — 

a)la partenza dei Veneziani, altri, cioè i più compromessi e i più 
paurosi appena dopo il ristabilimento della pace >)- 

I Polesi, che invano attesero, e prima e dopo la iattura 
patita, la liberatrice (lotta imperiale, da false voci ripetutamente 
annunziata vicina, s' avvidero b-n presto di non poter fare 
aflìdamento che su sé stessi, nulla sperando nemmeno dal 
patriarca, cui mancava l'animo d'impegnarsi a loro difesa in 
una lotta contro la Repubblica. Per cui, dopo due lunghi mesi di 
crucciosa esitanza e d' indugio, p^giorando sempre più le loro 
condizioni, per i gravi danni che dal perdurante stato di guerra 
ne derivavano ai loro interessi marittimi e commerciati, si 
decisero ad implorare pace e amistà dai Veneziani. 

La vigilia di Natale, congregatisi al suono delle campane 
e alla chiama dei pubblici banditori sul piazzale appresso il 
castello, il podestà della regalia Nascinguerra, i consoli Galvano, 
Pencio e Carstolo, i membri del Consiglio e il popolo della 
Concione, elessero due canonici della cattedrale, cioè il sacer- 
dote Ugo e il suddiacono Giovanni de Spago, quali nunzi e 
procuratori del Comune per trattare la concordia col doge e 
col governo veneto. Gli ambasciatori si portarono a Venezia, 
ove, dopo lunghe e laboriose negoziazioni, giunsero a condurre 
3 termine la non facile missione. A Rialto, nel palazzo ducale, 
il 21 di gennaio del 1243, fu conchiusa la pace, vincolata a 
condizioni molto onerose e umilianti per i Polesi, nei quali i 
Veneziani volevano soffocare ogni ulteriore velleità di sedizione. 

II rògito dell'accordo conteneva i seguenti articoli, che 
per sommi capi riproduciamo: r. Gli abitanti della città e del 
distretto di Pola dovranno giurare fedeltà al doge attuale e 
ai suoi successori. 2. La città di Pola si obbliga dì togliere 
per un anno un podestà vesieto e di assegnargli il consueto sala- 

') Dandcli, loc. cit. : Cives prorugi ad Irbem redire formidantes 
etc. — 11 Vidovich, nelle sue Memorie civili di Pola, scrìve su questo 
proposito: Tutti i cittadini che sruggìrono la spada del vincitore anda- 
rono miseramente profughi nei boschi per sottrarsi ai detestabili eccessi 
dei Veneziani; né tornarono ad abitare la città ripiena degli orrori della 
morte, se prima per mez/o di nunzi spediti a Venezia non impetrarono 
il perdono dal doge. 



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— 2o6 — 

rio, 3. Dal dì che il predetto podestà prenderà possesso della 
sua carica, gli ostaggi polesi trattenuti in Venezia, staranno 
a tutto carico del loro Comune. U signor Paponc verrà rilascia- 
to, però in cambio d'uno dei figliuoli del signor Nascinguerra, a 
scelta del doge. 4. Tutti i danni materiali subiti, durante gli ultimi 
avvenimenti, dai sudditi veneti domiciliati in Pola, dovranno veni- 
re pienamente risarciti, nel termine della prossima festa di S. Mi- 
chele (39 settembre], fatta astrazione dei danni agli stessi arrecati 
dalle milizie venete, nel tempo in cui arsero e guastarono la città. 
5. Senza una speciale licenza del doge e della Signoria di 
Venezia, i Polesi non potranno fortilìcare la loro città verso la 
marina, né con mura, né con macerie, né con qualsivoglia altra 
opera dì difesa. 6. 11 Comune di Pola si obbliga di attenersi ai 
precedenti patti, e alle promesse fatte ai dogi di Venezia, 
in specialità a Domenico Morosini, e di ofTrirc annualmente 
alla Signorìa ìl tributo di 3000 libbre d' olio, di cui una metà 
per la fabbrica di S. Marco e l'altra metà per l'illuminazione. 
Che se per T innanzi questa prestazione non venisse corrisposta 
puntualmente, i procuratori di S. Marco e i chierici della chiesa 
avranno il diritto di risarcirsene, oppignorando, col consenso 
del doge, i beni dei Polesi, 7. Oltre i capi del Comune, anche 
gli altri cittadini, cioè tutti gli uomini dell'età dai 14 ai 70 
anni dovranno giurare i capitoli della presente convenzione. 
E ogni anno il podestà e i consoli, air inizio del loro reggimento, 
presteranno il medesimo giuramento. 8. Tanto i Polesi che i 
Veneziani debbono venir reintegrati di tutti ì loro beni ed 
effetti, toltisi a vicenda durante la guerra, ad eccezione delle 
navi sequestrate ai primi, che non saranno loro restituite. 

Giusta l'obbligo assuntosi dai due procuratori polesi, 
questa pace dovette venir solennemente confermata dai rap- 
presentanti del Comune e da tutto ìl popolo di Pota in pubblica 
Conclone, che fu tenuta sul piazzale del castello il di 4 febbraio 
del 1343 '). Al governo della città stava ancora Nascinguerra, 
podestà delia regalia, con a lato ì dieci capi dei rioni e custodi 



') Notìz. stor. di Pola, pag. 38] e seg. 



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- 207 — 

delle porte. 1 consoli dell'anno precedente apparivano già 
usciti di carica, senza essere stati ancora sostituiti, dovendosi 
attendere probabilmente l'insediamento del podestà veneto per 
procedere ad una nuova elezione consolare. Soltanto dugento- 
quarantitquattro furono i cittadini che giurarono la pace e 
fedeltà perpetua al doge. Non è certo ammissìbile che la città 
col suo territorio — tenendo pur conto delie gravi perdite 
subite durante la guerra — contenesse allora un numero così 
esiguo d'uomini dai 14 ai 70 anni, cioè atti, comunque, alle 
armi ; per cui, prescindendo dal fatto, che alla prestazione del 
giuramento furono obbligati naturalmente soltanto gli indigeni, 
esclusi quindi tutti i forestieri, tra cui numerosi erano in Pola 
i sudditi veneti, fa d' uopo di credere che buona parte dei 
profughi non fossero ancora ritornati alle case loro, e che 
inoltre molti abitanti delia città e delle ville, tra i più fieri av- 
versari di Venezia, trovassero modo di sottrarsi a quell'atto 
ripugnante di forzosa sommessionc. 

Dall'esame degli avveni;iienti passati tciitè in rassegna, 
possiamo farci un' idea a quali vani concetti di diritto politico 
s" informassero i rapporti vicendevoli fra il governo centrale 
d' Aquileìa e i Comuni istriani ad esso soggetti. Notisi che Pola 
apparisce in quel tempo come la città più devota al patriarca, 
e a lui legata da maggiori vincoli di dipendenza. Ebbene : i 
Polesi si trovarono implicati in una guerra impari con Venezia, 
e vi subirono una dolorosa sconfìtta, senza che il patriarca sì 
credesse obbligato a muovere un pa^so in loro soccorso. Inchi- 
natisi alla pace, ne stipularono un formale trattato, in cui non 
vien fatto neppur cenno della persona del legittimo loro principe; 
di più ancora dovettero promettere fedeltà al doge e dichia- 
rarglisi tributari, senza che Berto'do osasse levare la voce a 
tutela dei propri diritti di sovranità, così pLilesemente discono- 
sciuti e vilipesi. 

Bisogna notare che Venezia esercitava già allora sull'A- 
driatico un incontrastato predominio, non soltanto commerciale, 
ma anche politico, e che essa, considerando quasi come proprie 
vassalle le città marittime dell' Istria, non avrebbe tollerato 
una diretta intromettenza del patriarca nelle sue relazioni con 



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— 208 — 

esse. La storia non ci dà- testimoDianza d'una seria resistenza 
armata da parte del governo patriarcale al dilatarsi del- 
l'influenza veneta nell'Istria, il che va ascritto alla man- 
canza di unità politica e amministrativa, e di virtù militare 
in quello, che, se debole quale potenza terrestre, era debolissimo 
anzi nullo affatto come potenza marittima. Eppure esso com- 
prendeva da Monfalcone a Fianona una sviluppatissinna costa di 
mare, lunga circa 400 chilometri, alla difesa della quale avrebbe 
dovuto rivolgere le principali sue cure ed energie, ciò che perà 
sarebbegli stato fattibile soltanto col concorso volonteroso e 
utianime dei Comuni littoraneì, i quali, invece, sempre in contesa 
e in armi tra di loro, se riuscivano per poco ad accordarsi, lo 
faccano non già in sussidio ma ai danni del loro principe. 

Nelle convenzioni conchiuse dal patriarca Bertoldo col 
Dominio ducale, mai si trova menzione del Marchesato, qua- 
si questo non facesse parte integrale dello Stalo d'Aquileia. Ma i 
Veneziani non volevano rinunziare all'antico diritto consuetu- 
dinario di trattare direttamente coi Comuni istriani, ciò confa- 
cendo meglio ai loro interessi e fini politici. 

Non soltanto in Istria, ma persino nel Friuli, il patriarca 
subiva rassegnato un continuo e progressivo menomamen- 
to della sua autorità e del suo prestigio. In un trattato 
del 1322 riconobbe al doge il diritto di tenere in Aquilcia 
un proprio vicedomino per l'amministrazione della giustizia 
ai sudditi veneti colà residenti, i quali non potevano venir ci- 
tati dinanzi al tribunale patriarcale >]. E nella pace del 1248, 
Bertoldo dovette implorare dal doge il permesso di far tra- 
sportare per mare in via di gra\ia il proprio vino dall' Istria 
in Friuli; inoltre che ai suoi sudditi fosse accordata licenza di 
costruirsi delle saline, dei cui reddito una metà doveva andare 
però devoluta alla Signoria ^). 

Date queste infelici condizioni del Patriarcato, si capisce 
troppo bene come Bertoldo, dopo avere aizzato nel 1242 i Polesi 



'j Cod. dipi. istr. laaa, 21 giugno. Venezia. — Minotlo Acta et di- 
plom [. 14 (con la falsa data dell' B giugno). 

-] Cod dipi, istr, 1148, 14 settembre, Venezia. — Minotto, I, aa. 



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— 309 "-' 

contro Venezia, non osasse intromettersi nel conflitto, temendo 
di venir coinvolto nella loro rovina. Certo il suo prestigio ebbe 
a soffrirne non poco, né saranno bastate, a ricondurre intera- 
mente a lui gli animi sfiduciati dei vinti, le vane cure con cui 
cercò, poscia cessato il pericolo, di alleviarne le sorti ^) 

Trascorso l'anno di cureria imposto dalla Repubblica a 
Pola, con 1' assegnarle un podestà veneto, che fosse esecutore 
fidato delle principali clausole della pace, la città si trovò più 
libera di prima, ma di questa momentanea libertà il popolo 
non fu in grado di approfittare, giacche la fazione ghibellina 
o patriarcale aveva tuttavìa la preponderanza in paese. I da 
Pola, destri nelle più di0ìcili congiunture e con la mente 
fìssa già allora ad un ben determinato obbiettivo, trionfavano 
anche nella sconfìtta, allorché ripresero, nel 1244, le redini del 
governo comunale. Essi avevano tutto l' interesse di opporsi 
ai fautori dell'autonomia, e di mantenersi anche per l' innanzi 
attaccati al patriarca Bertoldo. Il quale ritornò a Pola nel marzo 
del 1246, in compagnia del suo avvocato Mainardo conte di 
Gorizia e di numeroso stuolo di cavalieri istriani e friulani, e 
vi tenne un placito nella chiesa della B. V. dei Canneto per 
decidere alcune controversie feudali tra il Comune e il vescovo 
di Parenzo. Fra i testimoni intervenuti alla promulgazione della 
relativa sentenza figurò pure il signor Papone dì Pola *). In 
questa occasione Bertoldo avrebbe riconfermati i privilegi del 
Marchesato *). 

Nel 1 244, in seguito alle insistenti esortazioni del pontefice 
Innocenzo IV, il patriarca si decise a riconciliarsi con lui, re- 
candosi personalmente a implorarne la grazia e il perdono. 
Da quell'istante egli troncò ogni rapporto con Federico II; 
anzi nell'anno seguente intervenne al Concilio generale di Lione, 



>) Manzano, Annali. II, 34t cit. Nicolettì. 

*) Cod. dipi. istr. 1146, u marzo, Pola. 

') Cari,i, Antichità ita). Appendice di docum. pag. 3i3 — DBLLd 
Bona. Strenna cronol. per Tant storia del Friuli, pag. 65. — Forse si 
riferisce a quest'anno il r^esto, senza data, contenuto nel Thes. Eccl. 
Aquil. N. 543 : Quedam ordinationes facte in Istria per D. Patriarcham 
Bcrtoldum de voluntate Provincialium omnium Istrie in una charta. 



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d'onde partì una nuova scomunica contro l" imperatore. Nel- 
l'animo del quale andò accendendosi per natura) conseguenza 
una fiera avversione verso il suo antico amico e alleato, contro 
di cui incitò i propri partigiani Ezzelino da Romano e Mainardo 
di Gorizia, ordinando a quest'ultimo, ncll' ottobre del 1349, di 
invadere e occupare tutti i possedimenti feudali aquileiesì in 
Stiria e Carinzia '). 

Questo improvviso distacco dal passato, questo abbandono 
d' una causa, per la quale avea combattuto con entusiasmo 
da tanto tempo, ma più di tutto l'ingratitudine verso un 
uomo che lo avea colmato di benefizi e d' onori, furono, senza 
dubbio, motivi di cruccio e di rimorso per il vecchio patriarca, 
e gli resero tristi e scon!:«olati gli ultimi anni di vita. Desideroso 
di pace e d'oblio, lasciando ad altri la cura delle più gravi 
incombenze di Stato, si dedicò per l' innanzi unicamente ad 
opere di pietà religiosa, e mori il 23 maggio del i25i. 

Sono molto scarse le notizie atte a farci luce sulle condi- 
zioni interne di Pola in quest'ultimo periodo del governo di 
Bertoldo, Il ghibellinismo vi trioniava tuttora, nonostante la 
sommessione del patriarca al pontefice, giacché, come altrove 
notammo, i Castropola, sia per sentimento di personale affetto 
e riconoscenza verso i! loro benefattore, sia per viste di oppor- 
tunismo politico, rimasero costantemente attaccati al loro principe, 
benché non potessero vedere di buon grado il suo distacco 
dall' imperatore. 

Del resto, specialmente nelle città di secondaria importanza, 
non interessate direttamente nella lotta fra le due supreme 
potestà, l'ecclesiastica e la laica, tanto il ghibellino che il guelfo 
erano divenuti partiti di carattere esclusivamente locale, non 
aventi altro fine che di disputarsi il governo del Comune, 
Di solito, e così anche a Pola, il primo, rappresentato dalla 
nobiltà, avea un'impronta piuttosto aristocratica; il secondo, 
essendo costituito in maggioranza dal popolo minuto, avea 
un carattere più democratico, ma come all'uno poco punto 



') SCHiRRMACiiER. K Fridcrich II Voi IV. pag a85. 



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importava dell' imperatore, cosi all' altro pocoo punto interessava 
del papa. 

Circa questo tempo i capi del Comune polese entrarono 
in conflitto col loro vescovo per motivi non ben precisabili, 
ma riflettenti questioni di pubblico diritto. 

È. certo che il vescovo Guglielmo, il quale teneva quella 
cattedra dal i238, accampava delle pretese giurisdizionali in 
Pola, vantando, tra altro, dei diritti sul castello, che gli era 
stato occupato dai rettori comunali. Sembra che egli, appro- 
fittando successivamente della mutata politica patriarcale, della 
morte dell'imperatore Federico I! (i3 dicembre i25o), e infine 
della vacanza della Sede aquileiese, cercasse di rivendicare 
all'autorità ecclesiastica il predominio civile altra volta goduto. 
Ma senza alcun profittevole successo. 

Era allora podestà di Pola il fratello minore di Nascin- 
guerra, Galvano, il quale, mosso forse da qualche tentativo 
d'ingerenza clericale nelle cose interne del Comune, avversò 
fieramente il vescovo, non certo per amore e in difesa della 
libertà, ma paventando gli effetti delle di lui mene, dannose 
comunque, all' ulteriore consolidamento morale e materiale 
della propria famiglia. Trovando piena aderenza nel Consiglio 
e nella maggioranza dei cittadini, egli fece imprigionare due 
dipendenti del pretato, cioè Pietro de Olica suo famigliare e 
Rinaldo suo nolaro, ai quali furono sequestrate alcune lettere 
e altre scritture; rifiutandosi di liberarli nonostante le replicate 
istanze e intimazioni del vescovo. 11 quale, ricorrendo alle armi 
spirituali, da prima scomunicò Galvano e i singoli membri del 
Consiglio, poscia interdisse l'intera città, sotto accusa di aver 
parteggiato per essi. 

Ma neppure questa estrema misura di rigore giovò gran 
fatto al suo intento. L'autorità vescovile era in lui scaduta di 
modo che neppure tutti i sacerdoti si mostrarono inclinati ad 
obbedirgli, seguitando anzi taluni a celebrare gli u0ìzì divini e 
a somministrare i sacramenti entro le mura della città interdetta. 

Allora Guglielmo privò delle loro prebende i chierici ribelli, 
e si volse per consiglio ed aiuto al pontefice Innocenzo IV, 



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-— 312 —^ 

che, in datu i8 luglio del riSi, lo autorizzò di conferire ad 
altri sacerdoti, devoti alla Chiesa romana, i benciìzì rimasti 
vacanti, e di inniggere ai contumaci la censura ecclesiastica i). 
Qual fine avessero queste dissensioni cittadine non consta 
precisamente ; sembra però che venissero risolte appena più 
tardi, per intervento del nuovo patriarca, e in seguito a uno 
accordo fra costui e il vescovo polese, il quale rinunziò in di 
lui favore a tutti i suoi diritti signorili e giurisdizionali entro 
la città e nel territorio di Pola. 

{Continua) 

Camillo de pRANCEStaii 



•} Thkiner. Vetera monum. Slavor. meridion, t, 179 N. 1 
I. isir ii5ii XV Kal. Augusii MedJolani. 



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TAVOLA II. 



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TAVOU III. 




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TAVOU IV. 



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SENATO RETTORI 



DeUberazHHii Beerete di Senato — Serie RETTORI. 



Registro n — (1640). 

1640. — maggio 12. — Ebbe sentore la Sig,'" che a Pago 
trovasi certo numero di cavalli destinati a Fiume; sono neces- 
sarie indagini per sapere < il certo et per dove si sia detta 
« Cavalleria avviata, et capitata ; et in oltre di certo sbarco in 
» Istria di alcuni Cavalli comprati da mercanti nella regolatione 
i ultimamente fatta della Cavalleria per poi condurli a Trieste ». 
— Il Pod. di Capod. è incaricato di ogni indagine e vigilanza 
specie per impedire sviamenti di sudditi ed informare la Sig/" 
sulle intenzioni degli Austrìaci. — |c. 29. t.). 

1640. — agosto 11 — Le lettere 2 luglio del Cap. di Raspo 
contengono < lo trascorso di quei 9 liberaitri Ministri dell'Imp." 
• che si esercitano per la Muda di Mune in portarsi dentro 
( del nostro stato con essersi provecchlatì con qualche violenza 
« usata a Pastori, che vanno sopra la montagna di Trebenice, 
( di alcuni pochi animali per il loro vito, et come dal consti- 
« tuto inviato .... appare >. — Il Cap. dì Raspo suddetto 
dia ordine a quelli del Carso sudditi veneti, che in avvenire 



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- 214 — 

in simili casi si risarciscano da se senza compromissione de) 
pubblico. — (e. 87 t.). 

1640. — settembre i5. — Giacomo Centanni ritornato dalla 
Pod/" di Capodislria riferisce che tra i confini di S. Lorenzo, 
S. Vincenti e Visìnada v'hanno circa 20000 campi incolti e 
contesi coi confinanti austriaci mentre sarebbero fertili perchè 
pascolivi, irrigati e di buona terra. L'attuale pod * mandi un 
disegno di detti campi e ricerchi in quegli Archivi tutte le 
scritture in proposito a favore dei sudd." Veneti. Se vi sono 
deputati ai confini procuri tutte le informazioni per conoscere 
le esigenze dei principi limitrofi, e chi ora posseda o cavi 
beneficio da quei terreni, se altre volte fu tratta in campo tale 
questione interpellandone cautamente i vecchi del paese. — 
fc. 95 t.). 

1640. — dicembre i. — Le considerazioni del -Pod. di 
Capodistria * nel capo de banditi disila Provincia per divertirne 

( il progresso in riguardo alla spopulatione e per difiesa dei 
sudditi > si commendano ; non potendosi d' altronde alterare 
le leggi vegga lo zelo e la coscienza di quel rappresentante di 

« esercitare quella giustizia verso li rei, e delinquenti più o 

* manco grave, che (stimerà) più opportuna nel!" uno, per non 

• causar che dalla troppa induglienza prendine più ardire li 

• tristi a commettere eccessi, e nelT altro che dal rigore non 

* rimanesse più del solito, della convenienza, e degli ordinari 
«requisiti ritardata, o disperata K aspettatìone del ritorno e 
t restitutione loro alla Casa ed alla Patria >. — (e. 120). 

1640. — dicembre 22. — L'Amb Cesareo si lagnò per 
la cattura di una barca che con 2 botti d' oglio levate a Trieste 
si trasferiva a Gradisca, e per il rilascio della stessa dietro 
pieggeria 11 Pod, di Capodistria informi, (e. 127). In data 29 
genn. è prescritta la liberazione della detta pieggeria e la trat- 
tenuta del dazio dì due. io. — e. i3ó t.). 

1640. — gennaio 26 m. v. — Il Cap."" dì Raspo per meglio 
proseguire nella procedura contro gli usurpatori di beni pub- 
blici in quella Prov." riceverà copia del catastico di tutti detti 
beni. Alle cariche di Pola, Dignano e Parenzo s'è commesso 
di prestargli ogni aiuto opportuno, — (e. i36}. 



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Registro 12 — (a. 1641). 

164J. — aprile io. — Spiacc alla Signoria che nella 
cattura di una brazzera da Trieste con sali, fatta dal Cap."° 
Andrea Cmta, siano fuggiti i tre uomini che la conducevano. 
Il Pod. di Capod. procuri conoscerli e proceda contro; il sale 
si getti in acqua. Fu bene riscuotere il doppio dazio da certa 
barca Triestina carica di acciaio, e la ricognizione per transito 
da altre tre barche. Si deliberano cinquecento ducati per quei 
soldati di barca armata. — (e, 11 t.). 

1641. — aprile 30. — Si scrive a Capodistria che in 
proposito air esposizione fatta dall' Amb"" dell' Imp.''' circa «il 
« capo del transito fatto costà per haverne al presente da quei 
« interessati la licenza, contro il costume, et il solito praticarsi, 
«com'egli afferma» esso pod. informi sul praticatosi in ad- 
dietro e nell' ultima occasione ; e se trova che il deposito preso 
sia stato contro il solito ne faccia far la restituzione. — {e. lót.). 

1Ò41. — maggio 7. — Si ebbero le lettere del Pod. di 
Capodistria sul negozio di Fine raccomandato dall' Amb. del- 
l' Imp." «Veramente alle robbe d'entrate, et rendita partico- 
< lare si deve ogni agevolezza nel transito da luogo a luogo ; 
«et la dimostratione del venir a chiedere costà l'approbalione 
« della licenza ottenuta prima dal più vicino Rettore, conferma 
«maggiormente il possesso et la ragion pubblica*. — Nel 
caso presente se gF interessati provano « che fosse quella mi- 
stura di lor entrata » possano transitarla e riavere i dodici du- 
cati trattenuti ad essi per ricognizione « onde nell' uno si 
«mantenga il Dominio, et nell'altro si agevoli a vicini, per 
« aspcttatione di reciproca corrispondenza il commodo del 
« trasporto delle poche entrate, che cavano come è conveniente 1 . 
- (e. 36 tO. 

1641. — maggio 16. — Avendo gl'interessati nella barca 
del patron Mattio Cova carica di ferro ed acciaio e fermata 
mentre da Trieste si dirigeva ad Ancona, fatto pagare tutto il 
debito dazio sia tosto restituito tutto il materiale trattenutone 
per garanzia. — (e. 28 t.J. In data 29 maggio il Senato av- 



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vcrtito che il materiale trattenuto fu già deliberato all' incanto 
e dai compratori mandato a Venezia ne commette il riacquisto 
e )a restituzione a chi fu già stabilito. — (e, 33 t.\ V, pure 
in data la giù. — {e. 40 t.). 

1641. — giugno 19, — Il Cap. Gio. Fracalanza delle ordi- 
nanze di Albona e Fianona è creditore fino al 37 maggio dee. 
di due. trecento novantadue Attesa la somma ragguardevole 
per la povertà del sudd. lo si paghi servendosi del danaro 
tratto dal ferro, che fu trattenuto alla barca proveniente da 
Trieste. — (e. 4b). 

1641. — agosto IO. — Il Pod. di Capodistria informi 
• delle saline et cavedini introdotti a Trieste da quei sudditi 
«imperiati dall'anno lóoo in qua... se habbtmo molto sale 
« ne magazzini, e con quale spazzo et con che abbondanza di 
«sale proprio, e di fuori man<^gino questo interesse... del 
« nostro quanto ne venga ricevuto, se nostri salincrì vanno a 
i lavorar di là; se li contrabbandi moltiplicano, se vi fosse ap- 
< parenza d'altre novità.... se vascelli capitano da sottovento a 
« quelle rive con sali forastieri dì regno e d'altronde > ecc. — 
(e. 69 L]. 

1641. — agosto 24. — Crede il Senato che il Podestà di 
Rovigno avrà fatto pubblicare con retta intenzione il proclama, 
per contrafazionc del quale furono tolti come materia di con- 
trabbando dal suo cavaliere a Gabrielj Bruminiz di Pisino gli 
8 barili di vino introdotti in quel di Rovigno, ; ebbene poi 
restituiti meno uno di quattro secchie lasciato al Cav.'''^ per 
mercede. La Sig^" che vuole libero il reciproco commercio 
commette al Rettore suddetto di tener in sospeso gli effetti 
de! proclama suddetto, non emettendo più in avvenire di simili 
atti senza commissione ed eseguindo anche presentemente 
quanto gli prescriverà il Pod. di Capodistria. A questo scrive 
il Senato commettendogli tra altro di far risarcire con denaro 
il suddetto di Pisino del vino trattenutogli. — {e. 74 t.). 

1641. — ottobre 3. — Il Pod. di Capod. avverte i cons." 
di Pola che potranno godere della desiderata assistenza del 
Gov.' Carbonara, ora gravemente ammalato tostochè risani, 
intanto li assista esso Pod , come ne ebbe commissione, e poi 



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— 217 — 

vi si trattenga il Cons." Pisani. Allo stesso Podestà si rimette 
copia di lettera dd Proc. Alvise Zorzi, che informa dei tenta- 
tivi di un tal Callotti suddito austriaco, il quale per disgusti 
ricevuti dichiarò di voler metter assieme Uscocchi ed altra 
gente di mala qualità per danneggiare in ispecie la terra di 
Marzana. Invìgili ad impedire ogni sinistro ed a scoprire se i 
sudditi veneti sono veramente degni di riprensioni, — (e. 87). 

1641. — novembre 11. — Commendabile risulta la rela- 
zione che Alvise Lìppomano con pienezza d'importanti parti- 
colari, ed evidenza del bisogno di provvedimenti presentò in 
Collegio; simili frutti di zelo si attendono dal Pod. di Capo- 
distria, che principalmente informerà sulle saline d'arciducali, 
sulla qualità delle usurpazioni. Si desiderano sollecitati i re- 
stauri alle beccarle, alle Mura di Capodistria, al palazzo di S. 
Lorenzo ed al Castello di S. Leone ; per 1 lavori alle Beccarte, 
se il dazio di esse passa nella Camera di Capodistria, si usi 
dei ricavati allo stesso, se poi ne gode la Com.'^ provveda 
questa. Scelga persona adatta al riattamento di quelle armi 
pubbliche e punisce i rei di trasgressioni a danno del fondaco. 
All'inconvenienti che i rappresentanti veneti senza permesso" 
abbandonino le proprie residenze provveda pure il Podestà di 
Capod. avvertendone al bisogno il Cons, di X, Eseguisca in- 
fine diligente rassegna e procuri l'esercizio di quei bombar- 
dieri e cernide. — (e. 100). 

1Ò41. — dicembre 12. — Da lettere 30 nov, di Capod. 
risulta che il Callotti castellano arciducale non ha ragione dì 
dolersi dei nostri di Marzana ; conviene sostenere diligente- 
mente il confine. Dai contenuto del processo formato dal Pisani 
a Pola comprenderà il Pod. di Capod.' quello da fare pei 
buoni rapporti coi finitimi. Circa i due sudditi fermati per or- 
dine del Cons.' Pisani stesso e mandati al Pod. < con li riguardi 
< predetti di conservar il confine, diffender li sudditi, che non 
1 originassero novità « consideri le circostanze del fatto per 
bene regolarsi. — (e. 109 t.), 

1641. — dicembre 17. — Si aggradiscono le informazioni 
di lettere 7 corr. della carica di Capod.' sui negozio dei sali 
degli Austriaci ; le si inculca di far disturbare dalle barche 



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armate questo ingiusto trafico dei Triestini senza però destare 
questioni ; osservi i progressi del lavoro divisato sulla secca 
costrutta in mare presso Zaulc, che riuscirà di grave danno. 
Per togliere il concorso alla fiera di Trieste, ove si spendono 
tanti danari anche dai sudditi veneti, si approva l' istituzione 
di una fiera franca a Capodistrìa volendosene però prima ve- 
dere formati ed approvare ì capitoli. Sino ad altro ordine 
trattenga i colli trovati sul vascello catturato dal Cap. di barca 
armata Gio. Marcovich. Si daranno gli ordini per la chiesta 
estrazione di cinquecento staia frumento pegli Istriani ed oltre 
al danaro spedito colà per le barche armale se ne manderà 
per quelle milizie. — (e. in). 

1641. — febbraio n, m. v. — A il Magistrato alle Biave 
concluso un partito di staia diecimila di frumento con ebrei 
della Marca e Romagna; di tale carico crede il Senato sia il 
vascello catturato dal Pod. di Capod.' di cui si loda in ogni 
caso lo zelo. Investighi poi i! numero di banditi veneti che 
stanno in Trieste ed nitri luoghi austriaci, se alcuno piantovvi 
casa, o salina conducendovi la famiglia. Invece di quest'ultima 
parte i savi agli ordini propongono che inerendo ad altre 
deliberazioni fatte per altre terre suddite a tutti i futuri banditi 
d'Istria sia riservato un luogo di confine > con la distanza 
t proportionata del luogo del confine medesimo da quella ove 
t stia d' habitatione il bandito, pur che sia nella stessa Pro- 
» vintia, con che non s' habbino a perder lì sudditi con tanta 
« Facilità et passi questo negotio con regola migliore ». (N. B. 
Però né la parte antedetta né questa emendazione ottennero 
votazione suQìciente). — (e. 128 t.). 

Registro i) — (a. 1642). 

1Ò43. — marzo 13. — Si apprese da lettere di 35 del 
pass, del Pod.' di Capod.° il danno che subisce quella Com.** 
per le negligenze dell'esattore Noreni, assentatosi senza met- 
tere alcuno in suo luogo, né lasciando speranza dì ritorno ; 
pontro chi fosse reo di questo affare proceda detto Pod. Dalle 



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lettere dì i corr, appare il suo zelo nell'avvenire all' introdu- 
zione di cavedini e saline forestiere prossime, ad usurpazioni 
di terreni, case, magazzini al confine; ricerchi Ira altro se la 
casa e magazzino dì pubblica ragione soliti esser abitati al 
confine dai • nostri scrvijni ► fia ora albergo al daziere di 
Zaule e ricetto per contrabbandi ; in tal caso sia punito anche 
lo scrivano che per qualche compenso avesse dato la casa 
stessa al daziere; e vedasi da che tempo rimase questa disa- 
bitala. — (e. 6 t.). 

1Ò42. - aprile 2. — Si danno al Pod. di Capod. com- 
missioni circa alcuni colli che con bolletta per Capod. venivano 
condotti a Trieste, e circa quattro casse senza bolletta con 
passaporto dell' Amb.*"" Ces.° (e. i3 t.) V. anche e. i5 t. !n 
data i." aprile si commette la pronta restituzione delle casse 
anzidette anche senz' altra patente a chi si presentasse in nome 
dell' Amb. Ces." Siccome poi questi ebbe a lagnarsi che le 
barche armate tengano come in assedio Trieste, bisognerà in- 
quirire come sia propriamente la faccenda. — (e. 16 t.). 

1642. — aprile rg, — Si loda il Pod. di Albona pelle sue 
avvertenze a prò del culto di quella Chiesa; si intende * ri- 

• parato agli urgenti bisogni della Chiesa di S.'° Domenica 

• dagli atjìttuuii dell'argenti in virtìi de nostri ordini con le 

• rendite di tutto un anno intiero 1 onde potrà il Pod. suddetto 
levar loro il sequestro eccitandoli però a supplire ancora un 
po' per volta « al nuovo urgente, ma ben necessario tuttavia 

• del soQìtto, pavimento, paia, et altro». 

Quanto alle altre Chiese ■ che hanno entrata, e manco 
«d'apparenza dì tempii, tanto sono mal trattate» mandi nota 
distìnta dei titoli e nomi delle stesse, dove sono situate le 
loro rendite, chi le possiede, i danni sofferti ecc. — (e. 18 t.). 

1642. -■ aprile 3Ó. — L'Amb. !mp. si lagnò che partita da 
Venezia una sua pcdotta per levar vini a Barbana per suo 
uso, ed avendo in essa il patrone due botti dì ogiio ed alcune 
casse, il tutto colle relative bollette, mentre le aveano levate 
di barca ed inviate verso Monfalcone, raggiunti i conduttori 
dalla barca armata dovettero ricondurle alla pedotta senza che 
sì tenesse conto delle bollette e giunti a Capod., dopo inteso 



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il padrone sudd., si dovette dare la licenza e fu con grave 
ritardo. Di questo ritardo vuol essere informato il Senato con- 
trario a qualsiasi vessazione ingiusta ai confinanti. — (e. 20 t.). 

1642. — maggio 16. — A proposito della cattura operata 
di certa barca triestina, che con egli e altre merci levate ad 
Ancona si portava a Trieste, trattandosi di trasporto di generi 
da stato estero a stato estero sìa licenziata con trattenuta di 
soli dieci ducati. In data 17 si dà la commissione stessa al 
Cons.' Pisani sendo assente il Pod., e si provvede alla resti- 
tuzione di quanto fosse stato tolto alla detta barca. — {e. 26). 
Pur in data 7 giugno si scrive che 1' Amb. Elabata ne chiese 
di nuovo la liberazione e siccome dal Cons/ Bartiarigo succe- 
duto al Pisani s' intende che questi avea già licenziato la barca 
trattenendo il genere levatovi il Senato suppone che anche a 
ciò si sarà riparato come fu commesso ed attende informazione. 
- (e. 4')- 

1643. — giugno II. — La cattura di due barche con sali 
dirette a Trieste è commendevole < per manutentione delle 
« pubbliche ragioni in materia gelosa dei sali » stessi ; oppor- 
tuni del resto gli ordini agli utjìciali delle barche armate di 
non accostarsi a terra ; i! Senato desidera altre informazioni 
sul fatto e desidera sapere < ciò che s'habbia osservato di fare 

• in casi tali di transito dì sali per mare da luogo a luogo Au- 

• striaco e delle proibizioni che hanno di condurvelo>. — 
(e 43). 

1642, — giugno 21. — Degno di osservazione è quanto 
scrive il Podestà di Capod. 1 che li sudditi arciducali di cotesti 
t confini siano stati chiamati alla Corte per li lamenti, che 

• han fatto sopra la prohìbitione di estraher sali dallo stato 
« nostro ►; si assicuri, se vi vadano, se tale sia la causa. At- 
tenda pure ad impedire sviamento dì sudditi nel progresso 
delle leve. — (e. 47). 

1642. — giugno 31. — Sopra < il buccesso delle due 
« barche di sali fabbricati in Zaule e sopra altri emergenti a 
€ quel confine » ha 1" Amb.' Ccs." fatto lagni e chiesto risarci- 
menti. Prima che si deliberi è interessato il Pod. di Capodistria 
9 mandare nuove informazioni sui quattro punti addotti dal- 



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— 331 — 

l'Amb." unendo quanti documenti sì riferiscono a fatti con- 
simili avvenuti in addietro. — (e, 48), 

1642. — giugno 35. ~ Il Consiglio di X comunicò al 
Senato lettere di 9 giugno del Pod. di Capod. In proposito 
procuri sapere quanti banditi dello stato nostro sudditi della 
Rep." si trovino a Trieste, e in territorio arciducale, se alcuno 
di essi giurò fedeltà all' Imp." quanti siano, la forma del giu- 
ramento, i fini pei quali fu richiesto etc. — {e. 5i t.). 

1642. — giugno 27. — Il Gap."" di Raspo risponda a 
Lorenzo Brigido il quale gli fa istanza di salvocondotto per 
ritirarsi con sicurezza nello stato veneto, che la Signoria difende 
quanti abitano sotto i suoi domìni!, non usa però dare dì tali 
salvocondottì ; se poi esporrà per iscritto le cause che deter- 
minano la sua richiesta si potrà meglio rispondere. Il Cap. 
suddetto s'informi se il Brigido fu già residente per l'Imp. 
in Venezia, e quali cause lo inducono al passo che medita. — 
(e. 56). 

1642. — luglio 3. — Sebastiano di Pietro Grebo da Rozo, 
territorio di Raspo, e Matteo Ferveglia fu Antonio suo germano, 
quello diecinovenne, questi diecisettenne, andati a Trieste per 
compera di ferramenta furono frodolentemente rapiti. Il Pod. 
di Capod. scriva tosto al Cap. di Trieste perchè procuri la 
loro liberazione ; ma in questa faccenda detto Pod. operi come 
da sé senza impegnare il nome pubblico. — (e. 60). 

1643. — luglio 3. — ■ Ai rappresentanti di confine e tra 
essi al Pod. di Capod. si raccomanda d' impedire che sudditi 
veneti si portino a partecipare delle abbondanti leve che fanno 
gli esteri. — (e. 60 t.). 

1643. — luglio 9. — Ottime l'informazioni da Capodistria 
sui lagni dell' Amb.' Cesareo; pertanto • mentre li Triestini 
( inferiscono con le loro novità de sali li maggior pregiudizi 
• a cotesta Provincia lo incommodarli rincontro nel transito 
f di essi con ogni diligenza et rigore si rende sommamente 
I necessario niente (dovendosi) rallentare, ma sollecitar anzi 
ida cotesta guardia le recognitioni delle barche, et l'insecu- 
I tion di quelle de' sali con tutto calore, ossequendo sopra il 
« fatto medesimo 1' a^ondation effettiva in mare de sali non 



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t mcn, che delle barche in modo, che vi si disperdine li legni 

• ancora in conformità degli antichi decreti della Rep." di 
t tempo in tempo confirmati i salve sempre le prescrizioni di 
non toccar porti né avvicinarsi alle piazze imperiali. — ■ (e. 63). 

1642. — luglio 17. — A proposito dello «sprezzo asserito 

* usato verso una lettera del Gap. di Trieste » il Pod. di Ca- 
podistria formi processo per venir in chiaro essendo ciò anche 
di soddisfazione di S. M. Cesarea. Buone le indagini sui ma- 
neggi in Lubiana per l'abolizione del dazio sui sali veneti 
mediante commutazione di qualche altra gravezza a quei del 
Cragno. — (e. 65 t.). 

1643. — luglio 23. — Si lodano gli ordini del Cap. di 
Raspo a quei di Dana ed altri delle ville del Carso perchè si 
difendano dagl' imperiali destramente « come da toro » . Bisogna 
usare agevolezze a detti imperiali quando passano per quelle 
ville diretti e levar sali in Capodistria — Fu prudentemente 
rimediato ai trascorsi di quei di Dana nel preteso risarcimento 
per vecchio trasporto di animali facendo restituire il tolto a 
quelli, che non hanno avuto colpa alcuna del trasporto stesso. 
- (e. 75 t.). 

1643. — agosto 7. — Le lettere 4 corr, del Pod. di Ro- 
vigno intorno a certa giovane Lucia già Turca, ora Cristiana, 
rapita e pervenuta poi in quella terra, assieme ai constituti 
esistenti in dette lettere si rimettano ai V savi alta Mercanzia, 
che avranno autorità criminale in questo negozio. Leveranno 
detti Savi il costituto di quel Ksisoliman mandato dal Pod. 
anzidetto, e particolarmente preme assicurarsi di certa donna 
nominata Lucictta e di certo Gregorio, che corrotti condussero 
la giovane al rapimento perpetrato dai Turchi. — (e. 83). 

1641. — agosto 3o. — 1 Provv." sopra dazi esposero le 
violenze del Pod. di Pirano contro il Cap."° della barca lunga 
perchè rilasciasse una < brazzera 1 con ferro ed acciaio di Isacco 
ebreo di detta terra, rinvenuta da esso Cap."° senza bolletta 
di sorte ; tentò il Pod. d'indurlo con offerte per parte dell'e- 
breo possessore, e con rigori di prigione e tortura durante le 
quali azioni la barca del contrabbando se ne andò. II Pod. di 



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— 333 — 

Capodistria è incaricato di formare diligente processo e gli si 
accordano ampie autorità. — (e, 87). 

1642. — settembre 2. — Consta da lettere di 26 pass, del 
Pod. di Capodistrta che sebbene l' Irap.'* abbia dato ordine di 
abbassare il dazio sul sale a Trieste non volevano quei popoli 
obbedire e praticavano per farne revocare la disposizione. Il 
Senato chiede quanto paghino i sali dei Triestini per conoscere 
la differenza a cui soggiacciono i salì veneti, e così quelli che 
vi arrivano di sottovento, e quanto pagavano prima, e quanto 
pagano al dazio più rigoroso. — (e. 8g). Segue uno < scontro » 
proposto dai Savi agli ordini, i quali vogliono che • havendo 
» più volte r Amb. Cesareo Rabata esposto .... che egli tiene 
» facoltà di trattare, et agiustar ncgotio sopra sali, confini, e 
» specialmente d' introdur le pannine di questa città nella 
1 Germania > ì savi del collegio consultino le dette materie 
perchè si ricavi quanto potrebbe esservi di utile. 

N. B. La parte suddetta posta sotto la votazione 3? si — 
3 no — 4 dubbii ; e lo • scontro 1 ha per votazione — 124. 

1642. — settembre 16. — Si compiacque la Sig."^ in udire 
da Capodistria che il Pod. di Pirano non ha veramente passato 
i termini debiti come s'era riferito, (v. parte 3o ago.) I quattro 
individui detenuti come promotori del tumulto siano tosto 
giudicati secondo giustizia ; ed il Pod. di Capod. sudd. procuri 
venir in chiaro circa il tragico di acciaio e ferramenta che 
vuoisi esistere tra gli ebrei di Pirano e quei di Rovigno • per 
1 farli passar sottovento ». — {e. 96 t.). 

1643. — settembre 27. — Dal vascello diretto da .\ncona 
a Trieste, catturato, e che per malo tempo dimorò due giorni 
in porto a Pirano e nel terzo continuò il viaggio senza pas- 
saporto dì quel rappresentante e senza pagamento del debito 
dazio, sebbene trattisi di vero contrabbando, visto il poco 
valore del carico e V incommodo già dato dello scarico, basterà 
trattenere detto dazio e licenziare poi vascello e materiali. Per 
la marciliana con ogli che rifugiatasi pure nelle acque di Pirano 
fuggì poi spacciandosi per diretta a Venezia, fu operato quanto 
basta. Si approfitta per inculcare alle barche di guardia vigilanza 
sui vascelli carichi dì generi e materiali che per mercanzia di 



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— 214 — 

qualche importanza possono servire a questa città, nei quali 
casi sarà da usare di ricompense alle barche stesse. — (e. 99). 

1642. — ottobre 4. — L' Amb." Rabata non mai cessa 
di ricordare che addi 23 luglio fu catturata la barca del padron 
Simeone Dugo • e non solo fattogli pagar dazio delle robbe, 
< ma obligatolo a riceverne fede e ricevuta » il che, dice il 
Rabata, esser cosa nuova ed ha consegnato « della fede l' au- 
« tentica». Si chiedono a Capodistria notizie. — (e. 102 t.). 

1642. — novembre i5. — Si è soddisfatti dell' espedizione 
che il Pod. di Capod. fece di cancelliere per l'affare commes- 
sogli della biada da cavallo, e dell'operato nell' incontro del 
grippo dì frumento; continui in tali disposizioni onde divcrtisca 
dalla provìncia l'estrazione di biada, e avvantaggi gli affari di 
frumenti. Atteso che furono già effettuati i trasporti da Rovi- 
gno a Sinigallia di tre carichi di pietra viva permessi col 
passaporto di ottobre 1640, anzi essendosene asportata oltre 
la concessione, sia impedita dal Pod. di Capod. ogni altra 
simile estrazione. — {e. ii5 t ). 

1642. — dicembre 33. — Si aggradisce la sollecitudine 
con cui il Gap.™ di Raspo si prepara ad eseguire il ricupero 
pei beni colà usurpati e di pub." ragione; esso provveda 
l'agrimensore necessario e che ritiene trovare in quella pro- 
vincia ; non si crede necessario un fiscale trattandosi di beni 
pubblici; può bastare il cancelliere; però se proprio si richiedesse 
un fiscale lo proponga; per le molte spese, in conformità a 
quanto fu praticato nel 1611 col Gap."" precessore Pietro 
Bondumier si assegnano ducati ottanta al mese, anche pel 
tempo che durerà il lavoro dopo spirato quello del Gapitanato. 
— (6. 128). 

1642. — dicembre 3o. — L'Amb." dell' Imp. lagnossi a 
nome dei Gap. di Pisino perchè » da due nostri sudditi di 
« Promontore, al Monte Maggiore sia stato asportato un tal 
«Mauro Vellan da Bogliuno, per valersene di pastore». — Il 
memoriale relativo pieno di informazioni si rimette in copia, 
ed il Pod di Capod., ove sia verità, sarà pronto a procurare 
che il giovane sia restituito ai suoi. — (e. 129). 

1642. — gennaio 9 m. v. — La voce che nelle nuove 



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— 225 ~ 

leve per Germania si ammasseranno le genti ai confini dove 
si farà piazza d'armi, ecciti tra altri il Pod. di Capod. ad in- 
vigilare contro gli sviamenti di sudditi. — {e. i3i t.). 

1643 — gennaio 16, m, v. — Dei pregiudizi che gli Au- 
striaci arrecarono ai confinanti sudditi di Muggia si desiderano 
da Capodistria esalte informazioni e si chiederanno i debiti 
risarcimenti. — (e. i33}. 

1642. — gennaio 28. m, v. — Giunse alla Sig/"" lettera 
sottoscritta dai vicini di Barbana contenente indolenze, aggravi, 
estorsioni causate loro da Bartolomeo Manzini da Albona, che 
sta al governo di quella giurisdizione; volendo la Sig,"" pro- 
curare ai sudditi il vero sollievo e d' altra parte giugnendo 
questa querela in nome della Vicìnia, ma senza deliberazione 
della stessa, si commettono al Pod, di Capod. gli appuramenti 
relativi. — (e. i36 t.). 

1Ò42. — gennaio 3i, m. v. — Il Pod. di Capodistria per- 
severi ed espedìsca il processo contro le guardie imperiali, che 
assistono alla Muda di Zaule e che turbarono il confine ai 
Muggesi. — {e. i38). 

1642. — febbraio 11, m. v. — A proposito di quanto 
accade in Capodistria circa il predicatore per la prossima qua- 
resima si loda il contegno del Pod.; è poi volere del Senato 
che, se il Vescovo non oppone alcuna cosa grave alla persona 
del P. Domenico Gretola, sia questo ammesso alla benedizione; 
in caso contrario sia scelto altro predicatore. — (e. 143). 

1642. — febbraio 24 m. v. — Si avverte il Co. e Prov/* 
di Pola che si fecero pratiche perchè il Cap."° di Pisino tras- 
metta a lui certo pre Luca sicario e facinoroso. — (e i5o t.}. 

Registro 14 — (a. 164)). 

1643. — marzo 18. — Per evitare che il Cap."" di Raspo 
resti a quel reggimento troppo a lungo dopo 1' arrivo del suo 
successore nello stesso si rimette ad altro tempo la revisione 
dei beni pubblici usurpati commessagli con ducali di 4 23 
dicembre ; frattanto col suo ritorno fornirà alla Sig."" opportuni 



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— 226 — 

ragguagli. Gli è data lode per l'operato a prò del pubblico 
i per li Boschi della Frata, Canal Martino ► ecc. come da sue 
lettere 28 febb. passato. — (e, 6). 

1Ò43. — aprile i5. — Il Cap."° di Pisino fece esprimere 
indoglianze contro i rettori veneti d' Istria ed essendone « sti- 
t mabili le trasgressioni in riguardo della consuetudine, dcl- 
t rinterruttion?, che apportano al commercio, del prcgiudicio 
t a sudditi, e della poca dignità, che ne risulta • si commette 
al Pod. di Capodistria relativo processo. — (e. la t,). 

1643. — aprile 24. — Il Senato scrive al Pod. di Capodistria. 
La relazione del Podi predecessore Andrea Morosini porta tra 
altri importantissimi particolari notìzia sulle insidie dei Trie- 
stini, che non solo ai sali, ma ad ogni altra merce procurano 
d' impedire la comunicazione e spaccio alla loro parte mediante 
eccessive imposizioni ; parla delle distrette economiche di 
quella Camera piena di soprusi, del guasto a cui soggiaciono 
alcuni legnami colà spedili per erezione di un magazzino da 
sali del quale ora non v'è bisogno, e della gravità dei debiti 
di Capodistria ed eziandio delle altre città e terre della pro- 
vincia, esauste di rendite. Si scrive che per le male arti dei 
Triestini sono in atto pratiche presso l' Imp." ; per i debiti 
della Camera di Capod. ed altre dell'Istria il Pod. informi 
distintamente, e solleciti le esazioni, da chi si deve, rimovendo 
i soprusi Degli t ordini Pasqualighi » che s' intendono negletti 
spieghi quel Pod. il motivo, e ne mandi copia ; pel legname, 
se veramente non abbisogna allo scopo predestinato si prov- 
vedere avutane appena conferma di ciò e nota del l^name 
stesso. — Al Magistrato s.' ogii e Regolatori s," dazi diasi copia 
del capitolo della relazione circa la t quantità di ogIi, che si 
< cavano dalla provincia d'Istria, et il tansare Poglto ai torchi, 
• ove si fabrica, col di più... in proposito •. — (e. 17). 

1643. — maggio 9, — I padri dell'ordine di S. Paolo 1. 
eremita si lagnano mediante supplica di essere travagliati dal 
loro superiore che è forestiero, perchè fecero ricorso alla Sig."''" 
per la di luì rimozione, come s' è praticato per altri tre conventi 
del dominio. Si chiesero in proposito spiegazioni al Pod. di 
Capod. ultimo ritornato, ed al presente di Albona. — Il presente 



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— 237 — 

dì Capod. in avvenire ordinerà che » a forastieri superiori non 
t debbano in alcun modo permettere ricetto nei Conventi nostri, 
« né sia prestata ubbidienza ad alcun loro ordine, o comando, 
« se non sarà portato prima nel • Collegio nostro per l'ap- 
• provationet. — 1 Vescovi d'Istria poi nell* ordinare a sudditi 
Veneti non abbiano alcun riguardo a comandi che gli stessi 
avessero ricevuto da padri superiori forestieri, e sodisfacendo 
alla propria coscienza operino secondo l' abilità dei soggetti. — 
(e. 39). 

1643. — giugno 2. — 11 Pod. di Capod. mandi al Savio 
alla scrittura una di quelle due barche armate occorrendo au- 
mento di forze a queste parti. -- (e. 3i). In data 6 giugno si 
commette alla carica suddetta che, se è vero quanto sta 
nell' istanza accompagnata da memoriale dell' Amb.*^' Cesareo, 
dia libertà a certa barca senza alcun agravio e formi processo 
contro il Capo Cigna. — (e. 3i t.). 

1043. — giugno 20. — Si approva quanto fece il Pod. di 
Capodistrìa a divertimento dei gravi pregiudizi riscontrati nella 
Comunità di Muggia, e dei contrabbandi di sale ed oglio. In- 
formi sulla cattura di barca ripiena di sali alle rive di Muggia, 
e perchè il carico fu deposto nei magazzini e non gettato a 
mare, come prescrivono le leggi. Intesasi la costruzione di più 
che settanta nuovi cavedini di sale nella valle di Trieite si 
faranno le debite provvisioni. — (e. 35). In data 27 giugno si 
avverte il detto Pod." che sono in atto pratiche di lagno col- 
r Amb." Cesareo per le violenze dei Triestini ; esso Pod. 
esamini se veramente fu inferito ai sudditi imp.'' il danno di 
cui si lagnano ctc. — (e. 3ó). 

1643. — luglio 25. — 11 barone di Rabbata, amb/* imp.'^, 
insta per la liberazione di barca di vini, padrone Simeone Dugo, 
diretta da Napoli a Trieste, catturata nelle acque d'Istria. Il 
Pod. di Capod. le dia libertà trattenendo soltanto piccola rico- 
gnizione, (e. 42 t,). In data 14 agosto si ripete che la barca 
del padrone Cimer (sic) Ougo sia messa libera con sola rico- 
gnizione di ducati dieci, (e. 47). 

1643. — ■ settembre 3. — Il Senato aggradisce le espres- 
sioni del Provv.'* sopra la Valle di Montona i concernenti il 



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— 228 — 

• modo più facile, et proprio di sollevare ì banditi di coleste 
1 parti t e 3Ì delibererà avuto il consiglio dei deputati at 
( negotio di banditi > medesimi. — (e. 5o). 

1643. — settembre 17. — Cessa l'occasione di spedire ai 
Provv.'* dell' Armata le genti raccolte in Istria, destinate a 
servire nelle galere. Il Pod. di Gap." le lasci alle rispettive 
case senza nessun esborso di denaro, come si conviene. — 
(e. 55). 

1D43. — ottobre 24. — Si commette al Pod. dì Capod.' 
d'instmire processo circa il maltrattamento fatto ad una barca 
armata della Sig."* sotto Duino con morte di due soldati della 
stessa (e. Ó4). Detta barca comandata dal Cap. Marianovich 
in data 14 nov. è destinata al Prow.^' Dolfìn, che dovrà spe- 
dirne altra a Capodistrìa. Il disordine seguì perchè avvicinatasi 
al Castello di Duino le furono dallo stesso tirati alcuni colpi 
di fucile. — (e. 69). 

1643. — dicembre 3. — Il Pod. dì Capod. formi processo 
contro la barca di Stefano Sloppa da Trieste con due botti 
di c^lio fermata allo sbocco dell' Isonzo ; non dia effetto alla 
sentenza senza altro ordine. Su processo pervenuto del disordine 
a danno della barca armata Cap." Marianovich si delibererà. 
— (e. 73). 

1643. — gennaio 7 m. v. — Si mandano al Pod. di Capod.' 
lettere del Cap."** di Raspo > con informazione di violenze e 
t rigori estraordinari! seguiti per occasione di certa ritentione 
< fatta eseguire dal Podestà di Dignano d'alcuni novi habitanti, 
« e disprezzi e voci scandalose dei medesimi di Dignano per 
t controversia con essi nuovi habitanti, in caso di supposta 
» turbata giurisdizione». — Con diligente processo preme sia 
il tutto chiarito. Intanto per il malcontento addimostrano i 
nuovi abitanti predetti il Cap di Raspo cerchi di calmarli e 
trattenerli da qualunque atto di partenza facessero. — (e. 81). 
In data 27 febbraio il Senato attende il ricavato delle indagini 
del Pod. di Capod. sull'argomento di cui sopra. — Si ebbero 
poi da lui le informazioni « di quei sudditi, che navigano 
« sottovento, et col riguardo, che (tiene) verso di loro per 
«pubblico servizio», — (e. 91 t.). 



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Registro ì; — U^44}' 

1644. — marzo 2. — II Pod. di Capodistria faccia senza 
più restituire agl'interessati Triestini i'oglio trattenuto. — 
Mandi ai Provv/' in Zecca il doppio dazio che levò < ad un 
Musico deli' Imp/' . il quale con passaporto della Sig."' tran- 
sitava con alcuni generi per quelle acque, e detto Musico ne 
sarà rimborsato perchè trattavasi di solo transito. — 11 Pod. 
di Muggìa avrà commissione di lasciar estrarre quattro somme 
di ogiio vergine senza alcun aggravio per comodo dell' Impe- 
ratrice Eleonora, — l' Amb." dell' Imp." ha presentato alla 
Sig."' memoriale per certo Ambrosio d'Ambrosi da Pisino, 
che ricerca saldo dì a0ìtti d' una sua caad, che tiene a Parenzo, 
abitata dal Podestà in mancanza del palazzo podestale rovi- 
noso. 11 rappresentante di Capod." informi. — {e. 2 t.). 

1644. — marzo ig. — Gli avvisi del Pod. di Capodistria 
che nella valle di Muggia in villa di Zarle, sito imperiale, si 
preparano materiali per costruirvi nuove saline, danno prova 
di sua vigilanza ; contìnui a starne avvertito. Si rivolga al 
Mag."* al Sai per la soddisfazione di quei creditori di magaz- 
zini. -— (e. Il t.). 

1644. — marzo 29. — Il Pod. di Capodistria ecciti le barche 
armate a vigilanza pei contrabbandi che si fanno frequenti dì 
salì, ogiì ed altro dalla parte di Duìno. — (e. i3 t.), 

1644. — aprile 3o. — Si ripete al Pod. di Capod. l'ordine 
dì mandare al Provv," in Zecca il doppio dazio ingiustamente 
trattenuto a quel Musico deli' Imperatore, (e. 34). In data 14 
maggio si ripete la commissione, e si manda a Capodistria 
certo memoriale dell' Amb.' Cesareo intorno a cui sarà attesa 
informazione. — (e. 4Ò). 

1644. — giugno 8. — Il Pod. di Capod. faccia consegnare 
al padron Domenico dì Nicolò la sua barca col relativo carico, 
e sia questa restituzione registrata in quella Cancelleria a 
perpetua memoria perchè è frutto soltanto di graziosa delibe- 
razione in omaggio all' Amb." Ces.° — (e. 5? t), 



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— 33o — 

1644. — giugno 21. — li Pod. di Capod. spedisca subito 
al Provv. G.'' a Palma la barca armata del Gap."" Damiano 
Rusich, che scovrendo a guardia dei contrabbandi verso i Bagni 
di Monfalcone ebbe uccisi l' alfiere ed un soldato ; detto Provv/' 
formerà processo, (e. 64 t.). In data 2 luglio si manda a Ca- 
pod, capitolo di esposizione dell' Amb." Ces.", e se ne attende 
informazione. — (e. 72). 

1644. — luglio 6. — Pel morbo scoppiato a Spalato, il 
Pod. di Capod. e gli altri rappresentanti di quella provincia 
non ammettano vascelli provenienti da Ragusa, essendo già 
stato proibito il commercio a tutta la Dalmazia, (e. 74). In 
data 16 luglio si manda a C^apod. memoriale dell' amb/ Cesareo 
sull'arresto di barca con sale fatto dalle barche armate di 
guardia a Muggia ; &i attende informazione. Intanto per il sale 
che i Triestini fanno "passare per mare di contrabbando sia 
eseguito conforme alle leggi, — (e. 78}. 

1644. — luglio 23. — Il Pod di Capod. informi circa il 
desiderio del Conte di Tesino di acquistar salì in Capodistria 
oltre quelli che si procura a Pago. — {e. 85 t.). 

1644. — luglio 25. — Il Pod. di Capod. informa su barca 
dì sale caricata a Zaule ed ora esistente nel porto di Muggia ; 
detto sale non si gettò come di dovere, in acqua ; ora sia af- 
fondata anche la barca, ma ciò si pratichi dì notte sicché 
appaia avvenuto per accidente. — (e. 88 t.). 

1644. — agosto 6. — 11 Senato aggradi l'avviso dato dal 
Pod. di Muggia di vascello carico d'oglio « venuto di Dalmazia 
« e rimurchiato nel Porto di Trieste da sei barche dì quella 
« città * ; ordina sopra detto vascello, barche et altro ogni di- 
ligenza nei riguardi di sanità. — {e. 99). 

1644. — agosto IO. — Da lettere di 4 andante del Pod. 
di Gapod. si comprende il successo occorso tra la barca armata 
del Cap."° Marco d' Igrane e le altre barche dei Triestini ; si 
attende il completo processo, ed istruzioni circa il caporale e 
soldato rimasti prigioni in Trieste. Intanto sotto il comando 
del Gov." Delimarcovich sì porteranno colà 4 barche armate 
per divertire i contrabbandi ed eseguire quanto più fa d'uopo; 
anche una galera si porterà a Pirano, o dove occorra. Incon- 



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— 23l — 

trandosi barche di sali siano questi puntualmente gettati al- 
l' acqua. Si intese che il sale contenuto nella barca catturata 
a Muggia per le intemperie andò sciupato da se e si rese 
superfluo il commesso affondamento della stessa ; però lo si 
praticherà per altra barca pur condotta a Muggia di cui le 
lettere da Capod. del giorno 2. — (e. 100 t). 

1644. — agosto 18. — Da lettere di 10 da Capod. si rile- 
vano le sempre maggiori novità che fanno i Triestini in onta 
ai diritti della Sig/'" Occorre perciò sapere i particolari < de 

* luoghi, e de passi, dove Trieste han posto le guardie, la 

■ quantità de Moschetti mantenuti alla custodia delle saline, 
t la qualità et il numero delle genti, che infestano i passeg- 

■ gieri : se le difficoltà si praticano per via di mare dì terra; 

■ se a sudditi nostri, fuori ; et se per mare di che qualità 

* siano le barche loro >. Quanto alla barca con vini ultimamente 
catturata e che senza la ricognizione dovuta a Trieste passava 
da sottovento, vuole la Sig."* che se è da Rimini od altro 
luogo di detta parte sia rilasciata col solo esborso della con- 
sueta accennata ricognizione, ma se è da Trieste od altro 
luogo Arciducale si conduca tosto da Muggia a Capodistria, 
ed ivi sia bene custodita. — In avvenire poi quel Pod. si 
attenga • a quello stillato sempre da precessori > fintanto gli 
giunga espresso il pubblico volere. Si attende il processo contro 
Nicolò Petazzo. — (e. 104 t.). 

1644. — agosto 20. — Scrivono da più luoghi che a 
Trieste veniano chiamati gli abitanti di fuori per somministrare 
armi a chi non ne avesse. 11 Pod. di Capodistria indaghi ed 
informi schivando di occasionare mali umori scandali da 
parte di sudditi veneti. — (e. io5 t.). 

1644. — agosto 27. — Si manda a Capod." quanto scrisse 
l'Amb.'' presso l' Imp." Giustìnian ; quei Pod. informi sui due 
punti dei cavedini, che voglionsi ridurre a coltura dai Triestini, 
e dei disturbi che questi danno ai sudditi veneti nello spaccio 
dei sali, - (e. 107}. 

1644. — settembre 6. — E' necessario che i Pod.'" di 
Parenzo e di Portole siano provveduti di nuovo palazzo, 
od abbiano restaurato il vecchio. Il rappresentante di Capod. 



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-^ 23a — 

informi quanto costerebbe la casa contigua al palazzo di Pa- 
renzo da lui proposta, e quanto si spenderebbe nel restauro 
di quello di Portole. * Neil' affare degli huomini nostri fermati > 
prima di risolvere si attende 1' effetto delle pratiche promosse 
alla Corte, intanto ogni barca che si trovi con sale sìa affon- 
data. 1 11 Petazzo ha riportato poca accoglienza, e poco vantarlo 
t a suoi uffìcii in Corte ». Col Possidaria occorrono avvertenze 
per impedire i danni che tenta produrre at pubblico servizio ; 
si rass^nò al Cons. dei X quanto ne scrive il Pod di Cap.' 
Questi invigili sui congressi dei S^nani coi Triestini. — 
(e. lU). 

1644. — settembre 10. — Particolarmente fruttuoso tra 
gli avvisi da Capod. riesce, in proposito agli andamenti dei 
Triestini, quello • della restauratione del fortino vicino al Ca- 
« stello, che domina la Valle di Zaule ». — Detto podestà 
ispedisca a quella volta persona che riveda 1 occulatamente lo 

* stato, in cui di presente si trova detto fortino, gli lavori, le 

• opere, le restaurationi .... la qualità sua prima che queste 
« si principiassero, la quantità dell' Artiglieria, et delle munitiont 
«ripostigli» ecc — (e 112). 

1644. — ottobre 6. — Il vascello con ferro ed acciaio di 
Nicolò de Orso da Trieste, che passava verso Pescarla, e fu 
preso dalle barche armate sia tosto spedito a Venezia ai Re- 
golatori s." dazi ; lo stesso farà il Pod. di Capod." per tutti i 
vascelli con ogiio ; il sale sia invece gettato all'Acqua; ed i 
vascelli con viveri paghino qualche ricognizione e siano lasciati 
liberi. — (e. 117). 

1644. — ottobre i5. — Sì attende la barca con acciaio 
di Nic. de Orso. — Quanto al suddito Veneto Sebastiano Corona 
imprigionato a Trieste contro ogni ragione si scrive all' Amb."* 
Giustinian pei dovuti u0ìcii in Corte e si manda al Pod. di 
Capod. apposita lettera che egli da se spedirà al Cap.°^ di 
Trieste e la risposta manderà a Venezia. Intanto comandi 
detto Pod. alle quattro barche armate • str!> ordinaria diligenza 
t et sollecita guardia fermando tutte le Barche de Triestini, 
« che passassero, et incommodando la medesima città, mentre 
t giusto è che insolenze indebite, et perturbative il termine 



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— a33 — 

( della buona vicinanza siano per ogni via rintuzzate, et ab- 
1 battute ». — Anche nel particolare dei Cavedini si scrive al 
Ciustioian perchè si tralascino le novità. — (e. i ig). 

1644. — ottobre 26. — La sommersione fatta eseguire 
dal Pod. di Capodistria di due barche con sale nello stesso 
porto di Muggia non è in tutto secondo le l^gi ; queste vo- 
gliono che finiscano sott'acqua legni, sali, armeggi ed ogni 
cosa, ma in mare e non nei porti ove ne sentono questi an- 
cora pregiudizio — (e 133). In data ag ott. si attende ancora 
la barca con acciai di Nicolò d'Orso, (e. laS t.). In data 11 
febb, seg." si approvano le considerazioni del Pod, di Capod. 
in lettera di 5 sul danno alla Sig."' per la continuazione del- 
l' essazione da parte degli Austrìaci della gabella sopra sali e 
del lavoro delle saline a Zaule. Si attende cHetto di pratiche 
alla Corte. - (e. 146 t.). 

Registro 16 — {164^}. 

1645. aprile {sic) 19. Il Cons.° di X ha rimesso al Senato 
lettere del Padre Cosma Anconitano esibentesi di sommini- 
strare nei tempi presenti alla Rep. soldati, frumenti ed altro. 
Occorre che detto offerente dichiari meglio, o per mezzo del 
Pod. di Capod, che inyii le lettere sudd., o per apposito messo 
le sue intenzioni e pretensioni, (e. g). 

1645. — aprile 1. — I magazzini di SaU a Capodistria, 
che trovansi in malo stato, se sono di privati siano da questi 
riparati, se sono pubblici provvedasi con denaro pubblico, ac- 
cordandosi il Pod. col Mag '° al Sale. — Per i crediti richiesti 
d' urgenza usi detto Pod. anche del denaro riservato a portarsi 
in Venezia al suo ritorno, meno quello dei tre soldi per lira. 
— (e. IO t.). 

1645, — aprile i5. — Il Provv.'' Bondumier a Montone 
rileverà da lettera del Pod. di S. Lorenzo le usurpazioni di 
terreni commesse ai confini dello stato veneto da un tal An- 
tolovich d'Antignana, che chiuse le strade pubbliche e fece 
pascolar gran numero di animali in tutto il territorio. Detto 



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-2^4- 

Provv. s'informi della verità e scopertala formi procedura e 
devenga anche a qualche atto possessorio ed a pubblicazione 
di bando, mentre i sudditi sì procureranno da se il conveniente 
risarcimento. — (e. i3 t.). 

1645. — maggio 14. — Le lettere di 28 o 3o del pass, 
del Pod. avvisano di quanto gli rispose < quel Padre Agente 
« del Conte dì Sdrino » ; si attende quanto di nuovo ricaverà 
dall'invìo a detto Padre di apposita persona. Sì sono spediti 
biscotti e 5oo due, a Capod.' — (e. 22). 

1645. — maggio IO, — Le offerte che a mezzo del Pod. 
di Capod. fa il Conte di Sdrino segnalano la sua divozione alla 
Rep." Nei presenti affari la più aggradevole è 1' offerta delle 
fanterie sul conto delle quali si desidera conoscere le preten- 
sioni dell'offerente, e in pari tempo il Pod. ricerchi se si tro- 
verebbe in quelle parti chi appena seguito 1' accomodamento 
assumesse la leva; per le offerte di Animali e Remi si con- 
sultano i Magistrati competenti, cioè. Beccane ed Arsenale, e 
poi si commetterà ; di frumenti non è attualmente bisogno ; 
succedendo questo, si profitterà ; di schiavi turchi « meno ri- 
i chiedendo r opportunità, che per hora si sia d'orecchio» 
cada pure ogni progetto. — (e. 24 t.). 

1645. — luglio 22, — 11 Pod. dì Capod. liberi ì prigioni 
nominati nd memoriale dell' Amb. Ces. che gli si accompagna; 
sulle < novità del Calo nelle saline > si ebbero sempre graditi 
e fruttuosi gli avvisi ; e pur grata fu la nota spedita del cre- 
dito della Sig. verso Capod. per sali di particolari. — {e. 55 t.). 

1Ò45. — settembre 7, — Tuttoché si può ritenere pro- 
vengano da cause particolari e pa.sseggìere gli accidenti occorsi 
al confìne, pure il Sen.*° a maggior cautela invia all'obbedienza 
del Pod. di Capodistria il Cav.' Cori Capo di valore, vi manda, 
conforme ad istanza, seicento moschetti, polveri e miccia, 
prescrive l'escavo della fossa dintorno a detta Città. — (e. 89). 

1Ò45. — settembre 16. — Il Pod. di Capodistria è avver- 
tito di instruire processo contro il Cap."" di barca armata 
Nicolò Giurovich per eccessi contro la casa e dignità del Conte 
di Pola. — (e. g4 t.). In data 28 settembre si rimette al Cons. 
dei X certa scrittura di Nicolò dalla Torre da Pìrano, già dai 



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— 2.35 - 

Capi del Cons." sudd. inviata ai Savi de) Coll^io. I Dieci de- 
liberino. — (e. io5}, 

1645. — ottobre 27. — Quindici famiglie del Montenegro 
con cento persone e trecento animali circa chiedono di capitare 
in Istria per togliersi alle oppressioni Turchesche. Giugneranno 
poche per volta ed il Cap. di Raspo provvedere i terreni e 
luoghi di ricovero come è consuetudine. — {e. laS.). 

1645. — novembre 8. — L'Amb." presso i'Imp." avvisa 
che questi gli fece dar parte di suo decreto diminuente la 
gabella sul sale, che vien levato dallo stato veneto, ridotta così 
da sessanta a soli quindici carantani. Si chiede al Pod. di 
Capod. se sia giunta in quella provìncia notizia di tale mi- 
glioria, se stante la medesima aumenti il concorso dei Cranzi 
o pure se V aggravio sia tuttora stimato tale che non si deva 
accettare. — (e i3a t.). N. B. In data 16 dicembre si scrive 
a Capodistria di aver ricevuto la informazione sulla diminu- 
zione della Gabella del sale. Fu bene conoscere t disordini e 
le novità per le pratiche opportune senza che intervengano 
ricorsi od operazioni sconvenienti dei Triestini guidati dal 
proprio interesse. — (e. i56 t.). In data 30 gennaio successivo 
si mandano a Capodistria copie di lettere dell' Amb." presso 
rimp/^ perchè ne usi quel Pod. in materia del sale, e si manda 
un memoriale dell' Amb." Rabata. — (e, i6g), 

1645. — febbraio 17 m. v. — Si avverte il Pod. di Ca- 
podistria che arrivò il Colonnello Galli, il quale tratterà col 
savio alla Scrittura ; si rilevano da lettere del detto Pod le 
violenze dei Triestini a chi si porta ad acquistar sali in Istria, 
ed il prudente avviso all'Amb." presso l' Imp/' — (e. 180), 



Registro ij — (1646). 



1646. — aprile 12. — Fu deliberato addì i5 settembre 
1639 e 4 marzo i63o di costruire due forti a presìdio de! 
porto di Pola, e se ne conservano i disegni ; fu incominciato 
il lavoro ma per essersi sospeso v' è attualmente maggior oc- 



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— 236 — 

casione di pregiudizio che prima potendo servire di invito ad 
armata nemica per ricoverarvisi ; avendo poi riferito il Cav/ 
Cori che I' ultimare la costruzione sarebbe spesa Jieve, si de- 
vienc ad eleggere un nob. in Provv." straordinario a Pela, al 
quale sia soggetto I' ordinario Provv.'° Sopraintenderà ai lavori 
tenendo il comando di quelle milizie e della gente che s'im- 
piegherà nei lavori stessi. Le galee Nani e Querini siano subito 
allestite e si portino colà alla dipendenza di lui. (e. 32 t.). 

1646. — maggio 19. — Si avverte il Co. e Provv. a Fola 
che si sono «già sequestrate l'entrate delle comende della 
I Religione di Malta, perchè risarciti fossero alcuni Greci già 
< svaleggiati >. Il risarcimento fu eseguito e tolti i sequestri; 
siccome però il Ricevitore della detta Religione espone che gli 
a0ittuali della Commenda di Pola rifiutano di pagare sotto 
pretesto dei sequestri, esso Co. revochi gli stessi e commetta 
il pagamento. — (e. 64 t). 

164Ò. — maggio 26. — Si scrive al Provv.'' Zorzi a Pola. 
Sì ebbe da lui la nota di quelle munizioni che saranno accre- 
sciute delle mancanti. Alla fortezza procuri di togliere i man- 
camenti e difetti ; di operai per la nuova fabbrica non si può 
spedirne da Venezia, e converrà far uso delle genti del paese ; 
l' ingegnere Menier e giunto già alla obbedienza di esso Zorzi; 
quanto prima possibile gli sarà spedita una compagnia di sol- 
dati etc. — (e. 75). 

1646. — giugno 1. — Da lettere ig maggio del Prow, 
Zorzi se ne rilevano le diligenze; il provvedimento di legna e 
calcari mostra che si fabbrica in pietra ; non sa il Senato < se 
« cosi comporti il sito, e la necessità per difetto di terreni. 
I mentre di questi, quando si possano bavere anche con qual- 
t che luntananza, sarebbe necessario valersi per li terrapieni, 
« e la costruttione di un forte, che possa riuscir utile, e sicuro » ; 
su di che la Sig"" attende avviso. Si cercheranno i libri del 
fu Gap."" in Golfo Zulian e del Provv."^ in Istria Contarini 
per riconoscere il debito di quello Sponza tagliapietra dì Ro- 
vigno e di altri. Si approva l'operato per riavere i tre scapoli 
fuggiti alla galea Nani ; fruttuoso anche il pensiero di usare 
di qualche bandito dalla provincia nei lavori della fortezza con 



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- 237- 

promessa di sua assoluzione finiti gli stessi ; servano senza 
paga e non possano essere tra i banditi per delitti gravi e 
turpitudini. — (e. 80). 

1646. — giugno la. — Si risponde a lettere di 3, 7, 8 
corr. del Prow. Zorzi. Se gli operai inviati colà non bastano 
ne chiami anche da territorio di quella Prov.' estraneo al Po- 
lesano ; si ricevette il disegno della fortezza e per ^evolare 
r espedizione dei lavori usi ■ unite con le Ciurme delle genti 
del Paese ancora • purché idonee anche coli' esborso dì una 
lira al giorno per testa ; bastando un ingegnere rimandi quello 
dei due crede; quanto al fabbricar di pietra se ne rileva l'op- 
portunità dall'esposte considerazioni del poco frutto che si 
riporterebbe da un semplice forte ; secondo il disegno la con- 
serva ed il pozzo rimangono fuori della cinta ; si richiama su 
ciò l'attenzione. ~ {e. 91 t.). 

1646. — giugno 3o. — il Provv." straordinario a Pola 
mandi al Mag.'° s.* dazi la barca con ferramenta che da Trieste 
andava sottovento e fu catturata dalla Galea Nani ; sulla stessa 
si delibererà. È arrivato il disegno e la scrittura per i bisogni 
di Pinguente; anche su questi si delibererà. — (e. 108}. In 
data 17 luglio scrivendosi al sudd." se ne lodano le sollecitu- 
dini, e si commettono attestazioni di riconoscenza a quel Ve- 
scovo, che con divota cerimonia pose la prima pietra della 
nuova fortezza. — (e. i ig). 

164Ò. — luglio 19. — La Sig."' avendo deputato il 
provv.''' straordinario a Pola Gabriele Zorzi al comando del- 
l' armata in Golfo confida che il Provv. ordinano a Pola Giu- 
sto supplirà ad ogni necessità colla sua prudenza, — (e. (ao). 

1646. — luglio 3 1. — I Provv." a Pola diano libertà alla 
barca di Gio. Maria d'Antonio esigendone solo dieci due. 
di ricognizione , egualmente operi il Pod. dì Capod. per le 
barche di Ascanio d' Andrea, e Matteo Cocca ; < oltre le con- 
t giunture de' tempi per ogni rispetto con moderatione, et 
«ogni buon trattamento convien procedersi». — (e. i23). 

1646. — luglio 35. — Per l'affetto che ha il Senato agli 
Istriani mira a preservarli dalle molestie ed incursioni che 
possono far in loro danno i Turchi. Opportuno sarebbe lo 



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— 238 - 

stabilirsi alla esclusiva guardia di quei posti alcune barche 
armate, e solo l' impedisce il mancamento dì gente adatta a 
servire. Il Pod. di Capodistria informi se tra quei sudditi vi 
siano di quelli che inclinassero a prestar 1' opera loro col solo 
compenso del biscotto, ed ogni particolare si renderà oppor- 
tuno per deliberare. — {e, 124 t). 

1646. — luglio 37. — Si scrive a Capod.' Si è compreso 
circa la spesa necessaria al ristauro della muraglia caduta, 
della rimanente imperfetta, e il di più occorrerebbe fabbrican- 
dosi il baloardo. L' Ingegnere Mcnie da Pota si porterà a 
quella città, e se è opportuno il lavoro, e conforme all' avviso 
la spesa, si comincierà detto baluardo assistendovi il Cav, Gori. 
Quelli di Valle, Albona e Fianona chiesero armi e munizioni; 
il senato chiede come furono dispensate quelle già spedite in 
Istria. Quei dì Fianona chiedono pure ristauro alle mura, ed 
il proto di Capod. informi in proposito. — (e. 12Ó t.). 

1646. — luglio 3i. — Perchè in effetto alla partenza del 
Provv. straordinario Zorzi da Pola non segua danno al proce- 
dimento delle fortificazioni è eletto a sostituirlo in detta fun- 
zione il nob Giustiniano Giustinian. — (e, i3i t.). 

1646. — agosto 14. — Il Cap. di Raspo, che tanto lode- 
volmente informò sullo stato di quei castelli, è incaricato dì 
rivederli in compagnia col Cav. Cori e levare da quelli rico- 
nosciuti incapaci di sostenersi i cannoni trasportandoli negli 
altri ; esprima poi quali altri oggetti di difesa si potrebbero 
inviare colà. — (e. 145 t ). 

1646. — agosto 14. — Il Co. e Provv." a Pola mandi a 
Venezia i tagliapietra colà spediti ed inetti al bisogno ; per 
sostituire il Menier destinato ad esaminare le fortificazioni di 
Capodistria, si mandi a detta incombenza, se veramente è ca- 
pace, il Santa Colomba, ed il Menier ritornì alla fabbrica della 
fortificazione sopra lo scoglio. — (e. 145 t). 

1646. — agosto 39. — Si è inteso con piacere l'arrivo a 
Pola dell' elotto Provv.'" straordinario Giustinian ; il Magistrato 
alla Sanità fu incaricalo di spedire a quella parte il medico 
già richiesto. — (e. 154 t). 

1646. — agosto 39. — £ riuscito di soddisfazione al Senato 



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— aSg — 

quanto scrive il Pod. di Capodistria circa Tessersi gettate a 
fondo tre * brazzere > ed una barca con sali di contrabbando. 

— (e. i55 t.). 

1646. — gennaio 5 m. v. — Il Pod. di Capodistria è in- 
caricato di prestare al padre Generale od al provinciale dcl- 
Tordine di S. Paolo primo eremita c^ni aiuto necessario per 
ridurre alla debita obbedienza qualche religioso del monastero 
di S. Sisto, vicino ai due Castelli. Simile commissione al Pod. 
di Albona pel Monastero di Claura presso Fianona. — (e. 365). 

1646. — febbraio 23 m. v. — Con lettera 33 die. passato 
sì commise al Pod. di Capodistria che invitasse il Piovano di 
Lonche a portarsi dopo il Natale in Venezia per una udienza 
in collegio. Non essendo peranco comparso rinnovi l' invito. 

- {e. 301). 

Registro 18 — (164J mcmp agosto). 

1647. — marzo 9. — Si accompagna al Pod. di Capodi- 
stria capitolo di lettera dell' Amb."^^ presso l' Imp,"^' Giusti-r 
nian, nel quale osserverà quanto a detto Giustinian fu riferito 
dal Conte Ferdinando di Porzia, in materia di sali, i lagni per 
contrabbandi commessi da quei di Pago che ne trasportano a 
Buccari, il partito proposto dal Conte Dietristaìn. Il Pod. in- 
formi su tali propositi. — (e. 5). 

1647. — marzo 3o. — La Sig."" desidera buona corri- 
spondenza coi sudditi imperiali; perciò il Pod. di Capod." formi 
procedura contro il Cap."" di barca armata Cinich ed altri 
accusati di violenze contro i suddetti. — (e. lò). 

1647. — marzo 3o. — Le lettere di 14 e 16 corr. del 
Pod di Capod. sono piene di disordini scoperti a Dignano; 
rilevanti appariscono i mancamenti del rappresentante in detta 
terra. Se questo non ha obbedito a tutti i comandi ricevuti 
dal Pod. sudd. specialmente di restituire in cassa certo denaro, 
e riporre nella Cancellerìa le scritturp, gli sia intimata compa- 
rizione entro un mese dinanzi agli Avogadori di Comun. Il 
i fonttcaro • lasciato in libertà dal rappresentante dì Capod. e 



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— 24° — 

riposto in prigione da quello di Dignano, sia nuovamente li- 
berato, restando però in vigore le pieggerie. — (e. 17). 

1647. — luglio 6. — A proposito del discorso avuto dal- 
l' Amb." Giustinian in Vienna col Conte Ferdinando di Por- 
zia circa la proposta del Co. Dietrìstain di comperare ogni 
anno in Capodistria e Muggia sei mila moggia di sale ad un 
prezzo determinato, sì ebbero già le lettere responsive 29 
marzo passato del Pod. di Capod.' — Ora a conforto di quei 
popoli si scrive a detto Pod. che 1' accordo è in via di con- 
clusione. — {e. 106 t.). 

1647. — luglio 3i. — Scrìvendo al Provv. Gen.''^ in Dal- 
mazia ed Albania il Senato deplora la mala fede dei morlacchi 
» dimostratisi costanti sin che è venuto il cimento dei Nemico 
« vicino • ; meritano essere invigilati. Fece bene il sudd. Provv," 
« a trasmetter quelli nell' Istria, e procurerà di disponer pur 
I altri ad andarvi, dandogli tutto il comodo del passaggio, e 
« Vito ». Si scrive al Gap."" di Raspo che li compatisca e soc- 
corra senza danno però degli altri abitanti. Anche a Capodistria 
e Pola si danno istruzioni in questo senso per quello ivi si 
potesse osservare in proposito sempre colla sopra intendenza 
del Cap."° di Raspo. — (e. laó t.). 

1647. — agosto 6, — ■ Il E'od. di Capod. si accerti sul 
contenuto di lettere del rappresentante dì Albona del giorno 
23 giugno ; informi quindi a proposito degl' inconvenienti 
espressivi a danno dei sudditi e pregiudìzo del confine, • se 
( in vero vi siano sviamenti degli abitanti, e de' sudditi di 
» Trieste ancora, per provecchìar d'essi co '1 venderli alla Ga- 
« lea; se Arciducali pensino a risarcimenti; se la distruttione 
« fatta da quei dì Chersano della Chiesa e Campanile dì San 
« Saba possa havcr havuto motivo dalle sodette cause ; et se 
ine resti ofFe.sa la nostra giurisdittìone >. — (e. i3i t.). 

1647. — agosto 17. — Si scrive al Cap di Raspo. Da 
lettere del Provv/ Gen.'* in Dalmazia ed Albania ha rilevato 
il Senato che l'imbarco dei morlacchi destinati all'Istria, Ve- 
glia, Pago e Scogli è compito ; si tratta di circa cinquemila 
animali grossi compresi i cavalli, sessantacinquemila animali 
minuti, millequattrocento uomini e tremila quattrocento cin- 



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— 341 — 

quanta fra donne e rageizzi. Tanto numero di nuovi sudditi 
eccita a buoni ordini nella distribuzione del terreno e dei pa- 
scoli. Ciò si inculca pure alle cariche di Capodìstria e Pola. 
Sia pure cura di detti rappresentanti invigilare che gli stessi 
morlacchi non siano attratti dai confinanti a portarsi in paese 
austriaco. Il Cap. di Raspo mandi il numero preciso delle 
genti arrivate, e tra gli animali particolarmente informi sulla 
qualità degli animali grossi e numero dei cavalli. Se i mor- 
lacchi inclinano a servire come lavoratori, o coloni su terreni 
di particolari lo facciano pure. Prudente fu lo stabilirne la 
destinazione di dimora non lungo le marine, ma entro terra 
ove maggiori sono le comodità, e ciò sarà nei territori di 
Pola, S. Lorenzo ed Umago. S'inculca che detti morlacchi non 
siano da veruno aggravati, e che i pubblici rappresentanti 
devano favorirli quanto più si può. — (e. 141 t.). In pari data 
si scrive al Provv." Gen,'*^ suddetto che è lodevole la sua ap- 
plicazione nell'affare dei morlacchi capitati in Istria e che il 
ripiego di dar loro un capo per confermarli nella fedeltà non 
pare di facile riuscita, e si studierà l'argomento. — (e. 142 t.}. 

Registro 19. — {164^ seti. febb.). 

1647. — settembre 1 1. — Atteso il bisogno assai forte 
di milìzie che si prova in Dalmazia per le aggressioni dei 
Turchi, il Cap."° di Raspo d' intesa col Pod. di Capodistria 
raccolga nella provincia Istriana 5oo cernide e ve le spedisca. 
Conforti le stesse avvertendole che saranno destinate al pre- 
sidio di Zara e saranno libere in breve per trovarsi la campa- 
gna prossima al termine. — (e. i5 t.). 

1647. — settembre 11. — 11 Pod. di Capod. mandi al 
presidio di Pola quaranta cernide istriane ; e la compagnia 
che ora intende sotto il Cap "° Stivallato passi all'obbedienza 
del Prow.' Gen.'' in Dalmazia. — (e 16). 

1647, — ottobre 31. — Si scrìve al Pod. di Capodistria. 
Da lettere di risposta di 1 1 settembre del predecessore di esso 
rappres.'"^ seppe il Senato che la Chiesa ed il Campanile di 



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— Ì42 — 

San Sabba furono distrutti da quelli di Chersano sudd. impe- 
riali, allo scopo di accomodare la chiesa toro di S. Antonio ; 
che sebbene il Vescovo di Fola ed il Pod. di Albona avessero 
proibito tale opera furono disobbediti : che lutto ciò risulta da 
processo formato allo scopo, e da scrittura del dottor Gravise 
Provv."'^ sopra quei confini. La violazione essendo chiara il 
Pod. di Capodistria procuri la cattura di qualchcduno dei rei, 
e non riuscendo emetta proclama contro il pievano di Cher- 
sano ed i principali rei di turbata giurisdizione. — (e. 79). 

1647. — febbraio 14, m. v. — Parti da questa città la 
galea di Fran,"^ Valier senza le debite provvisioni e permis- 
sioni. Le cariche di Capod.' Parenzo, Pota, Umago etc. ove 
capitasse nei rispettivi paraggi, le intimino il pronto ritorno 
a Venezia. — (e. 168). 

Registro 20. — (1648 mario-agostó). 

1648. — aprile 11. — L'Amb." presso l' Imp." ha fatto 
u^cl « perchè da sudditi imperiali sta vicinato bene, t et non 
< apportato alcun disturbo al comercio, né permessa novità a 
1 quel confine ; onde è stato commesso al Consiglio di Gratz. 
«che cosi sia estuilo, e fatto essequire 1. Il Pod. di Capodi- 
stria indaghi se si pratichi conformemente o meno. — (e. 33). 
In data i5 agosto si parla dì replicati ordini dell' Imp." per 
impedimento delle vessazioni dei sudditi imperlali a quelli che 
si portano per sali a Capodistria e Muggia. — (e. i83 t.). 

1648. — maggio 16. — Il Pod. di Capodistria procuri di 
aver nelle mani Lunardo di LunardJs, e Marc' Antonio Strirei 
fuggiti dalle prigioni di Trieste e richiesti dal Gov." di detta 
città. — (e. 68 t.). 

%egislro 21. — {1648 seti. febb.). 

1648. — ottobre IO. — Ve^a il Cap."" di Raspo, mediante 
copia che gli si accompagna, ciò che espose in Collegio il Ri- 



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- 243 - 

cevìtore di Malta relativa mente ad una Chiesa ed alcuni beni 
spellanti a detta Religione e propri della Comunità di Pela. 
Informi in proposito. — (e. 55 t). 

Registro 22. — (i^49 ma^p-agosto). 

1649. — luglio 3. — Il Senato scrivendo al Provv. Gen.' 
in Dalmazia ed Albania sull' infierire del morbo a Sebenico 
ed a Zara, avverte di aver eletto due Provv/' sopra la Sanità; 
Andrea Morosini per la Dalmazia, Paolo Dona per V Istria. 
- (e. 109 t.). 

Registro 2) — (164^ sett. jéb.). 

1649. — dicembre 23. — Il Pod. di Capod.' mandi a Ve- 
nezia colla opportuna scorta quelle due barche di sali cattu- 
rate sopra Pirano dalla barca armata del Gov." Gio. Gini, 
avendone più volte parlato in Collegio l'Amb.' Cesareo. — 
(e. 73 t.). In data i5 gcnn. successivo sì commette l' uso «di 
libi > per condurre le due barche anzidette fuori da quel 
mandracchio ed incamminarle a Venezia. — (e. 112). 

1Ò49. — gennaio 39 m. v. — Si seppe che a Rovigno 
furono trattenuti e scaricati grani destinati a Venezia; si com- 
mette r invio a questa città degli stessi, non dovendo più né 
il Pod. di Rovigno né altri rappresentanti in Istria praticare 
simili disordini. — (e. 118 t.). 

1649. — febbraio i, m. v. — Che il processo instrutto e 
trasmesso a Venezia dal Provv/' alla Sanità in Istria Pisani 
sui danni in fatto di salute inferiti a Parenzo dai governatori 
di galea Loredan e Vittori diretti dalla Dalmazia a questa 
volta sia consegnato ad uno degli Avogadori di Comun che 
entro otto giorni riferirà al Senato. — (e. 121). Fu deputato 
l'Avogadore Andrea Valier. — {e. sudd.) 



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K^egistro 24. — (16^0). 

i65o. — aprile 16. — * Multiplicano con . . . discontento 
« (del Senato) li disordini nella pratica di arrestar barche e 
■ vascelli austriaci che navigano per il nostro golfo, mentre 
• te barche armate usan maggior rigore dì quello, che è dì 

< publica intenlione, e passano ad estorsioni, e molestie inde- 

< bite, che dan poi materia a frequenti doglianze dell'Amò, 
t Cesareo». Il Pod. di Gap.' farà pertanto che sia restituito 
quanto fu estorto alla barca di Pietro Massaro da Trieste, fer- 
mata « vicino alla punta grossa > tra Capodistria e Pirano, e 
darà ammonizioni ai Cap. e soldati delle dette barche, (e 23). 

i65o, — giugno 7. — Le lettere del Cap."" di Raspo di 
14 maggio appresero al Senato le successe rappresaglie tra 
sudditi veneti ed austriaci. Siccome le correnti congiunture 
esigono il buon concerto coi vicini detto Cap. procuri col fi- 
nitimo giusdicente che si eseguiscano le reciproche restitu- 
zioni. — (e. 63). 



Registro 2;. — 0^5 



iò5i. — giugno 17. — Si accompagna all' Ing.^' Bragadin 
in Istria certo foglio di ministro imperiale con reclami per 
violenze a barche di sudditi austrìaci trattenute dalla barca 
armata che serve a Capodistria. Il Bragadin prenda cognizione 
mostrando di agire come da se, ed informi. — (e. 6a). 

i65i. — agosto 3i. — Qualora il Provv/^ Gen,'' in Dal- 
mazia abbisognasse dì duecento cernìde Istriane per difesa di 
qualche piazza attaccata dal Turco, il Pod. di Capod. gliene 
mandi ; ma devono servire di solo presìdio e cessato il bisogno 
restituirsi alle proprie case, il che per loro consolazione potrà, 
data occasione, esser detto alle cernide che vi fossero desti- 
nate. — (e. 1 17I. 



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— 245 — 

Registro 26. — (a. 16^2). 

i652. — aprile 20. — Il Pod. di Capod. avrà già ricevuti 
gli ordini speditigli per ovviare al contrabbando di ogiì ; ora 
s'intende che pur di contrabbando * segue con piccioli vasselli 
€ il trasporlo da sottovento per via di Po nello Stato di Mi- 
« lano * di carichi di sale. Detto Pod. impartisca gli adatti 
ordini e riceverà altre due barche armate. — (e. 19). 

i652. — maggio 7. — L' Ing." Bragadin che spiegò molto 
zelo a prò dell'Istria, ultimamente < ha posto in rollo con forma 
* diligente tutte (quelle) Cernide con ogni miglior ordine • — 
Il Pod. di Capod.' ne tenga in pronto cinquecento per gli 
eventuali bisogni della Dalmazia. — (e. 38 t.). N. B. Detta 
proposta non ebbe votazione su0ìcicnte né il giorno 7. né il 
giorno 10 in cui fu riballottata. 

1053. — maggio II. — 11 Pod. di Capodistria, per solo 
compiacimento dell' Amb."^ Cesareo, e quindi senza che diasi 
causa di imitazione, lasci libera la barca di Almorò Fara da 
Trieste con merco di Battista Vergine e Giovanni d' Alia pur 
Triestini, catturata presso Orsera. — (e. 42). 

i653. — maggio 18. — Sì raccomanda al Pod. dì Capo- 
distria che divertisca 11 t trasporto in sacca di Goro de' sali, 
i che dalle Marine del Regno di Napoli > si vanno levando. — 
{e. 43). 

Registro 2"]. — {a, 16^}). 

!653. — gennaio 5, m. v. — Sono rilevanti i disordini 
che succedono nella fortezza di Pola ; il Pod. di Capodistria 
si porti colà, rassegni le milizie e formi il debito processo ; 
dia gli ordini opportuni perchè si munisca quella piazza di 
conveniente presidio. — (e. igò). 

i653. — febbraio 21, m. v — Certa scrittura senza sot- 
toscrizione contenente lagni contro il Podestà di Umago giunse 
alla Signoria. Il rappresentante di Capodistria si porti colà e 
formi processo. — (e. 219J. 



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— 246 — 
Registro 28. — (a. 16^4). 

1654. — marzo 3i. — Attesi gli urgenti bisogni di Dal- 
mazia si commette al Pod. di Capodistria che scelga nella 
propria provincia cinquecento cernìde delle migliori, escludendo 
capi di famiglia, che mandi al Provv/ Generale guidate dal 
Gov." Caimo che non ritornerà se prima non ne abbia co- 
missione. Siano sottoposte al comando di tre capitani, inco- 
raggiate, ed assicurate che serviranno nei soli presidii e sa- 
ranno in breve rimesse in libertà. Sia ciascuna regalata di due 
scudi d'allento ed abbia qualche danaro di anticipazione. — 
Il sudd. Pod. s' intenda col Gap. di Raspo per la parte che 
tocca a questo nel rispettivo territorio. Allo stesso Gap."° di 
Raspo si manda il Gov" Cressi per gli aiuti necessarìi. — 
{e. 38, 39). 

1654. — luglio 18. — Il Seg."° Cesareo mosse lagno che 
Pietro Turcovic governatore di barca armata usasse violenze 
nelle terre imperiali per unire gente da remo, li Pod. di Ca- 
podistria formi processo. — {e. 137). 

1654. — luglio 39. — L'auditore del Contado di Pisino 
si lagna pel processo e proclama commessi dal Pod. di San 
Lorenzo contro i3 suoi sudditi d'Antignana, i quali nel [65 1 
ins^uirono Gio. Juresevich da Monpaderno sino ad invadere 
la giurisdizione del Pod. suddetto. Siccome però il caso è già 
succeduto da qualche anno, e risulta che allora t per estirpa- 

* tìone de malviventi, che infestavano il paese, vi fosse tra 

* queir Auditore e Rappresentanti nostri patto, e corrispon- 

* dcnza reciproca, di procurare la retentione in ogni luoco, 
« con permissione di passare li limiti della Giurisdittione • il 
Pod. di S. Lorenzo sospenda ogni procedura ed eseguisca 
quanto in proposito gli commetterà il rappresentante di Ca- 
podistria. ~- (e. i37 t.). 

1654. — luglio 39. — Il Pod. di Capodistria dimostri al- 
l'Auditore del Contado di Pisino la inutilità del proclama 
emesso da lui contro i sudditi veneti Gregorio Radovich e 
suoi figliuoli, della terra di S. Lorenzo, accusati di usurpa- 



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^ 247 — 

zione di terreni ; della Fineda sono di indubbia ragione veneti, 
concessi dalla Sìg/'" agli abitanti di S. Lorenzo « che hanno 
> in tutti li tempi fatto apparire il dominio di essi cosi nel 
« coltivarli, e pascolarli pacificamente, come nel contribuire il 
« tcrratico alli Rettori rispettivi; ciò si addimostra pure per 
• il confine divisorio dell' arzere, e masicre de sassi che divide 
■ r una dall'altra giurisditione ». — Si scrive a Capod. anche 
suir affare di cui la parte precedente, — (e. 13? t.). 

1654. — settembre 33, — U Pod, di Capodistria ecciti gli 
altri rettori della Provincia a sollecitare 1' andata in Dalmazia 
di quei vascelli che vi sono destinati e che eventualmente si 
fermassero nei porti istriani. — (184 t.). 

1654 — ottobre 3i, — Siccome l'Auditore di Pisino non 
s'aqueta alle addotte ragioni e prosegue contro i Radolichi 
{sic) il Pod di Capodistria emetta proclima che annulli quello 
del detto Auditore, e abbia delegazione per procedere contro 
quei sudditi imperiali che pascoleranno i loro animali aelle 
terre della Fineda proclamate venete. — (e. 234). 



(Contìnua) 



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-J 



PROCESSI DI LUTERANISMO IN ISTRIA 



(CoHtinuasione v. voi. XVIII fase, rea) 

Die Sabbati 9 mcnsìi Maii i585 etc. 
(Qui vanno due brevi costituti dì Andreolo Cinei) 



Die 11 Martii i585. 

Andrcolus Cineus coram R. P. Inq." F. Angelo de Fa- 
vcntia confcssus est ut infra. Sonno da g, o 10 anni che m." 
Marco Greco caiiegaro da Dignano mi veniva a trovare a casa 
dove io lavoravo taiapierc et mi comenzò ad interrogare ci 
parlarmi dell'andare a messa et del magnare carne et altri 
cibi prohibiti dalla S.'" Chiesa et d'altre cose della fede lui 
me parlava, Et particolarmente mi diceva che la messa è una 
mischianza come un' insalata di diverse sorti d' herbe Et diceva 
che la messa era inKtituita dalli L'api e dalli Cardinali per suo 
guadagno et de preti et de frati. Et che non occorreva an- 
dare alla messa, et che non bisognava dare fede né a preti né 
a frati. Et che Christo ha pagato per tutti noi quando è ve- 
nuto al mondo et che è morto per nui. Et che non è neces- 
sario di fare alcune opere al christiano, havendo il nostro Sig.™ 
satisfatto per noi. E tutte queste le diceva il detto m/" Marco 
Caiiegaro et m.^" Andrea suo fig.'" Diceva chel sacramento 
dell' eucharistia è un pezzo di pane et chel sacramento era 
solamente una commemorazione della passione di Christo. Et 



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— 249 — 

che quando erano molti in compagnia, si potevano tutti com- 
municare con un pezzo di pane che quella era la vera com- 
munione et chel corpo dì Christo non era altrimente nelhostia 
consecrata dalli preti et frati. Non credevano nel purgatorio 
ne anche nell' inferno. Che si poteva magnare in ogni tempo 
d' ogni sorta de cibi come carne et ovi et altri cibi prohibiti, 
si potevano mangiare la quaresima e 1' altre vigìlie et mena- 
vano tutti agualive (?). — Chel papa è un antìchristo, et che 
non havcva authorìtà alcuna. Che lui era così per la forma, 
ma che non era altrimenti Vicario di Christo. Che non è ne- 
cessario a confessarsi i peccati né a preti né a frati, ma so- 
lamente a Iddio et che li sacerdoti non havevano autborità 
alcuna, né d' assolvere, nò di benedire, né di maledire. 
Che r indulgentie et perdoni erano per niente et non va- 
levano niente ma che erano fatte per guadagno di preti et 
de frati et di papi. Dicevano male de preti et de frati et 
che stanano bene tutti in una galea, et che li parca di vedere 
il diavolo quando vedca preti et frati et monache. Et che 
saria stato meglio di dare marito alle monache acciò che fa- 
cessero delli figliuoli et che crescesse et che multiplìcasse il 
mondo. Kt che i preti et frati si potevano maritare senza pec- 
cato et pigliare mogli-:. Dell'intercessione de S." diceva che 
non potevano intercedere per noi et che non era necessario 
di fare oratione alti santi, ma solamente a Dio. Che i voti che 
si fanno a Dio o alli santi sonno buttati via. Ne che occorreva 
a fare dire messe né altre orationi né per morti né per vivi, 
ma ognun per se. Sprezzava l' imagine delli santi o fossero 
dipìnte o di rilievo tutte le sprezavano. Sprezzavano tutte le 
offerte che si fanno nelle chiese come le candele, imagini di 
cera che si portano per devotione alle chiese le sprezzava tutte. 
Sprezzava 1' acqua santa et li diceva aqua salata et che non 
bisognava benedirle perchè tutte erano state benedette da 
Christo nella sua passione. Sprezzava gli adornamenti delle 
chiese et che l' imagini de S." erano come volti da mascare. 
Non è mai voluto venire a messa li alla Chiesa di S. Martino 
vicina et diceva a quelli che li andavano. Sì andate la, a far 
che, 11 d."* m'" Marco haveva una bibia volgare la quale 1^ 



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— 25o — 

faceva leggere da un suo fig."" chiamato Santo et da sua mo- 
glie, et gli fu tolta dal Visitatore. Diceva che gli ordini sacri 
erano niente. Che 1' olio santo era per niente. Che la crcsma 
non era niente, che il sacr.'" della penitentia non era niente. 
Non ha mai parlato del matrimonio ma teneva però il battesmo 
che fosse sacramento. Non mi parlò mai contro la beata Ver- 
gine anci mi diceva che si doveva riverire ma gli altri santi no- 
Diceva che l'andare in per^rinaggio alla mad.' de Loreto o 
a Hicrusalemme non era ben fatto. Quando esso passava avanti 
la Chiesa non si cavava mai la beretta. Non mi ha parlato 
delle reliquie delli santi. — Int.* R.*" lo son stato due volte 
in casa de Checco de l'nulis cioè di Frane."* a mangiare la 
sera dove ci erano in compagnia m.'" Marco Andrea suo fìg.'° 
Giov."' de Paulis pellizzaro et Berto mio fratello, et honorato 
Gorlato il quale però non mangiava né voleva sentire parlare 
di quelle cose, neanche Frane."* et vi era ancho Biasio tessere. 
Et cavavaao fuori un libretto chiamato il capuzzino : il quale 
libro nominava S. Paolo, S. Agost."" et altri santi, et parlava 
della fede, della messa, delli sacramenti, del purg."°, dell'au- 
thorilà del papa dell' intercessione de Santi e di tutte quelle 
altre cose dette di sopra. Et mio fratello Berto et Giovanni 
pcllizaro erano quelli che legevano il detto libro et era il d."* 
libro di Giov."' qual disse haverlo havuto a Rovigno da un 
fratino non so di che ordine si fosse il d.'" Fratino ed il detto 
libr.^'* era alto due dita et della grandezza anco più d' un of- 
ficiolo della mad.' et era coperto se ben mi ricordo di cartone. 
Il d.*" libretto diceva che la messa non valeva niente, ma che 
il Vangelo solo valeva. M.™ Marco anchora doppo che era 
letto il libretto diceva che quelli che credevano al detto libro 
erano gli buoni et eletti christiani e quelli che non gli cre- 
devano erano fuori de strada. Che non bisognava far oratione 
nelle chiese, ma che si ponno fare in casa quando si leva la 
mattina et che habino il cuor contrito, et che bastava il pater 
noster e l'Ave Maria, ne bisognava fare altra oratione ne an- 
dare in chiesa a fare oratione. Biasio anchora predicava et 
diceva di tutte queste cose che Ihaveva imparato da suo Padre 
pre Biasio et andava spesso a trovare suo padre che stava in 



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— 25l — 

un Castello de Zomigno su quello dell' Imperio et imparava 
tutte queste cose da lui Dicevano che saria meglio a dare 
l'olio che si mette nelle lampade avanti al S. Sacr.'° darlo a 
poveri per cuocere delle verze o fare della salata. E quando 
io son stato in quella compagnia io non mi racordo che vi 
fosse mai presente Gio : Pietro Mengo ne andriazzo, ne so an- 
che di conoscerli, ma si congregavano loro più delle volte che 
io non gli era presente che andavo fuori a lavorare per quelli 
castelli a guadagnare, — Di più io fui chiamato una sera da 
mio fratello Berto d'andare in casa di Biasio tessere dove di- 
cevano che era venuto prete Biasio padre del d.'" Biasio tessere 
ma io non li volsi andare, perchè lui era bandito, et per i 
banditi sonno stato castigato altre volte ma Berto vi andò. — 
Una volta sola si congregarono Zuanne Berto et tanto nel mio 
horto che havcvano una bìbia volgare et la legevano, et la 
trovai un giorno nella bottega di Giovanni che lui non era in 
bottega et la pigliai sotto il gaban et andai di longo nell' horto 
a seppellirla. E non la brusciai perchè non voleva che quelli 
putti che erano in casa ne ancho le donne la vedessero et che 
Giovanni non lo sapesse et che sì fosse poi mosso contra di 
me o di farmela pagare o in altro modo. E la messi a marzire 
et era senza coperte che li cazevano le carte et era molto 
vecchia la messi a fare del letame. 

Int.* R.'"' Doppo eh' io fui persuaso del d.'" m.'" M." et 
d'Andrea suo figl. et da Giov, et Berto mio frat. io comenzai 
a vacillare tra me atesso et stare col cervello a partito, ne 
sapevo da che banda accostarmi ne quello ch'io dovessi cre- 
dere ne quale fosse la vera dottrina cath." perch'io non ho 
lettere. Et ogn' anno mi confessavo, ma non confessavo queste 
cose perchè stavo così dubioso fra me stesso, et andavo anche 
a messa et mi comunicava con gli altri christiani. Anche gli 
altri si confessavano et si communicavano per quel eh' io ho 
visto alle volte. Et son stato tre o quattri confuso col cervello 
a partito et travagliato di queste cose fin tanto ch'io andai 
da prete Pasquino il quale mi chiarì d' ogni cosa et mi mostrò 
la sacra scritt," et i luochi dove parlava di passo in passo 
delle sudctlc cose cioè della penitenza dell' intercessione delti 



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253 — 

santi, del purgatorio, dell' inferno et di tutte le sudette cose. 
Allora io lassai tutte quelle opinioni et anche tutte quelle 
compagnie. Et io essendo cosi chiarito, dissi a Berto che lui 
andasse da prete Pasquino che lo chiarirebbe delti suoi errori, 
ma Berto non gli volse andare et mi disse questi preti tengono 
tutti a una non bisogna ricorrere da loro. Doppo queste cose 
essendo infermo un mio cognato Gio. Maria quale poi morto 
io feci portare il S.""" Sacramento per communicarlo et si com- 
municù et m.'° Marco vedendo questo mi riprese con dirmi. 
Tu fai portare messer domenedio in casa quasi che non sia 
per tutti e non credi che sia in casa tua } Et io gli risposi 
che cosi sempre s'è osservato in Dìgnano et cosi mio padre 
Iha sempre osservato lo voglio osservare anch' io. Ma quanto 
a questo io credo che mcsscr Marco dicesse per disprezzare 
il Sacramento perchè lui teneva che fosse un pezzo di pane 
e non altro. Et sonno quattro anni eh' io ho sempre osservato 
quello che osserva la S. M.*" Chiesa et cosi voglio osservare 
fina chio vìverò. — Ei dictum che dica veramente et sincera- 
mente se non solamente ha dubitato et vacillalo ma se l'ha 
adherito fermamente alle sud.''' heresie nominate di sopra et 
contenute net sud.'" libro dil scapuzzino. 

R. mentre si legeva d° libro et che sentivo nominare la 
scrittura et passi di S.'" Agostino et di S. Paolo, ch'io non 
men' intendo, allora mi adherivo a quello ch'io sentiva leggere 
et persuadermi dalli sudetti ma poi partito da li sempre an- 
- davo col cervello a partito vacillando et confuso et pregando 
idio che mi dasse lume che strada dovevo tenere et ringratio 
Dio che mi ha illuminato. Et dopo eh' io sonno in pregione 
ogni giorno tre corone, ingenocchioni avanti un Christo, ad 
honore della S."" Trinità et tre pater noster et tre Ave Marie. 
Et ho fatto voto di fare dire una messa alla Mad." ogni prima 
Domenica del mese. Et io son stato caus i che mio fratello 
Domenico ha lassato anchor luì la cattiva strada at andò a 
■pola et fu abiurato sonno da sei o sette anni se ben mi ri- 
cordo. Et se mai più m'occorre ch'io incorra in simili errori 
et peccati et andare fuori de termini io .spontaneamente mi 
piglio sentenza volontaria della morte et mi contento dì questo. 



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— 353 — 

Et ho pianto e piango ogni dì il mio peccato et domando 
perdono a Dio et al S. Off." che m' habino misericordia, 

E vi prego che avanti eh' io mi parta da Ven.' che V, R. 
mi dia un confessore eh' io mi voglio confessare generalmente. 

Ego fr. Angelus faventinus qui supra hec omnia propria 
manu scripsi presente F. Bv^ncdicto de Tabia diacono ordints 

pred et tussus est facere crucem cum 

nesciret scribere f 

Ego fr. Benedictus de Tabia presens fui. 



Noi maestro Angelo Mirabino eie. Inq.", Roberto Tomeo 
etc. Auditor gen.'*. Desiderio Guido dottor dell' una et I' altra 
legge prothonotario apost. et vicario del R.™" Mons.'"' Patriarca 
de Venetìa, con l' assistcntia de voi CI."" S."' Piero Morosini. 

Essendo venuto a notitia che questo S.'° o0ìcio per te- 
stimoni .... che in Dignano sì facevano alcuni ridotti o con- 
venticole nelle quali tu Andriolo o Andrea Cìnei q. maistro 
bartholomeo tagiapiera da Dignan sei intervenuto insieme con 
alcuni altri dove se ha parlato de la nostra S." Fede 
Chr."" Però te facessimo citare a comparer personalmente a 
Venetia a questo S. off."" per il che nel termine a te prefìsso 
te presentasti prersonal mente decretassimo che fusti fatto preg- 
gione nelle carcere de questo S. off." Essaminato poi più volte 
sei stato molti mesi col core induralo per timore negando la 
verità, finalmente doppo molte exortatìoni fatiche et diligentia 
usada per ridurli a cognoscere lì tuoi errori per salute dell'a- 
nima tua finalmente essendo stato refferito a questo S. off," 
che desideravi esser chiamalo a questo S. Tribunal et cosi 
chiamato hai spont.'° confessato. 

Che ritrovandoti insieme con honorà gorlato andar a vi- 
sitare frane.** de Paolis che era ferito d'una sassada el trovasti 
chel giera al fuogo levato dal letto e si giera Zuane de Paolis 
suo fratello tuo fratcl Berto Cinei et Biasio Tesser de compa- 
gnia sua et così parlando de più cose zonse la sera ed il d.° 
Frane.*" de Paolis ve fece restar a cena con esso et quella era 



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— 354 ~ 

una vigilia comandata perchè lui Fr.'^" magnava carne ve disse 
ve darò de quel che haverò et Zuane de Paulis p.*" disse 
quello che escie ma non quel che entra macchia Ihuo- 
mo et esso Zuane disse ve vogio mostrar e andò a casa per 
dei libri et tornato con i libri el portò un libro che se chiama 
el scapuzin chel diseva haverlo havuto a Rovigno da un fratin 
nel qual libro diceva che se poteva magnar carne liberamente 
senza peccato d' ogni tempo el che in quanto l' oratione, ba- 
stava un pater noster al dì. 

Et portò anco un altro libro scrìtto a pena de 4 o 5 fogli 
di carta in circa che diceva che era le opere de Pietro Paulo 
Vergerlo et al libro li diceva el vergeralo e in questo libro cì 
era che te ricordi che le chiese era bene a darle ad habìtar 
ai poveri et che quando fu consecrato el vescovo li volevano 
cacciar li Evangeli! col libro in testa et così magnasti in quella 
sera carne excetto honorato p,'" che non ne volse magnar, et 
tu sentendo a lezer quel libro intrasti in quella opinion de 
poter magnar carne in giorni prohibiti ides ogni giorno senza 
peccato. (Qui sono ripetute tutte le confessioni fatte dall' in- 
quisito e surriferite). Et mostrando (tu) evidenti segni di con- 
trizione hai dimandato humit perdono a Dio et a questo S. Tri- 
bunale dicendo et promctendo per l'avenire di voler vivere 
da bene et fidel cristiano et di esser pronto et preparato di 
abiurare etc. etc. 

Invocato adunque el nome de Christo noi antedetti 

Sedendo in tribunale etc. etc. sementiamo che tu Andrea 
sei stato herctico et però sei incorso in tutte le pene che da 
tali delinquenti si sogliono incorere et come tale debbi abiu- 
rare con r habitello et candela accesa in mano primieramente 
ogni sorte dì hcrcsie. 

Et per che hai detto di essere pentito col core et pronto 
a fare ogni penitentia che da q '° S. Tribunale ti sarà imposta 
et che sei pentito et dolente esser incorso in si gravi errori. 
Però ordinarne che sii assoluto dale censure ecclesiastiche nelle 
quali sci incorso. 

Et acioche per l'avvenire sii più cauto et che h altri a 
esempio tuo imparino schivarsi da questi et ogni altro errore 



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— 255 — 

et heresia te condanìamo a carcere perpetua dala quale non 
uscirai senza licentia nostra in scriptis — che ti confessi et 
communichi quattro volte l'anno cioè nella pasca di resurret- 
tione, nella Pentecoste, nella festa d'ogni santi, et nella nati- 
vità del Sig."" et che di ciò ne porti per ciascuna volta la 
fede all'ordinario di quel luoco dove ti troverai. — Che ogni 
venerdì per tutto il presente anno t585 dichi la corona della 
Madonna avanti qualche santa imagine genuflesso, et nel- 
l'istessi giorni dichi cinque pater noster et cinque Ave marte 
per i morti. — Che t' astenghi da mangiare carne il giovedì 
per sei mesi dell' anno 85 cominzando doppo Pascha pross." 
fut." — Che offerisci per elemosina alla lampada del S."" Sacr.'" 
nella Chiesa Maggiore di Dignano lire dieci d'olio. — Che 
quattro volte per 1' anno presente 85 ti presenti al R."" Vesc." 
di Pola domandandoli humilmente la S}' benedittione. 

Riservandoci però l'authorità in tutto et in parte di mi- 
tigare, moderare e commutare le predette pene secondo che 
parerà a noi essere espediente a te. 

Cosi diciamo etc. 

Lata data et sententialiter promulgata fuit suprasc. aiti.' 
sent.'" per autelatos R,"" D, Inq." auditorem et Vie." pat... 
prò tribunali sedentes in capetla S. Theodori prope canonicam 
S. Marci Iccta vero de eorum mandato per me Vincenlium 
terlatum cane.™ S. off.' die sabbati i6 mensis martii i585 
pres.*" D. Bapt. Ciera nuntto curie Patr. V. et ex." D. Tho- 
ma Trivisano advocato in foro ecd.'^'' testibus Ita est. fr. An- 
gelus favent.* Inq.*" Ven — Ita est Robertus Tanius Aud." 
generalìs Ita est Ccsiderius Guido vicarius patriarchalis. 



Io Andrea figl, del q " Barth. Cìnei etc. (qui segue il testo 
dell'abiura). Adi i6 marzo i585. lo Batt. Ciera nuncio del 
IH""" patr. fui presente quando il detto Andrea ha fatto la sopra 
ditta croce per no saper scriver. 

lo Thomaso Trivisan fu presente alla sud. abiura. 



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— 256 — 

Ex,*" Piiblicata die 22 Jannarìì i58o per Vercelìnum in 
loco Albonac. — In Chrisli nomine Procedenles ad expeditio- 
ncm causae Criminalis vertentis conlra presbiterum Jac. Cì- 
neum Plcb. Dignani, de et super in conlìnenlia sua cum A- 
gnete sorore Helenae Cragnicae sen Masinae. Viso processu 
informativo, visa inquisitionc contra eum facta, viso constituto 
p," D, Jacobi fatentis se imiscuisse carnalitcr cum anled." 
Agnete nec non lune temporìs copulae carnalls cunii prefacta 
Agnete habitac, canonicum et Plebanum Dìgnani fui^e et 
extitisse, predicLamque Agnetcm eo tempore habitasse ... in 

ead .... guisse, visa tcrminorum observatione ad pon 

iquc et articulari videndum. Item ad dicendum contra, et ... . 
faciendum suas deffensiones, visa approbatìone .... Petri , . . 
prcdicti presbiteri Jacobi Cinei laudantìs qui .... fuerìt in pro- 
cesso informativo, et propterea contentantis hibere testcs prò 
repelitis. Et ut in ca, visa publicatione processus, visa tcr- 
minorum observatione ad producendum producique videndum 
nec non ad dicendum contra, visa relatione R. patris Ilier."" 
Otlelli, de et super ignorantia et impcritia d.' presb. lac, visa 
citationis relatione cum tpsa citatione prò hac hora vcniendo 
ad audiendum hanc nostram di^nìtivam sententtam, Christi 
nomine repetilo a quo cuncta rccta procedunt iudicia. Nos 
TafTellus de Taffellis. I. U, D. Can.'^-" Veronensis et R."" D. 
Aug."' Valerli in prov."* Istria et Dalmatiae apostolici visilato- 
ris reformatoris, et delegati generalis, et speciaiis .\uditor ha- 
bita matura consideratione, et presertim super iuris dispoaitio- 
nc voienlis, quod sacerdote», qui cum fìtiabus spìritualibus 
fornicanlur grave com-nittant adultorìum, et propterea debent 
deponi, et ila privarì bencficiis, Nec non per totum tcmpus 
vitae suae in monasterio intrudi post peregri nationem duode- 
cim annorum, et ita a parochia per dictum tempus annorum duo- 
dccim cxilium. Volente.^ cum prcfacto presb. Jac. misericorditcr 
agere, dictum D. Jacobus Plebe privamus iilumque suspendimus 
perpetuo ab csercitio curae animarum in diocesi Polentina, eum- 
que condemnamus ad standum per sex mcnscs in carceribus 
clausum, nec non ad ieiunandum, et persolvendum septcm psal- 
mos penitentiales quarta et sexta ferits In predicto spacio se- 



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— 357 — 

ftiestri. Et ita etc. Testes. Ven. Do. Gaspar Chizzeta de Cherso 
et D. Jo. Maria Lupatinus de Albona. 

Ego Petrus filius D. Paul) a stratta de Vercellis civis Ve- 
ronae de mercato novo pub.*"' apost." et imper.'" auctorit. 
not." et in Episc. Caticeil. coad." presentem sententiam fide- 
liter ab originali suo existenti .... factis per R."""» D. Ep.™ 
Veronae tunc Vie .... Dalmatiae et Istriae apost.""" nil ad- 
dens etc. 



Die i8 mensis Apritis 1S82 

Quoniam R."" D. Ep." sup." et R. P. Inq.*" decrcverunt 
devenire ad expeditioncm prcsentis processus, in attinentibus 
ad expeditionem presentis processus, in attinentibus ad prcsb. 
Jacobum Cineo sup.'™ reum infamatum, Ideo mandaverunt 
nuntio ut citare deberel pr.""" prcsb. Jac.™ diffamatum ut se 
ad carceres conferat et inde audiat sent.""™ supr.'™ Domin, 
quoniam ut supra suo loco patet fìdeiuss.*"" dimissus fuit et 
hoc etc. 

Die 26 mensis Aprilis 1582 

Et sì in propriis iniurtis esse quemque patientem lauda- 
bile est iniurias tamen Dei dissimulare ìmpium est, nam qui 
unam hereseos notam ferat aut dissimulet Christianum non 
esse manifestum apparet eapropter cath.'* et S."" mater Eccl '" 
respiciens quam grave et periculosum sii hac heresis infamia 
laborare varios modos excogitavit ad excludendam sinistram 
hereseos infamiam et suspitìoncm Ideo quoties aut dictis aut 
factis fidelis quispiam eam contraxisse audit variis quin etiam 
penis cum coi^rcct et Inter ceteros modos unus est canonica 
purgatio que subsidìarta turis appellatur. Ideo nos Mathcus 
Barbabianca J. U. D, Dei et apostolicae sedis gratia Episc. Po 
Icn. et Fr. Firmus ab Ulmo Yen "" ord. min. Convent. ac 
Sacre Theol. doc." a in tota Provincia Istriae Inquisitor haere- 
ticae pravìtatis a S. Sede Apost. specialiter delegatus cum 
ass."" CI.™ D. Jo. Maripetro Comilis huius civ. Polae consi- 
derantes quod tu pres. lac. Cinei de Adig. ab. off. S. Inq."" 



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— 258 — 

inventus es diffamatus ac suspcctus de heresi vel quia habcs 
unum fratrem de heresi abiur.""" ut in proc. centra eum for- 
mato et alios duos off." S.'" Inq."'^ dclatos et quia tua infamia 
hàbuit ortum non a paccioribus aut vilibus pcrsonis sed a 
maiori parte tuorum concivium et ab hon.^'* personis ac con- 
sid." cohabitatione ac conversatione quam habuìsti cum fra- 
tribus tuis ac verba illa prolata che è imposs.'*^ che Iddio ci 
possi perdonar i nostri pece." ac pertinacia quando corrcctus 
fuisti in eam deffendendo, et visis pcrsuasionibus facti de la- 
ticiniis concedendis tempore interd.'° et de oratione potius domi 
quam Ecc. facienda ac intell." etiam adhort."'' illa V. R. non 
esse pcccatum cum duabus sororibus coire et considerata tua 
irreverentia quando die Jovis Maioris hebdomadae quando in 
celebratione Mtssae cecidit particula illa et si omnia sup/^ 
non piene probata sint aut per tcstes sìngul.'^'''' decrevimus 
super premissis et aliis prout lattus in proc. deductum est in 
hanc devenire sententiam I Deo visis et cons,"* p.'" omn."" 
confess,"™ ac excus.''" et testium prò parte tua cxaminatorum 
dictis perpensisque tuis deffens.''" processuque pluries in conc. 
luris ac sacrae theol. peritorum discusso cons."**"" cons.''*' sic 
sententiam US. 

Chr. nom. invocato .... sententiamus tibi tamquam de 
heresi leviter diffamato proptcr omnia sup." indicendam esse 
purgationcm Canonicam quarta manu tui ordinis idcst ut per 
quattuor homines seu prcsb. tui ordinis cath.*^' probatae vite 
facere tenearis die ult,^ aprilis Adig."' qui quidcm vici de tran- 
sacto tempore vite tue cognitionem habuerìnt Monentes te 
quod si in ea facienda differeris te prò herctico suspecto ve- 
bementi habcbimus et ita indicimus ac mandamus. Ita pron."" 
et seni.""" Nos Mattheus eps. Poi. et Fr. Firmus Inq.^ pr. Istriae 

Lata etc. hec sup.' ' sententia per me Not. pr. Mar."" de 
Furlanis ad pres. supr.""" D. D. die ut s.' in Eccl. cath.'' in 
capella S. Andreae present R. p. Jo. Bap. Bolic. Archid. et 
Rev, D. pr. Fr. Octobono scolastico Polensi Test. voc. et ro- 
gatis etc. 

(Il sentenziato promette subito di eseguire l' impostogli) 
Eodem die 



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Presb. Jac. sup.'" presentavit prò suis com purga toribus 
R.™ D. pr. Hermetem de Bonis Can-^^Polae presb. Vitum de 
Vito Pleb. Momarani, et R. p. Fr.'^" Constati tium Ferraviensem 
ordinis S." Itier.'"' et curatum Ville Faxanae et R. D. Fr.'™ 
Cirìllum Brixiensem eiusdem ord."'* Priorem S." llier "' in sco- 
pulo qaos testes compurgatores sup." DD. Jud. admiserunt et 
P."" vocatus interr."'* fuit R. pr. Hermes sup.'"* se conosce pre 
Jac. Cinei et quanto tempo et R.*"' lo lo conosco già assai 
tempo et Int.'" R.^" né lui ne alcun di suoi m' ha promesso 
cosa alcuna et egli m' ha pregato che venghi qui a giurar per 
la sua inocenza. 

R. presb. Vitus. sup.'"' inter.* resp.**'' io conosco M. pre 
Jac. Cinei già trenta anni et non mi è stato perciò promesso 
cosa alcuna et egli m' ha richiesto a far q.'" off." 

Idem Responderunt R. R. P. P. Fr. Constantius et Fr. 
Cirillus sup.** 

Et vocatus pr. lac. et ci dictum fuit se conosce li sop." 
R.*"' S." si et sono quelli che ho nom."* per compurgatorl 
estendendo eos digito lamquam presentes et tunc R.*"' pr 
Inq.^ conversus se ad compurgatores dtxìt Sappiate fìgl.'' che 
q,'" R. P. Jac. è stato acc.'" della sop." heresie et eis lecta 
fuit seni.'" sup." que continet hereses et di%mationes de 
quibus D. pr. Jac. fuit diff.'" et suspectus et postea R. P. Inq."' 
dixit di quanto havete inteso è stato acc.'° il p.'° p.'" Jacomo 
et perciò di q.*' suspttione et infamia è tenuto purgarsi ca- 
non.'^ et voi sete nom." per test."" et compurgatorio della sua 
inocenza. 

Quibus habitis voc.'" fuit R. pr. S."" ad iurandum ut pur- 
garci se. Qui genibus flcxis inf.'" modo jui.' et purg.' se. 

lo pre Ciac Cinei de Dign. della dioc. di Pola constituito 
dinanzi a Voi Mons. R.'^ et R. P. Inq."*"" iudicial.'= per levare 
ogni et qualunque suspitionc, d' heresia nata tanto nelle menti 
di V, S.'" quanto d'altri anc'iora et per rimover al tutto ogni 
sorte d'infamia che fusse neltì animi delle V. S. o d'altrui 
sparsa per la causa sop." dico con tutto el cuore et con la 
bocca confesso e giuro che non ostante le cose contenute nel 
processo contro di me formato alla sententia in virtù dì quella 



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centra di me dalle V. Sig."' proferita io esser et esser stato 
immune et inocente d' ogni difFamatione et suspitione d'herc- 
sia et giuro haver sempre praticato cathol." con li miei fratelli 
et haver creduto fermamente eh' a Iddio N. S. appartengha 
perdonar li pece." et haver creduto che il mangiar latticini in 
tempi prohibiti sia peccato et che il luoco particolar di far 
oratione sia la Chiesa et haver anchor creduto e creder che 
il conoscere due sorelle carnai.'* sia peccato et haver sempre 
con molta riverenza celebrata la S. Messa et tutte le sop." cose 
et ogni altra mia attiene giuro haver sempre fatto con buona 
intentione et però genuflesso inanzi alla V. S. R.™" et voi R. 
P. Inq." supplico che li admessi compurgatori si debbano far 
giurar per scolpar la mia innocenza et q.'" con ogni miglior 
modo etc. et tactis manibus propriis sacrosanctis Evang. iu- 
ravìt dìcens et cosi Dio m'aiuti et q." quattro S.*' Evang co- 
me ho detto la verità delle cose sop." 

Quibus peractis dìctum fuit compurgatoribus an que iu- 
ravil sup."" Presb. Jac percepissent et responderunt S." si et 
sic unus post alium vocatì fuerunt coram D. D. Judicìbus so- 
lemniler iurarunt p."" presb.'"" jac. vèrum dixisse et iurasse 
Dicens. p." R.'"' pr. Hermes Gcnibus flexis. 

lo giuro me creder che il sop.'° pre Jac." habbia giurato 
et detto la verità et sic sigilatim alii dixerunt et iuramento 
afllìrmarunt p."™ pres."" veritatem dixisse. 

Quibus peractis R.""' D. Ep. et R. p. Inq." pronuntiarunt 
hanc sententiam ut infra. 

Invocato il nome del N. S, Giesii Christo et della B. V."' 
sedendo noi prò tri,'' e solamente havendo inanzi alli occhi 
N. S. Iddìo dal qua! proviene tutti li giusti giuditìi Noi Mat- 
theo Barbabianca Dott." del una et altra lege Vesc.° di Pela 
et Fra Fermo dal Olmo D.*^ dell' arti et sacra Theol.' et inq.'°' 
di tutta la provincia dell'Istria con l' assist."' del Ci.™" Sig. 
Troilo Malipìero Dig. Pod, di Dignano nella causa nel S." Off." 
del Inq.'""^ che vertise da una parte esso Trib.'* et te pre 
Giac. Cinei d' Adig."" come di sopra processato et sententiato. 
Vista la purgation canonica per te pre. Giac." alta presentia 
nostra fatta et visti gli Testimoni presentati per tuoi compur- 



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— 36l — 

gatorii et da noi accettati et uditi li lor giuramenti et viste 
tutte le cose che si havevano a considerare pronuntiamo, sen- 
tentiamo et dechiaramo te pre Ciac." Cìnei esser huomo di 
buon testimonio et per le cose vedute come di sopra non 
dover essere per l' avenire molestato cassando et liberando 
tutte le sicurtà et obligatione che per te da altre persone 
fossero state fatte nel off." della S." Inq."' et cosi comman- 
dìamo siano cassate et annullate. Ma perchè sei stato dellato 
al S,'** off." d' havcr comesse le cose sopra narrate et acciò 
per l' avenire impari a viver più caut.*' et religios.'^ et anco 
a ciò per il cattivo essempio che potresti dar ad altri alcuno 
di te non pensi male però ti condeniamo che per sei mesi 
continui non possi administrar lì SS.""' Sacr.'' a fedeli restan- 
doti però ricevuta la debita assolutione et imposta penitentia 
da q.'° S.'" Trib. facultà di celebrar la S.*' Messa et per peni- 
lentia salutare farai l' infr.'"^ cose P." ti confesserai da appro- 
bato sacerdote una volta al mese facendo una confessione ge- 
nerale di tutti gli tuoi peccati et questo per tutto il tempo 
della vita tua et in quel giorno dirai in genocchioni ti sette 
salmi penitentiali. Item degiunerai per un anno continuo ogni 
mese un venere et fìnalm.*' ogni volta che venirà Mons. R.""' 
di Pola che di tempo in tempo si trovarà quando venirà in 
visita ti aprescnterai inanzi a S. S."° R."* 

Ita pron.°"" et seni.""" Nos Mattheus eps. Polensìs et fr. 
Firmus Inq."' Istrie. 

Quibus auditis R, pr. lac. dixit io farò quanto m" hano 
ordinato le S."^ V. ne contrafarò ne in parte né in tutto a 
quanto m'obliga la sop.' sententia et quando altramente facessi 
eh' Iddio mi guardi io voglio esser sottoposto a quanto dispone 
le leggi canoniche contro li delinquenti in q.'" proposito et 
al giudicio di questo S.'° Tribunale. 

Lata data et pubb." fuit sup.° sententia et forma purga- 
tionis canonicae in Eccl. S." Blasii de Adig.° coram sup "* DD. 
et cum assistentia ut s." presentìbus R. D. prcs. Damiano de 
Damianìs Can.*^** eiusd. Eccl. et Ecc." D, Retro Dragano I. U. 
Doctore per me pr. Marinum de Furlanis Pubi. Not. et ad hoc 
specialiter elcctum. 



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(S. T.) Ego loannes Bap." de Ceris pub." imp.'' auct." 
not.' et ad presens Curiae episc. Cane* transumptum hoc ex 
originallì aliena mihi fida manu factum auscultavi de verbo 
ad verbum, et ei dandam esse plenam fidem dico : In quorum 
fìdem subscripsi, ac signum nomenque meum solitum appomi 
et roboravi etc. 

Die 23 mensis Novembris i583. 

Centra 

Bertum Cinei de Adignano. 

(Si tralascia per brevità, e perchè ripetono press' a poco 

le stesse cose dette ne^li altri processi, i tre costituti di Berto 

Cinei in data 33 novembre, 39 novembre i5^3, e 38 gennaio 

1584.) 

Noi Laurentio campegio per gratta de Dio e de la Santa 
Sede Apostolica Episcopo de cervia del Ser™ Sig/ nostro 
papa dell' una e l' altra segnatura referendario et prelato do- 
mestico e in tutto el Ser.""" Dominio Veneto legato apostolico. 

Joanne trivisano Dottor dell'una et l'altra legge per mi- 
serationc divina Patriarcha de Venetia et primate de la^Dal- 
matia. 

Maestro Angelo Mirabino da Faenza dell' ordine de pre- 
dicatori d'osservanza della sacra theologia Dottore e in tutto 
el p.'" Ser.""* Dominio Veneto Inquisitor generale. 

Con l'assistenza dei voi Clar."" Sig." Jacomo Emo[et Vido 
Morosini. 

Essendo venuto a notitia per tcstimonìj degni de fede 
con suo juramento essaminati che nella terra de Dignano 
erano molte persone heretiche che facevano congregatone 
in casa loro et V hano fata insegnando a diversi dolrina 
lutherana et cativa, et che sono da 7 anni ìn circa che tu 
Bertho Cinei mangiando à cena con alcuni altri doppo cena 
solevi cavare un libro de la grandezza d' un plico di lettere, 
il quale lo chiamavi ò Martino ò Vcrgerio, et dicevi che era 
venuto da terra thodesca, et qualche volta tu lo leggevi a 
quelli altri, et persuadevi molte cose. 



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— 263 — 

Prima — che non bisogna andar alla messa ■ — che dal 
vangelio in fuora la messa non vale niente — 

che tanto vale à torre un pezzo di pane quanto l'hostia 
parlando del Sant,'"" Sacramento dell'altare — 

che non se trova purgatorio — r 

che parlando della processione delle palme alla quale Fran- 
cesco pelizzaro voleva andare, tu lo prendesti per la mano, 
et lo menasti nel tuo horto, et aperto un libro grande quale 
ghe parse che chiamassi la bibbia, et havendolo letto un 
puoco gli dicesti — adesso è venuto il tempo, come dice 
questo libro, che lì homeni si travestirtano et meneriano 
christo in mostra per la terra — 

Et parlando de li preti che andavano in processione dice 
— guarda adesso à venuto il tempo — 

Solevi dire nei tuoi raggionamenli che si deve adorare 
un sol Dio et à lui andare et non dalli Santi 

Che li Santi sono di legno che si bene si chiamano non 
respondono ne si muovono dicendo andate et tirateli giù, che 
non dirano niente — 

Che le opere nostre non vagliono niente — 

Che christo Jcsu Sig/ nostro sopra il legno della croce 
ha pagato per noi, et che non accade altro — 

Che essendo tu ripreso in strada, a quello che ti ripren- 
deva li dicevi hebreo — 

Che parlando con li tuoi compagni dicevi che loro sono 
degli eletti et noi boni christiani maledetti - 

Che basta confessarsi solo à Dio et non andare da preti 
et da frati à confessarsi — 

Et che tu eri presente doppo cena alla predica di pre' 
Biasio quale insegnava de cose lutherane et leggeva un libro, 
Et possono esser da otto anni in circa, et dicevi — 

Questi papisti vogliono dare ad intendere che li Jubilei 
et indulgentie che manda il papa sono vere et che possono 
aiutare l'anime à liberarci da peccati, ma s' inganano non 
vagliono niente, ma solo el sangue de christo è quelo che 
vale dicendo atendete pure voi altri a dare de li soldi- alti 



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— 204 — 

preti perchè vadano a spasso con le concubine et impoverire 
le case nostre — 

Che persuadevi à non credere l' indulgentìe et tuti quelli 
che erano li credevano et a^rmavano le sopraditte cose ~ 

Chi hai minaciato il soprascritto pelìzzaro che se lui 
discopriva niente centra di te et altri tuoi complici che! saria 
stato amazato — 

Et che possono esser da 5 anni in circa che in la tua 
vigna el ditto pelizzaro cavo fuori un libro in forma di do- 
nado d'altezza de doi ditta et te lo diede in mano et tu lo 
cominciasti à leggere, et dichiarire et dar ad intendere alli 
circostanti diverse falsità et heresie di sopra narrate si che tu 
leggevi et il detto pellizaro respondeva et dccchiariva et tu 
confirmavi si che lutti doi eravate d' una istessa opinione et 
v' affatichavi à dare ad intendere le soprascrille falsità. Et 
gionti li cacciatori tu ascondesti il libro. Et dopo alcuni giorni 
tu domandasti à maestro Matteo Moscarda che era ancor lui 
stato presente alla ditta letionc quel che li pareva di quel 
libro. 

Et che in quella vigna sci stato più volte quando à la- 
vorare, quando à parlare de cose lutherane et perchè Jeanne 
Hp naulis pellizzaro si trovava haver un libro intitolato l' in- 

;ione de la fede Christiana di genevra — 

Et quando se diceva che non è bene à ìmpizzare lumi 

ti l' immagine de Santi tu rispondevi esser il vero — 

Et che era meglio à dare quel oglio à poveri et altre 
di sopra narrale — 

Che ragionando con mistro paolo pelizzaro hai detto che 

svi che fosse lecito à manzar carne la quadragesima, et 
altro giorno proibito, diceado el Sig/ Dio ha fatto tutte 

)se bone — 

Et di molle cose che esso leggeva et raggionava con li 

e affermavi et tutti doi insieme affermavi molte cose 

-e vere et bone ma erano lutherane — 

Che tu Santo ed Andrea tuoi fratelli eravate presenti 

lelione del libro — 



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— 365 — 

Et parlando de la comunione dicevi Questi moltonazzi, 
raggionando de fideli christiani, vanno à rizever quel!' hostia 
pensando che vi sia il corpo de christo et non sano i goQì 
che non è altro che un puoco di pasta fatta con farina — 

Che' quello che noi faciamo lo faciamo per dar vista alli 
orbi. 

Per le qual cose te facessimo carcerare et essendo sopra 
di esse constituido. 

hai spontaneamente confessato che già sono 5 anni in 
circa vcgnando dala tua vigna te incontrai in uno che se 
domanda Biasio che era stato prete de galesan e! qual an- 
dava à Sesolar e comincio à parlartc de la chiesa dicendo che 
ì predicatori dicevano ci falso et te disse che in quanto alla 
confession bisognava confessarse à Dio et poi presentarse 
all'aitar et che i' hostìa consecrata era un pezzo de pan et 
che quando 1' andava à comunicar el la portava in una ma- 
nega et diceva che non se trova Purgatorio, et che christo 
haveva purgato per noi, et biasmava i jubilei del papa con 
dir che non erano bone tante indulgentie, et che li santi non 
possono intercieder per noi et che non era bene adorar et 
reverir V ìmagine et che erano legni fatti da gì' homeni et che 
questo uso de apparati de le chiese, de le cerimonie dei lumi, 
de le cere con le cerimonie che non era bono et te disse de 
molte altre cose de le quali non te ricordi et poi te disse 
chel raccomandassi à suo Bolo. Et così tu tornato nella terra 
de Dìgnan dicestì à Biasio che havevi parlato con suo padre 
et lui te disse ben che omo ve pardo? e tu gli dicesti che se 
quello che te aveva detto fusse vero le sariano gran cose, 
Et te pareva che Biasio fosse de la opinion del padre. Doppo 
5, o 6 mesi in circa detto pre Biasio vene dal ditto Biasio, 
al qual è zappador et te fece chiamar per mezo del detto suo 
figliolo te tornò à dir quelle medesime opinion' che tu hai 
raccontate de sopra et che te disse in viaggio. Doppo detto 
pre Biasio tornò un' altra volta in casa di detto suo fiolo et 
te domando tornando pur de notte perche esso pre Biasio 
era bandito et redicendoti le medesime cose tu non le volesti 
più creder perche havevi visto un miracolo in Momaran che 



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— 266 — 

essendo venuto un cathivo tempo vedesti do candelle sopra 
un campaniel de la chiesa granda che se domanda el Domo 
che se fa la festa da Santa Maria Madalena le qual candele 
pareva verde et li homeni sonava le campane per el cathivo 
tempo ci qual duretc forsi un hora et mcza, et poi cesso et 
te cominzasti à inmaglnar nel tuo cuor de le parole che te 
haveva ditto ci ditto pre Biasio et dicesti chel te diceva che 
i santi non puoi et all' hora tu te ne ravedesti che quelle 
parole non erano vere. 

Et che eravate in casa de checho pelizer e un Padrin 
frate che sta in una gicsiola a S. Zuane de rovigno de età 
de 20 anni in circa che haveva amicitia con Joanne pelizaro, 
e lui iegeva el qual haveva doi libri un più picolo dell'altro 
et erano vuigarì tutti doi in stampa — lo grando diceva che 
era de martin luthero che insegnava la sua dottrina quel 
piccolo era de quel fratino ma era bono secondo la dotrina 
catholìca e il frate leniva el suo per bono et contrastava con 
la opinione de detto Joanne pelizaro el quale havea portato 
quei libri da rovigno dove lui stava et eravate nella casa de 
detto checho pelizaro esso checho detto Joanne suo fratello 
biasìo tessaro detto fratino et tu bertho et checho non era 
contrario alla opinion del frate ma tutti voi altri contrastavi 
col detto frate et eravate della opinion che era del libro de 
la dottrina de Martin luther nel qual libro vi era che non 
bisognava andar alla messa, che dal vangelio in fuora la 
messa non valeva niente. 

Et si era che tanto valeva tuor un pezzo di pane quanto 
r hostia parlando del sacramento dell' aitar. 

Et il detto libro parlava che non ci era el purgatorio — 

Et nel detto libro era che se debba adorar un sol Dio, 
e non andar da li santi — 

Et che li santi erano de legno che se bene se chiamano 
non rispondeno ne si moveno dicendo andate e tiratili giù 
che non vagliano niente. 

Et era in detto libro che basta confessarsi solo à Dio e 
non andar à confessarsi da preti et frati. 

Et che ti sci trovato anco quando Biasio che era stato 



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— 207 — 

prete et che era stato bandito per lutherano et veniva secre- 
tatnente in casa de Biasio suo tìgliolo et predicava che non 
faceva mai altro che raggionar et insegnar mal circa le cose 
de la religione e parlava de li jubilei — de le indulgentie 
del papa che non valeva niente. 

Et che li predicatori in pergolo dicevano de le buggie 
et parlavano de tute de cose de la relìgion biasimandole et 
laudando le cose de lutherani. 

Et è vero che andando tu un giorno alla vigna vene 
detto Joanne pelizaro et mattio moscardo, mistro Jeanne cavò 
fuora un libro che era la dottrina Christiana de gincvra et lo 
diede à te et lo cominciasti à leggere dichiarandolo et dan- 
dolo ad intendere che la messa non era bona se non lo 
Evangelio, 

Che r hostia consecrata non era altro che un pezzo dì 
panne 

Che non è purgatorio 

Che bisogna un solo Dio 

(omesse altre simili eresìe) 
Et cosi andava discorcndo dì mano in mano 
Et si leggeva quel libro de esso mistro Johanne et allhora 
tu credevi et cosi non havcsti creduto quella dottrina che era 
in quel libro lutherano — 

Et che una volta te imbatesti con Santo 60I0 de mistro 
marco calegher in un horto à legger la bibia vulgare dove se 
lezete de thobia et se incontrò se ben ti ricordi Tonin Civi- 
tico ma non se raggionava altro de quella letione non ti ri- 
cordi che si raggionasse de opinion cattive. 

Un'altra volta essendo vegnuto in Dignano pre Biasio 
che era bandito per la fede in casa de biasto suo fìolo detto 
Biasio te chiamò et questo fu doi volte che venne ditto pre 
biasio et tu andasti che era ditto pre biasio suo et checho 
pelizaro fratello de Joanne et Andrea fio de mistro marco 
calegaro. Il detto pre Biasio che era venuto de fora parlava 
come el giera sta bandito ve parlava de le giesic, de voti 
che non erano boni, de sto andar adorar le immagine che 



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— 2Ò8 — 

non se doveva venerar et non disse altro in quella sera per- 
che el voleva andar via ne voi altri dicesti altro. 

Et de li à dot matìne Andrea calegher fio de mistro 
Marco te scontrò per mtzo S. Crose à le zuedre (?) in Dignan, 
te disse che te par de prc Biasio et fu non dicesti altro 
niente et che da quella volta in qua puoi esser da 6 in 7 
anni. 

Et che (u qualche volta hai ìnvidato à magnar Biasio 
tessaro, Francesco pelizaro, et mistro Andrea calegaro vene 
anco lui do ò tre volte à manzar à casa tua, et ancor tu 
andavi à manzar à casa del ditto Biasio perche la casa sua 
era arente la tua et tu sei stato circa doi volte à manzar à 
casa de mistro Andrea calegaro, et Andriolo tuo fratello è 
stato parecchie volte à magnar à casa tua la sera et la ma- 
tina secondo che occoreva — 

Et hora uno et hora l' altro de li sudetti che manzavi 
insieme doppo cena leggendo quelli libretti del capuzino et 
quello dell' istituzion de zenevra andava à persuadendo alli 
compagni li sopraditti errori ma principalmente era Joanne 
pelizaro che persuadeva più de li altri- Andriolo tuo fratello 
non si trovava presente quando si leggevano li sudetti libri 
doppo cena potria ben esser chel fosse stato in quella com- 
pagnia in tua absentia perche et ditto Joanne sì cazzava per 
tuto et parlava de- li sudetti errori — 

Et che potria esser che tuo fratello andriolo sia stato 
molte volte in compagnia tua et de li altri sopranominati 
quando si raggionava de li sopraditti errori ma non ti ricordi 
se non che ti è venuto à memoria che esso Andriolo s' im- 
batete à venir de fuora et vene in un horto incontro à mistro 
marco calegaro qual è ditto Andriolo nel qual horto eravate 
congregati insieme li prediti biasio, andrea et tu et sì rag- 
gtonò de lì sudetti errori in presentia anco di esso Andriolo 
tuo fratello el qual stava ascoltar insieme con li altri, et 
anchora che tu leggessi lì sopraditti libri in compagnia de li 
sopraditti tuoi complici non ti ricordi pero che esso andriolo 
leggesse li sudetti libri ne manco sai che lui havesse li su- 
detti libri in casa sua et che lì portasse vìa sai ben che mistro 



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— aóg — 

Jeanne andava à casa sua de Andriolo, Et mentre chel detto 
pre biasio te insegnava li sudetti errori da te confessati te 
ins^nava ancora che it deggiunar la quadragesima, le 4 tem- 
pore et le vigilie comandate non era ben fatto et che niuno 
era obligato ad osservarlo et che sì poteva magnar indifferen- 
temente d' ogni sorte de cibi et in quel tempo tu eri de quella 
istessa opinione. Et che un giorno de quadragesima sono più 
de 4 anni mistro Joanne pelizaro ti trovo per strada et te 
invito a far collazione con lui et esso haveva una galina cotta 
la qual voi due la magnaste et i suoi fìoli. E in questi errori 
sei stato da un anno e mezo In circa — 

Onde volendo venir alia espeditione di questa tua casa 
con il parer et consiglio de periti nell'una et l'altra legge et 
in sacra theologia devenimo nella infrascritta sententia 

Invocato adunque el nome de christo noi antedetti Lau- 
rentio campcgìo legato Apostolico Joanne trivisano patriarca 
de Venetia et maestro Angelo mirabino da Faenza Inquisitor 
generale sedendo in tribunale et havendo i sacrosanti Evan- 
gelij posti avanti de noi acio che il nostro judicio eschi da 
la forza de Dio nella causa et cause qual vertiscono in questo 
Sant' ogìcio tra esso Sani" Ogìcio per una et te Bertho cinci 
sudelto per l'altra. Per ^questa nostra sententia qual in questi 
scritti diamo pronuntiamó et sentcntiamo che tu Berto sci 
stato herettco et pero sei incorso in tute le pene che da tali 
delinquenti se vogliono incorerò et che come tale debbi abiu- 
rar primieramente ogni sorte di eresia in generale et in par- 
ticuiare detesti et maledichi le su dette heresie da te confes- 
sate. Et per che hai detto esser pentito et pronto far ogni 
pcnitentia che da questo santo tribunal ti sarà imposta et 
che sei pentito et dolente esser incorso in si gravi errori — 

Pero ordiniamo che sij assoluto da le censure ecclesia- 
stiche nelle quale sei incorso 

Et acioche per l'avenire sij più cauto et che gl'altri à 
essempio tuo imparino schivarsi da questi et ogni altro errore 

Te condaniamo à perpetuo carcere dal qual non uscirai 
senza nostra licentia in scripto. 



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— 270 — 

Che tu degiuni per un anno intiero ogni venerdì, et nellì 
istessi giorni dichi la corona della Beata Vergine 

Che ti confessi quatto volte l'anno ad un sacerdote 
idoneo, et approbato, et che ricevi la Sant."" Comnfiunlone 
nclli istessi tempi, cioè nella pascha di resurrcctione, nella 
pentecoste, nei!' assumptione della Madona et nella natività 
del signore, et di ciò ne porti la fede nell'ordinario tuo. 

Che tu dichi ogni giorno di festa per un anno le letanie 
genuflesso aviinti qualche santa imagine. 

Che dichi ogni giorno sette pater nostri e sette Avemarie 
per i morti, 

Item ordiniamo che questa tua sentenza et abiurationc 
sia publicamente letta nella chiesa di Dìgnano in un giorno 
di festa comandata al tempo che si congrega il popuio nella 
chiesa, et mentre si leggerà tal sentenza, et abiuratione, in 
segno di penitenza haverai l' habitello solito à tali penitenti 
con una candela accesa in mano, accioche quelle persone le 
quali si sono scandaltzate, havendote visto involtato in tanti 
errori, et hercsie, bora venghino ad' edificarsi vedendo in te 
segno di penitenza et contritione, et d'humiltà et veramente 
convertito alla fede alla santa madre chiesa catholica romana, 
e che tu dimandi perdonanza ai popuio d' Adignano ^ 

Resservando pero à noi faculta d' accrescere, sminuire, 
mutare, ò alterare detta sentenza ò in tutto ò in parte, se- 
condo che ù noi parerà esser espediente alla tua salute 

Cosi diciamo pronuntiamo, sententiamo. 

Lata data et sententialiler promulgata fuit suprascripta 
di0ìnitìva sententia per antelatos 111."** et Rcv.""^ Dominos 
Icgatum Patriarcham et multum Rev. patrem Inquisitorem 
prò tribunali aedentes in capclla sancti Theodori propc cano- 
nicam sancti marci leda vero de eorum mandato per me 
vincentium tcrlatum cancellarium sancti O^Rcij Die vero sab- 
bati 4 mensis februarij 1584 prcscntibus R. D. Joseph de vi- 
talibus et Francisco lurano primicerio ecclesia patriarcalis 
Venetiarum testibus 

Nos Laurentius episcopus Cervicnsìs legatus ita pronun- 
liamus. 



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Nos loannes Patrìarcha Venctiarum ita pronuntiamus. 
F. Angelus Favent,* Inquisitor qui supra ita pronuntiamus. 



Io Berto Cinei d'Adignano personalmente posto in giu- 
dicio alla presenza di 111,"" et Rev.™ Mons/ legato, et Mons.' 
Patriarcha, et di Rcv,'''' padre tn.'" Angelo Mirabino da Fa- 
venza inq/ generale nel Ser™" Dominio Veneto. Et havendo 
avanti di me i sacrosanti Evangelij, e toccando quelli con le 
mìe proprie mani corporalmente; giuro che io credo col cuore 
et confesso con la bocca quella santa fede Catholica, qual 
crede, confessa, predica, et osserva la santa Romana chiesa, e 
conseguentemente abiuro, revoco, detesto, et rinego ogni, et 
qualunque heresia, sia di qual setta et condittione si voglia, 
et particolarmente tutte 1' heresie di Martino luthero et tutta 
la confessione Augustana. 

Parimente giuro, che io credo col cuore, et confesso con 
la bocca, che nel!' hostia consecrata vi è il vero corpo del 
nostro sig/ Jesu Cristo realmente et sostantial mente. E con- 
s^uentemente abiuro revoco et detesto quella heresia la qual 
dice che 1' hostia consecrata è un pezzo di pane, et non vi è 
il vero Corpo di Christo. 

Item giuro che io credo col cuore, et confesso con la 
bocca, che tutti i fideli christìani sono tenuti a confessarsi 
sacramentalmente dal sacerdote approbato et idoneo, ò prete, 
ó frate chel si sia. E consequentemente abiuro, revoco et de- 
testo quella heresia la qual tiene che basti à confessarsi a Dio 
solo, e non al sacerdote. 

Item giuro che io credo col cuore, et confesso con la 
bocca, che nell'altra vita si trova il purgatorio, come tiene la 
santa madre chiesa catholica Romana, E conseguentemente 
rinego, revoco et detesto quella heresia, che tiene, che nel- 
l'altra vita non vi è purgatorio, 

Item giuro che io credo col cuore et confesso con la 
bocca che i giubilei, et indulgenze mandate dal summo pon- 
tefice sono bone et valide. E conseguentemente abiuro, revoco 
et detesto quella heresia, qual tiene che i giubilei, et indulgenze 
mandate dal papa non sono bone, ne vagliono cosa alcuna. 



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— 3/3 — 

Item giuro che io credo col cuore, et confesso con la 
bocca, che li santi ponno intercedere per noi. E consegucnta- 
mcnte abiuro revoco, et detesto quella heresia, qua! tiene, che 
li santi non ponno intercedere per noi. 

item giuro che è ben fatto adorare, et riverire l'imagìni 
de santi ò siano di legno, ò di qual si voglia altra materia. 
Et conscguentamentc abiuro, revoco, et detesto quella heresia 
qual tiene che non si debbano riverire, ne adorar l' imagìne 
di Santi. 

Ilem giuro che io credo col cuore, et confesso con la 
bocca, che l'uso, et apparato, le cerimonie della chiesa, lumi, 
cere, et altre cose ecclesiastiche che sono boni. E conseguen- 
tamente abiuro quella heresia qual tiene che l'uso et apparato, 
ceremonie della Chiesa, lumi, cere, et altre cose ecclesiastiche 
non siano bone. 

Ilem giuro che io credo col cuore et confesso con la bocca 
che non si debba magnar carne ne altri cibi prohibtti dalla 
Santa Madre chiesa, e conscguentamentc abiuro quella heresia 
qual dice si debba magnar carne nelli giorni prohibiti. 

Item giuro che io credo con il cuore et confesso con la 
bocca, che è ben fatto andar in processione et in pelegrinaggi 
e conscguentamentc abiuro revoco quella heresia qua! dice 
che non si debba andar in processione ne in peregrinaggi. 

Ilem giuro che io credo con il cuore et confesso con la 
bocca, che i santi si debbano riverire, et che pregano per noi, 
et odono te nostre orationi, e conseguen tamente abiuro, revoco 
et detesto quella heresia qual dice che non si debbe ne lau- 
dare, ne adorare i sunti, ma un sol Dio, et quella che dice, 
che i santi non odono le nostre orationi. 

Item giuro che io credo col cuore, et confesso con la 
bocca che le cose della religione Christiana, come chiese e voti, 
che si fanno à Dio ò a santi sonno boni ; e conseguen la mente 
abiuro, revoco, et detesto quella heresia, qual dice, e tiene, 
che la chiesa, et i voti, che si fanno a Dio, ò a santi non 
siano boni, 

Item giuro che io credo col cuore, et confesso con la 
bocca, che non si debbano leggere libri prohibiti, ò herctici. 



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- 273 - 

ò sospetti d' heresia, et particularmcnte quelli di Martino lu- 
thero, r ìnstitutione di Gcnevra, et altri simili, E conseguen- 
tamente abiuro, revoco, detesto, et rinego tutti quelli articoli 
et heresie contrarie alle sudette verità catholiche, nelle quali 
heresie et errori sudetti io misero et infelice son cascato, et 
l'ho tenute, et credute per molto tempo, et l'ho conferite, et 
tentato d' insegnarle ad altri, et più volte n' ho raggionato con 
altri miei complici. Della qual cosa io ne son dolente, et pen- 
tito con tutto il cuore. Item giuro, et prometo che per l'ave- 
nire non tenero heresia alcuna, ne li crederò, ne mi gli ad'he- 
rir6, ne insegnare, ne dogmatizzarò ne instruirò persona alcuna 
di qual si voglia heresia, ne tenirò, ne leggiero libro alcuno, 
che contenghi heresie, anzi s' io saprò, che altri tenghino libri 
sospetti d' heresia, o altrimenti prohibiti, ò cognoscerò alcuno 
heretico, o sospeto d' heresia, quanto più presto potrò como- 
damente lo denunciare all'orcio della santa Inquisitionc nel 
loco dove io mi trovare. 

Item giuro et prometto, che farò la penitentia che m'ha- 
veti imposta per le sopradette mie colpe et heresie, ne con- 
troverò in cosa alcuna ma con tutte le forze mie l'adempirò. 

Item giuro et prometto, che non fugirò, ne mi assentarò, so 
non de licenza, et consentimento di questo santo Ogicio. Anzi 
giuro et prometto che ogni volta che io sarò ricercato da 
questo santo Officio, ò in nome di quello, o commissione, che 
quanto più pronto potrò personalmente mi prese'ntarò. Et se 
contra le cose predette giurate et abiurate, ò contra d'alcuna 
di quelle (dal che Dio mi guardi) io operarù, io subito voglio 
esser tenuto per relapso, et adesso per all' bora, et all' bora 
per adesso mi obligo, et astringo alle pene debite di ragion 
alli relapsì, et d'esser punito delle sudette pene quando sia 
legittimamente provato, ò consti in giudicio, ò che io con la 
bocca propria confesserà haver commesso simili delitti, ò 
cqntrafato alle cose per me ;,'iurale et abiurate. Così Dio mi 
aiuti et questi Santi Evangelij 

Adì 4 Febraro 1584 
io berto cinei così yuro abyuro prometo e me soto pongo. 

Acta, lecta alta et intelligibili voce. 



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I PRIVILEGI 
DELLA CHIESA DI GRISIGNANA 



Privilegio, nel linguaggio di chiesa, è una prerogativa, un 
segno d' onore largito del sommo pontefice a una chiesa, o a 
una privata persona, sia essa laica od ecclesiastica. It privilegio 
vien concesso per mezzo di breve, ch'è voce ristretta a signifi- 
care oggi appunto un mandato o una lettera papale, diretta 
a persona di condizione inferiore, per dare un contrassegno 
di distinzione. 

I privilegi della chiesa di Grisignana sono due. Uno ri- 
guarda il pievano e i cappellani, 1' altro si riferisce alla chiesa 
maggiore del paesello. Si l'uno che l'altro risalgono al tempo 
di papa Pio VII, e tutt' e due sono anche una concessione 
dello stesso pontefice. » - 

Del primo ho fatto un cenno nella monografìa « Grisigna- 
na d'Istria > che publicai nell'anno 1887 fra gli 1 Atti e me- 
morie > della Società istriana di archeologia e storia patria 
(voi. 111. fase, i.''e2.''}, il secondo è ancora inedito. Completo 
qui il primo, e viene in luce la prima volta il secondo pri- 
vilegio. 

Convicn sapere che Barnaba Luigi Chiaramonti di Cesena, 
monaco benedettino e vescovo d'Imola, eletto papa il 14 di 
marzo dell'anno 1800 al conclave di Venezia dai cardinali 
fuggiaschi, succedette a Pio VI, fuggilo alla bufera della inva- 
sione repubblicana francese, assumendo il nome di Pio VU. 
Per trasferirsi a occupare tosto la cattedra che gli era stata 



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- 275- 

conferita, mentre gli stati pontifici erano occupati da austriaci 
e napoletani, egli uscì dal porto dì Venezia sulla fregata « Bel- 
lona > diretto ad Ancona e quindi a Roma. Senonchè, sorpresa 
dalla tempesta, la nave dovette riparare nel porto Quieto il 
13 di giugno di quell'anno. 

L'evento portò fortuna ai sacerdoti de' luoghi vicini. Poi- 
ché, appena s'ebbe avuto notizia del fatto, i preti di Cittanova, 
dì Torre e dì Grìsignana rccaronsi in fretta a ossequiare il 
nuovo papa, che del papato non ne voleva sapere in tempi 
così digìcìli, supplicando chi un» cosa e chi l'altra. 

Sentite come il pievano di Grisìgnana narra il suo viaggio 
sino a Cittanova, in una memoria lasciataci colla data 14 giu- 
gno, due giorni dunque dopo 1' arrivo del papa colà : 

» Avendo io P. Gio. Michele Dubaz Parroco rilevato sulle 
«dicerie del Popolo, che alii la del sudd, giorno solenne del 

• Corpus Domini, fosse arrivata nel porto Quieto, trasportate dal 

• vento contrario la Santità di Pio Papa VII, che passava colla 
« fregata Bellona da Venezia a Pesaro, per quindi trasferirsi a 
t Roma, e che a cagione del vento contrario non poteva prose- 
■ guire il divisato viaggi.0, ho risolto un'ora dopo il mezzogiorno 
€ di distaccarmi di casa in compagnia delli SS." D. Matteo Can.° 
€ Ragancin, D. Simone Calcina, e D. Giorgio Zuanelli sacerdoti 
» d' incamminarmi a cavallo verso Cittanova. Partiti di casa, 
« per istrada pensai di spedire in anticipazione uno dei pedoni 
« a Cittanova", onde facesse allestire una brazzera perchè fosse 
t in pronto colà al nostro arrivo. Cosi avvenne. Giunti in Città, 

• ci cambiammo ivi dei vestiti di viaggio, e montammo tosto 
1 nella Brazzera, e giunti alla fregala, ascendemmo le scale dì 
1 essa, dove incontrati da un Prelato fummo introdotti al bacio 
€ del piede alle ore 5 pomeridiane. Fatti gli oQìci di venerazione, 
« lo supplicai a concedere alla Chiesa Parrochiale un altare pri- 
» vilegiato perpetuo, e ne fui esaudito. Fu rimesso per un Pre- 
« lato il Rescritto del S. P. al Cardinale Braschi segretario dei 
I memoriali, da cut ottenuto immediatamente partimmo colla 
1 stessa Brazzera, da cui smontati sulla riva a S. Pietro, dove 
« ci attendevano li Cavalli, ci restituimmo a casa la sera stessa 
€ un quarto d' ora prima dell' Ave Maria. Con tale fretta fummo 



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- J76- 

« costretti a fare i! viaggio, per essere a casa nel giorno delli 
» i5, Domenica, e giorno solenne delli nostri SS. Patroni Vito, 
« Modesto e Crescncia Mm. : » 

La istanza del pievano diceva -. 
< B""" Padre 

■ I^ Chiesa Parrocchiale di Grisignana Diocesi di Citta- 
> nova non tiene alcun altare privilegiato, atteso essere spirato 

• il tempo di tale concessione sì umilia perciò con il presente 

• il Parroco di d.'" Chiesa supplicando umilmente la S.' V." 
« voler accordare un altare privilegialo quotidiano perpetuo per 

• potere suffragare l'anime de fodeli defonti, sicuro che non 

• mancherà quel divoto Clero di porgere fervorose preci all' Al- 
t tissimo per le maggiori prosperità, e conservazione di V. S., 

• eh. della Grazia >. 

E infatti, di mano stessa de! cardinale Braschi, segretario 
ai memoriali, appostovi il suo bravo suggello in ceralacca, 
si legge, a tergo dell' istanza, la concessione papale perpetua, 
eh' è del seguente tenore: 

Ex audienlia SS.mi 
die 14 lunii 1800 

SS.mus benigne conceda ora/ori Altare privilegiatum perpe- 
tuum SS.mi Sacramenti inlroscripiae Ecclesiae conlrariis quibuscum- 
que non oòslantibus, et mandai presens rescriplum habere ac 
si liUerae aposlolicae in forma Brevis jorent expedUae. 

{ L. S. ) R- Card. Braschius de Honestis 

V ,, ' 

Ma qui, mentre il pievano di Torre ottenne il privilegio 
di celebrare la messa la sera della vigilia di Natale e il capì- 
tolo di Cittanova ebbe la mozzetta col cappuccio e la cappa 
magna, il nostro pievano non fa alcun cenno del breve pon- 
tifìcio Il decembre 1801, che, originale, si conserva nell'ufficio 
parrocchiale di Grisignana. Questo breve conferisce, come ac- 
cennai nel lavoro citato, al pievano il titolo di canonico arci- 
prete e di canonici ai cappellani con facoltà di portarne anche 



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— 377 — 
le insegne, più una medaglia commemorativa, ch'è la seguente: 




Come si vede, la medaglia reca da un lato la nave che 
s'accosta al porlo Quieto con la scritta; FELIX ACCESSVS 
PII VII P. M. DIE Xll IVN. MDCCC. E sotto: PORT. QUIET. 

Sul rovescio vedonsi le imagini dei Santi protettori di 
Grisignana Vito e Modesto, e torno torno si legge ; SS. MM. 
VIT. ET MODEST. TITT. ECCL. GRISIGNANAE. Di sotto: 
TEOD. LAVR. DE COM. BALBI EPIS, AEMON. 

Teodoro Loredan dei conti Balbi è il nome del vescovo 
che sedeva allora sulla cattedra di Cittanova. 1 due martiri, 
come si vede, son ritti sull'eculeo: Vito, giovinetto, reca la 
palma della gloria, e Modesto, che fu il precettore di Vito, 
alza la croce in segno di vittoria. Nessun segno però qui 
appare della nutrice di Vito, Crescenzia, la patronessa delle 
nutrici, la quale pur sofferse il martirio insieme agli altri due. 
La stessa cosa osservasi nella miniatura, che trovasi in prin- 
cipio del codice in pergamena contenente lo statuto munici- 
pale di Grisignana, ove, fra mezzo i due martiri recanti cia- 
scuno la palma, invece di Crescenzia, è rappresentata la Ver- 
gine col Bambino. 

Tali prerogative dei preti di Grisignana vennero a cessare 
nell'anno 1843-, si conservano perà ancora due di tali meda- 
glie nelle famiglie Calcina e Zuanellt. 

Da Vito, giovinetto italiano che diede la vita per la fede 
di Cristo — che altro martire di tal nome il Martirologio ro- 
mano non conosce — s' intitolano ben dieci Comuni d' Italia. 
Abbiamo San Vito al Tagliamcnto, grosso Comune in provin- 



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— 278 — 

eia di Udine, San Vito presso Muravera in provincia di Ca- 
gliari, San Vito chietino nell'Abruzzo, San Vito de Normanni 
in provincia di Lecce, San Vito di Cadore nel Bellunese, San 
Vito di Fagagna in provincia di Udine, San Vito di Leguzza- 
no nel Vicentino, San Vito in monte in provincia di Perugia, 
San Vito Romano e San Vito sul Ionio in provincia di Ca- 
tanzaro. 

Vedasi ancora la leggenda dei Santi protettori di Grisigna- 
na, tratta da un volume raro, edito nell'anno 1475, che trovai, 
favoritomi dalT egregio Bibliotecario-aggiunto signor Giuseppe 
Brumati, fra gl'incunaboli della Biblioteca civica triestina. È 
narrata da Nicolao Manerbi, veneto, monaco camaldolese, il 
quale, aiutato da tale ■ Hieronymo cittadino fiorentino», tra- 
dusse dal latino l'opera di Iacopo di Voragine: Legende di 
tuli i sancH et le sancte, fonte a cui attinsero poi ancbe i Boi- 
landisti. Sciolte parecchie abbreviature, io la riporto tale e quale 
si legge a pag. i33 con la intestazione: Di sanclo Vito et 
Modesto, 

1 Essendo Vito fanciullo egregio et fìdele di età di dodeci 
1 anni sostenne il martyrio in Sicilia. Egli frequentemente era 

• battuto dal padre conciosia chel desprezzava lìdoli ; et non 
« li uoleua adorar. Questo intendendo Valeriano prefecto fece 
« menare dinanci a se Vito giovenetto et non uolendo lui sacri- 

< fìcare comando che fusse battuto con le uerzelle. Ma subito 

• per diuina dispositione si seccorono le braccia di quelli che 
« lo batteueno : et la mano dello prefecto. Et el prefecto forte- 
■ mente gridando dixe. Guai a me che io ho perduto la mano. 
« Alquale dixe Vito, uengano li dei tui : et liberano te : se però 
« far lo possono, Alquale dixe egli : Tu forse potrai far questo,- 
(Alquale dixe Vito: lo fare lo posso nel nome del signor: et 
1 havendo orato per lui : subito riceuette la sanità dela mano. 

< Dixe el prefecto al padre del fanciullo. Castiga el tuo figliolo 

• adcioche malamente non perisca. Alhora conducto a casa el 

< fanciullo si sforzaua il padre con diuerse musicale generatio- 
« ne : et acti luxuriosi di fanciulle : et altre generatione di de- 
( licie mutare el puerile animo. Et hauendolo rinchiuso nella 
( camera : da quel loco uscitte una mirabile fragrantia de odo- 



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— 379 — 

« re : la qual molto si sparse uerso el padre et tutta la famiglia : 
( et risguardando el padre per la porta della camera : uide stare 
« dintorno al fanciullo septc angeli et dixe : uenuti son li dei 
t in casa : et imantinente fu accecato : al cui gridor si com- 
■ mosse tutta la cita lucana. In tanto che andato a quel loco 
« Valeriane li adimando quello che li fusse accaduto. Alqual 
« lui rispondendo dixe. Ho ueduto li focosi dei et non ho po- 
t tuto tollerar di ucderli. Fu egli dunque menato al tempio di 
i loue: adcioche promettesse che recuperando il lume delli oc- 
« chi li offerirebbe uno tauro con le come doro : ma nulla gio- 
» uando prego el figliolo per la sanità sua : et egli per la 

* prece del Ggliolo recupero el lume. Et già per questo non 

* credendo : ma imagìnando di occidere el figliolo : apparue 
t langelo del signore a Modesto pedagogo di esso Vito et co- 

* mandoli che salendo sopra una nane : conducesse el fanciullo 
t ad un altra terra : La qual cosa hauendo facta : poi portauali 
t el cibo una aquila : douc faceuano molti miracoli. In questo 
t tempo fu oppresso dal diauolo uno figliolo di Dioclitiano 
« imperadore et confessaua che se non uenisse a lui Vito Lu- 
i cano, egli non si partirebe : Fu ricercato Vito : et essendo 
« stato ritrouato fu menato al imperatore. Alquale dixe. dime 
1 o giouanctto : poi tu sanare ci figliolo mio ì* Alquale rispose 
t Vito non io : ma el signore sanare lo puote. Et incontinente 
I la mano sopra dì quello subito el demonio fugite da quelo. 
1 Alhora li dixe Diocliciano. fanciulo io ti consiglio che tu 

* uogli sacrificare alli dei : accio che tu non perisca di mala 

* morte. Et recusando di fare questo Vito : et essendo posto 
« in pregìonc insieme con modesto : la quale a loro era op~ 
t posta ; et allumino la prigione duno immenso lume : et que- 
t sto essendo significato al imperator : tracio fora di prigione 
1 fu posto in uno ardente forno : et non di meno uscitte fori 
« senza alcuna lesione ■ alhora fu mandato uno terribile leone 
« a diuorarlo : el quale nondimeno da lui per la virtù della 
« fede fu placato. Finalmente lui con Modesto et Cresentia nu- 

* trìce sua : la quale sempre 1 hauea sequìto : fu comandato 
< che fusseno <ippesi nel martyrio : et incontinente si turbo 
I lacrc : tremo la terra : li tronitrui rendereno grande mugiti 



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— 28o — 

t ruinorono lì tempi dell) idoli : et occiscno molti. Fugendo 

* limperatorc percotendosi con li pugni diceua. Aime che io 

* son uincto da uno fanciullo. Da qualli sciolti che furon odal 

* angelo si ritrouorono sopra uno certo fiume : et in quel loco 
« iubilando et orando rendereno lanime al signore. Li corpi 

* de quali riguardati dalle aquile: la illustre matrona Florentia 

* hauta la reuelationc da sancto Vito li ritrouo : et preseli, et 
I honorificemente li sepelittc • . 

San Vito vive anche nella tradizione popolare. Quando si 
vuol accennare alle ciliege bacate, il che avviene a mezzo 
giugno circa, noi istriani usiamo dire : < Per san Vito le zarièse 
ga 'I marito». Perchè nel giorno i5 di giugno cade la festa 
del giovinetto martire lucano. 



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IL COMUNE POLESE sj 

E 

LA SIGNORIA DEI CASTROPOLA 



Discesa di Corrado IV in [talia; suo passaggio per Pola — Maltalento 
degli Istriani verso il nuovo patriarca Gregorio da Montelongo 

— Venuta di Gregorio a Pola e suoi accordi col Comune — Paci- 
ficazione della provincia — Condizioni politiche e civili del Patriar- 
cato — Diritti della Chiesa d'Aquileia in Pola e nella Polesana ' — 
I Caalropola; accrescimento della loro potenza -- I figli di Nascin- 
guerra I e di Galvano — Monfiorito ricario del Marchesato; sue gesta 

— Possedimenti territoriali della famiglia: i feudi aquileiesi; i feudi 
parentint; il feudo Morosini; il feudo di S. Apollinare ~ Condizioni 
esterne ed interne di Pola nella seconda metà del Dugenio — Rin- 
novamento del governo comunale ; i due Consigli, il podestà — 
Stato economico : produzione agricola e industriale, commercio 
marittimo — La colonia veneta e il suo console — Relazioni fra 
Pola e Venezia — I Polesi alla battaglia di Curzola — La questione 
delle mura sulla riva. 



L'assunzione alla cattedra patriarcale d'Aquileia del na- 
politano Gregorio da Monlelongo, un ardente fautore del pon- 
tefice e già capo e condottiero dei Guelfi di Lombardia, coin- 
cìdcttc con la discesa in Italia di Corrado IV — figlio del de- 
funto imperatore Federico II — che, fiducioso di far risorgere 
nella Penisola it decaduto partito ghibellino, veniva a prender 
possesso del reame di Puglia, lasciatogli dal padre e gover- 
nato interinalmente da suo fratello Manfredi. 



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— 282 — 

Valicate le Alpi nel novembre del i25i, il giovane re si 
soffermò da prima in Verona, accoltovi con grandi onori da 
E^elino da Romano ed altri partigiani dell'Impero; quindi, 
recatosi per Vicenza e Padova alle rive dell'Adriatico, prese 
imbarco su navi venete, che, rasentando la costa istriana, 
dopo breve sosta nel porto di S. Maria della Rosa presso 
Pirano, lo condussero a Pola. In questa magnifica rada, fa- 
vorita singolarmente dalla natura, eransi raccolte ad atten- 
derlo, inviategli incontro da Manfredi, sedici galee in pieno 
assetto di gala, che con prospero viaggio lo tragittarono in 
Puglia 1). 

Nel suo passaggio per le acque dell' Istria, Corrado IV 
emanò un editto, proclamando decaduto all' Impero il Mar- 
chesato in seguito alla morte del patriarca Bertoldo, e impo- 
nendo agli Istriani di negare obbedienza al di lui successore^). 
Quindi, allo scopo dì cattivarsi le simpatie e la benevolenza 
delle popolazioni, concedette ad alcune città littoranee, che 
gliene fecero speciale domanda, una larga autonomia, com- 
prendente molte importanti immunità e prerogative giurisdi- 
zionali, tra cui l'agognata libertà d'elezione dei podestà co- 
munali. Per fede sicura di documenti sappiamo invero di due 
soli luoghi onorati di così insigni privilegi, cioè di Capodi- 
stria») e Parenzo*). 

Può apparir strano che Pola, la vetusta capitale della 
provincia, altra volta tanto orgogliosa dì sé, amante della 
libertà e strenua sostenitrice dei propri diritti, rimanesse 
obliosa e incurante in un argomento di silTatta importanza per 



') Dandolo, Chronicon. XII, 36o. — Bariholomaei. Annales Genuen- 
ses. VI. 519. — Raumer. Gesch. der Hohenstauren. Leipzig, 1872. [V, 
187. — NicCOLiNi, Storia della casa dì Svevia in Italia, pag, 87 e seg. 

*) MiNoTTo, Acta et diplomata, I. l'i, i23i. 14 decembris. Super rì- 
pam apud S. Mariatn Rose de Pirano. 

") BitHitER. Acta Imperii selecta. N. 345. — Minotto, Documenta 
{Atti e Mem. XI, 65). i35i. [4 decembrìs. Uata in Hystria. apud portum 
Sanctae Mariae de Rosa. 

*) BOhmer. op. cit. N. 346. - Minotto. Id, Ibid. IX. 66. — laSi. 
decembrìs. Datum apud Polam. 



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— 283 — 

essa, mentre ospitava nelle sue acque e fors'anco tra le sue 
mura il giovane re, verso di cui avrebbe potulo far valere i non 
pochi titoli di benemerenza già acquistatisi in prò della causa 
ghibellina. Ma fa d'uopo notare che la nostra città trovavasi 
sotto la diretta influenza de' Castropola, uno de' quali tuttavia 
la governava in delegazione e rappresentanza della Sede aqui- 
leiese, col titolo di podestà della regalia; ond'è assai probabile 
che essi, considerando, non a torto, lo sviluppo della pubblica 
libertà pregiudizioso ai propri interessi, e temendo che il popolo 
ne approfittasse per abbattere la loro supremazia, trovassero 
modo d'impedire al Comune la richiesta e per conseguenza an- 
che l'ottenimento delie franchigie regali. Le quali furono largite 
da Corrado IV, in odio alla Chiesa d' Aquileia, cui sapeva 
preposto dal pontefice un fanatico guelfo, senza dubbio dietro 
instigazionc de' Veneziani, che cercarono in tal guisa di assi- 
curarsi una base dì contestazione giuridica ai diritti patriarcali 
sul Marchesato- È ben vero che, giusta il concetto politico 
dell' Hohenstaufen, alla delegata sovranità patriarcale in Istria 
doveva venir sostituita la diretta sovranità imperiale; ma an- 
che prescindendo dal fatto che i principali Comuni veniano 
a fruire di tanta libertà da poter essere considerati quasi del 
tutto indipendenti come i Comuni di Lombardia, giova notare 
che alle tendenze conquistatrici della veneta Signoria ben 
poco poteva riuscire d'inciampo la vaga e declinante autorità 
del lontano reggitore dell' Impero. 

Se non che, dall'essere dichiarato decaduto al venir real- 
mente privato del dominio d' uno Stato o d' una provincia 
ci correva molto anche per un principe ecclesiastico poco 
rispettato e punto temuto come il gerarca aquileiese, in un 
tempo quando le più solenni decretazioni di papi, imperatori 
e re risultavano del tutto vane e inescaci se non sostenute 
da un'azione coercitiva delle armi. 

Certamente, dopo la partenza di Corrado IV, le principali 
città istriane, anche alcune di quelle da lui non affrancate, 
cercarono di trar profitto delle circostanze favorevoli per scio- 
glicrdi almeno in parte dalle strettoie del feudalismo, nominando 
anzitutto di proprio arbitrio podestà e consoli con piena balla 



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giurisdizionale; ma quando avrebbero dovuto provvedere alla 
necessaria tutela della pubblica libertà, sì trovarono troppo 
discordi tra loro per stringersi in un' c0ìcace lega difensiva, 
e d'altronde troppo deboli per agire singolarmente con qual- 
che probabilità di successo, per cui dovettero a una a una 
capitolare. 

Esse avevano accolto con si manifesto sfavore 1' elezione 
di Gregorio da Montelongo, da rifiutarsi a tutta prima di 
riconoscerlo quale legittimo principe e di prestargli il conve- 
nevole omaggio. Stando al Nicoletti *) e al Palladio-], alla 
testa del movimento sarebbesi trovata Pola, ciò che a dir 
vero i documenti non confermano. Sembra bensì che anche 
quivi la [azione popolaresca cercasse di guadagnare al Comune 
qualche maggior larghezza d'autonomia, e che i Castropola 
si trovassero nella necessità di assecondare alquanto la cor- 
rente pubblica, per non vedersi strappate di mano le redini 
del potere. Ma il solo fatto della permanenza loro al governo 
della città basta a convìncerci che la stessa non può essersi 
abbandonata, come Capodislria, Pirano e Parenzo, ad una 
aperta ribellione al novello patriarca. Il quale, benché dotato 
di spiriti ardenti e battaglieri, ravvisando le malsicure condi- 
zioni interne del Patriarcato, richiedenti, specie ne' primi 
tempi, una tattica di governo molto abile e prudente, non 
credette opportuno di suscitare, con violenti repressioni e for- 
zose imposizioni restrittive, una pericolosa reazione popolare 
specialmente in Istria, ove, come notammo, l'elemento ghi- 
bellino aveva acquistato maggior vigoria di resistenza dai blan- 
dimenti del tìglio di Federico 11. Non rinunziò per altro alta 
consuetudinaria visita inaugurate nel Marchesato, che ne co- 
stituiva la presa ugiciale di possesso, anzi stabilì di mandarla 
tosto ad effetto, per placare col personale suo intervento le 
fazioni a lui avverse, e per ingraziarsi gli abitanti con ade- 
guate concessioni e provvedimenti di favore. Stimando utile di 



') Makzako, Annali. II, 375. 

*) Palladio, Historie del Friuli, pag. 23^. 



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— 285 — 

accostarsi anzitutto ai Polesi, che considerava meno ostili 
alla sua causa e piìi inclinevolì a obbedienza, lo fece con un 
tale atto dì remissione, da apparire ben strano in chi veniva a 
far valere le proprie ragioni di sovranità in une terra di sua 
dipendenza. Egli si rivolse adunque al podestà e al Consiglio 
di Pola per essere informato de' sentimenti e delle intenzioni 
loro in suo riguardo, manifestando il desiderio di portarsi in 
visita nella loro città; e quelli s'affrettarono a rispondergli 
che lo accoglierebbero volentieri e col dovuto rispetto •}. 

Intraprese Gregorio poco di poi il suo viaggio in Istria, 
e recatosi anzitutto, per la via di Pinguente, a Pola, ove trovò 
benevola ospitalità^ rivolse ogni cura a rintegrarvi e rafforzarvi 
il dominio politico della sua Chiesa. Provvide alla sicurezza 
SI esterna che interna della terra facendovi restaurare le mura, 
danneggiate ed in parte abbattute dai Veneti durante l'ultima 
guerra 2), e il castello rovinoso, avuto in permuta dal vescovo, 
e che munì d' una poderosa torre s). Largheggiando di grazie 
e promesse attirò maggiormente a sé la famiglia de' Pola, 
senza il di cui consentimento ed appoggio avrebbe invano spe- 
rato di assicurarsi durevolmente la sommessione della città. 

Non consta se già in quell'incontro conferì qualche 
maggior libertà di reggimento al popolo, onde piaggiarlo e 
farselo amico; certo che, dopo essere addivenuto ad accordi e 
transazioni con gli altri Comuni istriani, ed aver fatto agli 



M Thes. Eccl AqùiI. N. 545: Inslrumentum quod Potestà» et Com- 
mune Pole responderunt, et mandavcrunt D. Patriarche Gregorio, quod 
ipsi eum libenter et reverenter reciperent, si venirci MGCLII, Indict. X. 

*) Manzako. Annali li, 876 cit. Nicoletti. 

') Thes. Eccl. Aquil. N. 565. Instrumentum qualiier Palriarcha habet 
jus in Turri et Castro Polensi pretcxtu cujusdam permutationia facte 
inler D. Gregorium Patriarcham et Episcupum Polensem, MCCLU, 
Indict. X. - La torre di cui vien fatto quivi cenno era probabilment.; 
una ricostruzione di quella ricordala nell' istrumenlo dì sommessione 
dei Vallesi al patriarca Bertoldo, dd. 21 marzo 1225, rogato apud Tur- 
rim de sursuin Episcopi PoUnsis (Cod. dipi, istr.) La quale torre doveva 
sorgere al sommo del colle capitolino, e far parie dei munimentì della 
rAcca. Vedi anche : Manzano, .\nnali, II, 376. 



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— 286 — 

stessi delie notevoli concessioni, dovette riconoscere una par- 
ziale autonomìa anche al Comune di Pola, col diritto di eleg- 
gersi un annuo podestà fra i nobili dell'Istria e del Friuli 
devoti alla Sede d'Aquilcia, esclusi quindi i Veneziani, però 
previo permesso da ottenersi di volta in volta dal patriarca, 
cui era pure riservata la conferma dell'eletto '). In seguito 
Gregorio rinunziò in favore del Comune polese all' esazione 
di dclermjnati censi e tasse della regalia in Pola e nella Po- 
lesana, verso l'annua contribuzione fìssa di 2000 lire venete 
de' piccioli ^. 

Pacificata ch'ebbe alla meglio l' intera provincia, s'avvide 
della utilità e necessità di sottoporla alla diretta vigilanza e 
giurisdizione di un apposito governatore stabile, creando al- 
l'uopo l'uflicio di Ricario [Richlario, Rickler), ossia giudice 
provinciale, con l' incombenza precipua di sorvegliare e sin- 
dacare i caslaldioni e gli altri magistrati patriarcali, di convo- 
care e presiedere i placiti della regalia, di provvedere alla ri- 
scossione delle rendite pubbliche. In casi speciali, al ricario 
venivano commesse anche attribuzioni di carattere militare, ri- 
sguardanti la custodia e la sicurezza delle terre del Marchesato']. 

Il Patriarcato d'Aquileìa, se studiato senz'ombra di pre- 
concetti nelle sue forme costitutive e ne' suoi sistemi di go- 
verno, non apparisce di certo né cosi barbaro né cosi op- 
pressivo come alcuni storici amarono tratteggiarlo. Esso era 
uno Stato essenzialmente feudale, mancante quindi di compa- 
gine territoriale e di unità politica e amministrativa ; ma il 
principal suo difetto, comune a quasi tutti gli Stati chiesastici, 
stava nella debolezza organica che ne minò fin dalle orìgini le 
basi. Un governo debole è stato e sarà sempre un cattivo go- 
verno, tanto più poi in quei tempi, quando il diritto e la legge 
avevano per unico usbergo la forza brutale. 

') Nel Thesaurus (N. 58o e 58^) sono registrati due atti di conces- 
sione del patriarca Gregorio ai Polesi per la nomina del podestà, degli 
anni [362 e 1164. 

-) Cod. dipi, istr., f>5-j, 8 marno e ia58, ti settembre. 

'■') BuTTAzzoNi. Dei Governatori d' Istria ecc. (Archeogr. Triest. N. 
S. II, 345 e seg.) 



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— 28? — 

Nel Marchesato d'Istria, mira costante alle cupidigie dei 
Veneziani da un lato e dei conti di Gorizia dall'altro, dove 
i Comuni ed i baroni per la loro lontananza dal centro politico 
dello Stato avevano più facile campo a sottrarsi agli obblighi 
di sudditanza, i patriarchi dovettero lottare contro un cumulo 
di circostanze avverse che ne rendevano difliìcilissima la sta- 
bilità del dominio ; ed è per questo forse che essi non lascia- 
rono tracce durevoli di opere e provvedimenti diretti a mi- 
gliorare te condizioni morali e materiali della provincia, ed a 
curarne il decoro. Però essi non tiranneggiavano il popolo, 
né tampoco ne ostacolavano lo sviluppo economico sfruttandone 
eccessivamente le energie. Alle città negavano bensì la com- 
pleta autonomia, in quanto questa veniva a ledere i diritti d'alto 
dominio della Chiesa aquileiese ; del resto, come abbiamo già 
veduto e come vedremo meglio in seguito, largheggiavano in 
concessioni, spesso non riservando a sé che una ìneQìcace 
parvenza di supremazia. 

Esiste, tra le poche scritture dell'epoca patriarcale a noi 
pervenute, un importantissimo documento, contenente la spe- 
cifica di tutti i diritti goduti dalla Chiesa d'Aquileia nel Mar- 
chesato d' Istria. Questo documento è senza data, ma non 
crediamo d' andare errati facendone risalire la compilazione 
agli ultimi anni del Patriarcato di Gregorio, o forse ai primi 
di quello del suo successore Raimondo della Torre, cioè tra 
il 1260 e il 1273 1). 

Vi si legge anzitutto, in forma generale, la prescrizione, 
che ile città, castella e terre aperte o murate dell'Istria non pos- 



') Esso non può rimontare ad un'epoca anteriore, trovandovisi com- 
preso fra i possessi aquileiesi (oltre una casa in Muggia, comperata dal 
patriarca Gregorio nel 1^56, ed altra casa in Pola comperata nel 1358) il 
Caslrum Sancii Georgii ciitn loto Urritorio. che Gregorio acquistò da 
Riaquino da Momiano appena nel ia6o. (Thes Ecci. Aquil. N. 473. S.'ii, 
399, 5i3 e 5i3). D'altronde vi È contemplala la città di Parenzo, datanti 
ai Veneziani nel 1167; ma è naturale che i patriarchi seguitassero a 
considerarla per parecchi anni ancora come propria appartenenza, ben- 
ché non Ti esercitassero più alcuna autorità. 



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sono eleggersi i podestà, rettori, condoli o altri uf^ctali, comun- 
que intitolati, senza una speciale licenza del patriarca; cosi 
pure le stesse non possono, dì proprio arbitrio, imporre ed esì- 
gere gabelle, pedaggi tributi, né battere moneta, né eserci- 
tare alcun" altra giurisdizione. Bensì, che il patriarca pone in 
ogni singolo luogo un caslaldìone, e a capo dì tutta la pro- 
vincia un ricario, ì quali esaminano e decidono tutte le cause, 
e hanno pieni poteri in tutte le questioni >. 

In quanto concerne Pola in particolare, vi si rileva che il 
patriarca deleg;:iva quivi, come ne' rimanenti luoghi, un cistal- 
dione, ciò che farebbe supporre che ìl titolo di podestà della 
regalia, non comparendo più in alcuna scrittura posteriore, 
fosae già stato abolito o andato in disuso, probabilmente in 
seguito alla concessionata rint^razìone de' podestà comunali. 
L'autorità giurisdizionale del castaldione non era limitata alla 
sola città, ma si estendeva anche a tutto il suo territorio, chìa- 
mito già allora col nome di Polesana. 

Le principali rendite del patriarca comprendevano le 
multe giudiziarie, che ammontavano a cento bìsanti per 
ogni caso di uccisione, (erimenlo o violenza negli altrui pos- 
sessi ; la dogana marittima che importava due bìsanti per ogni 
nave carica di merci entrante nel porto di Pola ; le tas'^e sulte 
arti e industrie, di cui sappiamo che ogni notaio doveva pa- 
gare cinque soldi veneti. ') 

I pili insigni monumenti romani, come l'Arena e il Teatro, 
erano già allora considerati beni demaniali, e ì patriarchi po- 
sero tanta cura alla loro conservazione, da comminare una 
pena dì cento bìsanti per ogni singola pietra che ne venisse 
abusivamente asportata -). Questo provvido ordinamento, che 



'} Carli, Antichità ilal. Append. di docum. Milano, 1791, pag. 9J 
e scg. — Chmel, l'rkunden zur Gesch, v. Oesterr. N. CXXII, pag. 389 e 
seg. — Cod dipi. istr. (iinS;. lura Domìni Patriarchae et Ecclesiae 
Aquilegcnsis in tota Istria. 

*) Ei habel ibi [in civitate Potè) duo antiqua palatia scilicet ladrum 
et Arenam..... Item quicunque accipit aliquem lapidem de dictis palatiìs 
ladre et Arene, prò quolibet lapide quem accipit solvit domino patriar- 



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— 289 — 

valse a impedire forse la totale distruzione dell'Arena e a ri- 
tardare quella del Zaro — compiutasi, o ironia del destino, 
nell'aureo secolo del Rinascimento, sotto il dominio di Venezia 
— dimostra ne' principi ecclesiastici d'Aquileia un sentimento 
dell'arte e un culto per la classica antichità, che ìn un'epoca 
di tanta decadenza civile tornano a toro grande onore. 

11 patriarca possedeva in Pola, oltre alcune altre case, 
un palazzo situato nella piazza, e crediamo nel posto ove sorse 
più tardi e tuttora esiste il palazzo del Comune. Nella Potesana 
teneva poi in diretta e assoluta proprietà le undici ville della 
regalia, già altrove menzionate, dalle quali ricavava, a mezzo 
del suo castaidione polese, tutti i censi e le decime feudali. 

Intanto l' influenza ghibellina andava rapidamente decli- 
nando in Italia. Dopo la morte di re Corrado (1254), seguita 
poco appresso da quella de! suo competitore alla corona im- 
periale Guglielmo d'Olanda, ebbe principio nella storia della 
Germania il periodo del grande interregno, durante il quale 
si svolse r ultima, tragica fase della lotta tra il Papato e la 
casa di Svevia, dibattutasi nell'Italia meridionale, ed a cui non 
prese quasi parte alcuna il Settentrione della Penìsola. Però 
Ezzelino da Romano, 1' antico e feroce partigiano dell' Impero, 
tenne ancora sotto il suo giogo la Marca Trivigiana e le città 
di Verona, Padova e Vicenza, sino al laSg, nel quale anno 
perdette con la vita il principato, in seguito alla crociata ban- 
dita contro di lui da papa Alessandro IV. Anche il patriarca 
Or^orio partecipò alla guerra santa contro il tiranno, con la 
morte del quale la Chiesa dWquileia si trovò liberata da uno 
de' suoi più fieri e temibili avversari. 

Questi avvenimenti, propizi agii interessi del Guelfìsmo, 
giovarono pure, indirettamente, ad un momentaneo rafforza- 
mento dell'autorità civile del Patriarcato non solo in Friuli, 



1 BisancioB. (Ivi). — Anche a Verona il Comune poneva cura 
a conservare l'Arena; e nello Statuto del 1138 si trova una disposizione, 
secondo la quale il podestà era obbligato a apendere 5oo lire i'm repa- 
ralione il refectione Arene. (Cipolla. Compendio della storia politica di 
Verona, pag. 144). 



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— 290 — 

ma pur anche in Istria. 1 Castropola, non che risentire alcuno 
svantaggio dal modilìcamcnto delle condizioni di polìtica ge- 
nerale avvenuto noli' Alta Italia, ed in particolare poi negli 
Stati d'Aquileìa, s^uitarono a salire imperturbati la parabola 
delia loro fortuna ; giacché, accomodando con abile tattica la 
loroiineadi condotta alle esigenze ed opportunità del momento, 
essi non miravano ad altro che al raggiungimento delle loro 
particolari aspirazioni. 

De' tre fratelli Nascinguerra, Galvano e Papone, ebbero 
prole: il primo in Bonifacio e Guarnerio, il secondo in Mon- 
fiorito, Glicerio, Nascinguerra il e Sergio. I giovani rampolli 
della nobile casata polese Keguirono degnamente le orme e le 
tradizioni paterne. Di Bonifacio sappiamo che fu, nel 1369, be- 
nemerito podestà di Treviso. Sotto il suo reggimento la capi- 
tale della Marca, godendo di un fortunato periodo di pace, 
diede inizio a due importanti opere di utilità pubblica : alla 
riforma dello statuto comunale ed alla regolazione del fiume 
Piave, che, privo di validi ai^ini. riusciva troppo spesso in- 
festo alle circostanti campagne. Ma l'esecuzione di questo se- 
condo progetto andò frustrata dall'opposizione di Biaquino da 
Camino, il quale non volte sacrificare al bene comune alcuni 
suoi ipotetici interessi particolari •), Anche Nascinguerra 11 ci 
apparisce come un personaggio cospicuo^ tenuto in molto pre- 
gio da Raimondo patriarca d'.\quileia, che, in riconoscimento 
de' suoi meriti e servigi, volle insignirlo del cingolo di cavaliere. 

Ma fra tutti eccelse Monfiorito, il quale, sì per diritto 
d'anzianità che porle eminenti doti personali, divenne il vero 
capo e rappresentante della famìglia. Uomo d'armi, di animo 
altero e risoluto, di mente sagace, egli va risguardato come 
il vero iniziatore della grandezza a cui salirono in seguito i 
Castropola. I quali, per opera di lui precipuamente, allargando 
le loro vedute e aspirazioni oltre il breve àmbito della città 
natale, mossero alla conquista del vasto suo agro, sino a rag- 
giungere un posto eminente fra la nobiltà feudale della pro- 
vincia, 



1) Vbrci, Storia della Marca Trivigiana. I, i85 e seg. 



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— 391 — 

Monfìorito sì mantenne da prima attaccato alla Chiesa 
d' Aquiteia, dalla quale ebbe anzi t' investitura di alcuni beni 
nella Polesana ; ma durante la guerra degli anni 1263-1364 
fra il patriarca e i conti Mainardo e Alberto di Gorizia, egli 
parteggiò per questi ultimi, implicando nel conflitto anche it 
Comune di Pola. Nella pace conchiusa presso Pinguentc il 2C 
marzo del 1264, fu compreso un capitolo che assicurava al 
signor Monfìorito e fratelli ed al Comune polese il condono di 
tutte le ingiurie e danni da essi arrecati ai sudditi e fautori 
patriarcati ^). A quanto pare, Monfìorito aveva operato un colpo 
di mano su Montona, che occupò e tenne presidiata con le 
sue genti anche dopo l'avvenuto accordo fra il patriarca 
e i Goriziani, al quale non volle tosto aderire. Notisi che l'an- 
no avanti Gregorio, per mezzo del suo ricario Gcnesio de' 
Bernardi, aveva permesso ai Montonesi di nominarsi un po- 
destà, però alla condizione che si obbligassero, con una valida 
garanzia, di sostenere la causa della Chiesa d' Aquileia contro 
chiunque osasse attaccarne l'onore e il diritto s). Il podestà 
assunto in quell' incontro dai Montonesi fu Biaquino di Mo- 
miano, un tirannello che quattro anni prima erasi impadronito 
con inganno e violenza del Comune di Cittanova, al quale 
dovette però in breve rinunziare per l'energica opposizione di 
quei cittadini % È probabile che Biaquino si rendesse male- 
viso anche agli abitanti di Montona, e che costoro si liberas- 
sero di lui con l'aiuto di Monfiorito, che aveva colà interessi 
propri da tutelare, possedendovi dei feudi dal vescovo òi 
Parenzo. 

Il Castropola seguitò a rimanere al governo di Montona 
sino alla metà del 1264, allorquando fu costretto a sottomet- 
tersi e a far atto d' ammenda al patriarca, sceso appositamente 
in Istria con un piccolo ma fiorente esercito di cavalieri, nel 



') lopPi, Docum. goriz. {Arch. triesl. XII, 33). 

«) Thea, Eccl. Aqull. N. 58i. 

>) MiKOTTO. Acta et diplomata. I, 16-17, 1359; 



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— 3g3 — 

quale figuravano i più illustri campioni della nobiltà friulana. 
L'aggiustamento ebbe luogo il ó di luglio presso San vincenti, 
castello feudale de' Castropola, nella casa del castaldione dì 
Monfìorito, alla presenza de" vescovi di Pola e di Concordia, 
del conte Alberto di Gorizia e di altri cospicui personaggi ec- 
clesiastici e laici, Monfiorìto giurò sui Vangeli, per sé e pei 
fratelli assentì, fedeltà e obbedienza alla Chiesa aquileiese e al 
patriarca Gregorio vita costui durante ; promise di assisterlo 
in ogni possìbile evenienza, e di difenderne con tutta possa 
l'onore, di restituire i beni usurpati a lui ed a' suoi sudditi, 
di partirsi incontanente con le sue genti da Montona e di non 
prestare più aiuto né consiglio agli abitanti di quella terra, 
salvi però i diritti che egli vi potesse accampare. Tutto ciò 
obbligossi di mantenere a scanso d' una penale di 2000 mar- 
che aquileiesi. Questa convenzione fu giurata anche da due 
ambasciatori del Comune dì Pola, che furono Bonifacio cugino 
di Monfìorito e Bernardo di Viadro. Dieci giorni più tardi, 
nella chiesa di S. Giovanni e Paolo presso Muggia, avvenne 
la presentazione dei trenta mallevadori richiesti dal patriarca, 
in garanzia dell'esatto adempimento dei patti i). 

Questo incidente non apportò alcun ostacolo all' incremento 
della potenza dei Pola, i quali rientrarono ben presto nelle 
grazie del patriarca, a lui ed alla sua Chiesa mantenendosi per 
r innanzi rigorosamente fedeli. 

Né Monfiorito s' ingerì più negli affari interni de' Monto- 
nesi, benché costoro persistessero nella opposizione a Gregorio, 
che, mal riuscendo da solo a domarii, si unì contro di essi in 
lega coi conti di Gorizia 2). Nel relativo trattato non venne 
fatta menzione di Monfìorito, i cui buoni rapporti col patriarca 
si appalesano dall' aver ^lì in quel medesimo anno accompa- 
gnato a Parenzo il ricario Genesio de' Bernardi, che ricondusse 
quei cittadini all' obbedienza verso il loro principe 3). 



■) Notizie slor. di Pola, pag. 290-393. Ooc tratto dall' Arch. gen. dì 
Venezia. - Minotto, Documenta (Atti e Mcm. IX. 74 — A. ia6^, 6 lulii). 
') loppi. Docum. gor. (Arch triesl). 
") Minotto. Acta et dipi. I, 19. A. 1366. 7 aprilis. 



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— 293 — 

Gregorio da Montelongo mori a Cividale nel 1269, dopo 
avere governato, con varia fortuna, per dieiotto anni, la Chiesa 
d'Aquileìa. della quale curò più il consolidamento delle isti- 
tuzioni politiche che Io sviluppo degli interessi religiosi. Quattro 
anni rimase quindi vacante la Sede patriarcale, alla quale fu 
assunto nel 1273, da papa Gregorio X, il vescovo di Como 
Raimondo della Torre, della illustre casata guelfa dominatrice 
di Milano, soccombuta nella lotta con la fazione ghibellina dei 
Visconti. 

Il nuovo presule segui le orme polìtiche del suo prede- 
cessore, forse con maggior perspicacia ed energia, certo però 
con minor successo, giacché nel frattempo l'autorità del gover- 
no aquileiese era andata notevolmente scadendo, specialmente 
in Istria, dove i Veneziani avevano principiato a stabilire il 
loro dominio. 

Fra le poche famiglie potenti della nostra provincia, che in 
quel periodo di popolari agitazioni e d'anarchia civile non si di- 
scostarono dalla devozione ad Aquileia furono i Pola, che Rai- 
mondo rimeritò e avvinse maggiormente a sé, con largo con- 
ferimento di benefìzi ed onori. Essi, giiì saliti a tanta riputa- 
zione e influenza nella loro città da tenerne quasi in mano le 
sorti, divennero in breve i principali sostenitori e rappresen^ 
tanti dei patriarca in tutto il Marchesato. Nella gerarchia feu- 
dale occuparono il più alto grado, quello riservato ai baroni 
cosidetti liberi, cioè non soggetti a servigi di ministero. È pro- 
babile che, mentre da un lato le tradizioni comunali polesi 
li rendevano sdegnosi di ogni vincolo di servitù, dall'altro 
privilegi inerenti alla nobiltà cittadinesca, della quale facevano 
parte, giovassero ad assicurar loro la piena libertà personale, 
anche dopo entrati nel novero de* vassalli aquilciesi. 

Nell'accordo dell'anno 1275 fra il patriarca Raimondo e 
il conte Alberto di Gorizia per la definizione di tutte le loro 
antiche e recenti controversie, il primo prescelse Nascinguerra 
di Pola a proprio àrbitro per la ricognizione de' danni infer- 
tisi reciprocamente dai sudditi delle due parti, durante gli 
ultimi moti di guerra in Istria. 

Riguardo alla tanto contrastata aggiudicazione del castello 



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— 394 — 

di Cormons, essa venne rimessa all'arbitrato del Parlamento 
friulano, da convocarsi nel termine di tre mesi in Campoformio. 
In questo frattempo il detto castello fu dato in custodia a 
Monfiorito di Pola per il patriarca e ad Ugone di Duino per 
il conte, ai quali venne consegnato l'originale della sentenza, 
antecedentemente pronunziata in merito alla questione dal 
duca Ulrico di Carinzia, con t' incarico di distruggerlo appena 
risolta la lite <). 

La quale perdurò ancora molti anni, contribuendo ad ina- 
sprire sempre più le vicendevoli relazioni fra i due Stati. L'i- 
strumento in discorso, ch'era stato preso in custodia da Mon- 
fiorito, rimase presso la sua famiglia sino al 1281, quando in 
seguito alla decisiva sentenza arbitramentale di Mainando conte 
del Tirolo e dì Gerardo da Camino, che aggiudicava Cormons, 
a determinate condizioni, al conte Alberto, il patriarca la ritirò 
dai Castropola p^r darla in consegna al Camincse, che ebbe 
l'incarico di conservarla, insieme ad altre analoghe scritture, 
ancora per cinque anni *). 

Raimondo della Torre, inteso a favorire in vario modo ì 
propri parenti di Lombardia, rifugiatisi presso di lui in Friuli 
dopo la vittoria dei Visconti, investì nel 1275 del Marchesato 
d'Istria suo nipote Goffredo, che assunse il titolo di marchese, 
ma poca nessuna ingerenza prese allora nel governo della 
provincia, per essersi recato subito dopo in Lombardia, a pa- 
trocinarvi la causa politica della sua famiglia 11 patriarca gli 
assegnò da prima un sostituto nella persona di Bandino da 
Firenze; ma più tardi, cioè nei 1277, ripristinò 1' uflftcio di ri- 
cario, conferendolo, per un anno, a Monfiorito di Pola. Si 
può immaginare come l' esercizio di questa magistratura, ri- 
vestita di cosi ampli poteri, giovasse ad accrescere l' influenza 
e il prestigio di Monfiorito e della sua casa in Istria, partico- 
larmente in Pola. Però, contrariamente alla consuetudine, la 
carica non gli venne riconfermata nell'anno successivo, forse 



') Cod. dipi. istr. 1375, 34 febbraio, Cividale. 

') loppi. Appendici ai Docum. gor. (Arch. tricst. XIX, 365-66). 



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— 295 — 

a cagione della di lui malferma salute (essendo, difatti, venuto a 
morte pochi mesi dipoi'; invece, il primo di giugno del 1378, il 
patriarca investì del medesimo uQìcio il nobile padovano Gene- 
sio de' Bernardi, che, come sappiamo, l'aveva tenuto in pre- 
cedenza, ripetute volte, sotto Gregorio da Montelongo •). 

Dell'attività di Moniìorito quale ricario ossia giudice pro- 
vìnciate, non conserviamo che una sola memoria. Essendo 
scoppiati dei gravi disordini in Due Castelli, con l'ammazza- 
mento dì alcuni abitanti, Raimondo, che si trovava allora 
in visita nel Marchesato, vi si recù in persona, il io gennaio 
del 1278, accompagnato dal suo ricarìo e da una scorta di 
cavalieri friulani. Resosi edotto della entità de' fatti ivi successi, 
diede in custodia a Monfìorito, per un tempo indeterminato, 
la terra di Due Castelli con la sua torre, ordinandogli d'istrui- 
re regolare processo contro i promotori e gli autori degli ec- 
cessi, e di sostituire con un'altra persona proba e idonea il 
castaldione Merulo, dimesso dal suo posto ^). 

Ci resta ancora di accennare al conflitto insorto, non sap- 
piamo precisamente in quale anno, fra Monfìorito ed il vescovo 
Ottone di Parenzo a motivo di certi feudi, sui quali quegli ac- 
campava delle pretensioni, benché ne fossero stati legalmente 
investiti in precedenza alcuni cittadini patentini, che tuttavia 
li detenevano. In questo incontro Monfìorito diede a divedere 
la tracotante fierezza della sua ìndole baronale : non essendosi 
voluto piegare il vescovo Ottone alle di lui insistenti richieste 
e minacciose pressioni, entrò egli una notte, durante una tem- 
poranea assenza del prelato, con una mano de' suoi in Pa- 
renzo, invase a forza il palazzo episcopale, e, impossessatosi 
dei documenti risguardanti la sua quistione e di altri atti 
dell'archivio, i primi distrusse, i secondi gittò da una finestra 
in mare "). 

A più chiara intelligenza dell' ulteriore svolgimento del 

') Cod. dipi. istr. 1178, i giugno, apud Paduam. 
'i CARti, Antich. ital. Appendice di doc. pag ii3 e seg. — Cod. 
dipi istr., 1378. IO gennaio, Due Castelli. 

="; 11 Vekgoitinl (Breve saggio d'istoria della città di Parcnzo" 



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— 396 — 

nostro racconto, stimiamo necessario d' intrattenerci quivi a 
rilevare l'origine e l'entità dei numerosi feudi dalla illustre 
famiglia polese posseduti in Istria, particolarmente nella Po- 
lesana. De' quali, data la scarsità dei documenti, non è pos- 
sibile ricostruire un completo elenco ; risulta tuttavia che ai 
Castropola furono conferiti, in varie epoche, i lenimenti che 
seguono : 

i) dai patriarchi d' Aquileia, le ville di Sissano e Turci- 
liano, inoltre la Torre di Boraso presso Rovigno. 

3) dai vescovi dì Parenzo tutti i beni giurisdizionali di 
spettanza della Chiesa di S. Mauro, dal Lcme in giù verso Pola; 
inoltre la villa di Novacco e le decime di Fontanelle, Lata- 
darche e Ccgla, località suburbane di Montona. 

3) dai vescovi di Pola il feudo Morosini. 

4} dai conti dì Gorizia il feudo di S. Apollinare e una 
parte delle decime di Rovigno, Valle e Due Castelli. 

Di questi feudi, che costituirono la base della potenzialità 
economica de' signori di Pola, daremo un particolare raggua- 
glio, specialmente in riguardo all'estensione dei medesimi e 
al loro passaggio nelle mani della nostra famiglia. 

Non consta precisamente da chi né quando i Castropola 
venissero investiti la prima volta delle succitate due ville pa- 
triarcali ; ma, scartando come assolutamente infondata l'asser- 
zione del Kandler che ciò avvenisse già nel [311 ad opera del 
patriarca Volchero, siamo tratti a ritenere che fosse piuttosto 
Gregorio da Montelongo, il quale, onde propiziarseli, elargì loro 
que' beni '). 

Venezia, 1796, p. 14'; che si riferisce questo episodio delle lotte dibattu- 
tesi nel medio evo tra i vescovi di Parenzo e i loro prepotenti vassalli, 
sembra averlo tratto dalle Memorie storiche del vescovo Negri, andate 
in gran parte perdute. Se, come asserisce il Verguttini, Monfiorito era 
in quel tempo ricario del Marchesato e custode di Due Castelli, il Tatto 
dovrebbe essere avvenuto nel 1178. li Kandler. per una curiosa svista, 
ripetuta anche da aUri dopo di lui. Io Ta risalire nientemeno che all'an- 
no 1114 1 (Vedi Notìzie stor. di Pola, 166 e Cod. dipi, istr., in nota al 
doc. del 37 febbr. i3o5). 

■) Anche il Bonifacio (Istoria di Trevigì. Venezia, 1744. pag. iiSl, 
che trasse evidentemente le sue brevi notizie sulla famiglia Pola dalla 



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- 297 — 

Dai pochi documenti conofciuti si ricava, che nel 1299 t 
Castropola riconobbero di tenere dalla chiesa d'Aquileia, a ti- 
tolo di feudo retto e legale, le ville di Si sano e Turciliano i); 
e che nel i336 — cinque anni dopo la loro cacciata da Pola 
— rinnovarono la medesima dichiarasionc oltre che per i pre- 
detti due luoghi, anche per la Torre di Boraso presso Ro- 
vigno 2). 

Sissano e Turciliano erano del numero di quelle undici 
ville patrimoniali della Chiesa d'Aquileia, che insieme alla Torre 
di Rovigno, aveano fatto parte, come già altrove accennammo, 
dell'antica Contea vescovile di Pola. A tale proposito giova ri- 
cordare che i Veneziani, avendo ne! tempo della dedizione di 



Cronica inedita del Ronconi, a^erma che MonGorìto • valorosissimo Ca- 
pitano de' Patriarchi d' Aquileia Fu in premio de' suoi gran fatti da Gre- 
gorio Patriarca infeudato di Sissano e di Turcigliano, due grosse ville 
poste nel Contado di Pola •. 

>) Thes Eccl. Aquil. N. 359 D. Nassus dictus Forella de Castro Pole 
recognovit se haberc simul prò indiviso cum suis consanquineis D. D. 
Pctro et Nicolao de Castro Pole, ad rectum et legale feudura. ab Eccle- 
sia Aquilegense villam Sìssani, villam Turciglani et Tabellìonatum Pole. 

•) Cod. dipi. islr. i336, 1 ottobre, Udine Hec suni fcuda quae ego 
Sergius, et predecessores habuimus, et tenuimus ab Ecclesìa Aquile- 
gensi : primo Villa Sissani. et Turtiyani cum mero et mixto Imperio, ac 
dationibus. et quibuscumque <;ervituiibu8, et cum omnibus suis perti- 
nenliis, de quibus medietas spectat mihi Sergio et alia medletas suis 
(sic) consanguineis, Item medietas Turns Rorasei cum omnibus perti- 
nentiis et cum mero et mixto Imperio. — La Torre di Boraso (Turris 
Voraginis- presso Rovigno, di cui rimangono le rovine, era un grosso 
e forte edilìzio quadrilatero, a tre piani oltre il pianterreno. Il Kandler, 
che la volle di originaria costruzione romana, ne rilevd la pianta {/ndf- 
caeioni i^cc). e ne fece una particolareggiata descrizione nell'articolo: 
Escursioni nell'Agro di Rovigno. (L'Istria, IV, i^8 e seg.). — Ante- 
riormente ai Castropola. questa torre era stala posseduta, intorno alla 
metà del secolo Xlll. dal veneziano Albertino Morosini, allora al ser- 
vizio del patriarca Gregorio, il quale, trovandosi in guerra col conte 
di Gorizia, gli aveva dato in custodia anche Castelvenere e promessa 
la rocca di (Josliaco nella Val d'Arsa. (Bianchi, Documenta historiae 
forojul. neir Archiv. f. Kunde iisterr. Gesch Qucll. XX!I. 377 N. 3ij). 



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— 398 ~ 

Pola occupato anche le ville della regalia e la Torre di Bo- 
raso, giustificarono questo loro atto con rafTerinazione, che 
tanto le prime quanto la seconda spettavano per antichi dì- 
ritti non già al patriarca, ma al vescovo di Pola >). 

Queste ville furono cedute alla Chiesa d' Aquileia, senza 
dubbio, con lo scopo di sottrarle all' invadente influenza del 
Comune polese, che aveva cercato di assoggettarsele, onde ri- 
cavarne le rilevanti rendite. La donazione avvenne forse ap- 
f>ena nel 1252, quando anche il castello delta città, apparte- 
nente pur esso a queir c.iiscopato, pass6 al patriarca Gregorio. 
Il quale o subito allora, o poco di poi, avrebbe investito di 
Sissano e Turcìliano Monfiorito e i suoi fratelli, verso 1' annua 
prestazione, a titolo dì lerratico, di 83 moggia di frumento e 
85 d'orzo. 

I vescovi di Parenzo avevano nell'agro di Pola vasti pos- 
sedimenti, de' quali non si conosce partitamente 1' origine, ma 
che si sa essere stati loro confermati ne' secoli X ed XI dai 
re italici e dagli imperatori tedeschi. Sembra del resto che i 
vescovi godessero in principio della sola supremazia ecclesia- 
stica in alcune di quelle località passate in seguito, sia per 
legale concessione sovrana, sia per semplice diritto consuetu- 
dinario, anche in loro temporale soggezione. 

Nel 9Ó5, Rodoaldo patriarca d' Aquileia concedette alla 
Chiesa di S. Mauro la pieve di Rovigno, col diritto di perce- 
pirvi le decime ecclesiastiche, e forse contemporaneamente as- 
scgnolle anche le pievi di Due Castelli e Valle -) : giacché, 
diciassette anni più tardi, l'imperatore Ottone II confermò alla 
medesima Chiesa, insieme ad altri luoghi dell' Istria, anche i 
tre summenzionati''}; il che fece pure, nel 1077, l'imperatore 
Enrico IV. *). 



') Senato Misti, Cose dell'Istria. A, i33i, 8 giugno^ '334, >5 novem- 
bre (Atti e Mem. ITI. iì^ e j38). - Minolto Acta et Diplomala. 1. no. 

*) (^od. dipi. istr. A. 965. 30 gennaio — Vedi in proposito Benussi. 
Nel medio evo. Parendo, 1897, pag. 316-17 (Nota in). 

') Stumpf. Reichakansler N. 848. — Cod. dipi, istr. 983. 1 giugno. 

•) Stumpf, op. cit, N, 3798, 



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— 299 — 

Finalmente nel 1211 il patriarca Volchcro, da tre anni 
in possesso del Marchesato d' Istria, rinnovò al vescovo Ful- 
chcrio r investitura di Due Castelli al Leme (cioè Castel Pa- 
rentino e Moncastello), della chiesa dì S. Martino presso Mi- 
dìan (Modilano), e del territorio di S Mauro nel distretto di 
Pela, presso la villa dì Medolino, con ogni loro appartenenza '). 
Questi beni, nonché altri minori della Polesana, che la Chiesa 
di Parenzo ebbe probabilmente dalla munificenza della contessa 
Azzica e della gentildonna Elisa moglie di Sigilfredo, la prima 
benefattrice del Monastero di S. Michele al Leme, e la seconda 
del Monastero di S. Michele in Monte presso Pola ^, passa- 
rono tutti quasi, in progresso di tempo, ai signori di Pola, 
sia per diretta concessione vescovile, sia per comprila. 

Una delle prime località al di là del Leme, entro l'antico 
agro potesc, venuta in possesso de' Castropola, si fu la villa 
di Sanvincenti, che noi, contrariamente all'avviso del Kandler ^1, 
riteniamo scnz' altro feudo parentino anziché aquileicse. E 
questa nostra opinione si appoggia anzitutto sul fatto che San- 
vincenti è compresa nella bolla dì papa Alessandro IH del 1 176, 
con la quale ai vescovi di Parenzo veniva assicurato il possesso 
di molli monasteri e chiese dell'Istria*]. Inoltre sappiamo, 
per fede di documenti, che i vescovi di Parenzo godettero, dalla 
seconda metà del XIV secolo sino ai dì nostri, l'alto dominio 
sopra la villa di Sanvincenti, da essi infeudata ai Morosini ^). 

Nel 1252, essendo signore di Sanvincenti Galvano di Pola, 
sorsero delle differenze, per questioni d'erbatico, fra quei sud- 
diti e gli abitanti del limitrofo territorio di Due Castelli. La de- 
cisione della lite fu rimessa, di comune accordo, all' arbitrato 
del vescovo Giovanni di Parenzo, il quale, in data del 12 mag- 
gio di qu-jll'anno, pronunciò la relativa sentenza, nel senso 



') Cod, dipi, istr A. un, 6 decembre. 
-) Benussi, Nel medio evo, pag. 119 e seg 
") Notizie slor di Pola. pag. 167, 
^) Cod. dipi. istr. A. 1177. 
f-) De Framceschi Carlo, L'Istria, pag 388. 
pag. 3j7~ijS (noia ii5j. 



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— 3oo — 

che i villici delle due parti contendenti possano pascolare in 
comune sui reciproci territori, evitando però qualsiasi danno 
ai campi di biade ed ai vigneti ; e che i Sanvincentini si man- 
tengano in possesso del tratto di paese intorno al lago di Scio- 
daura, cstcndcntcsi sino alla chiesa di 5. Maria (situata sulla 
strada che da Sanvincenli andava a Due Castelli) e dal lato di 
settentrione sino alle località chiamale Centena e Fratta '). 

Parecchi altri nobili istriani, si trovavano in quel tempo 
investiti di feudi patentini nella Poicsana. I Castropola, intesi 
a conquistare gradatamente e per differenti vie la maggior parte 
del territorio polese, onde un giorno imporsi più facilmente 
alla città, destinata a divenire il centro d' una vasta e forte 
Signoria, si diedero cura di riunire in sé quei feudi, per lo più 
comperandoli da chi ne godeva il reale possesso, facendosi 
poi investire de' medesimi dai vescovi di Parenzo, 

Nel 1258 l'io marzo), Nascinguerra 11 figlio di Galvano ed 
i suoi tre fratelli ottennero in comune dal vescovo Ottone un 
feudo, che, per la morte di certo Tommasino da Montona, era 
ricaduto alla mensa episcopale; inoltre la quarta parte delle 
decime della terra di Rovigno e suo distretto*). È probabile che 
il predetto feudo, di cui non si conosce né il sito né i beni 
che lo componevano, riguardasse la villa di Novacco e i bor- 
ghi sotto Montona '). 

Alcuni anni più tardi, Monfìorito di Fola acquistò dagli 
eredi del defunto Andrea di Giroldo, per sé e figli e senza 
alcuna compartecipazione de' suoi fratelli, un importante 
feudo parentino consistente, a quanto apparisce dall' istru- 
mento d' investitura, in molte tenute ed appezzamenti sparsi al 
di là del Leme verso Pisino e verso Pola, e il molino di Fon- 
tane nella contrada di S. Giovanni del Prato presso Parenzo, 
Inoltre da Leonardo del fu Artuico di L^gio alcune altre terre 
e una porzione delle decime di Rovigno *). 

') Cod. dipi. Lat. A. i35a. 

») Benussi, Storia documcnt. di Rovigno pag. 179. 
!*) Cod. dipi. istr. A i336. 1 ott. (nota). 

*) Videlicct omnia bona feudalta quae olim fuerunt Domini Andreae 
de Giroldo citra Valle de temo versus Polam venendo versus Pisìnum 



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— 30! — 

Di tutti questi beni egli si procurò la legale investitura 
dal vescovo di Parcnzo Ottone, il quale, alla dì lui morte, la 
rinnovò — nel di i3 gennaio del 1379 in Pola. nella chiesa della 
B. V. del Canneto - all' unico suo figliuolo Giicerio, con la 
clausola che, morendo esso Giicerio senza eredi legittimi, il 
feudo dovesse passare ai di lui zìi paterni e rispettivi loro di- 
scendenti. Questa eventualità pare anche avveratasi, giacché 
il nome del rampollo di Monfìorito non comparisce più in al- 
cuna scrittura. Invece quattro anni più tardi (14 gennaio del 
1283) il vescovo Bonifacio, successore di Ottone, investì di 
tutti gli aviti loro feudi parcntini i membri maschi allora vi- 
venti della famiglia di Pola, e precisamente i fratelli Bonifacio 
e Varnerio, i costoro superstiti cugini Nascinguerra II e Gii- 
cerio e il nipote di questi ultimi Nascinguerra 111 detto Fio- 
rella, figlio del defunto Sergio. In data 22 agosto del i3io, il 
presule patentino Fra Graziadìo conferi 1' investitura dei me- 
desimi feudi a Nascinguerra III detto Fiorella de' Castropola; 
e l'anno seguente {.i) a Sergio di lui figliuolo, che l'ebbe rin- 
novata nel i33o dal vescovo Giovanni. Tutti o gran parte 
de" predetti beni rimasero in possesso quasi ininterrotto della 
famiglia Castropola per oltre quattrocento anni dopo che la 
stessa, bandita da Pola e dall' Istria, si trapiantò a Treviso, 
cioè fino al secolo XVIIl '). 

Passeremo ora al feudo Morosini, dì ragione della Chiesa 
di Pola, detto così dal nome della illustre famiglia tribunizia 
veneziana che in origine lo possedette. Comprendeva terreni e 



et usque Polam .... ci molendinum apud civitaiem Parentii, quod di- 
citur molendinum de fontana in centrata Sanctis lohannis de Prato, 
quod molendinum fuit de foudo memorati I) Andreac de Oiroldo ; et 
aliud feudum. videlicet quartam partem toiius decime Castri Rubini prò 
indivise cum D. Prepoìito Rubini et aliis quorum interest, quam quar- 
tam partem diete decime nominatus D .Monlloritus, cum quibusdam 
aliis fcudalibus bonis et possessionibus. emit a t). Leonardo filio q. Do- 
mini ArloicJ de Legiii. (Benussi. Storia docum di Rovigno. 3jy). 
') Bbnussi, op cil pag. 2^<J e seg. 



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~ 3o2 — 

rendite decimali in Arano, Bagnoli, Gallesano, Guargnano, Me- 
detano, Mugnanello, Orceano, Pedrolo (Peroi), Rigaglia e Sis- 
sano, tutte località dell' agro polesc ')■ Esso rappresentava 
I' ultimo residuo dell' antica potestà temporale de' vescovi pò- 
lesi, i quali, per le ragioni già altrove esposte, furono privati, 
molto prima degli altri prelati istriani, della sovranità territo- 
riale e de' diritti e privilegi alla stessa inerenti. 

Oscure ci si presentano le prime vicende di questo feudo, 
in ispecie il sjo passaggio in mano de' Morosini ; tuttavia 
opiniamo di poter affermare con su0ìciente sicurezza, che lo 
stesso venne accordato la prima volta dal vescovo Ubaldo al 
conte Ruggero Morosini, nel tempo in cui questi fu podestà di Po- 
la, cioè circa gli anni 1198-1199. Ruggero ebbe a padre quel 
Domenico Morosini, nato dall'omoniino doge, che nel 11 5p con- 
dusse la guerra contro gl'Istriani, e due anni dopo fu creato 
conte di Zara ^). Già dal 1174 castellano di Chessa sull'isola 
di Pago 3), Ruggero conseguì nel n85 dal doge Orio Mali- 
piero, sotto vincolo feudale, la contea d'Ossero *), alla quale 
gli andò aggiunta in seguito la contea d' Arbe *) ; d'onde il 
titolo comitale attribuito e a lui e al figlio Roberto nelle scrit- 
ture polesi, però senza designazione del casato. Egli condusse 
in moglie Daria figlia di Leonardo Michiel, che resse in pre- 
cedenza a lui, cioè dal iiò5 al 1184, la Signoria osserese ^\ 
e n'ebbe prole in Roberto, Pietro, Giovanni e Andrea, ai 
quali il doge Pietro Ziani rinnovò, nel 1208, l'investitura del 
feudo paterno ^). 

Morto il conte Ruggero nel i3o5, dopo aver partecipato 



■j Negri. Compendio delle cose contenute nellungo processo della 
causa .... tra Sergio di Nascinguerra da Castro Pola e Sergio vescovo 
di Pola ecc. (Istria, ti, 363) 

*J Lucio. De regno Croatiae et Dalmatiae, pag. 169. 

") Lucio, op. cil. pag. 167-168. 

') Sanulo, Vite dei duchi di Venezia (R. I. S. XXII, 534'. 

'') Monum spect. hist. Slavor. merid, I. 16. 

*) Lucio, op. cit. p, 167 e seg. — Parlati. Illyrici sacri T. V. p. 197. 

') Monum spect. hist Slav. merid. I, 24 e seg. — Stefani, I conti 
feudali di Cherso e Ossero, nell' Archivio Veneto T. ITI p. 6 e seg. 



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— 3o3 — 

all'ambasceria inviata in quell'anno dalla Repubblica veneta 
a Balduino conte di Fiandra, neoeletto imperatore di Costan- 
tinopoli I), il feudo vescovile polese venne riconfermato in 
comune ai suoi figli, il maggiore de' quali ne assunse l' am- 
ministrazione, risiedendo all'uopo di solito in Pola, ove godeva 
molta riputazione, e, benché forestiero, prendeva talora ingj- 
renza nelle cose del Comune ^, 

Riguardo all' ulteriore discendenza di questo ramo de' 
Morosini, non ci fu possibile di rilevarne la completa ed esatta 
genealogia, sì per la defìcenza e incertezza delle fonti, come 
pure per la di0ìcoltà di sceverare, in tanta diversità di lince 
e di soggetti, le spesse omonimie che vi si riscontrano. Sappia- 
mo soltanto che Pietro lasciò due figli maschi, chiamati Leo- 
nardo e Ruggero, i quali cedettero nel i23ó al Comune 
d" Arbe ogni loro diritto sui castelli di Chessa e Novaglia *J. 
Ruggero fu conte d'Arbe, come tale venendo indicato in una 



') Sanuto, op. cit. (Ivi, XXH. 535). 

') La convenzione di pace fra i Polesi e ijli Arbeai nel lerzo de- 
cennio del Dugento. fu stipulata in Pola in palatio Comilis Roberti. 

Circa il I3IO un Daminus Ropertus di Pola trovavasì in lite col ve- 
scovo Enrico, al quale contestava il diritto padronale sopra una fante, 
affermando che la stessa, rispettivamente i di lei genitori, appartenevano 
a un suo feudo paterno: ed avendogli chiesto il vescovo se non era 
forse questo il feudo da lui tenuto dalla Chiesa di Pola (nel qual caso 
la vertenza doveva venir portala dinanzi la Curia vescovile). Roberto 
si riservò di rispondere su questo punto dopo essersi consultalo con la 
propria madre e coi propri fratelli, e coi genitori della fante in questione. 
Frattanto egli ricusava di sottomettersi tanto al giudizi» della Curia vesco- 
vile, che al giudi/io dei consoli dei Comune, i quali però sentenziarono 
suo malgrado, accordando al vescovo la Tacoltà probativa che la fante 
apparteneva alla casa episcopale (quod erat de proprìetale domus dicti 
episcopatus potensis). nel qual caso il signor Roberto avrebbe dovuto 
rimettersi al giudicato dei consoli, salvi i suoi diritti quale vassallo del 
vescovo. Contro questa sentenza Roberto si appellò a Simeone arcive- 
scovo di Ravenna. (Pergamene d.'U'Arch. arciv. di Ravenna, negli Alti 
e Mem. IV. 7-K> Dai molti indizi risultanti da questa scrittura, siamo 
tratti a ritenere che il Dominus Ropurtus vassallo della Chiesa di Pola 
altri non fosse che Roberto Morosini figlio del conte Rudero. 

^) Lucio, op. cit. pag. i68 — Parlati, op cit, T. V pag, 141-143' 



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— 3o4 — 

carta del 1343, ma dicci anni appresso sembra già morto, 
poiché gli troviamo sostituito in quella carica, che, almeno di 
solito, era a vita, un altro patrizio veneto, Marco Zianì. 
Dopo il 1275 figura possessore del feudo polesc un Ruggero 
Morosini (forse figlio del precedente), detto di S. Angelo (dal 
nome della contrada da lui abitata in Venezia, nel quartiere 
di S. Marco, per distìnguerlo da un altro omonimo contem- 
poraneo appellato Magno '). Uno di questi due, ma più pro- 
babilmente il secondo, fu consigliere ducale nel 1276, podestà 
e capitano di Capodìstria net 1278; eletto alla carica militare 
di capitano generale per l'Istria nel 1287, carica che rifiutò 
per motivi di salute ; uno dei procuratori del doge, delegati 
a trattare la pace del 1291 col patriarca, il contedi Gorizia e 
i Triestini; conte di Zara nel 1294; e finalmente comandante 
della flotta veneta contro i Bizantini nel 1296^). 

Ruggero Morosini di S. Angelo fu privato quasi inopina- 
tamente, nel 1285, dal vescovo Matteo di Castropola del suo 
feudo avito, che dichiarato da prima decaduto alla mensa epi- 
scopale, venne poscia conferito a un cittadino polesc, Andrea 
di fonata. Quali fossero i pretesti giuridici — forse di mancata 
osservanza a qualche obbligo di vassallaggio — addotti per 
giustificare questo trasponimento feudale, certo non ne fu 
estranea 1' occulta avversione de' Polesi contro i Veneti e il 
loro desiderio di veder sottratte le proprie terre alta giurisdi- 
zione di nobili forestieri. La Signoria di Venezia intervenne 
nella quistione, prendendo naturalmente le partì del Morosini, 
ma con assai tardo successo. Nò Ruggero né suo figlio Do- 
nato (nato da Benola Contarini), nonostante le loro reiterate 
protestazioni, poterono ricuperare i beni perduti. Appena Nico- 
letto Morosini, superstite rampollo dì Donato, ebbe, col favore 

'j MiNOTTO, Acta et diplomata. II. 71. A. iiSS, 3 iulii. Occasione in- 
tromissionis possessionum nob. Rogerii .Mauroceno Magni et fralrum 
suorum. et Rogerii Mauroceno de S. Angelo . . debcant desiinari Tar- 
visìum duo ambaxalores etc. 

■) MiNOTTO. op. cit. Il, 56, — Dandolo, Ctironicon, 396. — Minot- 
TO. T, 1.17 e 40. — Monum. spect hisl. Slav. merìd. I, 181 — Romanim. 
Storia docum. di Venezia. II. 3J5. 



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— 3o5 — 

dei Castropola, riconosciule dal vescovo Ugone le sue ragioni 
ereditarie sul feudo polese, di cui ottenne la legale investitura 
il dì 7 febbraio del iSog; ma tre anni dopo (3o gennaio i3i2) 
egli io vendette per ducati 46 de' grossi veneziani ai Castro- 
pola, e precisamente a Sergio figlio di Nascinguerra sopranno- 
minato Fiorella e a Nascinguerra IV figlio di Pietro i). Da queste 
contestazioni e da questi mutamenti feudali ebb3ro origine le 
fatali discordie fra i Castropola ed i lonatasì, degenerate poi 
in aspre lotte civili, come avremo l' opportunità di vedere 
altrove. 

Per ultimo diremo del feudo dì S. Apollinare, spettante 
da tempi antichissimi all'alto dominio della Chiesa arcivesco- 
vile di Ravenna, e denominalo dal Santo patrono della mede- 
sima. Si componeva, intorno al milledugento, di molti beni 
stabilì, come case e poderi, e di molti diritti giurisdizionali, de- 
cimali, ccnsualì tanto entro la città di Pola che nelle ville del 
suo territorio. E precisamente in città : di una chiesetta con- 
sacrata a S. Apollinare e dì una casa con le loro pertinenze, 
ambe situate presso la Porta del Duomo ; inoltre di tre torri, 
di cui l'una situata alla Porta Carata, 1' altra alla Porta Sto- 
vagnaga, e la terza nell'interno dell'abitato. 1 possessi rurali 
del feudo si trovavano sparsi nelle località seguenti : Cuvis, 
Florian, Fasana, Peroi, Gallesano, Castagno, Stignano, Virtano, 
Rudan, Pinis e Savignana ^). 

Come lo ammettono concordemente i nostri storici, il 
feudo di S. Apollinare, che in origine era assai più ricco, sa- 
rebbe pervenuto alla Chiesa di Ravenna, circa l' anno 55o, per 
la liberalità di Giustiniano imperatore, che avrebbe rimeritato 
in tal guisa le benemerenze acquistatesi verso di lui da S. 
Massimiano nativo dì Vistro presso Pola, assunto in quel 
tempo alla cattedra ravennate S). Il feudo veniva conceduto 
in temporanea fruizione a nobili istriani, e talora anche a fo- 
restieri, aventi attinenze nella provincia ; ma in sullo scorcio 



") Negri, Compendio ecc. (Istria II, 363 e seg). 

*) Pergamene riguardanti la città di Pola (Atti e Memorie, HI, 307). 

5) Benussi, Nel medio evo, 196. 



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— 3o6 — 

del secolo Xll se ne impadroni indebitamente Engelberto conte 
di Gorizia, che lo trasmise in sufFcudo a certo Ulrico di Pola, 
suo vassallo. Questa usurpazione diede origine a lunghe con- 
troversie e liti, nelle quali furono invocale, da parte della Curia 
di Ravenna, le supreme autorità civili ed ecclesiastiche: l'im- 
peratore Enrico VI ed i pontefici Celestino 111 e Innocenzo HI, 
che demandarono la questione ad un giudizio d'arbitri, le dì 
cui decisioni, sortite naturalmente in favore della Chiesa ra- 
vennate, non furono però prese in alcuna considerazione dai 
conti di Gorizia, che seguitarono a riguardare quei beni come 
dominio proprio e a disporne a loro beneplacito i). 

Nella prima metà del secolo XIII figura posscditrice del 
feudo di S. Apollinare la nobile casata polese de' Giroldi ch'eb- 
be a fondatore un Giroldo, probabilmente figlio di quell'Ulri- 
co di Pola, del quale abbiamo poc'anzi tenuto parola. Era Gi- 
roldo, che comparisce ne' documenti dall'anno ii83 al 1199, 
uno de' più ragguardevoli cittadini di Pola, ricco di molti te- 
nimenti feudali, tra cui il castello di Callìsedo al Leme, chia- 
mato più lardi Geroldia, che ottenne dai vescovi di Trieste e 
che rimase nella sua famiglia sino alla di lei estinzione, av- 
venuta nel 1592 % Egli lasciò un figlio, di nome Andrea, vi- 
vente nel 13 16, ch'ebbe prole in Giroldo (11) e Valfiorita. Da 
costoro, che trasportarono la loro dimora a Capodistria, fecero 
acquisto del feudo di S, Apollinare, in data del 3 luglio 1265, 
per il prezzo di 1800 lire de' piccioli, i fratelli Monfiorito, Gli- 
cerio, Nascinguerra e Sergio di Pola, i quali, nel dì 7 dicembre 
di quell'anno, ne conseguirono da Alberto conte di Gorizia e 
di Pisino la solenne investitura, rinnovata poi ad essi e ai 
loro discendenti dal medesimo conte nel i285 (8 luglio) e nel 
i3of (7 febbraio), e dal conte Enrico nel i3o5 (37 febbraio) 9). 



') Pergamene risguard la città di Pola. (Atti e Mem. III. i>o5 e seg.; 
IV. 3 e seg.). Vedi Benussi. Nel medio evo, pag. 441 e seg. ove sono 
espoate minutamente le vicende di questo feudo. 

') Benussi, Nel medio evo, pag. 173-174. Nota 119. 

') Cod. dipi istr. A i3o5, die penultimo mcnsis febniari. —Notizie 
storiche di Pola, pag. 393 e seg. 



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— 3o7 — 

Ne' relativi istrumenti non è fatta speciale menzione dei sin- 
goli possessi e dette giurisdizioni e rendite pertinenti al feudo, 
ma vi si trova soltanto vagamente accennato a quanto era 
stato dì ragione dei Girotdi entro la città e nel distretto di 
Pota, in Rovigno, Valtc e Due Castelli, ed in generale dal 
Leme in giù verso Promontore M- 

L.' Istria aveva intanto iniziato il suo fatale abbandono a 
Venezia. Guerricciuole esteriori ed intestine discordie ; insidie 
e soperchierie baronali ; collisioni d' interessi pubblici e privati; 
e soprattutto la poca o nìuna garanzia di protezione e difesa 
da parte del governo patriarcale, erano le cause principali ctie 
inducevano le città marittime a cercar rifugio sotto il vessillo 
tutelare della potente Repubblica, la quale d'altronde non la- 
sciava nulla d' intentato per assicurarsi lo stabile possesso delie 
vicine coste orientali dell'Adriatico. Prima fra tutte, nel 1267, 
Parenzo ; quindi, a brevi intervalli, Umago, Cittanova, Montona, 
Capodìstria, Isola; e infine, nel i283, Pirano e Rovigno pas- 
sarono volontariamente sotto il dominio di S. Marco, senza 
che i patriarchi fossero in grado di opporsi con qualche eQì- 
cacia a questa rapida dìsgiegazione del Marchesato. 

Ma non Poia ebbe attor 1' animo inclinato a rinunziare 
alla propria individualità politica — che l'appartenenza al Pa- 
triarcato non te menomava gran fatto - e con essa ad ogni 
aspirazione di maggior prosperità e grandezza per l'avvenire. 
L'antica a\ versione popolare contro lo Stato veneto, resa più 
viva dai disastrosi effetti della guerra del 1242. avea giovato 



>| De omni feudo et de omnibus feudis possessionibus. domibus. 
turrìbus scedi mini bus, casaliis, curtis. campis. terris, pratis, nemoribus, 
pascuìs. capullis, decimis, dassionibus, conditìciis, localionibus, redditi- 
bus, seu proventibus quartis et fiscalis, atquc de omnibus vassallis quos, 
quae et quas olim dominus Giroldus de lustinopoli et eius soror Val- 
florida vel aliquis seu aliq q. eis fucrunl visi habere. tenere et possiderc 
in civitate Polc et ejus districtu seu episcopatu Fole in Castro Rq- 
binei, in Castro de Vallis. in Duobus CastellJs et eorum districtibus et 
diocesibus a Lcmo infra versus Polam. (Cod. dipi. istr. e Notiz. stor. di 
Polo, 1, e p. cit.) 



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— 3o8 — 

non poco alla causa patriarcale, sostenutavi con alacre 
energia dai Castropola, i quali vedevano troppo bene che l'as- 
soggettamento del Comune polese alla Repubblica sarebbe riu- 
scito specialmente pregiudizioso agli interessi della loro fa- 
miglia. 

Per non lasciarsi travolgere dagli avvenimenti, la città 
dovette imporsi però un prudente riserbo, adattando il proprio 
contegno politico alle varie opportunità del momento ; cosi 
potè rimanere estranea alle agitazioni e lotte che sconvolsero 
allora quasi V intera provincia. Pur mantenendosi ferma nella 
sua devozione alla Chiesa d' Aquìleia, del cui appoggio sapeva 
trarre, all'occorrenza, il miglior partito, essa pose ogni cura 
a conservare amichevoli rapporti con Venezia, anzitutto ottem- 
perando scrupolosamente agli obblighi di vassallaggio assuntisi 
d'antico verso di lei. 

Noi osserviamo quindi Pola, in quei periodo dì grandi 
commozioni e mutamenti politici che segnò per l'Istria il prin- 
cipio d' una nuova èra storica, isolarsi dalle città consorelle e 
concentrarsi in sé stessa, intesa soltanto alla propria conser- 
vazione ed al proprio morale e materiale incremento. 

Scarse invero sono le notizie che ci fu dato raccogliere 
sulla costituzione polese nella seconda metà del secolo XIII. 
L'ordinamento comunale vi subì, senza dubbio, delle notevoli 
modificazioni, da quando la città cominciò a riguadagnare un 
po' alla volta le perdute franchigie e à reggersi di nuovo li- 
beramente sotto un podestà forestiero. Ma bisogna notare che. 
astretta dall'azione influente e interessata de' Castropola a più 
diretti e saldi vincoli di dipendenza verso li Governo centrale 
d' Aquileia che non le altre terre dell' Istria, essa andò allar- 
gando pili lentamente di queste la propria autonomia. Appena 
in sullo scorcio del Dugento il Comune di Pola raggiunse un 
completo sviluppo '), che fu però assai presto soffocato dal 
sorgere e consolidarsi della Signoria de' Castropola. 



') Parecchi indizi ci fanno credere, che una importante riforma co- 
stituzionale fosse avvenuta in Pola nel 1196 circa, sotto il reggimento 
del podestà Bartolomeo de' Vetrari di Padova, alla iniziativa del quale 



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-3o9- 

Depositario della suprema autorità del Comune, era con- 
siderato tuttavia r Arengo, osaia la Conclone, al di cui voto 
deliberativo ricorrevasi però soltanto nelle più iniportanti con- 
tingenze di Stato, come, ad esempio, ne' mutamenti di domi- 
nio, o nelle proposte di guerra e di pace. Ma dal seno dì que- 
sta Assemblea, che comprendeva 1' universalità del popolo in- 
digeno, tanto della città che del distretto, cioè da prima 
tutti gli uomini adulti, e più tardi tutti i capi famiglia senza 
distinzione di classe e di censo, era sorto, allo scopo d' infre- 
nare la tumultuaria licenza delta plebe, e di rendere più age- 
vole e regolato il governo della pubblica cosa, un nuovo corpo 
amministrativo, il Consiglio '), che ne ereditò la massima parte 
delle attribuzioni. Questa rappresentanza si componeva di un 
numero non precisabile di membri, eletti in origine, in deter- 
minate proporzioni, frd ì vari ordini della popolazione. Ma un 
po' alla volta 1' uQìcio di consigliere fu riservato ai soli nobili 
o maggiorenti della città, e da temporaneo divenne a vita e 
infine ereditario. 11 Consiglio aveva estesi poteri resolutivi ìn 
tutti gli affari politici e amministrativi ; nelle relazioni diplo- 
matiche con altri Stati e Comuni, nella formazione di nuove 
leggi e ordinamenti statutari, e nella modifìcazione di quelli 
già esistenti, nell' imposizione di nuove tasse e gabelle, nella 
elezione dei podestà e degli altri u0ìciali del Comune ecc. 



devesi pure, come diremo in seguito, la costruzione del Palazzo comu- 
nale. In quel tempo sarebbero stati riordinati gli antichi Statuti citta- 
dini, ricordati la prima volta in un documento del 1164, ma che dove- 
vano risalire indubbiamente, come quelli di Capodistria, ai primi de- 
cenni del secolo XIII. 

>) Non si può precisare il tempo della istituzione in Fola di que- 
sto maggior Consiglio dì governo. Nel laiS (o issS^) i consoli di 
Pola una cutn Consilio eiusdem civitatis ao universo populo inoltrarono 
un'appellazione all'arcivescovo di Ravenna (Atti e Mem. IV, io e a54). 
Ma forse quivi si trattava ancora del Consilium sapienlum con limitati 
poteri e con mansioni precipuamente giudiziarie, del quale abbiamo già 
altrove tenuto parola La pace del 1343 coi Veneti fu conchiusa in pieno 
Consilio et conciane. D' allora la rappresentanza comunale di Pola si tro- 
va designata costantemente nelle pubbliche scritture con la solita for- 
atola : Polestas (oppure ConsMks), Consilium et Cofn»tMtis Polt. 



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-— 3io — 

Non consta con certezza se il qui mentovato Consiglio di 
governo fosse una derivazione e un ampliamento dell'antico 
Cansilium sapienlum, ovvero una creazione affatto nuova — 
ciò che apparisce assai più probabile — nel qual caso accanto 
ad esso avrebbe seguitato a funzionare l'antico. Nelle pochis- 
sime carte polesi del secolo XIII a noi pervenute non si trova 
il menomo accenno ad un Consiglio minore \ benché una 
tale istituzione fosse allora generalizzata in Istria, e 1' ebbero 
anche le terre meno importanti, come Pirano, Isola, Montona 
e Rovigno =). 

Appena verso il i3oo, dopo introdotta nel Comune una 
riforma statutaria, dalla nuova denominazione di Consilium 
generale ^) data al maggior corpo rappresentativo polese, 
si viene a rilevare l' esistenza di un altro Consiglio più 
ristretto, il quale doveva essere lo stesso Consilium creden- 
tiae contemplato nello Statuto riformato del 1431 ed in quello 



') Troppo scarse sono però quelle carte perchè sia lecito arguirne 
Bcnz' altro che il Consiglio minore mancasse in queir epoca a Fola si- 
curamente, come mancava e mancò sempre nei Comuni Triulani di Udi- 
ne, Cividale, PorK^ruaro ecc. meno sviluppati e meno liberi dei nostri. 

— Del resto anche in alcune delle maggiori Repubbliche italiane non 
v'era, oltre 1" Arengo, che un solo Consiglio, cosi a Genova, a Lucca, a 
Parma ecc. (Penile, Storia del dir. ital. 11 ed. voi. II 6. pag. i3t). 

^) Nel []3i (18 febbraio) i due giudici di Pìrano una cunt Maiori 
Consilio diedero piena balia a Giovanni Bononino di trattare un accordo 
col patriarca Bertoldo (Minotto, Documenta, negli Atti e Mem. Vili, aò). 

— Nel 1353 [1 maggio) i consoli di Isola de voiuntate et consensu tnajo- 
ris et tninoris Cofisilii delegarono due nunzi e procuratori in una causa 
del Comune contro il Monastero di S. Maria d'Aquileia. (God. dipi istr), 
A, 1356, 30 agosto. 1 vicari del podestà di Montone Carstemano cum 
Consilio mittoris et tnajoris Consìlii et etiatn voiuntate et consensu piene 
Concionis more solito congregate, ì'endono un terreno in Mondellebotte 
(Cod. dipi. istr.). — La dedizione di Rovigno alla Repubblica veneta 
(1^83, 14 giugno) fu decretata in Consilio maiori Rubinii et postmodum 
in arengo populi. (Minotto, Acta et dipi. I, 34). 

^) i3oo, 9 febbraio. In pieno et generali Consilio Conttnunis Pole VKnc 
eletto un procuratore, per conferire col rappresentante della Signoria dì 
Venezia circa l'affare delle mura di Pola. — i3oo, i3 giugno. lohannes 
Superando Potestas, Consiliarii, CoMsiliunt et Communis Potè scrivono al 
doge sui medesimo argomento. (Minotto, Acta et dipi. I, 47 e 5i). 



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— 3ii — 

italiano del 1641 i). Che il Consiglio di credenza, anziché il 
generale, traesse le sue origini dal Collegio de' sapienti, potreb- 
besi congetturarlo dalla circostanza, che ancora nel secolo XVII 
i membri del primo venivano appellati sapienfes % In parecchie 
città d'Italia, a Bologna, a Mantova, a Pistoia, ad Alessandria, 
il Consiglio minore portò il nome di Consiglio di credenza, e 
ciò per la fede {credenlia) in esso riposta, che ogni negozio di 
sua trattazione vi sarebbe mantenuto spreto ■). In Fola esso sì 
componeva di soli dieci membri, eletti dal Consiglio maggiore, 
con l'incarico di esercitare l'ufficio di consultori del podestà 
e de' consoli, di esaminare te proposizioni di governo da pre- 
sentarsi al voto dell'Assemblea generale, e inoltre di deliberare 
in certi afbrì amministrativi di secondaria importanza *). 

All' assunzione dei podestà, che, come abbiamo già altrove 
osservato, non era del tutto libera, procedevasi nel modo se- 
guente. Il Consiglio generale, accordatosi sulla scelta del nuovo 
magistrato, e assicuratasi da lui l' accettazione della carica, 
delegava un proprio nunzio e procuratore al patriarca d' Aqui- 
leia (o in sua assenza al vicario in IgmporaltbusJ per chiedei^lì, 



■> Lo Statuto del i43i, in lingua latina, è tuttora inedito, e si con- 
serva nell'Archivio comunale di Pola. Il Benussi ne diede per primo 
qualche notizia nella 'ua opera Nel medio evo. Lo Statuto del 1641 circa, 
pubblicato dal Kandlcr [.Trieste, 184$) t una traduzione dei precedente, 
con poche modificazioni ed aggiunte. 

*) Benussi, op. cit. pag. 714, nota Saft, 

») Pertilk, Storia del diritto italiano. II ediz. Voi. II Par. I, pag. 

133 (nota 303), — D'Arco, Studi intomo al Municipio di Mantova. II, 

134 e seg. — Frizzi, Memor. per la stor di Ferrara. II, 387. — Per il 
significato della parola credenlia e per l' identità del Consiglio di cr^ 
denza col Consiglio minore cFr. Muratori. Antìquitates italicae medti 
aevi, Dissert. Lll T. XI, e. iit e seg 

*) Statuto del 1431 : Statuimus et ordinamus quod fìat unum con- 
silium credentie in quo ainl numero decem .... Cum quibus sapiett- 
/tfrusdominus Comes cumsuis consuiibus poseit habcr» consilium quan- 
do ei8 videbitur cum luerit nccesse .... (Benussi, op. cit. pag. 714, nota 
536}. Statuto del 164 r : Che nessuna parte possa esser posta al Generale 
Consiglio, se prima, per tre giorni avanti, il Consiglio (f la parte) da 
farsi non se disputa nel Consiglio de Credenza, et in esso si pigli essa 
oarte). — (Statuti municipali della città di Pola, pag. 33). 



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a nome di tutto il Comune, la licenza di eleggere qualche 
gentiluomo probo e idoneo in podestà e rettore. Avutone l'as- 
senso, che di risola non mancava mai, il nunzio faceva il 
nome dell'eletto, che il patriarca confermava senz'altro, rila- 
sciandogli analogo diploma i). Come si vede, la limitazione 
imposta in questo riguardo al Comune di Pola, e similmente 
anche agli altri Comuni dell' Istria, si riduceva ad un atto di 
pura formalità. 

Il podestà era ad anno, e percepiva uno stipendio fìsso 
oltre l'alloggio franco; doveva però condur seco, pagandoli 
del proprio, alcuni famigliari e ufficiali, tra cui un vicario giu- 
risperito. Neil' esercizio delle sue funzioni egli era assistito da 
una giunta di tre e poi quattro assessori, chiamati consules o 
consiliarii, eletti per quattro mesi in seno al Consiglio generale, 
fra i più istrutti e influenti membri del medesimo ^). 

Il podestà, come capo supremo del Comune, aveva la fa- 
coltà di convocare i Consigli, ogni qual volta lo riteneva op- 
portuno, e di presiederne le adunanze, nelle quali poneva a 
discussione e votazione le proposte dj governo da lui in prc- 



') Bianchi, Documenti per la storia del Friuli, Udine. 1845. 
A. i3i8, 36 novembre, Udine: Accedens ad presentiam D. Patriarche 
Johannes Subtilis de Pola Sindicus et procurator Capitanei et Untver- 
sitatis Polensis . . . supplicavit dicto D. Patriarche, ut sibi, procuratorio 
nomine eupradicto, dignaretur concedere, quod possot clìgere Potesta- 
tem et Rectorem de Civitate, qui D, Palriarcha hujusmodi licentiam 
concessit eidem. Qua sìbi data, Christi nomine invocato. Nobìlem virum 
d. Geoi^ium Basilium de Veneliis in diete Civitatis Potestatem et Rec- 
torem elegit. Quam electioncm dictus D. Patriarcha.,.. confirmavit, conce- 
dens sibi litteras etc. CFr. gli analoghi procedimenti usati in questo ri- 
guardo dai Comuni dì Montona e di Muggia nel i358 e dal Comune dì 
Parenzo nel i365. (Cod. dipi, istr.) Ai Capodistriani il patriarca Grego- 
rio concedette de gratta speciali nel i355 (7 ma^io) di scegliersi a po- 
destà ^wtncHtnque voluerint. 

^1 Degli altri ufficìah indìgeni ricorderemo i notai, che rogavano 
gli atti pubblici; il caiievario o massaro, che incassava, custodiva ed 
erogava il danaro del Comune; i procuratori, che vegliavano alla con- 
servazione dei beni e degli interessi comunali; i gì Ms^ùùri. che legaliz- 
zavano i pesi e le misure ; i preconi, ossia pubblici banditori ; 1 merighi 
delle porle, ossia' capi dei rioni ecc. 



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— 3i3 — 

cedenza formulate d' accordo coi consoli. Investito del potere 
esecutivo, metteva ad effetto i deliberati dei Consigli ; sorve- 
gliava inoltre V andamento dì tutta l'azienda comunale, e man- 
teneva l' interna tranquillità e sicurezza del paese, cercando 
di sedarvi le discordie e di combattervi le fazioni. Alla fine 
dell'anno di reggimento, la sua azione u0ìciosa veniva assog- 
gettata ad un rigoroso sindacato. 

Riguardo all'esercizio dell'autorità giudiziaria, che era 
una delle principali sue attribuzioni, crediamo che, oltre alla 
direzione del Tribunale del Comune, egli avesse qualche in- 
gerenza anche nel Tribunale della Regalia, partecipando alla 
ricognizione delle rispettive cause, se non al loro risolvimento. 
Sembra che sotto Gregorio da Montelongo la magistratura pa- 
triarcale venisse staccata anche in Pola da quella comunale 
per formare, come nelle altre città dell' Istria un istituto a 
parte, il cosidetto Uflicio della regalia {Offidum regaliae), retto 
da un castaldìone e dipendente direttamente dal governo cen- 
trale d'Aquileia. I membri di questa magistratura erano però 
tutti o quasi tutti cittadini polesi. e come tali partecipavano 
ai Consìgli e agli uffici del Comune, risultandone che fra le 
rappresentanze de' due poteri regio e popolare, seguitò a per- 
durare una specie dì accomunamento. 

Nell'ultimo periodo del governo di Gregorio e nella suc- 
cessiva vacanza della Sede patriarcale, i Polesi si eleggevano 
di solito podestà veneti. Ma nel 1271 la Repubblica vietò ai 
propri sudditi l'accettazione di tali cariche nelle città istriane, 
forse credendo con ciò d' indurre queste a dedicarsi a lei più 
sollecitamente >}. Se non che, tre anni dopo, modificò la proi- 
bizione nel senso, che le città dell'Istria e del Friuli, le quali 
desiderassero togliere un podestà un capitano da Venezia, 
potessero bensì ottenerlo dalla Signoria, ma alle medesime con- 
dizioni imposte alle terre di S. Marco ^. La quale risoluzione. 



■) MlNOTTO, Acta et diplom I, 137. — Però ciò non impedì ai Po- 
lesi di cliiamare. net luglio di queir anno, un podestà da Venezia, che fu 
Nicolò Quirini (Atti e Mem. Vili, 78), magistrato esperto e riputatiasi- 
mo, già podestà di Chio^ia nel 1360, di Mantova nel 1161 e di Pisa nel 1371. 

*> MiNOTTO, Ibid. I, 139. 



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-3.4 - 

per il fine politico a cui tendeva, non poteva riuscire gradita 
al Governo d'Aquileia, e difatti il patriarca Raimondo della 
Torre, appena preso possesso de' suoi Stati, inibì severamente 
ai Comuni istriani di scegliersi a podestà cittadini veneti >). 
D'allora, alla reggenza di Pola furono assunti per lo più no- 
bili del Friuli o di Padova o della Marca Trivigiana, non escluso 
qualche Tornano della illustre famiglia lombarda riparata, dopo 
le infauste lotte coi Visconti, alla Corte patriarcale d'Aquileia !). 
La carica podestarile non era ritenuta sempre indispen- 
sabile al regolare e completo funzionamento del governo co- 
munale; talora il Consiglio rinunciava per uno e anche per 
più anni di seguito all'assunzione del supremo magistrato, 
a0ìdando invece la somma dei poteri al Collegio de' consoli. 
Ciò avveniva di solito o per la di0ìcoltà di trovare un adatto 
rettore, o anche per semplici viste d' economia ; ma in Pola, 
ove le vacanze podestarili compariscono più di frequente che 
altrove, la principal causa ne andrebbe ascritta alle tendenze 
e cure de' Castropola di esercitare da soli, alla testa del Con- 
solato, la suprema autorità. Giacché lo sviluppo autonomo del 
Comune polese non valse a ostacolare gran fatto il consolida- 
mento della potenza de' Castropola, che seguitarono a spiegare 
un' influenza straordinaria sulle sorti della loro città. Mentre da 
un lato essi fungevano da rappresentanti e patrocinatori del Go- 
verno patriarcale, tenendo agìdata di solito la direzione dell'Ugì- 
ciò della regalia, dall'altro assumevano, con l'allargare la cerchia 
dei propri aderenti e partigiani, un'ingerenza sempre maggio- 
re nelle cose del Comune, fino ad esercitarvi, in sullo scorcio 
del secolo XiU, una quasi incontrastata supremazia. 11 loro 
principale campo d' azione era il Consiglio generale, il quale, 
pur ripetendo le sue origini dal Parlamento popolare, andò 

1) Manzano. Annali, III, loo cit. Nicoletti. 

'] Nel 1394 era podestà di Pala Martino della Torre — figlio di 
Cassone e pronipote del patriarca Raimondo — che l'anno prima ave- 
va occupalo la podesteria di Maggia, e più tardi, ritornato in Lombar- 
dia, fu eletto capitano del popolo in Como, ove si difese bravamente, 
nel i3o3, dalle genti di Matteo Visconti. Martino ebbe in Pola quale vi- 
cario il nobile cividalesc Guglielmo di Scarletlo. già castaldione in pa- 
tria negli anni 1376, 1380 e iiSi- 



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— 3i5 — 

prendendo un po' alla volta, come osservammo, un carattere 
aristocratico, e venne alla fine a constare di un numero limi- 
tato di persone scelte unicamente fra gli ottimati del paese. 
L'aristocrazia comunale polese sorse precipuamente dal ceto 
dei magistrati, e già nel 1243 non solo il podestà della regalia 
e i consoli, ma anche i merighi delle porte venivano intitolati 
nobiUs viri. A questo patriziato indigeno si aggiunsero in se- 
guito alcuni piccoli feudatari del contado venuti a stabilirsi 
in città, inoltre non pochi u0iciali e fautori patriarcali di altre 
terre dell'Istria, già passate sotto il dominio veneto, i quali, 
rifugiatisi in Pola e postisi sotto la protezione de' Castropola, 
di cui accettavano la causa, trovarono facile accesso nel Con- 
siglio generale. Si capisce come, dipendendo dal Consiglio 
tutto l'organismo del Comune, i Castropola, che in quello go- 
devano tante aderenze Qd una posizione assolutamente privile- 
giata, trovassero facile modo di attribuirsi le più alte cariche, 
in ispecìe te consolari, o almeno di far eleggere alle stesse 
persone di loro piena fiducia '}. Cosi essi potevano dare alla 
politica comunale quel!' indirizzo che alle loro mire ambiziose 
appariva più confacente, preparandosi la via a) potere assoluto. 
Fola traeva allora il principale incremento di lucro dalla 
negoziazione marittima, che dava sfogo ai prodotti agricoli 



') Il dì 8 luglio del 1371 il Consiglio poleae si radunò nella Chiesa 
della B. V. del Canneto per procedere alia nomina d' un ambasciatore 
da Inviarsi al decano e al capitolo d' Aquileìa (essendo allora vacante 
la Sede patriarcale), onde conseguire il permesso d'elezione d'un nuovo 
podestà, scadendo l'anno di rettorato di Nicolò Quirini. Nella procura 
rilasciala al nunzio, fra i dodici consiglieri astanti figurano, al posto d'onore, 
non meno di sei Castropola, cioè tutti gli uomini adulti della famiglia : 
Prtsentibusd. Monjlorilo, Clicerio, Nassinguerra el Sergio fratrihtis, Bonifa- 
cio et Arthenio (o Varnerio ?) fratribus eie. (Minotto, Documenta, negli 
Atti e Mem IX, 78). — Nel 12S5 1' ordinanza del procuratore patriarcale 
per l'Istria Cino Diotisalvi contro il console veneto di Pola fu diretta 
ai signori elisoli (recte Clicerio), et sociis consuliòus Fole, ac Nassinguerre 
el Consilio diete Civilalis. (Thes. Eccl. Aquil. N. 5o8). Ciò dimostra che 
in quell'anno, mancando il podestà forestiero, tanto il Colico dei con- 
soli, che il Consiglio erano presieduti da due .Castropola, ai quali lo 
stesso patriarca riconosceva una preminenza sui loro colleghi. 



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— 3i6 — 

dell'ampio suo territorio. La vita economica del paese andava 
prosperando, in virtù dell' operosità industre degli abitanti, che 
cercavano di estendere le loro relazioni d'affari, oltre che ai 
porti dell'Istria e del Friuli, anche a quelli della Dalmazia, 
della Marca d'Ancona, della Romagna, della Puglia, e persino 
del lontano Egitto. Fra i principali oggetti del suo tragico no- 
teremo il vino, l'olio, le granaglie, il sale, il legname e la 
pietra. 

Ma Venezia, intesa a concentrare in sé tutto il commercio 
dell'Adriatico e del Levante, gravava di balzelli le merci e 
faceva incetta del grano e del sale, di cui si attribuiva una 
specie di monopolio; poi cominciò a frapporre ostacoli alla 
libera navigazione, emanando quelle famose leggi, giusta le 
quali tutti i legni mercantili che veleggiavano il Golfo, dove- 
vano pagare un diritto di passaggio non solo, ma portarsi a 
Venezia, allo scopo di far quivi stimare le mercanzie del loro 
carico, e soddisfare la dogana >). 

I Bolognesi e gli Anconitani, più gravemente colpiti da que- 
ste imposizioni, tentarono di sottrarvisi, dando persino mano 
alle armi ; non cosi i Polesi, che preferirono di ristorarsi de' 
danni con la pratica del contrabbando, del resto abbastanza 
rischioso per le severe misure di prevenzione e repressione 
state ben presto adottate contro di esso. Sembra tuttavia che 
i Polesi si mostrassero molto destri nel deludere la vigilanza 
dei Veneti, se questi stimarono opportuno di decretare l'instì- 
tuzione a Pola d'un Consolato (4 maggio 1284), principalmente 
onde porre un freno ai numerosi contrabbandi che impune- 
mente vi ai commettevano, ma anche per ovviare alle ripetute 
lamentanze dei sudditi veneti colà residenti, di non godere il 
trattamento di favore al quale, in forza degli antichi accordi, 
avevano diritto ^. Però in causa delle condizioni anormali in 



') Sakdi, Storia civile della Repubblica di Venezia li, 675 e seg. 
— ROHANiN, Storia documentata di Venezia. II. 197. 

*) MiNOTTO, Acta et diplom. I, i5a. Occasione multorum contra- 
bannorum que Bignificatum est nobis fieri per aliquos de partibus Pole, 
tam salis quam aliarum rerum, occasione multorum oblìguorum el de- 



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-3r7- 

cui si trovava allora l'Istria, conseguentemente alla guerra della 
Repubblica col patriarca, questa deliberazione non fu mandata 
ad effetto che più tardi, cioè nell' agosto dell'anno successivo. 

Il console, cui fu assegnato l'annuo salario di 3oo lire, 
restandogli inibita ogni operazione di tragico '), era tn obbligo 
di sorvegliare 1' uscita e l'entrata delle navi mercantili, opporre 
il marchio alle merci destinate a Venezia, e riscontrare quelle 
che da Venezia venivano importate a Pola. Doveva tutelare 
gì' interessi della colonia veneta, garantendo alla stessa com- 
pleta sicurezza personale e degli averi e ampia libertà di ne- 
goziare. Ma, come sappiamo, la convenzione del 1145, ricon- 
fermata nel 1343, assicurava ai Veneziani in Pota altri speciali 
privilegi, tra cui di non poter essere giudicati che secondo le 
leggi venete da un magistrato delegatovi dal doge. In base a 
questa prerogativa, già lasciata cadere per lunghissimo tempo 
in disuso, il console veneto di Pola fu rivestilo anche dell'au- 
torità giudiziaria tanto per gli affari civili che criminali, esclusi 
però quei casi di maggiore entità, richiedenti la pena del san' 
gue, dei quali egli istruiva soltanto i processi per inoltrarli 
alla magistratura di Venezia, cui andavano pure dirette le ap- 
pellazioni ^). 11 console inviava periodicamente le sue relazioni 
sul governo interno della colonia al doge e ai pregadi, che ne 
riferivano al Consiglio; egli sì manteneva in continuo contatto 
col capitano del Golfo e col capitano della riviera d'Istria, al 
di cui aiuto poteva ricorrere in qualunque bisogno 3). 

La Comunità veneta di Pola, avente un carattere quasi 



fectuum que (ìunt nostris venetis, capta fuit pars quod debeat illuc 
mitti unus consul cum ilio capitulari et cum ilio salario quod vide- 
bitur. 

') MlNOTTO. Ivi. I, l54. 

') Il console, allorché sedeva prò trì>,unaU, era assistito da due o 
più giudici, scelti da lui medesimo fra i membri della colonia. Nel iSiy 
gli venne assegnato un nodaro stabile, con 35 soldi de' grossi di sala- 
rio. (MiNOTTO, Documenta A. e M. XI, i35 

'J PtRTiLE, Storia del diritto ital. II. ediz. Voi VI, Par. 1, pag. i3i e 
seg. — CFr. Carabellese, Le relaz. commer. fra la Puglia e la Repubbl. 
di Venezia. Trani, 1897-98 



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— 3i8 — 

esclusivamente commerciale, era ordinata sulla medesima fog- 
gia delle colonie italiane stabilite nelle città del Levante >) ; 
essa occupava uno speciale quartiere alla riva, presso la porta 
di S. Maria del Monastero, ed aveva, oltre il proprio foro, anche 
la propria chiesa dedicata a S. Marco Evangelista, ed ogìciata 
da sacerdoti veneti dipendenti direttamente dal vescovo di 
Venezia ^. Essa costituiva come un minuscolo Stato nello 
Stato, una specie di cuneo che feriva nel cuore il Comune 
polese, ma che soprattutto ledeva le ragioni d'alta sovranità 
del patriarca d'Aquileia. Il quale, uscito appena da una guerra 
sfortunata coi Veneziani, non sentendosi in animo d'implicanìi 
così tosto in nuovi conflitti pericolosi, pretese che i Polesi 
assorgessero da soli in difesa delle prerogative della sua Chiesa, 
e a tal fine li esortò, a mezzo del suo procuratore generale per 
l'Istria, il fiorentino Gino Diotisalvi, di impedire al console 
veneto l'esercizio delle sue funzioni, e di non permettergli 
neppure la permanenza in città qualora non rinunciasse al 
suo U0ÌCÌO '). Ma questi suoi ìnstigamenti a nulla giovarono, 
slantechè i Polesi non erano disposti a provocare così alla 
leggera le ire dei Veneziani, tanto più sapendo che gli stessi, 
delegando un proprio console in Pela non avevano fatto che 
richiamare in vigore un antico loro privilegio. Allo incontro 



Ecco alcuni nomi di consoli veneti in Fola, con gli anni del loro 
consolato: A 1199. Marino Memo; i3o3-i3o3, Vcronico de Fontana; 
i3o8-i3o9, Damiano Capello ; i3i7-i3i8, Giovanni Sacredo; iSio, Angelo 
Barozzj (eletto, rifiutò la carica per timore della malaria di Pela; andò 
invece capitano della riviera d'Istria), i330~i3ii Andreolo Foscarini. 

') Hbyd. Le colonie commerc. degli Italiani in Oriente. Venezia e 
Torino, 1866-1868. 1, i53 e seg. 

*) Nel i3a4 (sa maggio) il Senato veneto esentò dal dazio un cari- 
co di legname che II veneziano Marco da Treviso, domiciliato in Pola. 
fece trasportare quivi per riparare ecclesiam S Mard de Pala, que officia- 
tur per nostros venelos (Minotto, Docum A. e M. XIH 16) 

") Thes. Eccl. Aquil. N. 5o8. — Del resto molto prima che in Pola, 
i Veneti avevano istituito propri consolati, con identiche attribuzioni, in 
alcune terre patriarcali del Friuli, come in Aquileia ed in Portogruaro, 
dove però i rispettivi u0ìciali venivano intitolati, anziché consoli, vice- 
domini o daziari. Cfr. Degani. Il Comune di Portc^ruaro, pag 71. 



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- 3i9- 

risulta, che tanto in quello, come negli anni susseguenti, le re- 
lazioni fra Pela e Venezia si mantennero abbastanza buone, nono- 
stante il rincrudire delle lotte fra la Repubblica e il patriarca 
Raimondo, strettosi in lega col conte Alberto di Gorizia. Anzi, 
nel 1391,1 Polesi iniziarono delle trattative allo scopo di pre- 
servare il loro territorio dalle molestie e dai danni della guerra. 
Essi affermarono in queir incontro che le ville della regalia, 
cioè Bagnoli, Medolino, Dignano, Pudezano, Curano, Gallesano, 
Paderno, Lavarigo e Sissano, appartenevano al loro Comune, 
forse per averle i Castropola tolte in agìttanza dal patriarca ; 
e, impegnandosi con una malleveria di 3ooo lire di non dare 
entro le stesse rifugio né altrimenti aiuto alle soldatesche pa- 
triarcali e goriziane, chiedevano in cambio che venisse sospesa 
qualunque operazione delle armi venete nella Polesana '). 

Il Governo di S. Marco, pur mostrandosi inclinato a fa- 
vorire ì Polesi, non credette opportuno di scindere dalla causa 
comune della guerra una città patriarcale, quasi riconoscendole 
una completa indipendenza. Per cui, nell'agosto del 139J, i 
Veneti penetrarono nell'agro polese, occupando le terre della 
regalia ; ma in atto di speciale deferenza verso i Castropola, 
restituirono loro le due ville di Sissano e Turciliano, alla con- 
dizione che le riconoscessero dal doge, cui, anziché al patriarca, 
avrebbero offerto per l' innanzi la dovuta annua prestazione 
di cento modi di frumento *}. Ma poco di poi (11 novembre), 
fu conchiusa in Treviso la pace, in seguito alla quale i Vene- 
ziani dovettero rinunziare a tutte le loro ultime conquiste in 
Istria, quindi anche al contado polese, che ritornò sotto la 
giurisdizione d'Aquileia. 

Pola seguitava a porgere alia Repubblica la solita contri- 
buzione bellica di navi armate, partecipando a tutte le di lei 
maggiori imprese marittime. Associò in particolare il suo nome 
a quelle epiche lotte secolari combattute fra Venezia e Genova 
per il primato sul mare. 11 dì 7 settembre del 1298, presso 
Curzola, dove i Veneti subirono una delle rotte più disastrose 

U MiNOTTO, Acta et diplom 1, 174 e i8j-i83. 
») MlMOTTO, Ibid. 1, 18S-186. 



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— 320 — 

che la storia dì quei tempi ricordi >), i Polcsi perdettero una 
galea, allestita per incarico del loro Comune da Nascinguerra 
di Castropola di'lto Fiorella ; de' rematori e soldati che com- 
ponevano l'equipaggio della nave, non uno solo potè salvarsi <). 
Eppure, riesce doloroso il constatarlo, a tanti sacrifizi di 
sangue e di danaro, a tante prove di docilità e devozione, 
male corrispondeva Venezia, cui la renitenza de' Polesi ad as- 
soggettarsi al di tei dominio suscitava gelosi sospetti ed esa- 
gerate inquietudini. Dopo la battaglia di Curzota, l'Adriatico 
rimase per più tempo quasi in balia de' Genovesi, che vi fa- 
cevano continua crociera, minacciando le città littoranee della 
Dalmazia e dell' Istria; e, ne' primi mesi del 1399, essi spinsero 
il loro ardimento al punto d' avventurarsi a salire con due 
soie galee il Golfo sino all'altezza di Malamocco ^ Sembre- 
rebbe inoltre che giusto in quel tempo i Polesi avessero a 
temere un altro più diretto attacco da parte di qualche vicina 
città marittima ; sta il fatto che, nel maggio del 1299, essi die- 
dero mano a rialzare e completare la loro cinta murale sulla 
riva, munendola di più valide opere di difesa *). Se non che 



■) Caro, Genua u. die Machie am Mittelmeer. Halle, 1899 II. sSt 
e s^. 

") In una supplica presentata, nel i367, al doge e al Senato veneto, 
da Francesco del fu Sergio Castropola e da Fiorella di lui nipote, si leg- 
ge: Nam domìnus Forella proavus eomm (dei due petenti) mìsit ad ar- 
matam vestram Curzole unam galeam armatam de qua nullus rediit, 
quia omnes perierunt prò defensionc honoris vestri. (Senato Misti - Co- 
se dell' Istria. Atti e Mem. V, 3o). 

•) DAr4DULi, Chronicon (Addìtio), 408. — Cfr : Caro. Genua, II, 
J55-356. 

*) Nella prima promissione fatta dai Polesi al doge, in data 9 fet>- 
braio del i3oo, dì voler abbattere, a di lui beneplacito, la parte nuova 
delle mura, 6 detto di questa riedificazione > que ttoviter facta fuil 
super muris versus mare per homints Pale, aceasione iusla qué Communi 
Fole tutte tempore occurrerat, viddket sub anno 1399 de mense maii. (Mi- 
NOTTO. Acta et diplom. I, 47). È noto che già nel marzo del 1199, 
per intercessione di Mattea Visconti signore di Milano, furono iniziale 
fra le Repubbliche di Genova e Venezia trattative d'accordo, che ap- 
prodarono alla pace del 33 maggio. (Caro, op. cit. pag. 35&-a59). Ed 



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— 321 — 

i Veneti, allarmati da tale bellico apprestamento, che forse so- 
spettavano potesse essere rivolto o rivolgersi in seguito contro 
di essi, accusarono il Comune polese di trasgressione agli an- 
tichi patti, intimandogli il subito smantellamento di tutte le 
nuove fortificazioni. Soltanto in seguito alle doglianze e pro- 
testazioni dei capi del Comune (era allora podestà di Pola il 
patrizio veneto Giovanni Soranzo, divenuto più tardi doge), 
che rilevarono i continui e gravi rischi e le crudeli apprensioni 
a cui veniva condannata la città, resa impotente a resistere 
non solo agli avversari di guerra, ma persino ai ladroni del 
mare, la Repubblica recedette dalla sua primiera ingiunzione, 
concedendo ai Polesi la temporanea conservazione delle loro 
mura, al patto che si obbligassero in iscritto a demolirle entro 
quindici giorni ad ogni richiesta del doge, a scanso d'una 
penale di mille lire de' piccioli '). I Polesi aderirono a ciò di 
buon grado, però, avendo nella estensione del relativo (stru- 
mento impegnativo evitato di precisare le clausole dell'acco- 
modamento, furono richiamati alle loro promesse, e dovettero 
inviare al doge Pietro Gradenigo una nuova ed ìntegra scrit- 
tura, accompagnandola con una lettera di scusa (i3 giugno i3oo), 
in cui il podestà Giovanni Soranzo cercò di scagionarli d'ogni 
accusa e sospetto di frode <). 



anche prescindendo da ciò, b poco probabile che i Genovesi scorrazzas- 
sero indisturbati l'Adriatico ancora nell' aprile e nel maggio, quando t 
Veneziani avevano avuto tutto l'agio di armare una nuova flotta, giusta 
la deliberazione presa dal Maggior Consiglio subito dopo la battaglia 
di Curzola. 

') MivoTTO Ibid I, 47-t8 e Cod dipi isir. 

*> MiNOTTO, Ebid. I, 5i, e Cod. dipi- istr. A. i3oo, i3 iunii. 



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CAPITOLO III. 



Fola nel Trecento — Le mura e le porte — !1 castello — Il palazzo 
del Comune — Il convento e la chiesa di S. Francesco — I rioni 
della città e le disposizioni di vigilanza e custodia militare — Con- 
tinuazione della genealogia de' Castropola: i figli di Nascinguerra II, 
di Sergio e di Glicerio — Nuovi privilegi patriarcali da essi otte- 
nuti — Conflitto tra il Comune polese e il vescovo Oddone — Moo- 
fiorito da Codcrta podestà di Pola — DiisidT civili: le rivalità fra 
i Castropola ed i lonatasi a cagione del feudo Morosini — Orìgine 
del Capitanato e della Signoria polese — Confronti con altre Signo- 
rie d' Italia — Duplice derivazione di poteri nella famiglia Castro- 
pola — Pietro eletto a rettore del Comune — Viene investito, 
insieme al cugino Fiorella, dell' U^icio della Regalia patrìarcale — 
Parallelo fra il Capitanato generale polese e i Vicariati imperiali 
di Lombardia — Costituzione intema della Signoria — 1 Castro- 
pola nelle loro relazioni coi Veneziani — Partecipazione dei Polesi 
all'assedio di Ferrera. 



Ne' primordi del Trecento, Fola occupava, con l'ampio 
giro di mura, quasi l' intero perimetro della città romana, 
benché, per il considerevole dtminuimento della sua popola- 
zione, l'abitato fosse andato restringendosi più verso la riva. 

Adagiata sul p>endio dell'antico colle capitolino, con la 
fronte rivolta al magnifico porto, chiuso fra due lunghi bracci 
di terra e l' isole Brioni, e seminato di verdi scogli, su cui 
spiccavano numerose chiesuole conventuali e cappelle votive, 
vedeasi ergere ai lati, poco fuori delle mura, i due maestosi 
segnacoli della sua grandezza passata; a destra l'Arena e a 



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sinistra il Teatro, quasi integri entrambi, portanti appena le 
prime tracce dell'opera distruggitrice del tempo e degli uomini. 

La cinta murale, di forma poligonale, molto alta dalla 
parte di terra, era munita di spesse torri quadre e rotonde, e 
coronata di merli guelfi. Sino alla guerra del 1242, quando^ 
ad opera de' Veneziani, vennero in gran parte abbattute, dieci 
porte davano accesso in città; più tardi, cioè dopo il rialza- 
mento delle mura verso il mare, nel 1399, il loro numero fu 
limitato a otto soltanto. Le quali avevano i seguenti nomi : 
de Domo, di S. Maria del Monastero (poi Monaslera), Slovagnaga, 
Barbaria, di S. Maria del Canneto {poi Abbadia), di S, Giuliana, 
Carata (poi Sata), e di S. Giovanni i). 

Dalla vetta del monte capitolino dominava l' intera città 
il poderoso castello, di forma elittica — la cui asse maggiore 
misurava metri 146, la minore metri 128 — rafforzato di 
quattro grosse torri s). Era suto eretto, a quanto pare, dai 



■) Veramente, a. quanto ci è noto, soltanto cinque nomi di porte 
della città compariscono nelle poche scritture medioevali riferenlisi a 
Pota, cioè: de Doma, Stovagnaga, Caracta o Carata, S. Mariae de Canaio, 
e 5. Mariae de Monaslerio. La fìjrla Carata, menzionata ripetutamente 
in documenti dei secoli XII e XIII, non può essere che quella a tre 
Tdlte, già esistente presso l'Arco de' Sergi, detta volgarmente sino a' di 
nostri Porta Rata, voce questa che, sulla fede dell'anonimo autore dei 
Dialoghi sulle antichità di Pola, si volle impropriamente far derivare 
. da aurata. 

*) Nel sigillo di Nascinguerra detto Fiorella, illustrato dal vescovo 
Negri, si osserva lo scudo araldico con l'insegna gentilizia de' Castropola 
contornato da un doppio giro di mura, l'interno dinotante la cinta del 
castello, e l'esterno la cìnta della città, a manifesto sìmbolo di supre- 
mazia signorile. 11 castello vi è ra0ìgurato in pianta, con quattro torri 
soprastantì a quattro porte, precisamente come venne descritto quasi 
tre secoli più tardi dall'autore dei Dialoghi: < In questo Castello eran 

■ tre torri, et forsi anco quattro per haver proportione colle porte che 

■ quattro state sono per poter soccorrere da fianchi, et da ogni parte in 
>la occorrenza della guerra; piucchè le due verso la città assicurano 

• da marina; et l'altre le parti di sopra, et le pendici, vagheggiandosi 

• una col Zaro e Porta Rata, l'altra con Porta S. Giovanni et l'Anfi- 

■ teatro» (pag. 79I. Anche ii De Ville, che ne rilevò le misure nel i63i, 
ci lasciò un cenno di questa rAcca, di cui pochi avanzi più allora du- 



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- 3m - 

vescovi, nel tempo in cui ebbero il dominio di Pola ; poi 
passò in proprietà dei patriarchi d'Aquilcia, che lo cedettero 
ai Castropola, i quali, dopo averlo convenevolmente riattato, 
vi fissarono la loro residenza. 

Esso univa alla sicurezza della difesa tutti i comodi dì una 
dimora signorile, comprendendo nel suo ampio recinto diversi e- 
difìzi separati: case con sale e camere d'alloggio, magazzini e stal- 
laggi; inoltre una grande conserva sotterranea d'acqua viva, e una 
chiesuola, a tre navi, che supponiamo consacrata a S. Vito •)■ 

Questa rócca subì, ne' secoli, varie vicende, essendo stata 
la prima volta nel i335, durante la guerra di Venezia col pa- 
triarca Bertrando, in gran parte abbattuta dagli stessi cittadini 
in odio ai Castropola, di cui paventavano il ritorno % Forti- 
fìcata alla meglio qualche tempo dì poi'), fu nel i379 guasta 
dai Genovesi ; quindi, posta di nuovo in istato di difesa nel 
1412, al tempo della invasione degli Ungheri '), decadde nel 
secolo successivo e rovinò quasi completamente. L'anno 
t63o, per ordine del governo della Repubblica, un architetto 
militare francese, il cavaliere Antonio Deville, la ricostruì dalle 
fondamenta in corrispondenza alle esigenze della perfezionata 
arte guerresca ']. 

ravano: ■ In medio huius civitatis dementer asBurgit Collis centum 

■ sopra maria planumpedibus devatus. Hic situm quondam civitatis Ca- 

■ stellum; restai adhuc ambitua muri circa terram, quae planitiem bcit 

■ in vertice, supra quam, qui erat, dcstructus est. Forma licet deformia ad 
<ovatam accedit, cuiua longior diametcr passuum octua^nta quatuor, 

■ brevior septuaginta quatuor. Turrea aliquac semidirutae aegre adhuc 
• Btabant, non ob vctustatem, aed ob malam structuram ctc. (Descriptio 

■ portus et urbis Polae >, pag. la). 

') Nel i3ii (9 gennaio) il Senato veneto diede licenza a Fiorella 
de Castropola di introdurre in Pola quattro mila tegoli prò eccUsia S. Viti 
de inde (Minotto, Documenta. Atti e Mem X, 366). 

*) Senato Misti. — Cose dell'Istria; i335, 19 marzo; 1339, i3 set- 
tembre; 1340 m. v. 18 gennaio (Atti e Memorie della Soc. Islr. T. III. 
pag. J41, a58, a66). — Vedi anche la Relazione del provveditore Marino 
Malipiero nelle Notizie stor. di Pula, a pag. Su. 

*) Cod. dipi. Ì8tr. 1348, 7 febbraio. 

*) Senato Misti, — 141 1 m. v. 14 gennaio (Atti e Mem. T. V, pag. 314). 

') Devillc, op cit. pag. 13 e scg. 



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— 3a5 — 

Nel mentre i Castropola, preso possesso del castello, rì~ 
volgevano il pensiero e l'azione ad afferrare il supremo potere, 
fu posto mano alla costruzione del sontuoso palazzo del Co- 
mune, che dovea essere (ma falli il segno) simbolo e palladio 
della libertà cittadina. 

Sino allora la rappresentanza comunale non aveva avuto 
una propria sede stabile. Il Parlamento popolare, ossia l'A- 
rengo, veniva convocato all' aperto in una delle pubbliche 
piazze ; cosi pure in orìgine il Consiglio maggiore, il quale 
però più tardi tenne stabilmente le sue adunanze nella chiesa 
della B. V. del Canneto, mentre il consolare si raccoglieva ìn 
qualche abitazione privata, di solito nella casa del podestà. 

Il palazzo fu costruito sotto il reggimento del giurisperito 
padovano Bartolomeo de' Vetrari o Verari i), già podestà di Civi- 
dale nel 1370 e per tre volte vicario in Belluno, negli anni 1374, 
1282 e 1287*); mentre più tardi, cioè nel i3oi, occupò la 
podesteria di Vicenza 3). L'anno del suo rettorato in Fola 
andrebbe posto, giusta il tenore d' una iscrizione lapidaria in 
distici latini tuttora esistente sulla casa del Comune, al prin- 
cipio del dugensessantesimo lustro dopo il parto di Maria, 
quindi nel 1396*). Cavaliere d'alti sensi d'intelletto e di cuore 
erasi proposto in Fola il nobile compito di placare gli odi e 



') I discendenti di Bartolomeo de' Vetrari, lasciato il cognome ori- 
ginario, si denominarono dal castello di Brazolo, di loro proprietà, si- 
tuato nel Padovano, alla riva del Brenta, tre miglia distante da Stra. 
Molti tra essi andarono distinti nelle scienze, specialmente giuridiche, ed 
occuparono importanti cariche pubbliche in patria e fuori; alcuni furono 
lettori allo Studio patavino. Portenari, Della felicità di Padova. Pa- 
dova. 1633, pag. 308. 

') Pellegrini, Serie dei podestà e capitani e dei vicari e giudici 
di Belluno, pag. xo e 31. 

*) PORTENARi, Op. cit. pag. ai3. — Lampertico, Scritti storici e 
letterarii. Firenze. i883. Voi. Il, pag. 370. In Vicenza il Vetraro lasciò 
memoria di sé nella ricostruzione della Porta di Campomarzio. Vedi : 
Statuti del Comune di Vicenza. Mon. stor. Venezia, 1886, pag. 5. 

*) Questa lapide commemorativa, che appare destinata precipua- 
mente ad onoranza del benemerito podestà Bartolomeo de' Vetrari, porta 
la seguente iscrizione in distici latini, già pubblicata in forma alquanto 



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— 3a6 - 

le rivalità fra i cittadini, dando al Comune un nuovo impulso 
di vita lìbera, forte e feconda di opere buone. Crediamo di 
non andare errati affermando che egli promovesse e mandasse 
ad effetto quella riforma degli Statuti cittadini, da noi già 
altrove accennata, sulla base della riorganizzazione de' Con- 
sigli e della Magistratura, con lo scopo evidente di rendere il 
Comune più autonomo, sicuro de' propri diritti, e atto quindi 
a meglio resistere all' influenza soverchiatrice de' patriarchi e 
de' loro principali fautori. 

il palazzo comunale che, come tutti gli ediBzì coevi del 
suo genere, portava a indizio di sovranità giurisdizionale una 
torre, probabilmente addossata al suo lato destro, sorgeva sul- 
r antico fòro romano, a fianco del tempio d'Augusto e sulle 
rovine di altro tempio a questo parallelo e gemello. Era di 
bellissima architettura gotica, ricco di colonne e ornamenti 
marmorei, con un ampio scalone esterno, foggiato a semicir- 
colo, che dava sulla loggia, da cui si accedeva alle sale de' 



scorretta dal Kandlbr neìV Osservatore Triestino d. d. a6 aprile 187 1 N. 95, 
in una epistola diretta al doti. Felice Glezcr, e riprodotta con gli stessi 
errori a pag. i58 e aao delle Notizie storiche di Pola. 

Palavi ■ Vitrei ■ cognominis ■ heres 

. . . patrie - preses - Barttiolomeus - eral 

A ■ partu ■ Marie ■ lustris ■ revoluta ■ ducentis 

Per ■ sexagenum ■ ceperrat • ire ■ dies 

Cum • fabricata ■ fuit ■ domus ■ hec ■ veneranda ■ duorum 

Consilii - sedes ' judicii ' que - locus 

Hec ' duo ' si fuerint ' sensato ' freta ' ministro 

Vix ■ crit ■ ut ■ populum • deserai ■ alma ■ quies 

Unanimes ■ igitur ■ Toveat concordia ■ cives 

Ne vicceant ■ sanum ■ viscera ■ scissa ■ caput 
Il Kandlkr interpretò inesattamente l'iscrizione, ponendo la data 
della costruzione del palazzo nel i3oo, cioè nell'anno in cui si compi, 
anziché in quello con cui principiò il a6o° lustro dell'fira cristiana. A 
meglio avvalorare la nostra a^ermaz io ne osserveremo, che nel i3oo era 
podestà di Pola Giovanni Soranzo, e che in un documento del 9 febbraio 
di quell'anno si fa menzione di una sala nova Cotnunis (forse, da poco 
aggiunta all' edilìzio principale, verso il lato posteriore, o appena allora 
messa in assetto) e non già d' un nuovo palazzo (Minotto. Acta et 
diplomata, I, 47 e Cod. dipi, istr ). 



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— 327 — 

Consigli e ad altri locali di pubblica radunanza i). Dall' epi- 
grafe sopra accennata esso apparisce destinato in origine a 
sede non soltanto della Rappresentanza del Comune, ma an- 
che deirUflìcio della Regalia patriarcale. 

11 nobile edifìzio, divenuto, dopo il i33i, l'abituate di- 
mora del conte veneto, fu incendiato dai Genovesi nel iSyg, 
e riattato l'anno seguente dai cittadini col concorso della Si- 
gnoria ^. Però in seguito, col decadimento di Pela, esso venne 
negletto e abbandonato a segno da precipitare nella metà del 
secolo XVU In totale rovina. Fu ricostruito nel 1Ò97 in quella 
forma in cui attualmente si trova, non conservando che pochi 
avanzi della sua struttura primitiva B). 



1) Dialoghi due ecc. pag. iii-iii. — L'anonimo dice che il palazzo 
gìA al suo tempo (i588} in parte cadente. Tacca testi monianza della 
• magnificenza et generosità de' signori honoratissimi dì quel fortunato 
secolo 1 in cui fu edificato. Anche il provveditore Pietro Basadonna 
(i636} lo descrive idi architettura maestosa per quanto si vede dalle nude 
muraglie d'esso>, mentre il suo successore Paolo Minio (1639) ne ri- 
corda • la famosa facciata >. — Not. stor. di Pola, pag. 406 e 430). 

1} Senato misti. i38i. 39 ottobre (Atti e Mem. Voi. V. pag. ^3). 

■) Già nel i636 il provveditore veneto in Pota Pietro Basadonna 
aveva richiamato l'attenzione del doge e del Senato sul miserevole 
stato del palazzo pubblico • che b per ruinar di momento in moniento>. 
Lo stesso fecero anche i di lui successori Vincenzo Bragadin e Paolo 
Minio, ma senza alcun risultato. Nel 1639 il Senato incaricò il provve- 
ditore di Pola d' informarsi e di riferire guanto costerebbe il restauro 
dell' edifìzio ; e tre anni più tardi commise al conte Antonio Bragadin 
di ^lo riparare. . . qualora la spesa non riuscisse eccessiva I Ed eccessivo 
difattì deve essere apparso il costo dell'opera progettata, giacché non 
se ne fece nulla nt allora ni poi ; e il bel palazzo gotico — la cui fac- 
ciata, con le sue innumerevoli iscrizioni ed insegne gentilizie, pareva 
una gran pagina scrìtta ed aperta agli occhi di tutti, della storia dì 
quasi tre secoli di vita comunale polcse — si afasciò e cadde. 

Su questo avvenimento e sulla ricostruzione del palazzo troviamo 
in appendice allo Statuto di Pola volgarizzato la nota seguente : iL'anno 
i65i 18 luglio giorno dì Santa Sinforosa fu caduta la facciata verso la 
lozza del Pretorio palazzo alle ore 30, e perciò sì minò tutto il palazzo 
restando cosi mìseramente dirocato per il corso d'anni 46, nel qual 
tempo gli fu asportato tutti gli materiali con tutte le pietre della caduta 
razzata, di modo che nella redi[|icazione non si trovò alcuna di quelle. 



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— 338 — 

Degli altri pubblici monumenti sorti in Pota nell'ultimo 
periodo della libertà comunale, ricorderemo ancora il convento 
de' frati minori — del quale si ha sicura notìzia, la prima 
volta, nel i3i4 •) — con l'annessa ampia e magnifìca chiesa 
di S. Francesco, di stile archiacuto, rivestita esternamente di 
pietra squadrata ed ornata di fregi e decorazioni <). È lecito 
supporre che i Castropola abbiano avuto parte nella fondazione 
del convento — che sorgeva sulla pendice del colle, quasi a' 
piedi delia rócca — figurando la loro arme, bandata di rosso 
e d'argento, sulle due bifore della cappella interna, dedicata 
a S. Giovanni, che serviva forse ad essi di sacello sepolcrale, 
mentre nella chiesa avevano già allora, o ebbero più tardi 
le loro tombe le principali casate nobili cittadine, tra cui i 
lonatasi, i Tattari, i Capitani, i de Campo, i Benìntendi ecc. 

La città si divideva in tanti rioni quante v'erano le porle s), 
ad ognuno de' quali stava preposto un capo {maricus pcrlae) 



ma con le relìquie d' una muraglia del convento dell'Abbazia si lece il 
prospetto dalla parte del pergolo, che oggi si vede, e l'anno 1697, con 
parte del consìglio 19 febbraio 1696, furono eletti alla so prain tendenza 
della fabbrica li signori Antonio Sforza et Angelo Rota, due de' citta- 
dini, li quali intrapreso ' l' impiego nel corso di mesi nove si drìzò le 
muraglie del detto palazzo, che poi stagionate fu coperto, et il primo 
rettore che andò ad abitarlo fu l' eccellentissimo sig. Giacomo Bar- 
baro Conte e proveditore ■. ■ 

•) MiNOTTo, Documenta etc- (Atti e Mem Voi. XI, pag. 6). iSi^, 
i3 iunii. Licentia fratribus Minoribus de Convento Pole deferendi Polam 
prò laborerio sui loci milliarìa VII cupporum. solvendo datium con- 
suetum. — Probabilmente in quest'anno fu costruita la chiesa. 

*) Kandlbr, Della chiesa di S. Francesco in Pola. Nell'Istria A. II, 
pag i49-i5o. 

') • Le città venivano divise a quartieri, o a sesti, o a terzi nomi- 
nati da una chiesa ovvero da una porta della città, perchè si chiamassero 
i cittadini alla comune difesa o agli uQìci secondo la loro dimora e si 
seguisse cosi una regola che a tutti si adattasse ad un modo ■ (Lahpkr- 
Tico, Del governo popolare nel sec. XIII). 

Sembra che intorno il ' 400 Pola constasse di soli sei rioni, stante 
che si fa cenno, ne' documenti di quel!' epoca, dei capita sexteriorurtt; 
forse le porte erano già allora limitate al numero di sei, come nel secolo 
XVH, ai tempo del Deville e del vescovo Tommasinì. 



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— 329 — 

eletto annualmente dal Consiglio maggiore con l' incarico di 
tutelare l'ordine e la tranquillità pubblica e di curare la polizia 
e la manutenzione delle contrade'). Tutti gli uomini abili, dai 
iS ai 70 anni, erano tenuti di fare a turno, uno per famiglia, 
la guardia alla porta del quartiere cui appartenevano. 

Un guardiano stabile era destinato alla custodia della 
torre del Palazzo ; egli doveva annunziare con un segno di 
campana il passaggio di ogni galea, e far la notte almeno tre 
volte la chiama delie guardie della città. Era pure suo obbligo 
di battere puntualmente le ore del giorno e di suonare la cam- 
pana ad ogni convocazione dell'Arengo o dei due Consigli ^). 

Le discordie e lotte di parte costituiscono, notoriamente, 
il fatto ordinario e più caratteristico della storia medioevale 
delle città italiane, divise, dì solito, nelle due fazioni de' nobili 
e de' popolari. 

Che Pola già nella seconda metà del secolo XIII fosse 
travagliata da interni sconvolgimenti, lo manifesta l'iscrizione 
lapidaria murata sull'antico palazzo del Comune, la quale con- 
tiene un generoso appello alla pace. < Se un podestà saggio 
reggerà le sorti del Comune — dice a un dipresso la scritta 
— appena è da temersi che il popolo abbandoni la quiete 
benedetta. Che adunque la concordia cementi l'unione fra tutti 



') I capi de' rioni si sceglievano da prima fra i membri del Con- 
siglio; in seguito però, dopo che il Consiglio assunse un carattere spic- 
catamente aristocratico, questa carica come pure quelle dei banditori, 
messi, stimatori e di altri uQìcialì minori furono riservate ai popolari. 

Oltre i maria por tarum, troviamo in Pola, sino al sec. XV e più 
oltre, i maria villarum, come venivano chiamati anche in moltissimi 
Comuni dell'alta e della media Italia, i capi o anziani delle ville del 
Contado. Da maricus (magister vici) derivò il vocabolo marigancia, di 
cui si legge la di^nizione seguente negli Statuti del Comune di Vicenza: 
Marigancia est et ad jus ipsius marigancie pertinet ponere decanos, iu- 
ratos, consiltarìos, canìparios, saltuarios, notali os et ali 09 o^itiales 
necessarios in villis et Tacere guìzas et regulas, et eas exigere etc. 
(Monum. stor. Venezia 1886, pag. a54) Cfr. Du Gange alla voce MarUus. 

*) Statuti municipali della città di Pola. Trieste, 1843, pag. 63. 



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— 33o — 

t cittadini, a01nchè le viscere lacerate della patria non corrom- 
pano il di lei capo sano >. ■). 

I due opposti partiti polesi erano rappresentati l'uno dai 
partigiani, e l'altro dagli avversari de' Castropola. La cui 
casata componevasi allora dei seguenti soggetti, tutti di- 
scendenti di Galvano, cioè nipoti, nati dalla di lui prole ; 
Pietro e Matteo fìgli di Nascinguerra II ; Nascinguerra HI so- 
prannominato Fiorella, per distinguerlo dall'omonimo zio, e 
Glicerio li figli di Sergio I ; Niccolò figlio di Glicerìo I. 

Due soli, però, hanno una speciale importanza per il se- 
guito del nostro racconto, cioè Pietro e Fiorella, come quelli 
che, unitamente a' fìgti, lasciarono una marcata impronta della 
loro individualità piolitica nella storia polese del Trecento: fu- 
rono essi che primi salirono al Capitanato e alla Signoria della 
città. 

Degli altri non ci sono pervenute che scarse notizie, di 
cui diamo qui tosto un breve ragguaglio. 

Matteo si consacrò al sacerdozio, e verso il ia85 divenne 
vescovo di Fola, perdurando in tale carica sino alla sua morte, 
avvenuta nel i3o3^]. Di lui si conoscono i seguenti atti pub- 



') Quest' ultima locuzione sembrerebbe tolta da un brano de! li- 
bro IX (che tratta della Politica) del Tesoro di Brunetto Latini, o più 
V erosimi Im ente — essendo che il lesoro fu scritto appena circa il 1390, 
ed in lingua francese — da qualche anteriore Manuale d' istruzione per 
i podestà sulla foggia delV Oculus pasloralis sive libellus rudiens futurutn 
reclorem popuhrtim, scritto verso il 1333 e stampato dal Muratori nel 
voi. IX delle Antiquìiales italicat. Il Latini, come rilevò il MussaTia (Sul 
testo del Tesoro ecc. pag. 5? e seg). per la compilazione di quella parie 
del suo lavoro, si servi àtXV Oculua, e, senza dubbio, anche di qualche 
altro trattato analogo, di quei tanti che correvano allora per le mani 
dei podestà e rettori di professione. Sì l^ge adunque nel Tesoro vol- 
garizzato da Bono Giamboni (Gap. Ili del libro IX) il seguente. periodo, 
di cui gli ultimi quattro versi della iscrizione polese sono una specie 
di parafrasi adattata alle condizioni locali: "E perciò che '1 signore 
t come capo della città, e cht tutti vomini desiderano d'avere sana la 
testa, e però che quando il capo i infermo tutte U membra sono inferme, 
perciò debbono elli sopra tutte cose studiare eh' elli abbiano tal pastore 
che li mant^na in bene, secondo ragione e giustizia*. 
■) Ughblli, Italia sacra T. V, e. 460. 



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— 33i — 

blici che ne ricordano il nome. Nel 1286 {14 settembre) conferì 
l'investitura del feudo vescovile, già di spettanza della famiglia 
■Morosini, ad Andrea di lonata, cittadino polesc •}, In data 
dell'8 marzo lago delegò da Udine in proprio nunzio e pro- 
curatore generale presso la Sede patriarcale il canonico di 
Aquilcia maestro Gualtiero*). Cinque mesi dopo (i5 agosto del 
1290) il pontefice Nicolò IV gl'indirizzo una bolla incarican- 
dolo di reintegrare il padre Leone nella dignità di abate di 
S. Michele in Monte ^). Nel i agS, al 9 di febbraio, fra' Pietro 
attore (raliocinaior, ragioniere ?) del patriarca Raimondo gli ri- 
lasciò una quietanza per i5 grossi ricevuti a saldo della tan- 
gente dovuta dalla Chiesa polese per le spese di viaggio del 
legato apostolico in Ungheria, e 66 soldi veneti de' grossi, 
quale contributo per l'invio di certi nunzi alla Curia romana*). 
Ricorderemo infine, che il 3i ottobre del 1297 il vescovo 
Matteo concedette indulgenze a chi visitava le reliquie della 
chiesa del Santo in Padova '). 

Chemercè le influenze dell'alto suo grado, in ispecie 
presso la Corte d'Aquileia, il vescovo Matteo cooperasse e0ì- 
cacemente all'incremento morale e materiale della sua famiglia, 
è cosa ben naturate, che i fatti stessi confermano. Fu senza 
dubbio per dì lui intercessione che i Castropola ottennero dal 
patriarca Raimondo quelle prime segnalate prerogative di go- 
verno, che furono la base e il 'princìpio del loro dominio 
in Pola. 

Di Glicerio II, sappiamo soltanto, che nel [33i sì trova- 
va al servigio del patriarca in Friuli «). Egli lasciò un figlio, 
di nome Fulcherio, il quale, come vedremo in seguito, benché 
non partecipasse agli onori e alle cure del Capitanato, fu tra- 
volto, l'anno )33i, nella rovina della sua famiglia. Di Niccolò, 



') L' Istria del K. A. II, pag. 364. — Notizie stor. dì Pola, pag. 369. 
*) Cod. dipi. istr. 
») Ibid. 

*) Biblioteca comun. di Udine. Colleiìone Bianchi : Docum. per la 
storia del Friuli, N. 646. — Vedi Append. 
*) Ughklli, T. V, e. 480. 
■) Comroemorìali, della Repubbl. di Venezia I, sSa. 



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— 332 — 

infine, diremo, che nel 1399 riconobbe dal patriarca, unitamente 
ai cugini Pietro e Fiorella, i comuni feudi aquileiesi >) ; e che 
nel i3ot, al 7 di febbraio, consegui dal conte Alberto di Go- 
rizia l'investitura dei beni di S. Apollinare^. 

1 Castropola, come da ghibellini che si professavano sotto 
l'imperialista patriarca Bertoldo, divennero, seguendo la letica 
dell'interesse, guelfi sotto i di lui successori, seguaci della 
politica del papa, cosi mentre da prima avevano fraternizzalo 
col popolo, in seguito ne abbandonarono la causa, appena cioè 
poterono farne senza del suo favore, avendo su0ìcìcntemente 
consolidata la propria autorità e potenza. Dopo l'acquisto dei 
numerosi beni giurisdizionali della Polesana, ove vigeva tuttora 
la legge barbarica, essi subirono una decisiva influenza dello 
spìrito feudale, per cui, assuefattisi a dominare sulle genti 
rustiche del contado, mal potevano, rientrando in città, deporre 
del tutto l'abito baronale, rinunciare ad ogni privilegio di casta 



') Thea. EccL Aquil. N. 359. 

*) L' Istria. A. II, pag. 364. — Secondo il tenore di un regesto in- 
completo e scorretto pubblicato dal Fantuzzi ne' suoi Monumenti ra- 
vennati (T. II, pag. 363), tracndolo dall'Archivio arcivescovile di Ravenna, 
e riportato dal Kandler nel Codice diplom. istr , ne! 1389 figurerebbe 
a capo della Magistratura polese un Nicolaus capilaneus. Invece nella 
trascrizione integrale del medesimo documento (che è un rescritto del 
vicario diocesano di Ravenna ai consoli di Pola sul diritto appellatorio 
contro una sentenza da essi pronunciata in una causa civile fra certi 
Sciavo del fu Ardizone e Libanerio del fu Branca Corticali cittadini di 
Pola) trascrizione fatta dal can. Cesare de Rosa per incarico della So- 
cietà storica istriana, invece del Nicoìaus oapitamus. si trova nominato 
un Nicolaus Garanti, primo de' quattro consoli allora in carica. Potrebbe 
darsi del resto (risultando esatta la deciferazione del Fantuzzi anziché 
quella del de Rosa) che Niccolò de Castropola reggesse in quell'anno la 
Castaldia polese col titolo dì capitano, come 1' usavano in allora, per 
concessione patriarcale, anche i castaldioni delle maggiori terre del 
Friuli, senza che per questo le loro attribuzioni avessero subito alcun 
alteramento. La quale congettura ci viene suggerita dalla circostanza, 
che in un'altra scriuura notarile del 1194 troviamo citato fra i testi- 
moni un Matkeus capitantus, non appartenente alla famiglia Castropola, 
ma che forse occupava in quel tempo la medesima carica di castaldione 
ossia rappresentante del patriarca. 



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— 333 — 

e confondersi col popolo. Da qui ebbe principio, crediamo, la 
graduale trasformazione del Comune democratico in aristocra- 
tico: intorno ai Castropola si strinsero i notabili della città, 
formando una specie di ceto nobile, che, eliminando un po' 
alla volta dai Consigli l'elemento plebeo, riuscì ad assicurarsi 
r esclusivo maneggio degli affari di governo. 

Il popolo non reagì tosto, né spontaneamente, ma appena 
in seguito, quando ne ricevette l' instigazionc da qualche no- 
bile malcontento, che, staccatosi per 1' una o per l'altra ra- 
gione dalla fazions dominante, cominciò a seminare contro di 
essa il sospetto e la digìdenza. E tuttavia, almeno ne' primi 
tempi, questo nuovo partito, che diremo democratico, ebbe 
poca fortuna, giacché il popolo, forse pago del relativo benes- 
sere economico di cui fruiva, non badava gran fatto al meno- 
mamento subito dalla pubblica libertà. Anzi si può dire che 
la maggioranza di esso aderisse sinceramente ai Castropola, 
ne' quali non ravvisava ancora i futuri dominatori, che della 
potenza del Comune si sarebbero fatto lo strumento d' una 
Signoria oppressiva. Soltanto più tardi, quando l'autorità loro 
cominciò a prevaricare, assumendo un carattere decisamente 
contrario alla costituzione cittadina e pregiudicevole alla libertà 
comunale, appena allora andò manifestandosi una forte cor- 
rente ad essi ostile. Ma era ornai troppo tardi ; poiché, stra- 
potenti di mezzi e d' influenze, e spalleggiati dal patriarchi, 
poterono imporsi facilmente alla cittadinanza e salire al su- 
premo potere. 

Tre segnalate concessioni patriarcali valsero a rafforzare 
considerevolmente la loro posizione politica in Pola. Anzitutto 
l'acquisto del castello, che ottennero dal patriarca Raimondo 
circa il 1290 a titolo di feudo d' abitanza '), quindi con l'ob- 
bligo di tenervi stabile dimora e di custodirlo, come pure. 



') Commeni orlali della Repubblica di Venezia. RegcBti T. II, pag. 39 
N. 226. — In un documento del 1194 (Cod dipi, istr.) troviamo la fa- 
miglia appellata la prima volta de Castro PoIm, anziché de Pola, come 
soleva in antecedenza; ciò t un indizio non dubbio che già in quel- 
r anno la stessa teneva in feudo la rAcca. 



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-334- 

occorrendo, di restaurarlo e munirlo a tutte loro spese. Ma, 
circostanza particolarmente nolevolc, all' u0ìcto di castellano 
andava congiunta anche la soprintendenza militare delta città 
col comando supremo delle milizie urbane, le quali vennero 
di tal guisa sottratte definitivamente all' autorità dei rettori 
comunali. 

L' altra concessione risguardava l' esercizio patronale del 
tabellionato, e consisteva nella prerogativa di eleggere e pre- 
sentare al popolo, raccolto in generale assemblea, i pubblici 
notai autorizzati a esercitare il loro ufficio- nella città e suo 
territorio. Inoltre di autenticare con l'apposizione della firma 
e del suggello tutti gli atti notarili rogati in Pola, che trasfe- 
rivano la proprietà di beni immobili, quindi in ispecìe contratti 
di compravendita, istrumcnti dotali e testamenti, i quali, se in 
tal modo non convalidati, perdevano in giudizio ogni forza 
legale i). 



') Antistìtum lai^itione sìngulare privilcgium adepti ut necno in 
Civitale Polae Tabelìonatus ogitìum exercere pOBset, neque in eius 
distrìctu, nisi prius per ipaos CaBtropolenses, et in pubblica arrenga 
contione presentatila, ac ad dìctum o0ìtium exercendum aptus et ido- 
neus essct judicatus, immo, et interponendorum Decretorum sumnium 
jus eisdem de Castropolae datum fuit, adeo ut nullum venditìonis, 
aut alienatìonis, redituum, dotis aut testamenti instrumentum manu 
notarli conscriptum in controversia deduci poterat, ne super ejus, aut 
aliquo ipBorum aliquis in jure audiri, nec judex aententiam dicere, nisi 
Instrumentum illud manu unius ex hac familia subscriptum et robo- 
ratum esse! ; de hoc cquidem apparet Privilcgium aquileiensìs antistitia 
anno 1199. (Negri, Lettera a P.Gradenigo intorno ad un antico sigillo ecc. 
cit. il Ronconi. Not stor. di Pola, pag. 367). — Questo privilegio non 
fu conceduto ai Caslropola nel 1399, ma molta prima, dal patriarca 
Raimondo della Torre. In sulla fine di quell'anno 1299. nell'occasio- 
ne della salita alla Cattedra aquileiese di Pietro Gerra successore 
del Tornano, i ire cugini Nascinguerra detto Fiorella,' Pietro e Nicolò 
riconobbero, com'era loro obbligo e come fecero tutti i vasBalli patriar- 
cali, i feudi retti e legali che tenevano prò indiviso dalla Chiesa di 
Aquileia, cioè le due ville di Sissano e Turcigliano e il labiltionatmn 
PoU (Thea. Eccl. Aquìl. N. jSg. — Cfr. Manzano, Annali. Voi. Ili, pa- 
gina 396). 



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— 335 — 

Da ciò si vede — e il fatto ha una certa importanza per 
Io studio dello sviluppo storico del notariato nella nostra pro- 
vincia — che già nella seconda metà del secolo XIII, se non 
prima, esìsteva in Pola un regolare u0ìcio di legalizzazione (e 
fors' anche di registrazione) de' pubblici documenti, infeudato 
ai Castropola, i quali ne ritraevano degli utili non indifferenti 
percependo una tassa fìssa per ogni atto vidimato; ed è 
questo il medesimo u0ìcio che più tardi, divenuto istituzione 
autonoma comunale, si chiamò all' usanza aqutleiese Vicedo- 
minaria, ed t funzionari che vi furono addetti vicedomini >). 

Ultima per ordine di tempo ma di gran lunga la più 
considerevole per il principio di alta autorità che comprendeva, 
si fu l'investitura dell'U0ìcio della Regalia, col mero e misto 
imperio, conferita ne' primi anni del Trecento dal patriarca 
Ottobono de' Razzi a Nascinguerra detto Fiorella e a Pietro 
suo cugino'); della quale avremo occasione di tornare a di- 
scorrere più partitamente in seguito. 

Né furono questi i soli benefìzi di cui la nostra famiglia 
andò graziata dai principi ecclesiastici d'Aquileia, verso de' 
quali essa mantenne del resto la più specchiata fedeltà e de- 
vozione. Nel i3o5 il patriarca Ottobono nominò Pietro a 
marchese d'Istria, concedendogli in agìttanza, per l'annuo 
importo di 35oo lire, tutti i diritti e le rendite fiscali nella 
provincia*). 



M Pertilb, Storia dei diritto italiano. 11 ediz. Voi. VI, Parte I, 
pag. 3o3. Nell'anno 1178 Fioravante caataldione di Rovigno dichiarò di 
avere in feudo dal patriarca Raimondo « Notariam dicti Castri de Ru- 
bino, de qua Notaria habere debeat Decimam pretii omnium Cartula- 
rum venditionis, et odo solidoB prò quolibet Testamento. Unam mc- 
dietatem Notarlo qui scribet, et aliam medietatem ipsi Fioravamo. (Thes. 
Eccl. Aquil. N. 190). 

*) Tliea. Eccl. Aquil. N. 875. 

•) Thc8 Eccl. Aquil. N. iii3. Instrumentum in quo continetur 
quomodo D. Patrìarcha Ottobonus fuit confessus habuisse a D. Petro 
de Pola Marctiione latrie Ires mille et quingentas libras parvorum prò 
jurìbus MarchienatuB predicti instanlis anni. Ctiarta per Pranciscum 
Nasutti in MCCCVI die XIV «euntc Octobri. 



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— 336 — 

Col conseguimento di cosi singolari privilegi, i Castropola 
divennero i veri vicari dei patriarchi, i quali, concentrando 
nelle loro mani tanta copia di poteri delegati, credettero di 
usare del mezzo più acconcio e sicuro per tenere a sé avvinta 
e soggetta la città di Pela, agitata da interni commovimenti 
e da opposte tendenze emancipatrici. 

Intorno al i3oo noi assistiamo in Istria alle ultime lot- 
te dei Comuni e dei più potenti baroni contro i vescovi, 
che cercavano di rimettere in campo e far valere le loro an- 
tiche prerogative, e di ristabilire la loro secolare supremazia 
civile. Ciò avvenne quasi contemporaneamente in Trieste, in Pa- 
renzo e in Pola, benché quivi il movimento assumesse un carat- 
tere alquanto diverso, essendo originato da una collisione d' in- 
teressi fra la Curia e una parte del clero, ed inoltre man- 
cando al vescovo, già esautorato, ogni base di energia per 
fronteggiare la potenza del Comune. 

Ma prima di entrare in merito alle vicende di questa nuova 
lotta ecclesiastica poicse, riferiremo un interessante episodio 
delle relazioni passate tra Fiorella ed il vescovo parentino 
Bonifacio, noto per la turbolenta azione spiegata in difesa 
dei diritti della sua Chiesa. 11 Castropola, che nel 1386 fai 
marzo) aveva conceduto a Bonifacio un prestito ipotecario di 
300 lire venete de' piccioli sulle saline di Orsera'), venne in se- 
guito alle prese con lui, come altra volta Monfìorito col ve- 
scovo Ottone, a cagione di un feudo episcopale, sul quale 
accampava dei diritti, che non gli si voleva riconoscere. Giu- 
sto in quel tempo il prelato parentino trovavasi in discordia 
anche col patriarca d'Aquileia Pietro Gerra, succeduto a Rai- 
mondo della Torre nel 1299, alla cui obbedienza, nonostante 
ripetuti mòniti, rifiutava di sottomettersi. E la contesa si ag- 
gravò al punto da degenerare in conflitto armato ; sicché 
nei primi mesi del i3oo Nicolò Gerra, nipote del patriarca, 
invase con un corpo di milizie il territorio di S. Mauro, espugnò 



di Porenzo. Libri lurium Episcop. I, 147. 



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— 337 — 

il castello vescovile di Orsera, ed in parte lo abbattè. In quel- 
r incontro egli avrebbe tentato d'indurre Fiorella a far assas- 
sinare il vescovo, nientemeno che per incarico avuto dallo zio! 

Un tanto almeno osò affermare pubblicamente Bonifacio, 
sulla fede di certe rivelazioni fattegli, alla presenza di tre te- 
stimoni dallo stesso Fiorella, il quale, appianata con esso lui 
<^ni vertenza riguardo al feudo, di cui ricevette l'investitura, 
e prestatogli il dovuto giuramento di fedeltà, lo esortò a 
guardarsi dal patriarca, che, tempo addietro, a mezzo del suo 
governatore dell'Istria, lo aveva instigato a catturare il vescovo 
di Parenzo ed a gettarlo, con una pietra al collo, in fondo al 
mare '). Sembra però che questa lugubre storiella, inventata 
probabilmente di sana pianta dal Castropola, non facesse molto 
effetto nemmeno sult' animo ombroso del prelato, avendola 
egli stesso giudicata come poco attendibile, anzi inverosimile. 

La cattedra episcopale polese, rimasta vacante per la 
morte di Matteo de' Castropola, fu occupata nel i3o3 da Od- 
done della Sala, dell'Ordine domenicano, già vescovo di Ter- 
ralba in Sardegna, il quale si attirò tosto, per motivi non bene 
precisabili, l'inimicizia e l'odio d'una gran parte del clero e 
della cittadinanza. Stando al suo dire, egli sarebbe stato vit- 
tima del proprio dovere, per essersi opposto alle irregolarità 
ed agli abusi di alcuni chierici. Avrebbe, tra altro, privato 
giustamente della cosidetta scolasteria, ossia dell' u0ìcto di 
pubblico precettore, il canonico Candio, il quale, dopo chiesta 
e ottenuta la plebanta di Gemona in Friuli, pretendeva di ri- 
manersene a Pola, godendo b entrate di ambedue i benefìzi ^). 
Sembra però che il vescovo, mosso a sua volta da cupidità 
di lucro, intaccasse i diritti e le rendite del Capitolo, e che 
inoltre esercitasse un soverchio protezionismo in favore d'un 
suo nipote, cui erogava i frutti di certe prebende lasciate de- 
liberatamente vacanti. E perchè alcuni canonici sì opposero 



') Cod. dipi. istr. i3oo, i agosto. 

^ Theimkr, Velerà Monumenta Slavor. Meridion. Romae, i863. 
T. II, pag. ni. — Cod. dipi. istr. i3o4. 



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— 338 — 

alle di lui prevaricazioni, egli non esitò a colpirli con le più 
severe censure ecclesiastiche. 

Certo si è che il giorno di Ognissanti del i3o3 scoppiò 
in Poia un tumulto popolare contro il vescovo ed i suoi ade- 
renti. Uno stuolo di gente armata, con alla testa due de* ca- 
nonici incorsi nella scomunica, irruppe nel duomo, mentre vi 
si celebrava il pontificale, e, dopo avere usato al vescovo 
ogni sorta d' oltraggi e dì violenze, lo cacciò di chiesa. 
Quindi rivolse l' ira contro il di lui nipote, che fu preso, 
percosso malamente, e trascinato, ad obbrobrio, nel fango per 
le vie della città. De' quali fatti sinistramente impressionato, 
temendo della propria vita, Oddone abbandonò Pola e si 
condusse a Roma a presentare personalmente le sue querele al 
pontefice Benedetto X!. Ma lui appena partito, il Collegio ca< 
pitolare polese sostituì con un altro sacerdote ligio ed accetto 
il vicario ch'egli vi aveva lasciato, ch'era certo Giovanni de' 
Fedeli, e, dando quindi di proprio arbitrio nuovo ordinamento 
air amministrazione ecclesiastica cittadina, nominò i titolari 
dei benefìzi vacanti, tra' quali benefìzi contavasi pure un ca- 
nonicato che Oddone asseriva spettante da antico alla mensa 
episcopale '). 

Aggravossi maggiormente la situazione a danno del ve- 
scovo, allorché, non sappiamo se per rappresaglia di qualche of- 
fesa da lui arrecata all'autorità civile, oppure per solo atto 
di solidarietà col clero indigeno, anche i capì del Comune gli 
si volsero contro, muovendogli aspra guerra. 

Era allora (i3o4-i3o5) podestà di Pola Monfìorito da Co- 
derta, gentiluomo coneglianese, armato cavaliere da Alberto 1 
imperatore de' Romani nel 1298^), ed alla fine di quell'anno 
assunto dalla parte de' Grandi alla podesteria di Firenze, ove, 

') Theiner, op. cit. T. I, pag. uS-iró, 

*) Bonifacio, Istoria di Trevigi. Venezia, 1744; pag. J41, 

Un BonifacitiMs filius d. Ptlri de Codayrta comparisce in documetiti 
del 1333 come tutore di Tolberto da Camino. Pare foBse suo figlio Ia- 
copo da Goderla, che nel 1259 figura quale sindaco e procuratore del 
Comune di Conegliano nella rinnovazione del trattato di buona ami- 
cizia coi Trìvigiani, e che nel 1381 funse da testimonio all'atto d'inve- 
stitura di Artuico da Castello da parte di Raimondo patriarca d'Aqui- 



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- 339 — 

dopo soli quattro mesi di r^gimento, incolpato di frodi e cor- 
ruzione, fu sindacato e dovette subire la tortura ed il carcere i). 
Da qualche indizio apparirebbe che nel i3i2 ritornasse 
podestà in Fola, come lo fu di certo nel i322 in Trieste*). 
Ghibellino ardente, partigiano di Cane della Scala e de' Cami- 
nesi, ebbe nel i3i8 il bando da Treviso e ia confisca dei 
beni 9} ; ma due anni dopo, in vigor della pace conchiusa fra 
il conte Enrico di Gorizia, il Comune trivigiano e Rizzardo da 
Camino, egli, per intercessione di qucsl' ultimo, si trovò rein- 
tegrato io tutti i suoi diritti *). 



leìa. Iacopo morì avanti il 1389, nel quale anno la sua vedova Giaco- 
mina, ' in unione ai figli Monfiorito e Bonifacio, vendette a Gerardo 
da Camino il castello di Cavolano. Monfiorito, di cui il Burchelato 
(Epitaphiorum dialogi) dice che fu mites slrenuus de quo itt chronicis non 
semel praeclara meniio reperitur, ebbe in moglie Odorica da Collalto; 
lasciò un figlio di nome Gualpertino, poeta, nel 133? console in Goneglia- 
no, sposatosi con Adeleta figlia di Panadino de Strassio. — Alcuni di- 
scendenti di questa nobile casata li troviamo nella seconda metà del 
secolo XIV in Capodistria, al servizio della Repubblica veneta, e pre- 
cisamente Angelo da Goderla cónestabile di una bandiera di caval- 
leria, e, dc^o la sua morte, il figlio Iacopo, che lo sostituì nella mede- 
sima carica. 

■) Compagni, Cronica, per I. Del Lungo. Firenze, 1879, pag. 78 e 
aeg. — 'I pessimi cittadini per loro sicurtà chiamamo per loro podestà 
m. Monfiorito da Padova, povero gentile uomo, acciò che come tiranno 
punisse, e facesse della ragione torto e del torto ragione, come a loro 

paresse. Il quale prestamente intese la volontà loro, e quella segui 

E venne in tanto abominio che i cittadini noi poterono sostenere, e 
fectono pigliare lui e dua sua famigli, e feciono collare.... M. Monfiorito 
fu messo in prigione... Poi si fuggi di prigione percht una moglie df 
uno degli Arrìgucci, che avea il marito prigione dove lui, fece fare lime 
sorde e altri ferri, co' quali ruppono le prigioni, e andaronsi con t>io>. 
— Paolino di Piero, Cronica (Rer. Ital. Scr. II, 33 Tari.). «Nel milledu- 
gen tono van lotto (recte novantanove) in Galen di Gennaio fu fatto ed 
entrò per Podestà uno da Trevigi della Marca, che ebbe nome Messer 
Monfiorito da Goderla, il quale signoreggiò quattro mesi e due di e 
non piCi \ perciocché li fu tolta la Scgnoria per le ree opere che facea 
ed avea imprese di fare ecc.- 

*) HoRTiS, Gli antichi podestà di Trieste {Nozze Pilterì-Artelli). 

>) Bonifacio, op. cit. pag. 394. 

*) Verci. Storia della Marca trivigiana. T. IX, pag. 5 e seguenti. (Doc). 



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— 340 — 

Nella lotta contro il vescovo Oddone, Monfiorito, i consoli 
ed il Consiglio di Pola procedettero con grande energia, se- 
questrandogli i beni ecclesiastici e privandolo di tutte le 
rendite ; e quegli allora estese anche ad essi la scomunica, 
quindi pronunziò 1* interdetto contro l' intera città. 

Dell' i&truzione del relativo processo canonico furono da 
lui delegati tre sacerdoti della Chiesa d'Albona, soggetta alla 
sua giurisdizione, i quali, benché ripetutamente richiesti, si 
rifiutarono di dar copia o visione degli atti processuali ai Po- 
lesi, che per tal pretesto si appellarono al patriarca d'Aquileia 
Ottobono de' Razzi. Costui, inclinato a favorirli, incaricò in 
data del 35 gennaio i3o5 l'abate dì S. Michele in Monte 
di prendere in disamina e risolvere la querela'); e nel di 6 
del successivo luglio, essendosi obbligati i Polesi a desistere 
da ogni ulteriore molestia contro il vescovo, annullando tutte 
le deliberazioni prese a' danni della libertà ecclesiastica, diede 
facoltà al maestro Orlando, scolastico aquileiese, di proscio- 
glierli dalle pene canoniche 2). Ma a quest'opera di concilia- 
zione e di pace non volle accedere Oddone, che, profugo dalla 
sua Diocesi in cui non doveva più rimettere il piede, si mo- 



Monfiorìto, come podestà di Pola, incontrò dalla Società bancaria 
de' Peruzzi un rilevante prestito, ctie non si curò di estinguere nel tempo 
dovuto; per cui ne derivarono noie e danni ai Potesi, avendo la Società 
creditrice chiesto ed ottenuto dalla Signoria di San Marco il diritto di 
oppignoramento delle merci da essi dirette a Venezia. Il Comune di 
Pola dovette allora a^rettarsi a saldare il suo debito ; difatti in data 
del ti ottobre i3o5, • Donatus de societate Perufiorum coram d. duce 
et cons, vocavit se contenlum et Tore solutum sibi de omni eo quod 
acceptum fuit per d. Monfloritum de Coderta olim potestatem Pole, 
quod is solvit sibi integre; unde vult quod mittatur Comuni Pole quod 
poBsit ire et redire secure cum suis mercibus et bavere Veneciam, non 
obstante aliqua pignoracione sibi concessa super illoa et aimiliter scrì- 
batur comilis lignorum et barcharum, quibus preceptum erat quod ho- 
mines de Pola et eorum habere intromittere deberent, et pignoracio 
cancelletur. (Minotto, Acta et diplom. I. 63; con la data erronea del 
i3o6, mentre l' indizione IH cadeva nel i3o5. — Cfr. Commemorìali. I, 54). 

') Cod. dipi. istr. 

«) Ibid. 



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-34. - 

Strava smanioso di far valere ad ogni costo la propria auto- 
rità e di vendicarsi della città di Pola, eh' egli seguitava a 
considerare come interdetta, benché vi si celebrassero tutte le 
divine o0ìciature. E come nel [3o4 aveva portata la sua causa 
dinanzi a papa Benedetto XI, così nel 1807 si rivolse al pon- 
tefice Clemente V, il quale, accogliendo l'appello, deputò il 
il patriarca di Grado ed il vescovo di Castello ad aprire in 
mento una nuova inchiesta, ed a punire i colpevoli degli ec- 
cessi contro il vescovo e i contravventori alla pena d' interdi- 
zione, facendo inoltre indennizzare la mensa episcopale di tutte 
le spogliazioni sofferte '). Non conosciamo lo svolgimento di 
questo nuovo processo, la cui riassunzione, decretata due 
anni dopo la valida mediazione paciale del patriarca d'Aqui- 
leia, recherebbe sorpresa ove non fosse troppo noto il guaz- 
zabuglio d'opposti diritti e tendenze riscontrantesi nel sistema 
giurisdizionale ecclesiastico di quei tempi. 

Sta il fatto però che il pontefice, desideroso di tagliare il 
nodo alla questione, e convinto della impossibilità di un du- 
revole accordo dei due poteri in Pola, rimanendo a capo di 
quella diocesi l'inviso prelato, venne nella determinazione di 
rimuoverlo, destinandolo (nel marzo del i3o8) alla cattedra arci- 
vescovile di Origano nella provincia di Arborea in Sardina, 
d'onde, quattro anni piìi tardi, venne promosso alla metropo- 
litana di Pisa. Ad occupare la vacante sede polese, fu chiamato 
il vescovo eletto d'Arborea Ugone, cui papa Clemente V nella 
bolla d'investitura, datata da Poitiers il 19 marzo del t3o8, 
manifestò il voto che « per sua industre circospezione e ac- 
corta prudenza, la Chiesa dì Pola venisse preservata per l' in- 
nanzi da ogni nocumento ed avversità, e guidata con saggio 
volere ad un alto grado di utile incremento * '). 

Che l'origine e la lunga perduranza del conflitto da noi 
ora narrato, fossero dovute più che ad altro all'indole inte- 
ressata ed inquieta del vescovo Oddone, ce lo attestano le 



>) Thbinbr, op. cit. pag. ia5-ia6. — Cod. dipi, distr, 
') Theinsk, op. cit. pag. 117. 



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— 342 — 

fìerissìme lotte dal medesimo più tardi, come arcivescovo di 
Pisa sostenute, in una straordinaria analogia di circostanze e 
di particolari, contro la Magistratura ed il popolo di quella Re- 
pubblica. Anche in Pisa egli entrò in contesa coi capi del 
Comune, precipuamente a cagione delle malefatte di un suo 
nipote, di nome Colone (forse lo stesso venuto in tanta 
ignominia ai Polesi), al quale aveva conferito la podesteria di 
Filettore; anche in Pisa ebbe staggite tutte le rendite, poi che 
ricorse, in propria difesa, alle armi spirituali; e anche da Pisa 
inhne fu costretto a fuggire, mentre il popolo, levatosi a ru- 
more, diede l'assalto alla casa di sua famiglia, ed a sfogo dì 
vendetta la demolì. In conseguenza de' quali avvenimenti, Od- 
done dovette rinunziare anche alla cattedra pisana, ottenendo, 
in compenso la dignità titolare di patriarca d'Alessandria e l'uf- 
ciò di economo della Badia di Monte Cassino. Chiuse la sua 
vita agitata in Napoli nel i335 '). 

Ed eccoci giunti all'ultimo e più interessante periodo della 
storia medioevalc di Pola: all'istituzione del Capitanato. 

La deplorata mancanza di documenti rende pur troppo 
assai di0icile l'esame particolareggiato delle cause dirette e 
indirette che provocarono la riduzione del Comune sotto la Si- 
gnoria de' Castropola, non potendosi neppur stabilire con certez- 
za l'anno preciso in cui il memorabile avvenimento si svolse. 

L'esempio delle città di Lombardia e della Marca trivi- 
giana, da lungo tempo governate da propri signori, aveva senza 
dubbio solleticato l'ambizione de' Castropola, predisponendoli 
a trar partito di ogni occasione favorevole, per soddisfare alle 
loro cupidigie di dominio. Le interne lotte, che disgre- 
gavano l'unità del Comune e ne indebolivano il governo, 
riuscivano giovevoli ai loro interessi e dìvisamenti. La fazione 
più forte, cioè quella dei patrizi, facente capo alla nostra fa- 
miglia, voleva mantenere incolume, col rispetto all'alta sovranità 
patriarcale, la parziale indipendenza della patria, fosse pure a 



') Cappelletti, Le chiese d'Itelia. Voi. XVI, pag. 146 e seg. 



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— 343 — 

detrimento della libertà pubblica; mentre la fazione popolare, 
intesa soprattutto a scongiurare il pericolo d'una tirannide che 
presagiva vicina, si mostrava disposta a far sacrifizio dcH'auto- 
nomia del Comune, sottomettendolo alla Repubblica di S. Marco. 
Queste erano le due opposte correnti politiche che attraversa- 
vano la città negli ultimi anni del Dugento e ne* primi del 
Trecento, dovendo o prima o poi venire a cozzo fra di loro. 
Senonchè a perturbare e dividere maggiormente gli animi e 
ad affrettare lo scoppio di civili rivolgimenti, concorsero i ran- 
cori e le rivalità private, sorte a motivo del feudo Morosini. 

Abbiamo già nel capitolo precedente accennato in breve 
alle prime vicende di questo feudo ecclesiastico, conseguito 
intorno al isoo da Ruggero Morosini conte d'Arbe e podestà 
di Pola; e rimasto nella sua famiglia sino al 1285 o 1286, 
quando un di lui omonimo pronipote ne venne privato dal 
vescovo Matteo de' Castropola, che lo concedette in sua vece 
al nobile polese Andrea figlio di lonata, e ciò, a quanto 
appare, per desiderio e suggerimento del patriarca Raimondo 
della Torre, messo in allarme dalla crescente ingerenza dei 
sudditi veneti nelle cose di Pola. Nella lunga causa giuridica 
che ne seguì fra la Curia polese e i Morosini, la parte di questi 
ultimi fu sostenuta dalla Signoria dì Venezia, che già nel 138S 
aveva delegato in Pola un apposito notato prò faciis nobilis viri 
Rogerti Mauroceno S. Angeli, ') e nel 1 394 avvisò pubblicamente 
niuno doversi attentare di ricevere l'investitura del feudo in 
parola, 0, avendola già ricevuta, di rinunziarla nel tempo che 
gli verrà imposto dal doge, dai - consiglieri e dai capi della 
Quarantia, a scanso d'una penale da determinarsi a seconda 
del caso 3), 

Ciononostante Andrea di lonata seguitò a tenere occupato 
il feudo per parecchi anni ancora, sino a quando il Governo 

') MiNOTTO, Acta et diplomata Voi I, pag. 154. 

*) MiNOTTO, op. cit Voi. 1, pag. 189. A. 1394, 19 maii. Aliquis se 
non intrommittat de reciperc feudum episcopi Pole, quod spcctat ad 
illos de cha Mauroceno, et si aliquis se intrommisiBset, debeat se ro- 
movere ab hoc infra illud tcmpus quod videbitur d. duci et consiliarìis 
et capitibus de XL et sub illis penis que eis videbuntur. 



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— 344 — 

di S. Marco si decise d'intervenire con maggior energia nella 
vertenza. Nel i3o6, mentre il vescovo Oddone della Sala s' in- 
tratteneva, in causa dei noti dissìdi, lontano dalla sua diocesi, 
il doge Pietro Gradenigo scrìsse ai rappresentanti del Comune 
polese invitandoli a reintegrare ne' suoi diritti Donato Morosini 
figlio ed erede dì Ruggero già defunto, ma quelli gli risposero 
per ambasciata scusandosi di non potere, senza incorrere nelle 
censure canoniche, ingerirsi nella questione, per essere la stessa 
di esclusiva spettanza del vescovo assente; pur protestandosi 
devotissimi al doge e desiderosi che al Morosini venisse resa 
giustizia, però senza danno degli interessi del loro concittadino 
Andrea '). 

Appena due anni più tardi, allorché sulla cattedra episco- 
pale dì Fola sali frate Ugone de' Minori Conventuali, la con- 
troversia fu avviata al suo scioglimento. Anche Donato Mo- 
rosini nel frattempo era morto, lasciando un tenero rampollo 
di nome Nicoletto, cui nel testamento costituì quali commis- 
sari e tutori Ugolino Giustiniano e Marco detto Orso Giustiniano 
suo figliuolo; e questi, portatisi a Pola a trattare l'affare, ot- 
tennero, dopo non pochi maneggi, l'investitura del feudo a 
nome del loro protetto nel di 7 febbraio del iSog *). 

Giova notare che il vescovo Ugone, o spontaneamente a 
sgravio della propria responsabilità, o indottovi dai Castropola 
che ne avevano qualche interesse, chiese un voto consultivo 
nella vertenza ai principali membri del Consiglio Maggiore, in 
numero di quindici, a capo de' quali stava, però senza alcun 
titolo uQìcìale di preminenza signorile, Nascinguerra detto Fio- 
rella 3), attenendosi quindi alla risoluzione che dalla maggiorità 
dei medesimi gli venne suggerita. 



'} MiNOTTO, op. cit pag. 59. Cfr. Commemori a li, I, 58 N. 369. 

') Negri, Compendio delle cose contenute nel lungo processo . . . 
tra Sergio di Nascinguerra da Castropola e Sergio vescovo di Pola ecc 
nel periodico l' Istria del Kandler. A. II, pag. 164. 

°) Erano gli altri quattordici consiglieri : Fioramonte da Parenzo, 
Ugo di Viviano, Regimperto da Formello, Cleofasso di Schinella, Galvano 
di Sincione, Ugo di Assalonne, Beandola Amico. Domenico di Pietro 



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- 345 — 

I Castropola , che sin poco innanzi avevano tenuto dal fìglio 
di tonata, li vediamo volgersi ad un tratto in favore del Mo- 
rosino, sia che patteggiassero già allora l'acquisto del feudo, 
assunto effettivamente tre anni appresso in loro proprietà, sia 
che volessero, per i loro fini politici, ingraziarsi i Veneziani, 
togliendo ad essi un antico motivo di doglianza e di risen- 
timento. 

Le qui accennate dissensioni feudali, benché d' interesse 
assolutamente privato, valsero, come dicemmo, ad inasprire i 
rapporti fra i due partiti polesi, ed a peggiorare le condizioni 
interne della città. Andrea di tonata, cui per Tinnanzi un odio 
implacabile animò contro i Castropola, facendolo congiurare 
a' loro danni, si pose risolutamente alla testa delta fazione 
plebea; e Pola — come vuole la tradizione — divenne allora 
il teatro di sanguinosi conflitti e rivoluzioni i). Però i Castro- 
pola, ricchi di forze e di aderenze, e già arbitri della pubblica 
cosa, ebbero facile vittoria sui loro avversari, i capi de' quali 
furono da essi puniti col bando e con la confisca di tutte le 
sostanze. Andrea di lonata riparò a Venezia, ove rimase profugo 
per circa veni' anni, cioè sino alla dedizione di Pola alla Re- 
pubblica. 

Si è appunto in mezzo a questo profondo turbamento dello 
spirito pubblico che vediamo sorgere il Capitanato, un' istitu- 
zione tutta particolare deile Repubbliche italiane del Medio 
Evo, alla quale facevasi solitamente ricorso nei momenti di 
gravi agitazioni politiche, urgendo il bisogno di accentrare i 
poteri nelle mani d'una sola persona atta a frenare i tumulti 
ed a ricondurre il paese alla tranquillità e alla pace. ^) 

Bisogna distinguere nelle diverse forme costituzionali d' ai- 



Rosso. Almerico di Facina, Nicolò di Ugone, Bartolomeo di Rudero, 
Antonio da Pisino, Adalberto di Alberto Ricci, Pietro dì Domone da 
Capodistrìa. 

') Dialoghi due sulle antichità di Pola, pag. 71. 

>) Muratori, De princìpibus aut tyrannis Italiae (Antiquìt. ital. 
medii aevi. Dissert. LIV - T. XI, e. i85-i86). 



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_ 346 — 

lora fra il Popolo, che escludeva dal proprio seno ì nobili, e il 
Comune, che comprendeva indistintamente tutti gli appartenenti 
ad una medesima terra; così pure fra i capuani del popolo e i 
capitani generali di tutto un Comune.. 

I primi furono, almeno in origine, un'emanazione delle cor- 
porazioni delle arti, ordinatesi in alcune delle principali città li- 
bere in compagnie armate con propria organizzazione autonoma 
su base democratica, in opposizione al Governo comunale in 
cui aveva prevalenza la nobiltà. Il capitano del popolo corrì- 
pondeva in tutto al podestà del Comune, col quale divideva il 
carico del reggimento, assistito da un Consiglio di anziani ; e 
doveva essere, al pari del podestà, forestiere, di durata tempora- 
nea, e sottoposto al sindacato 1). 

Il capitano generale ^) invece era, di solito, un capo e 
guidatore dì fazione, divenuto centro e padrone del governo 
d'uRa città. La sua assunzione alla suprema magistratura poteva 
derivare o da uno spontaneo ed unanime accordo de' cittadini, 
almeno di tutti quelli di parte sua, ma essere anche la risul- 
tante di una più o meno violenta usurpazione di poteri. Nel 



') Fertile, Storia del diritto italiano. II edizione, Voi li. Parte I, 
pag. 198 e Beg. — Lanzano, Storia dei Comuni italiani. Milano, 18S1, 
pag. 697. — Satzer, Ueber die Anfange der Signone in Oberitalien. 
Berlin 1900 pag. io3-to4. 

') La carica di capitaneus generalis, corrispondente a quella di vi~ 
cariua generalis, era stata istituita In origine da Federico II nei gover- 
natorati imperiali di Lombardia. Il titolo di capitaneus sembra imporiato 
dalla Sicilia, ove era in uso già da lungo tempo; nel 1336 lo troviamo 
adottato la prima volta in Vicenza dal cavaliere Guglielmo, vicedomino 
di Mantova, che si appellò Capitaneus Cotntnunìs Vincentie prò d. impe- 
ratore. L" adieltivo generalis non dinotava una maggiore ampiezza di ter- 
ritorio giurisdizionale del preposto all' u0ìcio capitanale di confronto 
agli impiegati subalterni; bensì che l'esercizio dei poteri delegati non 
gli era stato conceduto per un caso singolo o per un solo ramo della 
amministrazione, ma generaliter, nel significato opposto a spedaliter (Fi- 
cker, Forschungen zur Reichs- u. Rechts-geschichte Italiens. II. ^99). 
O meglio ancora, il detto titolo significava la piena balia, ossia V ar- 
bilrium generale, di cui il capitano veniva investito. (Salzer, op. ciL 
pag. 173). 



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-347 - 

primo caso, e talvolta perfino nel secondo, dopo vinta l'opposi- 
zione e fugati o sbanditi i maggiorenti della fazione avversaria, 
si solea dare all'avvenimento una specie di conferma legale 
mediante la proclamazione tumultuaria dell'eletto da parte 
dell'Arengo popolare o del Consiglio maggiore i). Spesse volte 
però la legittimità del Capitanato generale si faceva dipendere 
dalla investitura o convalidazione sovrana^), Il che avvenne spe- 
cialmente, nel principio del Trecento, in alcune delle maggiori 
città di Lombardia, come a Milano con Matteo Visconti, a 
Verona e Vicenza con- Cangrande della Scala, a Treviso con 
Rizzardo da Camino, a Mantova con Rinaldo e Bonaventura 
Bonaccolsì, che da Enrico VII furono nominati vicari imperiali. 

Investito a vita, o jaer un tempo indeterminato, di am- 
plissima autorità sì civile che militare, il capitano generale 
assumeva il carattere di un vero signore, potendo esercitare 
nella città e nel territorio di sua giurisdizione un dominio quasi 
assoluto, che molto spesso si risolveva in crudele tirannide ^). 

Ed è questa la forma di governo capitanale che riscon- 
triamo in Pola, la sola città dell'Istria che sottostasse ad una 
vera e propria Signoria. Rettori col titolo di capitani ne figu- 
rano bensì anche altrove nel periodo eroico dei nostri Comuni, 
allorquando gli stessi miravano ad affrancarsi dalla soggezione 
d'Aquileia ed a rendersi indipendenti. Ma questi capitani non 



■) SiSHONDi, Storia delle Repubbliche italiane. Capolago, 1884, T. 
Ili, pag. J49. — Lanzano, op. cit. pag. 645, 65i. 

*) Salzer, op. cil„ pag, 36. — Fertile, op. cit. II, I, 33o, 33i. 
Sickel, Daa Vicariai der Viaconti (SilzungBberichte rfcr k. Akademie d. 
WiBSensch. — Philos. histor. Classe. Voi. XXX, par. 6-7). 

') Di solito il signore prendeva il titolo u^ìcialc di capilaneus gt- 
taralis civitatis et dislricius, come Rizzardo da Camino in Treviso e 
Iacopo da Carrara in Padova; ma se di parte democratica, o manda- 
tario dei popolari, con esclusione del ceto nobile, addimandavasi di 
preferenza capitaneus generalis populi et communis, come gli Scaligeri in 
Verona. Il titolo dì capitano, benché, di gran lunga il più usitato, non 
era però esclusivo; cosi Taddeo Pepoli si appellò generalis eiperpetuus 
conservator et gubemator communio et popuU Bononie, e Giberto da Co- 
reggio defensor pacis et prolector populi et commttnis Partnae. 



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— 348 — 

erano che i soliti podestà annui, ai quali in momenti eccezio- 
nali venivano conferiti eccezionali poteri. Cosi Capodtstria, 
ribellatasi nel 1 368 al patriarca Gregorio, elesse in capitano il 
veneziano Marino Morosinì, agìdandc^li il governo e la difesa 
della città ') E Pirano tolse a capitano, nel 1270, Eppo di Azzo 
de Bonfante, che rinnovò co' Spalatini il trattato di pace e di 
buona amicizia di settantotto anni prima 2); e nel 1274 Gio- 
vanni Campolo il riformatore de' suoi Statuti ^). 

Nelle principali Comunità del Friuli — a Portogruaro dal 
13Ó5, a MonCalcone dal 1269, a Udine dal 1340, e più tardi 
anche altrove — il castaldione patriarcale s' intitolò capitano, 
senza che il carattere del suo u0ìcio subisse alcuna alterazio- 
ne*). Giova inRne rilevare che in Friuli esisteva già da tempo 



') Cod. dipi. istr. 1168, i3 agosto. Domirtus Marinus Maurttciuus 
Capitatati Civitatis lustittopolis, dunque capitano militare di tutta la 
città, ovverosia del Comune, e non già, come asserì il Kandler, capi- 
tano del popolo. — N6 i conti di Gorizia furono capitani del popolo di 
Trieste, come ag'crmò lo stesso Kandler, ma capitani militari del Co- 
mune, che. di solito, non reggevano neppure personalmente, impegnan- 
dosi soltanto, verso un salario prestabilito, a difenderne con le loro 
milizie la libertà e l'onore. 

^) Cod. dipi. istr. 1370, 18 luglio. 

■) Cod. dipi. istr. 1374. S luglio — Negli Statuti piranesi del 1174, 
de' quali ci fu conservato un misero brandello, si legge il passo se- 
guente, che definisce il carattere di questa suprema magistratura comu- 
nale : «Item statuimus et ordinamus . . . quod quilibet Potestas seu Capi- 
taneus qui vcncrit deinceps ad regimett Comunis Pirani, debeat manu 
tenere terram Pirani in eo slatu et liberiate sive franchizia quam ipsam 
invenerit. et non tractare terram Pirani subjugare in eo tempore ncc 
consentire aliis tntctandi prefactam terram... 

*) Conatitutiones Patrie Foriiulii, pubbl. a cura di V. loppi. Udine, 
1900, pag X. — Statuti e ordinamenti del Comune di Udine. Udine, 
1898, pag. XXV (nota 3). — In Udine godevano una specie di superio- 
rità feudale, conforme in qualche punto a quella dei Castropola in Pola, 
i signori di Savorgnano, che si denominarono talora de UHno o de Castro 
Utini e che ne' secoli XIll e XIV tennero assaidi frequente, perfìno in 
aucceaaione ereditaria, quella Castaldia patriarcale alle volte col titolo 
di capitani. Ma in effetto la loro autorità e le loro attribuzioni non 
erano per nulla maggiori di quelle de' soliti castaldioni, e anche la du- 
rata dell' U0ÌCÌO era temporanea, consuetamente annua. 



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— 349 — 

la suprema carica militare di capitano generale, carica emi- 
nentemente feudale, di cui il diritto d'investitura era di spet- 
tanza del patriarca, e, nelle vacanze della Sede, del Capitolo 
d'Aquileia d' accordo col Parlamento della Patria i). 

A meglio riconoscere le circostanze che favorirono ed ac- 
compagnarono l'istituzione del Capitanato polese, come pure 
a rilevare il preciso carattere di questa carica, di duplice ema- 
nazione comunale e feudale, bisogna porre anzitutto attenzio- 
ne al fatto che Pola non era una città libera e indipendente 
nel vero e pieno significato della parola, giacché, nonostante i 
suoi persistenti conati e parziali successi, mai era riuscita a 
svincolarsi completamente dalla soggezione de' patriarchi, e 
ciò in ispecie per l'opposizione della famiglia Castropola, temente 
la rovina de' propri interessi, qualora la città, emancipandosi 
del tutto da Aquileia, fosse caduta (ciò che appariva inevitabile) 
in mano de' Veneziani. 

Abbiamo veduto come i Castropola godessero da lunghis- 
simo tempo in Pola una posizione eminente, alla quale erano 



'} Nel primo decennio del Trecento il Principato aquileiese venne 
a trovarsi in continue convulsioni di guerra a cagione di questo u0ìc io, 
tra più aspiranti controverso, e che Ottobono de' Razzi, dopo lunghi in- 
dugi, volendone a sé riservati i pingui proventi, fu costretto, per le 
fallite sue imprese diplomatiche e militari contro i molteplici nemici 
della sua Chiesa, ad assegnare, nel ]3io, al conte di Gorizia fCzoernig, 
Das Land Gttrz und Gradisca pag 3io e 53o). Precedentemente (in data 
33 novembre del 1309) Ottobono aveva conferito il Capitanato generale del 
Friuli a Rizzardo da Camino signore di Treviso, che non lo potè soste- 
nere a lungo, in causa, a quanto pare, della opposizione di alcuni ca- 
stellani della Patria, partigiani del Goriziano. (Cfr. Verci, 111, 99-100]. 
— Delle discordie e lotte che funestarono allora il Friuli, avevano cer- 
cato di approfittare i Veneziani per estendere il loro dominio nel Mar- 
chesato, ove raccolsero un corpo di milizie sotto il comando di Gio- 
vanni Zeno, che occupò Castelvenere e altre terre patriarcali i ond' 6 
probabile che ì Castropola, oltre alle principali circostanze della cre- 
scente emancipazione del Comune polese, e degli interni dissìdi, pren- 
dessero anche a pretesto questo immediato pericolo di una veneta oc- 
cupazione, desiderata e fora' anche ricercata dalla soccombente fazione 
avversaria, per mandare più facilmenle ad eg'etto, con l'adesione ed il 
concorso del patriarca, l'antico loro voto della conquista della Signorìa. 



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— 35o — 

pervenuti precipuamente in grazia dell'appoggio loro accordato 
dai principi d'Aquileia. Custodi del castello e protettori d'arme 
della città, capi della Castaldia e rappresentanti u0ìciali del 
patriarca; primati del Comune influentissimi ne' Consigli e nella 
Magistratura, essi erano ornai giunti a tanta preminenza, da 
potersi considerare quasi arbitri della pubblica cosa, né doveva 
riuscir loro di0ìcile o azzardoso di assumere in un momento 
propizio il dominio della città, riformando in parte la costitu- 
zione comunale; e creare quindi, a similitudine delle maggiori 
città italiane, l'u^ìcio capitanale, fondamento e principio d'una 
concreta e stabile Signoria. 

Non è ammissibile che essi, favoriti e principali sosteni- 
ori del patriarca in Istria, procedessero in di lui disaccordo 
in una quistìone di tanta entità, mentre avevano sugìcienti 
argomenti in proprio favore — date le anormali e malsicure 
condizioni politiche del Principato aquileiese in generale e del 
Comune polese in particolare — per indurlo a sanzionare un 
atto, che altrimenti poteva avere tutta l'apparenza d' una ar- 
bitraria usurpazione, e, come tale, suscitare i sospetti e le 
proteste de' Veneziani e forse anche de' conti di Gorizia, che, 
notoriamente, vantavano dei diritti giurisdizionali nella Pole- 
sana. Che se anche il patriarca rimase estraneo ai primi ma- 
néggi dei Castropola per impadronirsi del governo della loro 
città, più tardi, investendoli dei poteri regali, convalidò pub- 
blicamente la loro esaltazione al Capitanato, e li riconobbe 
quali legittimi signori di Pola. 

Nel decennio trascorso fra la podesteria di Bartolomeo 
de' Vetrari e la podesteria di Monfiorilo da Coderta, il Co- 
mune polese aveva potuto estendere e consolidare la sua au- 
tonomia, giungendo perfino ad arrogarsi le prerogative di 
mero e misto imperio, a^ìdandone l'esercizio, come nelle Re- 
pubbliche indipendenti, al podestà liberamente eletto ed a 
quattro consoli rinnovabili ogni quattro mesi, per scrutinio 
segreto, in seno a) Consiglio grande o generale i). Il Castal- 



, 1) Fra i patti della dedizione de' Poleai a Venezia, del i33i, si trova 
il seguente articolo: quod ComcB Polc.^.. debeat regcrc Polcnses cum 



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— 35i — 

dionato patriarcale andò perdendo un po' alla volta ogni ca- 
rattere ed ogni e0ìcacia d' istituzione governativa autonoma, 
mentre le sue attribuzioni Turono in gran parte assunte dalla 
rinvigorita Magistratura comunale. 

Questa reazione emancipatrice de' Polesi si iniziò, a quanto 
pare, dopo che il patriarca Raimondo della Torre, per favo- 
rire i propri parenti — uno de' quali. Martino della Torre, 
fece eleggere nel 1393 a podestà di Pola — cominciò a ne- 
gligere alquanto i Castropola, cui sino allora aveva accordato 
tutta la sua protezione. Comunque, sta il fatto che i Castro- 
pola seguirono anch'essi per qualche tempo — non sappiamo 
invero con quanta sincerità di propositi — la corrente auto- 
nomistica, che valse a conferire in breve alla città maggior pre- 
stigio e considerazione. 

Ma per rifarsi della superiorità perduta quali rappresen- 
tanti patriarcali, sì diedero a spiegare una più diretta e attiva 
ingerenza nelle cose del Comune, con l'intendimento di muo- 
vere risolutamente alla sua conquista; e, uscito di carica, nel 
i3o5 Monfìorìto, seppero ostacolare e impedire l'elezione d'un 
nuovo podestà forestiero, riservando a sé tale uQicio, per aver 
libera la via al raggiungimento del supremo e assoluto potere. 

Difatti nel i3o6 Pietro de' Castropola, in qualità di consul 
major, esercitava già in Pola una specie di dittatura >), mentre 
quattro anni di poi lo vediamo signoreggiare la città col titolo 
di capitaneus generatisi). Ed ecco da queste due denominazioni 
risultare chiaro e preciso il carattere primordiale della Signo- 
ria polcse. La quale trasse evidentemente origine da un du- 
pCice trasferimento e concentramento di poteri nella famìglia 
Castropola; da parte cioè del Comune, e da parte del Governo 



quatuor Consiliariìs diete Terre tam in civtlibua quam in crimioalibus 
tecttndutn staluta eorutn etc Questi sarebbero, a nostro avviso, gli Statuti 
riformati nel 1296 dal N'ctriario, che vennero poi in parte infirmati dai 
Castropola. 

<) Commemoriali I, 369 — Notisi che contemporaneamente un al- 
tro Castropola, Sergio figlio di Fiorella, occupava la medesima carica 
di console maggiore in Valle. 

*) Vedi i documenti in Appendice. 



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— 35a — 

d'Aquilcta. Essa può quindi considerarsi sorta in embrione 
dalla carica podestarile e appena piìi tardi convalidata e resa 
effettiva e stabile dalia sanzione patriarcale. 

Ci sono nella storia mcdiocvale d'Italia non pochi esempi 
di Signorie maggiori nate sotto i medesimi auspici ; così le 
dominazioni degli Estensi in Ferrara, dei Pallavicino in Pavia, 
Piacenza e Cremona, dei da Polenta in Ravenna derivarono 
dalla trasformazione delle podcstarie annue in cariche perma- 
nenti ed eredilarie, ottenendo infine la conferma sovrana: le 
due prime dagli imperatori e re tedeschi e l'ultima dal pon- 
tefice ") 

Particolarmente rimarchevole, per il nostro confronto, è 
lo sviluppo della Signoria polentana in Ravenna. Guido da 
Polenta, vinta 1' emula fazione de' Traversar!, si fece eleggere 
nel 1275, unitamente a Iacopo di Corradino de' Ghczzi, con- 
sole e rettore del Comune. Più tardi assunse da solo il go- 
verno, e col titolo di podestà tanto egli che suo figlio Lam- 
berto ed i loro discendenti dominarono successivamente per 
lunga serie d' anni in Ravenna. Ma Ostasio IV,che usurpò il 
potere al cugino Guido Novello, dopo uccisogli il fratello e 
vicario Rinaldo arcivescovo eletto della diocesi ra vegnana, 
s' intitolò poleslas et capitaneus ed in seguito regens Ravennae ^]. 

1 Polentani ebbero dunque come i Castropola il primo 
potere dal Comune, e perfino quasi uguali cariche e titoli. E^si 
riconoscevano la supremazia dei pontefici, dai quali, se non già 
prima Lamberto, certo però nel i343 Ostasio IV ebbe confer- 
mata la Signoria col titolo capitanale, precisamente come, i 
Castropola dai patriarchi d'Aquileia 3). 

') Salzer, pag. 42, 52, 56 e seg. 

^) Fantuzzi. Monumenti ravennati, T, V, pag. 180-181. -r Litta, 
Famiglie celebri italiane (Da Polenta). 

") Interessante t pure per noi la genesi della Signoria de' Bonaccolsi 
dì Mantova, che il Salzer (pag. i32 e seg.) fa derivare direttamente dal 
Capitanato del popolo, carica che sarebbe stala conferita ad essi circa il 
1175 Ma già nel 1273 Pinamonte Bonaccolsi governava Mantova col titolo 
di reclor Cotnmunis ^rettore era sinonimo di podestà) in unione al conte 
Federico di Marcarla. Secondo il d'ARCo (I, ia5:, lo stesso Pinamonte 
fu eletto il 16 febbraio del 1176 capitano generate dì Mantova; e difatti in 



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— 353 — 

Abbiamo tre documenti del i3io che ci denotano come 
già avvenuta in quell'anno 1' evoluzione completa dello Stato 
comunale. Il primo, con la data del 3i marzo, è una lettera 
del doge Pietro Gradenigo al suo fedele, diletto Pietro reltore 
di Pola, perchè conceda al cittadino veneto Marino Badoer il 
lìbero trasporto di un carico di granaglie da Pola in altre pani 
dell'Istria'); il secondo, di data 5 luglio, contiene una risposta 
giustificatoria di Pietro capitano generale, dei consoli e del Co- 
mune di Pola alla rimostranza del doge, che nella loro città 
no'n veniva fatta giustizia ai sudditi di S. Marco colà residenti^); 
il terzo infine è una ducale del i5 luglio, con cui Pietro capi- 
tano di Pola veniva esortato a pagare al cittadino veneziano 
Marino Marin una certa somma dovutagli a saldo d'una partita 
di frumento da lui acquistata \ 

Queste sono le prime sicure notìzie a noi pervenute con- 
cernenti ti Capitanato polcsc, la cui fondazione non dovrebbe 
rimontare ad un tempo di molto anteriore. Il Negri, nella sua 
dotta dissertazione sopra un sigillo dei Castropola, accenna 
vagamente ed in parte erroneamente per ciò che riguarda la 
indicazione delle persone, che • Nascinguerra di Sergio detto 
Fiorella circa l'anno i3o5 e poi il Sergio di lui figliuolo, arri- 
varono ad avere l'intera amministrazione delle cose tutte della 
città ed a disporre di essa con pieno arbitrio, dichiarati es- 
sendo perpetui capitani generali della medesima *] • . 



parecchie scritture posteriori Io troviamo appellato capitatieus gauralù 
cnritatis et populi, e più tardi soltanto civiiatis, come i Caatropola in 
Pola ed anche i Camincai in Treviso Suo figlio Bardellone, e poscia il co- 
stui nipote Guido (che nel 1393 occupò la carica di podestà di Man- 
tova) portarono l'egual titolo di Capitatttfis generalis et perpetuua dvilatia 
et districtus Mantut. 

1) Arch. di Stato in Venezia. Litlerarum CoUegii libcr, C. 73 t,« 
— Vedi Appcnd. 

*) Arch. di Stato in Venezia. Commemorialiutn Lib. I, e. i53 t" 
N. 430. — Vedi Append. 

>) Arch. di Stato in Venezia. Litter. CoUegii libcr, e. 96 L* — 
V. Append. 

*) Notizie stor. di Pola, pag. 265. 



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— 354 — 

L'anno i3o5 corrisponderebbe precisamente alla elezione 
dì Pietro, da parte del Consìglio generale, alla carica straordi- 
naria di console maggiore del Comune, cui gli venne, pare, so- 
stituita in seguito quella più defìnitiva ed assoluta di rettore 
ossia podestà. 

Ma questi non furono che gli antefatti preparatori alla co- 
stituzione del Capitanato e della Sigiioria de' Castropola. I quali 
— Capitanato e Signoria — trassero veramente origine e fu- 
rono determinati dall'atto di solenne tnfeudazione con cui il 
patriarca Ottobono de' Razzi investì i due cugini Nascinguerra 
e Pietro de regalibus et officio regaliae ad bejieplacilum suae volun- 
lalis 1), rinunciando adunque in loro favore, per un tempo in- 
determinato, alle prerogative d'alto dominio — tra cui alla 
nomina dei giudici e giurati criminali — e conferendo ad essi 
Varbitrium generale su tutta l'amministrazione politica, militare 
e giudiziaria nella città e nel distretto di ['ola. 

Data la dipendenza, benché oramai più nominale che reale, 
di Pola da Aquileta, appare evidente che il foodamento giuridico 
della Signoria de' Castropola doveva risiedere nella investitura 
feudale da parte del patriarca. Il quale con questa sua deter- 
minazione si prefiggeva d'infirmare l'autorità autonomica del 
Comune, limitando soprattutto te attribuzioni del podestà quale 
u0ìciale eletto e delegato dal Consiglio. 

Non altrimenti — lo abbiamo già altrove accennato — nelle 
principali Repubbliche di Lombardia e di Romagna, i più po- 
tenti tiranni cercavano di rassodare e legittimare un potere 
spesse volte ingiustamente attribuitosi, facendosi conferire il 
titolo e la carica di legati, vicari o capitani generali da chi — 
fosse il papa o l'imperatore o qualche altro principe feudale — 
manteneva un antico diritto di sovranità sulle città e sui ter- 
ritori da essi governati. Nel quale proposito osserveremo, che, 
tenuto debito conto del differente grado d'importanza fra i due 
ugìzt, i Vicariati imperiali d'Italia e il Capitanato patriarcale 
polese presentano fra loro in molti punti una sorprendente 
analogìa. Sì l'uno che gli altri si basavano sul principio della 



') Thes. Eccl. Aquil N. 875. 



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— 355 — 

legittima autorità del principe sovrano e supremo signore ter- 
ritoriale, dì cui erano dirette emanazioni e rappresentanze. I 
capitani di Pola furono investiti, quasi alle stesse condizioni 
di vassallaggio, dei medesimi privilegi di regalia o dì alto do- 
minio come ì vicari di Lombardia sotto Enrico VI! i). Queste 
investiture dovevano servire agli interessi di due opposte ten- 
denze politico-feudali, coalizzate ai danni della libertà dei Co- 
muhi; la tendenza dell'imperatore, rispettivamente del patriarca, 
di riannodare alla meglio le disciolte o rilassate membra dello 
Stato; e la tendenza dei vicari, rispettivamente dei capitani 
generali, di farsi forti dell'autorità sovrana specialmente di 
fronte alle gelosie e aspirazioni di emuli potenti e alle possibili 
reazioni e rivendicazioni liberali del popolo. 

Il breve regesto che del diploma d'investitura dei Castro- 
pola è a noi pervenuto, non contiene, sgraziatamente, alcuna 
data, e nemmeno il nome del patriarca che lo emanò; senonchè 
questi non può essere stato che Ottobono de' Razzi, il quale 
occupò la cattedra d'Aquileia dal i3o3 al i3i5. Circa la data 
dell' istrumento dobbiamo cercare di determinarla per via d'in- 
duzione, approssimativamente; e a tal uopo ci varremo di un 
decreto del 7 giugno i3o8, con cui il patriarca Ottobono com- 
mise al suo marchese d'Istria Anselmo da Carìsacco di procedere 
in Pola alla nomina di tre giudici per le cause criminali e 
territoriali e di dodici consiglieri giurati, i cosidetti regalss >]. 

1) Nel diploma d'investitura dd. to maggio del t3ii, con cui En- 
rico VII conferì a Rizzardo da Camino ti Vicariato imperiale si legge: 
* De probitate industria, legalitate et fide tua plenam gerentes fiduciam 
te ... . in Vicarium nostrum Civitatls Tarvìeii, terrìtorii, et distrìctus 
ejusdem quoad vixeris tenore prescnlis duximus statuendum; et que 
Bunt meri et mixti imperii, ac simplicis jurisdictionis tibi plenarie com- 
mittcntes ac bcìentes te ordinarium in premissis piene confisi quod 
huiusmodi o01cium et regimen singulis sine personarum ecceptìone mi- 
nistrando justitiam. et ne min em gravando rancore, vel odio, seu relevando 
injuste pretio grafia, vel amore prudenter et fidetiter cxercebis.» (Verci, 
Storia della Marca Trivigiana. T. V, t38. Documenti) Cfr. Sickel, Daa 
Vicarìat der Visconti. 

>) Thes. Eccl. Aqui. N. 1080. Instrumentum quomodo Patriarcha 
Ottobonua constituit et fecit Henselinum habilatorem suum de Cari- 



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— 356 - 

Si trattava quindi di ripristinare il Tribunale della Regalia 
Incorporato da poco nella Magistratura comunale, retta allora, 
come sappiamo, da Pietro de' Castropola; laonde ne conse- 
gue, che sino a quel punto alla nostra famiglia non poteva 
essere stato conferito dal patriarca l'alto potere giurisdizionale. 
È lecito supporre che l'esecuzione dell' incumbenza data al 
marchese d'Istria incontrasse una seria opposizione specialmente 
da parte dei Castropola, timorosi di vedersi menomato il potere 
che tenevano dal Comune. Difatti essi riuscirono ad impedire 
il rinnovamento della Magistratura patriarcale, come voluta da 
Ottobono, non solo, ma, approfittando dell' opportunità del 
momento e spiegando un'alacre e sagace politica, volsero sif- 
fattamente in proprio favore la situazione, da ottenere l'investitura 
dell'UQìcio della Regalia col mero e misto imperio. Il che deve 
essere avvenuto o alla fine di quell'anno i3o8 o al principio 
del susseguente; ed in questo periodo di tempo crediamo quindi 
di poter fissare l'istituzione upciale del Capitanato poiese. 

L'investitura patriarcale fu conceduta in comune ad am- 
bedue i cugini Pietro e Fiorella, i quali stabilirono tra loro una 
specie di condominio; ma il solo Pietro assunse il potere rap- 
presentativo ed esecutivo della Signoria col titolo di capitaneus 
geruralis; e ciò, senza dubbio, perchè egli solo fu eletto dal 
Consiglio — per un tempo indeterminato e fors' anche a vita 
— a console maggiore ossia rettore, ed a lui solo venne quin- 
di riconosciuta la legittimità di supremo governatore del Co- 
mune ')■ 

In quanto la scarsità delle fonti ce lo permetta, ci prove- 



sacho suum procuratorcm ad creandum et raciendutn in civitate et di- 
strìctu Polc trea ludiccs, qui cognoscere habeant de territoriis et judicio 
sanguinis, et duodccim ludices, qui appellantur ludiccs Regalie. Charta 
per Franciscum Nasutti in MCCCVIII, die septima intrante lunio. 

') ìiegìì atti della lite per il feudo Morosini, conservatici in estratto 
dal Negri, alcuni de' quali si riferiscono agli anni i3o8 e i3o9, non figura 
mai il nome di Pietro Castropola, bensì, ripetutamente, quello di suo 
cugino Fiorella, come di persona autorevolissima, ma non investita della 
arica di rettore o di capitano. 



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— 35? — 

remo di indicare, per sommi capi, l'ordinamento costitutivo del 
governo capitanale di Pola, non trascurando la norma di altre 
città e Repubbliche italiane sottoposte ad una consimile forma 
di reggimento. 

Quantunque l'avvenimento della Signoria segnasse la fine 
della pubblica libertà, non mutarono gran fatto, gli ordini e- 
sterni della costituzione comunale. Rimasero, almeno apparen- 
temente, in vigore la carica podestarile, il Collegio consolare, 
il Consiglio grande, mentre gli atti di governo venivano estesi 
a nome del capitano generale e del Comune i). 

Il capitano attribuìvasi la suprema dirigenza della cosa 
pubblica, con la facoltà di reggere la città e il territorio quasi 
a suo pieno arbitrio. Egli poteva dettar nuove leggi e rifor- 
mare gli Statuti; imporre tasse e censi, bandire la guerra e 
la pace <). 

Onde assicurarsi tanta preminenza ed estensione dì do- 
minio, volgeva di solito ogni cura ad invilire la Magistratura 



') Salzbr, op. cit., pag a55 e seg. — Lanzako. op. cit , pag. 663. — 
D'Arco, Storia di Mantova, 1, 137. 

*) Ecco, ad CBcmpio, le principali prerogative inerenti al Capitanato 
generale mantovano, come si trovano specificate nel rògito della elezione 
di Guido de' Bonaccolsì (1399): «quod egrcgius dominus Guido de Bona- 
col9Ìs sit et ease debeat perpetuo capilaneus generalis ctvitatis et districtus 
Mantue et communis Mantue et ipsam capitanarìam facere et exercere 
et ipsam cìvitalein etdistructum et comm une Mantue regcre et gubemare 
ad suum merum, purum, liberum et generale arbitrium et voluntatem 
secundum quod mcllus et utilius slbl videbitur convenire cu m Consilio 
et sino Consilio; et habeat dictus dominus Guido capitaneus Mantue 
merum et purum imperìum et jurìsdictionem, dominium, potestatem, 
signoraticum et liberum arbitrìum Jn commune. universìtatem, homines 
civitatis et districtus Mantue, ita quod ìpsc capitaneus possit banna 
ponere, absolverc et condemnationes tam realcs quam personales facere 
et fieri Tacere, executioni mandare et mandari Tacere. ... guerram Tacere, 
treuguam, concordiam et pacem Inire, . . potestates, rcctores, judices.... 
elìgere, ponere et cassare etc. Salier, pag. 3o3. Cfr. D'Arco, I, 184. — Per 
la Signoria d^li Scaligeri in Verona vedi: Spangenberg, Cangrande I 
della Scala. II, 87. — Naturalmente la potestà dei Castropola non era 
tanto assoluta, e lo dimostra il Tatto, della continuata conTermazione 
dei podestà comunali da parte del patriarca 



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— 358 — 

comunale. Abbiamo già veduto come ne' primi tempi della 
Signoria polese, la carica podestarile restò in certo qual modo 
abbinala a quella capitanale ; più tardi, probabilmente per in- 
tromissione del patriarca, venne ristabilita nel suo pristino carat- 
tere '). Ma il podestà forestiero, che era stato altra volta il capo 
supremo, generalmente riconosciuto, della città, si ridusse ora 
ad un dipendente del capitano. Il quale si studiava tuttavia di 
farne a meno, volendo avere più libera la mano per governare 
a proprio talento, dispoticamente; e ne ritardava il più possibile 
l'elezione, che doveva tarsi, per sua designazione, o almeno 
col suo assentimento ed accordo, in seno al Consiglio, ed ot- 
tenere poi, come in passato, la conferma del patriarca *). 

La presenza de' consoli la troviamo documentata nel i3io 
e nel iBig"]; ed è probabile che questa Magistratura, indi- 
spensabile al regolare funzionamento dell'azienda comunale, 
non subisse alcuna interruzione per tutta la durata della Si- 
gnorìa, naturalmente però non restando ad essa a0ìdato che 
la giudicatura minore ed altre imcombenze amministrative di 
secondaria importanza. 

11 Consiglio seguitò bensi a funzionare quale corpo rap- 
presentativo del Comune, ma, come succedeva sempre in 
simili casi, dopo avere subita una parziale trasformazione or- 
ganica ed un limitamento delle sue attribuzioni. Negli affari 
amministrativi gli era tuttavia serbata una relativa libertà di 
azione; ma in quelli risguardanti la legislatura e la diploma- 



') Nel i3i9, dopo risolto il grave conflitto con Venezia, del quale 
diremo nel prossimo capitolo, troviamo podestà in Pola il veneziano 
Giovanni Quirìni (Minotto. I. S7). Ma forse questi fu imposto dalla Re- 
pubblica, anziché eletto dal Capitano e dal Consiglio con le solite modalità 
e con l'adesione del patriarca. 

') Bianchi, Documenti per la storia del Friuli. Il, 1^6-148. — Nello 
Statuto di Verona era stabilito che il podestà dovesse essere eletto de 
amieiisu et voluntate domini Alberti de la Scala capitanti populi (Cipolla, 
Compendio della storia politica di Verona, pag. 187). Però, di solilo, 
ne' maggiori Principati, il podestà veniva nominato direttamenle dal 
signore; cosi a Ferrara, a Mantova, a Bologna ecc. 

3) Minotto, I, 72 e 87, 



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— 359 — 

tica — cioè le relazioni politiche con altri Stati e Comuni, — 
se anche chiamato, in ecgno di apparente legalità, a consulto 
e a deliberazione, esso subiva necessariamente l'influenza del 
signore e doveva adagiarsi al di lui volere i). 

Riguardo all'alta giurisdizione civile e criminale, i Castro- 
pola, per concessione del patriarca, ne divennero ì soli e legit- 
timi depositari ; ma non la esercitavano personalmente, bensì 
a mezzo di appositi ugìciali da essi prescelti e stipendiati, i 
quali costituivano il Tribunale signorile. Se veniva eletto il 
podestà del Comune, era questi di solito che, per mandato del 
capitano generale, da cui riceveva il mero e misto imperio, 
presiedeva il Tribunale, e sentenziava in tutte le cause di 
maggior rilievo; ma in mancanza del podestà veniva assunto 
a tale incarico un vicario giurisperito forestiere, che si diceva 
anche giudice del criminale o del raalefizio '). Va notato an- 
cora, che i Castropola avocarono a sé tutte le appellazioni, 
anche quelle in materia civile, spettanti per antica consuetu- 
dine, sanzionata dallo Statuto comunale, alla Curia arcivesco- 
vile di Ravenna. 

Benché intimamente avversi, per antica tradizione fami- 
gliare, ai Veneziani, Pietro e Nascinguerra avevano cercato 
di accostarsi ad essi e dì coltivarne, con molta accortezza 
l'amicizia, più che utile indispensabile a' loro particolari 
fini e interessi. In ispecie Nascinguerra seppe insinuarsi nelle 
grazie del Governo di S. Marco, che nel i3o4, al 3o di set- 
tembre, gli conferì la cittadinanza veneta s], onorifico e van- 
taggioso privilegio ambito dai principi e nobili forestieri, spe- 
cialmente per la protezione che assicurava al commercio 
marittimo. Vediamo infatti conseguiria in quell'anno medesimo 



1) Salzrr, i57 e seg. 

*) L'Istria. Il, p^. 365. — Nel i3o9 era giudice criminale in Pola 
Tommaso de* Pronti da Parma; nel i3i3 Falco Mattei da Bologna, dot- 
tore di leggi; nel i3i6 Palamede da Rimìni. 

'} Documenta etc. Attie Mem. X, 14: Nascinguerra dictus Forella 
ait decelero venelus cam suia tieredibus. 



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— 36o — 

Rizzardo da Camino e Azzo marchese d'Este; nel i3i3 Enrico 
conte dì Gorizia, e più tardi ì Carraresi, gli Scaligeri, i Gon- 
zaga, i Visconti e altri potenti signori dell'Italia settentrionale >). 

I Castropola mantenevano un continuo scambio di rela- 
zioni con la città lagunare per l'occorrenza de' loro tragìct, 
ai quali di gran lena cransì dedicati. Vi si recavano molto 
spesso personalmente, talora quali rappresentanti del Comune 
polese per negozi di pubblico interesse, e vi erano accolti 
e trattati con una certa amichevole deferenza, e graziati, verso 
un'adeguata malleverìa, della licenza di portar armi, la quale 
venia estesa alle volte anche ai loro famigliari, come quando, 
nel settembre del i3o5, non sappiamo in quale ricorrenza, 
Fiorella vi si fece accompagnare da un corte^io di sedici 
paggi 2). 

In seguito, i due cugini ebbero l'opportunità di rendersi 
maggiormente accetti ai Veneziani per l'aiuto loro prestato, 
a nome del Comune di Pola, nella sfortunata impresa di Fer- 
rara degli anni i3o8 e iSog. 

È noto che alla morte del marchese d'Este Azzo VII), il 
di lui bastardo Fresco, venuto a conflitto, per ragione della 
eredità paterna, col proprio zio Francesco d' Este, cedette il 
dominio di Ferrara alla Repubblica di Venezia, la quale, al- 
lorché s' accinse a prenderne possesso, vi si scontrò con le 
milizie della Chiesa, chiamate in soccorso dal marchese France- 
sco. Più tardi il pontefice Clemente V, che considerava Ferrara 
attenente, per antichi diritti, al patrimonio di San Pietro, bandì 
contro i Veneziani una fiera crociata, movendo a' loro danni 



<) MoLiiRNTi, La storia di Venezia nella vita privata Torino, 1880, 
pag. 60-64. 

») MiNOTTO, Acta ci diplom II, 94: A i3o5 3 septembrìs. Ser Fo- 
rella de Pola habeat liceniiam portandi arma cum XVI pueris, ad voluo- 
tatem d. ducis, quousquc stabit hic. dando plefarìam secundum usum. — 
Documenta etc. (Atti e Mem. X, 33)r A. i3o6, 24 hcptembris, Nob. Petrus 
de Pola habeat libentiam portandi arma per die» XV, sub plenaria. 



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— 36i — 

le principali città di Toscana, di Romagna e delle Marche di 
Ancona e Trevigi i) 

Si fu allora che i Veneziani, avendo deciso d'inviare una 
squadra di galeotte nel Po, ricorsero per aiuto alle città alleate 
e tributarie, tra cui anche a Pola, richiamandosi senza dubbio 
alle antiche convenzioni, benché non si trattasse, a rigor di 
termine, d' una guerra marittima. Ma ai Castropola premeva 
più che mai in quel momento, in cui stavano per raggiun- 
gere il potere, di non inimicarsi la Repubblica che avrebbe 
potuto avversare i loro piani, laonde s'affrettarono a corri- 
spondere alla di lei richiesta inviandole un contingente bellico 
di ottanta soldati s). 

(Ckmtinua) Camillo De Franceschi 



') Frizzi, Memorie per la storia dì Ferrara Voi. III. pag. ai6 e seg. 
Vergi, Storia della Marca Trivigiana. T. Ili, pag. 83 e seg. 

*) Senato misti. — Cose dell'Istria (Atti e memorie. Voi. V, pag. 3o), 



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vi CENNI STORICI 

SULL'ETNOGRAFIA DELL'ISTRIA 

(Continuazione vedi volume XVIII, Tascicolo I e II). 

XXL 

I provvedimenti presi per il ripopolamento della provincia 
raggiunsero solamente in parte il loro scopo, pel motivo che 
le pesti decimatrici le vecchie popolazioni, non risparmiarono 
le nuove. Dicasi altrettanto del morbo malarico, il quale se 
trovò nel popolo morlacco una fibra resistente, potè tuttavia 
far strage fra gli altri nuovi abitanti, così da indurre i rimasti 
incolumi ad abbandonare spaventati le terre occupate. 

Nel secolo seguente, vale a dire nel 1600, le cose non 
volsero a migliori condizioni e ciò perchè la provincia, oltre 
alle lotte sostenute cogli Uscocchi ed alle guerre di rappresa- 
glia fra la Repubblica e l'Austria, seguite da stragi di luoghi 
e di genti '), s'aggiunsero nuove invasioni di peste bubbonica, 
che per fortuna furono anche le ultime. 

Dalla Carniola, ove il morbo infieriva nell'anno 1S99, pas- 
'a esso in TriesU, ove durò dall' 1 1 Novembre 1600, al 27 
cembre i6oi, con una moria d'oltre mille persone. Nel 1601 

') V, il mio lavoro -La Malaria in Istria». 



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— 363 — 

penetrava in Capodislria, senza però apportare gravi conse- 
guenze !)■ 

Sebbene nel primo quarto di secolo il morbo avesse do- 
minato in quasi tutta l'Europa, l'Istria ne veniva risparmia- 
ta fino al i6j4, penetrandovi dal vicino Friuli *). 

La prima città colpita fu Capodislria S). Cessato il morbo 
nello stesso anno, ricompare in provincia nel i63o e la per- 
corre 6no al t633. 

Pochi furono i luoghi risparmiati dal morbo, fra questi 
Isola e Pirano. 

La prima località assalita fu Muggia nel i63o, quindi Ca- 
podistria, ove, ad intervalli, durava fino al i633, rubandovi, com- 
preso il contado, circa 5ooo persone, talmente che la popola- 
zione della città fu ridotta a circa 1800 abitanti, da 6000 che 
erano prima dell'epidemia. 

In Umago, in S. Lorenzo di Baila, in Verteiugtio la peste 
lece stragi. La popolazione di Umago venne ridotta a 10 abi- 
tanti, quella di VertenegHo da 5oo a 25o circa. 

Cittanova si riduceva con m abitanti, Parendo con 3o e 
Boia con 3 sole famiglie di cittadini, che assieme alla guarni- 
gione ed alle famiglie forestiere sommavano a sole 3oo persone. 

Le ville di Sissano, Memorano, e Medolino restavano deci- 
mate in modo, che nelle due prime cessavano i capitoli, che 
prima esistevano. 

Non furono risparmiate Rovigno, Fasana, Pisino, Gimino e 
Pedena, sebbene il morbo non infierisce come nei luoghi an- 
zidetti *). 

Alle stragi delle pesti s'aggiunse, come il solito, l' am- 
morbamento progrediente dell'atmosfera, nelle forme della 
malaria, che continua ed inesorabile fece la guerra alle popo- 
lazioni sì indigene che importate nell' Istria ^). 



■) Atti. Memorie cit. XIl-99. 
«) Ibid. VII. 54. 55. 
») Ibid. XIII, i3i. 

*) V. Mio lavoro «La Malaria in Istria- cit. ed Atti e Mem. cit. 
Xm, 358, 364. 

^) Mio lavoro cit. 119, 133. 



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— 364 — 

In altro mio lavoro esposi esaurientemente le tristi con- 
dizioni della provincia all'espiro del secolo XVI e nel secolo 
seguente, né mi fa d*uopo di ripetere quanto io allora scrìssi ■). 

Certo, il Governo non poteva non rimanere impressionato 
delle tristi condizioni in cui s'erano ridotte, in particolar mo- 
do, le città della costa istriana, le quali, ad eccezione di Ca- 
podistria, Pirano e Rovigno, erano deserte di abitanti, piene 
di rovine di caseggiati, attorniate da territorii incolti e deserti 
per mancanza di lavoratori ; e che si cercasse in più modi di 
riparare ai mali, ne abbiamo molte prove. 

XXII. 

Scoraggianti, veramente, erano i tentativi fatti nei secoli 
precedenti, in quanto che le popolazioni introdotte fossero per 
la maggior parte perite o esulate dalla provincia. 

Tuttavia il governo non volle darsi per vinto, e continuò 
nel suo sistema di prendere genti ove erano disponibili e di 
trasportarti in Istria, senza criterio alcuno di provvedere o di 
recar nocumento ad una data nazionalità. 

Si giunse anzi, da uno dei Rettori, a proporre di fare 
della provincia un rifugio di banditi, e con questi ripopolar- 
la ; oppure di limitare i bandi, per non spopolarla, il che 
equivaleva farla nido ed rifuggio di malviventi ^) ! 

Favori le idee del governo l'avanzarsi dell'irruzione turca, 
per la quale i territorii confinanti pullulavano di fuggiaschi, 
dei quali parte fermaronsì in Dalmazia, altri, e forse in mag- 
gior numero, chiesero rifuggio al dominio veneto. Questo die' 
loro stanza in Istria, sicché nel decorso del secolo XVII, ad 
imitazione dell' antecedente, immigrarono nella nostra provin- 
cia slavi meridionali (serbo-croati), albanesi e più tardi molti 
greci da Candia, o veneti grecizzati per la lunga loro dimora 
in queir isola. 



') Ibid. 

*) Relazione del Cap.° di Ra«po Zuanne Coi 
Mem. cit. IV, Sai. 



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— 365 — 

Il collocamento di codeste nuove popolazioni nella pro- 
vincia non riesci però sempre facilmente. Era necessario di 
provvedere le stesse non solo di terreni, ma di abitazioni, di 
strumenti rurali, d'animali da lavoro e^ nei primi tempi, per- 
sino di generi alimentari ; trattandosi, nella grande maggio- 
ranza, dì povera gente che avca abbandonato, colla patria, ogni 
suo avere dinanzi alle orde turchesche. 

La massima di^coltà veniva nell' assegno di terreni, dei 
quali, specie se incolti, l' Istria non scarseggiava. Erano lande 
estese che dalla costa s' estendevano verso l'interno sulle quali 
crescevano i rovi e le eriche, e che da molti anni l'aratro 
non aveva smosso. 

In base al deciso del Magistrato sui beni incolti, quei ter- 
reni erano divenuti proprietà dello Stato e questo poteva as- 
segnarli a chi volesse E così anche fece ; ma come si vedrà 
neir esposizione dettagliata, codesta applicazione stretta dai 
decreti di quel Magistrato, diede motivo a proteste non poche, 
non del tutto ingiustificate. 

Diffatti il Magistrato avrebbe dovuto non solo ammettere, 
quale condizione per la confìsca, l'abbandono d'ogni coltura, 
ma bensì anche la mancanza d' un proprietario dello stesso, 
circostanza questa resa ricorrente dalla grande mortalità, come 
si è veduto. L'aver trascurato codesti elementari principii, 
portò per conseguenza, che l'assegno di molti terreni ai nuovi 
abitanti diede luogo a proteste da parte dei vecchi abitanti, 
che poterono comprovare la rispettiva proprietà. 

Cosi vediamo gridare i Barbarigo di Venezia, i Conti Fola 
di Treviso (gli antichi Castropola colà confinati), la Procuratia 
di S. Marco quale commendatrice della diruta Abbazia di S. 
Maria del Cannette in Pola, il Convento di S. Francesco in 
Fola, quello delle monache di S. Teodoro nella stessa città, 
molti privati e lo stesso Comune di Pola i). 

Da siffatta questione molto altre ne originarono, le quali 
a nuli' altro servirono che a fomentare l'odio, la contrarietà 
contro i nuovi abitanti, ereditata dai loro antenati. 

") Atti e Mcm XVI-36o, Libro Altura. 



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— 366 — 

Onde porre rimedio a siffatti malanni, il Governo trovò 
cosa opportuna di rinnovare ai Rettori delle città istriane il 
divieto di occuparsi di affari riflettenti i nuovi abitanti, affari 
la di cui pertrattazione era stata già deferita al Capitano di 
Raspo '), e ciò allo scopo di sottrarre gli abitanti stessi alle 
esigenze statutarie delle singole città e comuni. 

La ragione di tale divieto era chiara. Siccome i nuovi 
venuti andavano esenti di parecchi contributi ed ag^ravii per- 
sonali, ne veniva che individui discesi da vecchi abitanti o 
provenienti da altre giurisdizioni, ingannavano i Rettori e rie- 
scìvano a farsi qualificare quali nuovi abitanti, il che riesciva 
di danno rilevante ai genuini antichi abitanti e dava motivo 
a ripetute lagnanze^). 

Però la delegazione di tutti gli affari riflettenti i nuovi 
abitanti al Capitano di Raspo, portava con sé la triste conse- 
guenza, che risiedendo esso in Pìnguente, non tutti i vecchi 
abitanti, specialmente se appartenenti all' Istria meridionale, 
potevano ricorrere allo stesso, sicché piuttosto che incontrare 
il lungo viaggio e le relative spese, abbandonavano le questioni 
e lasciavano il godimento dei beni agli usurpatori, i quali, sotto 
il titolo di nuovi abitanti, se li appropriavano. 

Siffatte questioni venivano favorite anche dalla circostanza, 
che il Capitano di Raspo, occupato in altre questioni, che al- 
lora sconvolgevano la provìncia, non era al caso dì potervi 
attendere con e^icacia, e ne seguiva perciò, che molti dei 
nuovi abitanti, invece dì coltivare i terreni di cui erano stati 
investiti, li riducevano a pascoli e deludevano in tal modo le 
intenzioni del Governo di ridurre a coltura la provincia. 

11 Provveditore ìn Istria Francesco Basadonna dipinge nel 
1625 a chiari tratti siffatte condizioni. Egli divide gli abitanti, 
cosìdettì nuovi, in tre categorie : cioè in abitanti vecchi fatti 
nuovi col mezzo d'investiture dì terreni; in nuaoi, ai quali re- 
stavano prorogate le prerogative ed i privilegi con replicate 
investiture; e novissimi, cioè quelli che non avevano ancor 



1) Ibid. XII. 95. 

») Atti e Mcm. cit. XII 90. 91 - XIV 384, 3oa, 304. 



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— 36? — 

finito il tempo delle loro esenzioni. E &<^giun^e : che i primi, 
sebbene per l^ge non esenti dalle ordinarie fazioni, s' indu- 
striavano di liberarsene, con pregiudizio degli abitanti vecchi, 
per il compartimento degli aggravìi in minor numero dì per- 
sone ; che i secondi ottenevano di spesso la proroga delle loro 
esenzioni ; e che i novissimi, perchè poverissimi, erano per la 
maggior parte ladri, molto infesti agli antichi abitanti cosi 
negli animali come nei raccolti. Egli calcolava che le tre ca- 
t<^orie d'abitanti potevano sommare in Istria a 3ooo persone >) 

XXIll. 

L'immigrazione di popolazioni straniere in Istria continua 
col principio del secolo XVII. 

Nell'anno 1601 passano dal territorio turco e stabilisconsi 
nella Polesana alcune famiglie slave, riabitando dei territori! 
abbandonati nelle vicinanze della villa di Castagna 2). 

Agli abitanti della località di Lisignano, per la maggior 
parte slavi, il governo concedeva li ig maggio 1602 l' investi- 
tura di 5oo campi nella località delle Merlerò '). 

Nel 1602 certo Marc' Antonio Pela, rifuggiate per bando 
nel territorio arciducale, offre al veneto Senato di condurre da 
quel territorio ad abitare nell'Istria veneta alcune famìglie 
morlacche malcontente, verso concessione di terreni nei distretti 
di Parenzo e Cittanova *). Non avendo ottenuto evasione alla 
sua domanda, la ripete nel 1604 ed allora il Senato dà inca- 
richi precisi al Capitano di Raspo ^). 

Li 14 settembre 1602 il Governo concedeva al conte Al- 
vise Crisantich d'Almissa di condurre più di òo famiglie stra- 



') Vcggasi la relazione di Marin Gradenìgo Podestà e Gap." di Ca- 
podìstrìa del 9 Luglio 1608. 

*) Atti e Mcm. cit. V-97, 98. 

^) Ibid, IX -301. Fra cjucsti un Tomaso Curlavich, che per una 
rissa avvenuta col proprio fratello fu oggetto di procedura nel 1604. 
- Ibid, XII* 104. 

*) Carte Lisignano. 

*} Atti e Mcm. cit. VI. 337. 



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— 368 — 

niere alla coltivazione ed abitazione dell' Istria e raccoman- 
dava al Capitano di Raspo l'esecuzione della licenza '). 

Nell'anno seguente Vincenzo Cuchich da Sebcnico pro- 
poneva di condurre 3o famiglie straniere nella giurisdizione di 
Umago. Il Governo lo rimunerava con sei ducati al mese, yita 
durante, e prometteva di dare a prestito alle famiglie, che 
egli avesse a condurre, trenta ducati per famiglia, onde si prov- 
vedessero dei necessari animali ^. 

Arrivate li famiglie, avvennero tosto degli attriti colla 
Comunità d' Umago. attriti che il Capitano di Raspo poi ri- 
solve 8). 

Ma i contrasti s' estendono talmente in tutta la provincia, 
che gli abitanti nuovi se ne lagnano e portano le loro pro- 
teste al Senato, mediante il Provveditore generale in Dalmazia 
ed Albania, Nicolò Dona, fino al punto di minacciare l'abban- 
dono della provincia per recarsi nella Puglia *). 

Rilevanti importazioni di coloni avvengono nel 1604. 

Li 6 aprile di quell'anno giungeva al Senato una lettera 
del provveditore di Novegradi, colla quale annunziava che il 
Conte Cosmo di Carpenti e Matteo Visconti suo fratello face- 
vano istanza di potersi trasferire colle famìglie rispettive e 
cose loro in Istria. Il che essendo stato loro concesso, viene 
incaricato il Capitano di Raspo a dar loro terreni nel sito che 
crederà conveniente. Non consta però ove stabilironsi *). 



Ibid. XII. 100. 

*) Ibid. XII. 101. È detto veramente Vincenzo Chiucchel. — Il de 
Franceschi (Istria 363) lo chiama Cuchich. 

^) Il terreno concesso ebbe una circonferenza di circa 4 miglia. II 
Cuctiìch vendette nel i6i3 la tenuta, che ora chiamasi di Seghetto e 
Giuba ai N. U. Valier di Venezia, da cui l' acquistò la famiglia de Fran- 
ceschi attuale posseditricc, emigrata da Candia nel 1669. 

*) Atti e Mem., cit. XII. 101, loi. Forse la Comunità stessa aveva 
i Buoi buoni motivi all' opporsi allo stanziarsi dì gente irrequieta, tanto 
più che nello stesso anno il Podestà d' Umago era costretto a bandire 
per 6 anni Martino Villanovich nuovo abitante, sentenza però annullata 
dal Governo perchè di competenza del C.° di Raspo. Ibid. io3. 

t-) Ibid. XII. 104. 



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— 369 — 

Li IO luglio dello stesso anno il Senato prendeva in per- 
trattazionc la proposta del parroco di S. Maurizio di Venezia, 
don Girolamo Vendrjmin e di suo fratello Federico, di con- 
durre in Istria, nei terreni loro slati concessi, 5o famiglie tur- 
chesche cristiane sotto la guida del Carambassà Milos Zuppa- 
novich; ed il Senato, trovandola utile, dava favorevole eva- 
sione alla domanda, commettendo al Capitano di Raspo di far 
erigere un casone e scavare un pozzo su quei terreni. 

Il Senato accordava indi allo Zuppanovich dieci ducati al 
mese, verso incarico però di raccogliere eventualmente una 
guardia di i5o fanti levata da sudditi stranieri i). 

Non consta positivamente ove fossero i terreni Vendramin. 
S' ha motivo a ritenere che gli stessi si trovassero nella Po- 
lesana. 

Nell'anno seguente, i6o5, delle famiglie di Sebenico sì 
stanziano nella contrada di Foscolino presso Parenzo *). 

Il Governo cerca, con incarico dato li 7 aprite 1607 e li 
14 agosto dello stesso anno al provveditore generale in Dal- 
mazia ed Albania, d' indurre il Carambassà di Cherpoti ed un 
capo di Morlacchi, che aveano fatto offerta di recarsi ad abitare 
il territorio veneto con r5, ao, rispettivamente 40 famiglie, a 
stabilirsi in Istria. Non consta però se ciò sia avvenuto ^). 

Nel 1Ó09 due famiglie slave Preden e Percovich otter^o- 
no dei beni su quel di Valle'). 

Nel 161 r quattro famiglie Albanesi stabilisconsi in Istria 
su quel di Parenzo, ove vengono obbligate ad erigere delle 
case. Il Governo le sovviene con dono d' istrumenti, d'animali 
e biade, spendendo ducati 5oo "), 

Li i3 marzo dello stesso anno il Capitano di Raspo, Pie- 
tro Bondulmier, investe di 3g campi di terreni incolti nella 
contrada di Monghebbo, territorio di Parenzo, 18 famiglie al- 



") Ibid. VI. 337. 

«) Atti e Mem. cit. XII. 106. 

3) Ibid. IX. 30 1. 

') Ibid. Vi. 341. 34^. 

<■) Ibid. XVI. 81. 



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-370- 

banesì da Scutarì, condotte dal capo Luca Ducimovich, coll'ob- 
bligo di formare una villa '}. 

Nei settembre dello stesso anno il Senato accoglieva la 
proposta dell'Albanese Luca di Giorgio da Susana di con- 
durre in Istria 200 albanesi. Egli vi viene nell'ottobre con 10 
famiglie, le quali hanno ricetto su quel di Parenzo*). Anche 
queste vengono sovvenute dal Governo colla spesa di 5oo 
ducati. 

Due famiglie slave dei capi Zuanne Mircovich e Pietro 
Mircovich ottengono li 38 ottobre 1610 in a^ìttanza per 39 
anni dei terreni boschivi in contrada Monterosso sopra Molin- 
derìo, dal Convento di S. Francesco, coli' obbligo di costruirsi 
le abitazioni '). 

Nel 1612 il governo concede ad Elia Micalevich da Ver- 
covaz sotto il turco dei terreni ad Orcevan vicino Medolino *). 

Nello stesso anno li 18 ottobre Pietro Emo Capitano di 
Elaspo investe ì2 famiglie albanesi venute da Scutarì sotto il 
capo Simone Chiurco di 1400 campi incolti in contrada di 
Monsalice nel territorio di Parenzo, coli' obbligo di fabbricare 
un villaggio ed assegna allo stesso Chiurco una casa in Pa- 
renzo '•). 

Nello stesso anno alcune famiglie albanesi vengono tra- 
sportate nel territorio d' Umago, ove ottengono 700 campì di 
terreni incolti *). 

Nell'aprile 1614 dei Carapotani, che abitavano nei din- 
torni di Segna e Vìnodot territorio arciducale, facevano do- 



>) Atti e Mcm. cit. VI. 353. 

*} Da De Franceschi : * V Istria > pag. 36^. L'autore da i nomi' di 
questi albanesi, che sono : Luca Duimo, Andrea Pulco, Piero Moro de 
Marco, Luca de Zuane, Zuane de Perazzo o Peracich, Paolo de Nicolò, 
Sercondo de Antivari, Marco lerez. Ivo del qm. Andrea de Zuane, Ni- 
colò de Marco de Susani. Rado de Zorzi de Susani, Stefano de Marco 
de Susani, Luca de Piero de Antivari, Zuane de Nicolò, Cuzzoin Turco. 

») Atti e Mem. cit. VI. 354, 355, 356. 

*) De Franceschi, op. cit. 364. 

») Ibid. 364, 365. 

«) Ibid. 365. 



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-37. - 

manda al C;apttano del golfo di passare sul territorio veneto. 
Il Governo col deciso del 26 dello stesso mese accoglieva la 
loro domanda, in esito alla quale essi, in numero di 3oo, sta- 
bilivansi sull' isola di Veglia. 

Era desiderio del governo che essi venissero collocati nel 
r Istria continentale, in conseguenza si iniziarono pratiche col 
loro capo Conte Damiano Carapontichi, onde non solo essi, ma 
ancor altri 600, accettassero i terreni, che loro venivano offerti. 

Essendo però stati denunziati di tener intelligenza cogli 
Uscocchi, coi quali parlamentavano, anche di notte, mediante 
accensione di fuochi sopra la punta di l'romontore, nel senso 
di avvisare gli stessi dell'avvicinarsi di qualche galea mercantile 
da saccheggiarsi, si ritirò l'offerta fatta e si fece sgombrare da 
essi il territorio occupato nell' Istria continentale. Nel marzo 
161 5 i Carapotani abbandonavano il territorio istriano e tor- 
narono colà donde erano venuti •}. 

Nel 1617 dei Croati e Morlacehi ottengono dei terreni 
nella Contea di Pisino lungo il confine veneto *). 

Nell'anno 1620 i capi di famiglia Nicolò Branisanich, Mi- 
cula Micalovich, Giacomo Radossovich e Iure Manovich ven- 
gono dai paesi turchi e si stanziano in Medolino, ove ricevono 
i3o campi nelle Merlerc, parte dei quali era stata posseduta 
prima da un certo Gìalich (lalich) s). 

Nello stesso anno il capitano Sima Chiurco albanese, il 
quale ancor nel 161 3 avea condotti dei suoi connazionali in 
Monsalice vicino Parenzo, ne conduce degli altri e si offre di 
far venire ancora 13 famiglie nel 1621 *), 

Il Governo li accoglie favorevolmente e spende 3oo ducati 
per provvederli degli attrezzi rurali loro neceasarii *). 



') Atti e Mem. IX. aoa. 

») Atti e Mem. XI, 363, 370. 

s) Ibid. IX. 301, 

*) Il terreno confìnava colla contrada di Casella piccola (Prostimo 
di Medolino), col confine di Lisignano, con un laco e colla contrada 
Marina. — Carste Lisignano. 

s) Atti e Mem. VII. 5o. Uno di questi Chiurco di nome Andrea, 



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— 373 — 

Ai confinanti loro connazionali di Monghcbbo, venuti an- 
cora nel 161 1, il Governo, verso istanza di quel zuppano, Marco 
luroa concede altri 100 campi incolti i). 

Nel marzo 1622 il Senato veniva avvisato dal Rettore di 
Cattaro che colà eransi riparati venti Albanesi, cacciati dai 
Turchi, ed ordinava a) provveditore generale Bellegno di ve- 
dere se si potesse inviarli in Istria ^). 

Non consta se ciò sia realmente avvenuto, però dobbiamo 
ritenerlo, per la circostanza che nello stesso anno 20 famiglie 
albanesi passavano in Istria, stanziandosi nel territorio di 
Parenzo. 

Otto di queste famiglie, condotte dal Rev. P. Zorzi Armano 
albanese, stanziaronsi nella contrada di Canal Cherin (oggi 
Valcarino, in antico S. Quirino), e in data 21 settembre di 
quell'anno ricevettero dal Cap. di Raspo, Andrea Contarìni, 
l'investitura, coli' obbligo di costruire la villa*). 

Le altre 12, condotte dal capo Paolo Zuccola, ricevettero 
la villa di lessenovizza coi rispettivi terreni *). 

Lo stesso capitano Contarìni investiva li 13 decembre 
1623 il greco Giovanni Pappa ed alcune famiglie da lui con- 
dotte di circa 900 campì di terre incolte nella contrada di 
Rojal, territorio di Due Castelli »). 

Nel decembre dello stesso anno tre individui di Ltdenixxe 



capo d' una compagnia di nuovi abitanti, venne nel Giugno 1614 arre- 
stato, per eccessi commessi. Atti e Mem. XIII. i3o. 

1) Atti e Mem. XIII. lai. 

Dk Franckscri — L' Istria, 964. 

*) Atti e Mem. VII. 5i. 

") Fecero parte di questa spedizione le famiglie d^li Antonio Di- 
mitri, Caposimon e Giacomo Armani, ie quali io anni dopo ebbero a 
Borrire un assalto formale da parte di altri Albanesi di Sbandati del 
capo Milo Filippini in numero di circa 3o, nel quale questi uccisero un 
bambino e ferirono delle persone, ammazzarono animali ed incendiaro- 
no case. Atti e Mem. XIll. 359. 

*) Dk Franc. — op. cit 365, Osservo che la villa era stata in an- 
tecedenza formata da Morlacchi, distrutti poi dalle pesti. 

6) De Franc. — op. cit 366. 



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-373 - 

sul territorio imperiale chiedono al Capit.** di Raspo dì con- 
durre quindici famiglie con circa 60 anime nell'Istria veneta. 
Il Senato però frappone delle digìcoltà nell'accoglimento della 
domanda, si pel timore di aver delle reclamazioni da parte 
dei ministri imperiali, ed anche perchè temeva che gli stessi 
non sieno che degli Uscocchi banditi « o colpevoli di corso », 
sicché sembra che il trasporto non abbia avuta luogo 1). 

In Monsalise dell' anno appresso immigrarono altri alba- 
nesi. Li 8 maggio vi ottengono dei terreni il capo Giorgio 
Gini ed i suoi fratelli Antonio e Simone, venuti da Dulcigno *). 

Nello stesso anno, per investitura accordata li 33 febbrajo 
dal Gap." dì Raspo, Andrea Contarìni, si stanzia nella contrada 
di Monspinoso, onde ripopolare la villa Dracevaz già abitata 
da Morlacchi, spentì dalle pesti, il Padre Fra' Francesco Po- 
rubba albanese con 18 famiglie albanesi. Vi riceve 3ooo campi 
di terreni boschivi, sassosi e spinosi, siti nella contrada dì 
Carsieto ^. 



1) Atti e Mem. VII. 53. 

') Db Franckschi, Op. cit. 365. 

■) Ibid. 365-366. Da quest' opera tolgo il testo dell' investitura, che 
attesa la sua importanza qui riproduco: 

• Noi Andrea Contarini per la Serenissima Signorìa di Venetia Gap. 
di Raspo, Giudice del^ato. Essendosi conferiti in questa città di Pa- 
renzo, e cavalcato questo Territorio per trovar Terre e sito per le Die- 
cinove funiglie Albanesi condotte in questa Provincia da Padre Fra 
Frane. Porubba. habbiamo trovato, assegnato, et concesso alle dette 
famiglie l' infrascritte Terre boschive, sassose, ed inculte, sopra le quali 
debbono fondar una Villa, et rìddur nel termine statuito dalle Leg^ a 
buona coltura lutto il coltivabile, et l' inhabile riservare per pascolo 
dc^li anemali che saranno loro dati dal pubblico, et che giornalmente 
s'andranno acquistando, dovendo compartir fra loro esse terre a por- 
tione et vivere insieme, coadiuvando 1' un l' altro la coltivatione delle 
terre, et fondaiione della Villa, com'è desiderio Pubblico, che per eia 
li sostenta e mantiene paternamente di molte cose loro bisognose. 

Piantar la villa nel Monte Dracevaz, Terre che se gì" assegnano : 
in contrà di Garsieto de Campi circa tremila, boschive, sassose, spinose, 
ed inculte come di sopra. Confma in Levante ragion del Vescovato, 
Chiesa Cathedral et dì S. Moro dì questa città di Parenzo ; in Scirocco, 
strada pubblica che tende anco verso Monpaderno. Dovendo esse Fa- 



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-374 - 

Nel settembre i633 Giorgio da Dulcigno conduce nel ter- 
ritorio di Parenzo alcune famiglie albanesi, in tutto 84 perso- 
ne, e viene dal Senato in data 3 ottobre ricompensato con 
ducati 70 1). 

Lo stesso capitano investe li 4 Dcccmbre Gregorio Ula- 
zion (greco ?) di terreni in Sissano 2). 

Nello stesso anno avviene un' introduzione di Morlacchi 
in Lavarigo, ove vengono investiti di terreni incolti, di cui 
i5o campi erano proprietà dei fratelli Pola di Treviso, i quali, 
nel 1624 (32 Nov.) ne chiedono la restituzione b). 

Nella seconda metà dell'anno 1624 il capo Pietro Xarco- 
vich detto Cacich conduce in Istria, sotto la guida di Francesco 
lancich, 14 famiglie. II governo lo sovviene con 8u staja di 
segala, 70 di miglio, 200 d'orzo e colla somma di 300 ducati 
per acquisto d'animali, verso risarcimento graduale. 11 lancich 
riceve ducati 110 *). 

Nel febbraio dell'anno seguente 162S lo stesso Cacich 
conduce in Istria altre 3o famiglie e viene sovvenuto"). 

Nel settembre però di quest'anno parecchi nuovi abitanti 
vengono sviati dallo Stato veneto. 11 Senato, ricevuto l'elenco 
degli stessi, incarica il provveditore Basadonna di punire i 
complici in questo fatto, di cui sembra che il promotore prin- 
cipale sia stato il conte di Sdrino ^). 

Fra gli sviati eranvi parecchie famiglie ultimamente ve- 
nute dalla Dalmazia, cui il governo avea fatto assegno di ter- 
reni e dati degli aiuti, nonché fatta restaurare una chiesa. Da 
qual luogo avvenisse lo sviamento, non consta ^. 



inìglie conservar in dette Terre tutti li Roveri buoni, et che fossero 
per venir buoni per la casa dell'Arsenale. Parenzo lì ai Febbraio i6a3. 

1) Atti e Mem. XIII. 138, 

2) Libro Altura 13. 

8) Atti e Mem. XV. aj, 58. 

*) Ibid. XIII. i3i. 

») Ibid XIII. i33. 

•) Ibid. Xni. i35. 137. 

') Ibid- XIII. i36, 



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— 375 — 

La famìglia Cappello, che dopo l' estinzione della famiglia 
Giroldi, era stata investita dal Governo veneto del fondo di 
S. Andrea di Calisedo detto e Geroldia • e ciò in base ai decisi 
del Senato del 37 marzo e 17 decembre 1Ò27 '), introduce 
nello stesso anno nel feudo otto famiglie di Trevisani, cioè 
di Battista Facchini, Zuane Zanincl, Domenico Pisatto, Giaco- 
mo Fasinato, Angelo Semioni, Matteo Franchetto, Santo Bu- 
satto ed Antonio Fachinetto, mentre colà esistevano da prima 
le famiglie d' Elia, de Seja, Villan ^. 

Nel seguente anno la famiglia Grimani, feudataria di San* 
vincenti, ripopolava quel territorio con coloni tratti dalla Dal- 
mazia e dalla provincia di Treviso. Avanzi dei Trevisani sa- 
rebbero le odierne famiglie Follo, Ferlini, Morosini e Salam- 
batti, ora slavizzate 3). 

Nel 1628 Mile Filippino conduce su quel di Parenzo delle 
famiglie morlacche, le quali vengono sovvenute dal Governo 
con 25o ducati da restituirsi, destinati all'acquisto di biade, 
loro mancanti *). 

Nel decorso dell'anno i633 recavansi in Istria da S^na 
le famiglie dei Morlacchi Marco Zuanovich e Giovanni Marti- 
novich. Ricevevano tosto delle terre, non consta dove, gli at- 
trezzi rurali, due paja di bovi, nonché un prestito in generi 
da restituirsi, il tutto del valore di lire 660 "). 

Frattanto ì villici morlacchi, stanziatisi in Promontore, 
staccavansi dalla parrocchia dì Pomer e ne fondavano nel r632 
una nuova in Promontore stesso ove erigevano più tardi una 
propria chiesa, consacrata li 34 luglio 1664. Ebbero la soddi- 



1) Atti e Mem. XIII. 143 e 149. 

*) Db Franceschi, Op. cit. 366 — Nel 1639 col decreto senatoriale 
39 ottobre ottengono i Cappello il Giuspatronato sulla Chiesa di Ge- 
roldia, che assieme alla casa parocchiale essi fanno restaurare. Atti e 
Mem. XIII, 3ao. 

■) De Francrschi, Op cit. 366. 

*) Atti e Mem. XIII. 3i3. Nel i633 il Senato esenta il Mile e suo 
fratello Giorgio d' ogni gravezza si personale, che reale e ciò in premio 
dei buoni u0ìci da loro prestati. Ibìd. XIV. lyS. 

=) Atti e Mem. XIII. 349. 35i, 



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— 376 — 

sfazione che il primo parroco fosse uno di loro, Pre Michele 
Stipscvich, il quale prendeva possesso della pieve li 16 gen- 
najo i633 >). 

Gli arrivi dai territori erzegovesi e bosniaci, occu[}ati dai 
turchi, continuavano su larga scala. Li 12 aprile i633 il Se- 
nato incaricava il Cap.° di Raspo, Gio. Renier, di assegnare 
dei terreni alle 46 persone, che dai detti lu^hi s' erano, come 
egli aveva riferito, recate in Istria, nonché ordinava che a le 
stesse si fornissero i necessari attrezzi rurali, bovi e generi >). 

Il Renier corrispondeva all' ordine e collocava nel territo- 
rio dì Parenzo le famiglie condotte da Braicovizza sotto Ca- 
stclnuovo alle Bocche di Cattato, allora giurisdizione turca, 
dal capo Toma Popovich assieme a Nico Peros, Rado Franco, 
Piero Sredanovich, Ivan Milovan, Zuanne, Nico, Piero Rudis 
e Tome Ivan, in tutto 22 persone. Colà ottennero due squarci 
di terreno, uno situato in contrada Monrosso (Terre della Frat- 
tia}, confinante in ostro con Monghebbo, in levante strada 
pubblica che da Monghebbo va a Parenzo, da ponente i Mir- 
covich, le ragioni del convento di S. Nicolò e della Madonna 
degli Angeli e da tramontana la viltà di Mondemuro di Pa- 
renzo ; r altro situato sotto Molinderìo confinante in levante 
colle terre di Dubanovich, da ostro il confine di Fontane, da 
ponente la Marina e la Mensa vescovile e da tramontana il 
porto di Molinderìo. 

Il Popovich doveva poi, unito alle famiglie dei vecchi abi- 
tanti allora esistenti, cinque in tutto, costruire sul monte, do- 
v'era la casa di Barbetta figlio del q."" Capo Ivessa una villa, 
da intitolarsi Reniera, villa però, che non venne mai costruita '). 

Neil' anno seguente, 1634, si presenta in Istria la famiglia 
slava di Lorenzo Maria Sevich e viene dotata dì terreni, di 
attrezzi e le si danno vittualie ai soliti patti *). 

Rilevasi che in quell'epoca il numero dei nuovi abitanti 



') Libro Promontore. 

*) Atti e Mem. XVI. 271, a?! 

») De Franceschi, op. cit. 366, 67. 

*) Atti e Mcm. XIV, 394. 



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- 377 — 

accolti in Istria, negli ultimi 60 anni, ascendeva a circa 4000 
persone, sparse nei territorii di Fola, Parenzo, Rovigno, Valle, 
Umago, Due Castelli. Non tutti però trovavansi nelle migliori 
condizioni, anzitutto pel dominio del morbo malarico che molto 
influì sul loro continuo deperimento, in secondo luogo perchè 
il loro obbligo di restituire i prestiti in generi ed in denaro, 
ricevuti da Venezia, esauriva le loro rendite, in modo tale 
che, per esimersi dai loro doveri, fuggivano dal territorio ve- 
neto in quello imperiale, oppure cadevano in mano a specu- 
latori che li dissanguavano. Ciò specialmente nei territorii at- 
torno a Pela e a Parenzo, ove mancavano i fondaci, la pre- 
senza dei quali avrebbe loro fornita la possibilità di provve- 
densi i generi a buon mercato '). 

Sembra invece che le condizioni dei nuovi abitanti del 
Carso di Raspo e dell' Istria settentrionale, in quell'epoca, fos- 
sero migliori. Le ville di quei territorii erano popolate di gente 
laboriosa e numerosa ed in buone condizioni economiche ^). 

Ad onta dì quanto sopra s' espose, l' immigrazione in Istria 
continuava. Nel maggio 1634 arrivavano in Istria colla nave 
del «Patron Giacomo • da Venezia [30 persone condotte da 
Milineo Luianovich, provenienti probabilmente da Novi in Dal- 
mazia. II Capitano dì Raspo li collocava sulle terre di Casta- 
gnizza e monti di Tribenizze e Dobrcdol su quel di Pela, pro- 
vocando una protesta da parte della famiglia di Marco Bra- 
gadin e nipoti, proprietarìi di quelle terre, la quale protesta, 
essendo stata riconosciuta fondata, ottenne Luianovich nel se- 
guente anno altre terre nelle vicinanze >). 

Nello stesso anno, circa 400 Morlacchi ottengono la villa 
di Filippano nel territorio di Dignano, ove viene eretta una 
chiesa intitolata a S. Filippo e Giacomo assieme al cimitero, 
consacrati nello stesso anno dal vescovo di Pola e coll'assenso 
del Senato eretta tn parrocchia indipendente *). 



'J Atti e Mem IV. 3o5, 397, 3o8. Veggasi più avanti il decìso per 
r istituzione di fondaci a Parenzo e Pola. 
*) Ibid. XIV. 195. 

») Atti e Mem. XIV. 287. 389. 398, 399. 
*) Ibid. XIV. 3o3. 304. — De Francbschi, Op. cit. 367. 



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— 378 — 

Nel i636 il nobile veneto Federico Vendramin faceva pra- 
tiche presso il Senato, onde ottenere dei terreni per delle fa- 
miglie estere, che egli intendeva d' introdurre in Istria, ti Se- 
nato ordinava perciò al Capitano di Raspo di provvedere ana- 
logamente, senza pregiudizio degli attuali abitanti, ordinava, 
cioè, che venissero concessi in legittimo possesso dei terreni, 
specialmente nel tenere di S. Lorenzo, come era desiderio del 
Vendramin '). 

In seguito ad ordine del Senato, il Capitano di Raspo as- 
sonava dei terreni a due famiglie di Morlacchi, che nel mag- 
gio del i637, secondo riferta del Provveditore generale in Dal- 
mazia ed Albania, s'erano incamminate per l'Istria, col patto 
però che si stanziassero lontano da Promontore o da altri 
luoghi adatti alle rapine ^). 

Mentre però la campagna fornìvasi d'abitanti, questi scar- 
seggiavano nelle città e specialmente in Pola, ridotta a tristi 
condizioni dalle pesti e particolarmente dalla malaria, così da 
ridursi, ad onta dei presi provvedimenti, a pochi abitanti. 

Fu specialmente in quest' epoca che il veneto Senato con 
decreto del 24 febbraio i638 ordinava al Provveditore e Conte 
dì persuadere i cittadini a non abbandonare la città, ed a ri- 
ferire intorno ai beni finora concessi, e se qualche esenzione 
d'aggravi potesse giovare. Dà altresì istruzioni allo stesso, 
onde tenere la città esente da sporcizie s). 

Coi decisi del 37 maggio e 3 luglio i638 il Governo prese 
a favorire le condizioni degli abitanti nuovi, mediante l' isti- 
tuzione, si a Pola che a Parenzo, dei fondaci per le granaglie, 
col costruire delle cisterne e col riattivare la piantagione di 
oliveti perdutisi coli' andar degli anni •). 

Altrettanto provvidi, sebbene di pregiudizio per l'avvenire. 



■) Probabilmente S. Lorenzo del Pasenatìco. Veggasi in antecedenza 
qualmente i Vendramin avessero altra volta introdotti dei nuovi abi- 
tanti in provincia. — Atti e Mem. XIV. Si?. 

«) Ibid. XIV, 3a3. 

») Atti e Mem. cit XV, 9. 

*) Ibid. XV. 3. 4. 



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- 379- 

furono i provvedimeati adottati in favore degli abitanti nuovi 
di Promontore. 

Come si vide, le famiglie venute nel i58i erano in nu- 
mero di otto. Però nel decorso degli anni, parte per nuova 
produzione e parte in conseguenza di nuove importazioni, quelle 
aumentarono in modo che nel i638 ammontarono a 40 con 
270 persone, col rispettivo aumento d'animali. Essendo insuf- 
ficiente il territorio loro accordato, né potendo essi far uso di 
pascolo o di taglio di legna in altri terreni senza incorrere nei 
rigori delta deliberazione del consiglio di Pota del 31 Marzo 
i652, il veneto Senato deliberava in loro favore nel senso che 
quegli abitanti potessero pascolare gli animali nei Comunali 
di Pola e che fosse loro concesso il taglio di legna nei boschi 
circonvicini del contado di quella città, territorio comunale e 
valle di Sissano, e Lavarigo, ove non trovavansi che carpani, 
ginepri, frassini, elici e tumeni (sic), salvi sempre i diritti dì 
Marco Barbarigo e nipoti i)- 

In siffatta guisa venne creato per quei terreni un diritto 
di servitù, che in parte tuttora esiste, 

(Continua) (B. dott. Schiavuzzi) 



1) Atti e Mem. cit. XV. 3. — Libro Promontore. 



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y LA CONTEA DI PISINO 

DAI, DECIMOSESTO AI, DECIMONONO SECOLO 



Quanto io per la prima votta vengo a narrare intorno alla 
contea pisinese, in gran parte desunsi, dopo indagine paziente 
e critica rigorosa, da documenti che inediti si conservano nel 
castello di questa città. 

11 signor Lodovico Covaz, d^nissimo amministratore dei 
beni di sua eccellenza il marchese Montecuccoli degli Erri, venne 
incontro premurosamente a tutte le mie richieste, né poche 
né facili, e spesso con i suoi lumi rischiarommi la oscura ed 
inesplorata via delle storiche investigazioni; a lui quindi io devo 
manifestare pubbliche grazie, avendomi reso, non dico più 
agevole, ma possibile questo arduo lavoro. In esso il lettore 
non troverà, come l'andazzo oltramontano prescrive, molte 
citazioni, avendole io ritenute inutile spreco di spazio e vano 
sfoggio di erudizione, dopo l'accenno non contenere questo 
trattatello notizia veruna che non sia vagliata e fondata su 
documenti scritti degli archivi pisinesi e su opere stampate, 
le quali soltanto, alle volte, si indicheranno in fondo di pagina. 

Sarebbe cosa molto ardua e alle volte, per mancanza di 
fonti, impossibile, il descrivere anche sommariamente quel com- 
plesso di fatti e di circostanze che, nel corso dell'età di mezzo, 
cooperarono a dare orìgine e svolgimento alla storia della 



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— 38i — 

contea pisinese. Quel po' che di certo e di ipotetico si potè 
conchiudere, lo scrissero già gli illustri istoriografì nostri, il 
Kandler, il De Franceschi, il Benussi, alle opere poderose 
de* quali io rimando coloro che, intorno alle complicate vicende 
medioevali della contea desiderassero avere notizie o spiega- 
zioni. Compito mio si è quello di presentare alcuni cenni sulle 
sorti alle quali andò incontro l'anzidetta contea dallo schiudersi 
della età moderna fino circa al termine del secolo decimottavo: 
e rispetto al compimento di tale fìnc, anzi tutto lume copioso 
si diffonde tra il tenebrore di que' prischi tempi da un mano- 
scritto chiamato con voce impropria urbario, il quale, sebbene 
non appartenga all'epoca più lontana alla quale si pud ricorrere, 
come erroneamente leggo in varie carte di questo archìvio, 
per la grande e molteplice sua importanza storica è tuttavia 
meritevole eh' io di esso mi occupi primieramente. 

Da Massimiliano 1 d'Austria (1493-1519) la contea di Pisino 
era passata in potere di Carlo V, di Ferdinando I (i533-i564], e 
poi del figlio più giovane di costui l'arciduca Carlo (1564-1590), 
assieme con la Stiria, la Carinzia, la Carniola e gli altri beni 
patrimoniali di casa d'Asburgo in Istria: regioni tutte conosciute 
a que' tempi col nome comune di Austria Interiore. L'anzidetto 
arciduca, che fu il capostipite del ramo stiriano di sua famiglia, 
venuto a cognizione che i sudditi ed i beni della contea di 
Pisino s'erano accresciuti di molto, specie dopo la morte del 
barone Adamo Svetcovich che l'avea avuta in pegno, credette 
kaoer sufficiente moltivo et causa, come Prenctpe del Paese, di 
accrescere ai suoi soggetti le obbligazioni ed i censi, e, scelti 
a tale uopo consiglieri e commissari, ordinava loro di fare un 
inventario dell'intera proprietà sua e di imporre quindi gli 
analoghi aggravi. Cosi sorse il nuovo codice feudale della 
contea, il quale anche storicamente ha non poca importanza, 
come quello che ci dà esatte notizie intorno alla estensione, 
al numero degli abitanti, alla produttività dell'allodio arcidu- 
cale, oltre che ragguagliarci circa i criteri di governo seguiti 
da chi comandava, e gli obblighi imposti a chi ubbidiva. II 
codice fu sottoscritto a Pisino addì 25 aprile iSyò e confermato 
ai 9 di marzo 1 578 a Graz dai Deputati Consiglieri della Camera 



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— 382 - 

nell'Austria Interiore Giovanni Cobenzl di Prosech, L. Cro- 
necher, V. Laib, Gasparo Resch di Gulezhansca e Andrea 
Bordio. Il testo originale di questo codice, o come allora si 
chiamava urbario. fu steso in lingua tedesca, ma per renderlo 
intelligibile ai sudditi, venne poi tradotto in italiano dal pisinese 
dott. Cristoforo Rampcili, barone di Kaiserfeld e già capitano 
della contea. A tacere dello stile e della ortografìa, la lingua 
vi è spropositata parecchio, talché certi passi, appunto per la 
infelice versione, non si possono esattamente comprendere. 

Importa ora moltissimo di esaminare minutamente questo 
codice per conoscere anzi tutto quali luoghi dell'Istria nel se- 
colo dccimoscsto facessero parte della contea di Pisino e quali 
fossero le feudali prestazioni dei sudditi verso il loro signore. 

11 centro della contea veniva costituito dalla Qttadella et 
Borgo di Pisino, confinanti con i comuni di Lindaro, Gimino, 
Monastero di S. Pietro in Selva, Antignana, Vermo, Monte di 
Chersano, Gardosella e Sarez '); si la cittadella che il borgo 
non aveano più di 238 capi di famiglia, i quali coltivavano in 
comune delle terre arative per 1819 giornate di lavoro; inoltre 
ciascuno di essi possedeva dei prati e delle vigne: per falciare 
i primi si impiegavano 452 giornate, per zappare le seconde 
2006. In compenso del godimento dì tali terreni, i sudditi pi- 
sinesi consegnavano ogni anno al conte, o a chi lo rappresen- 
tava^ io3 spodi ^) di frumento, 120 di avena e la somma di 260 
fiorini 3) in tre rate eguali: nelle feste di San Giorgio, di San 
Giacomo e di San Martino. Gli aggravi, limitati a tali riscos- 
sioni, non sarebbero stati molto onerosi se non avessero avuto 
il seguito molesto delle regalie, delle decime, delle servitù ru- 



■} La grafìa di questi e di tutti gli altri nomi geografici t tolta dal 
codice feudale ovvero da documenti sincroni. 

*) Lo atajo veneziano equivaleva ad uno spodo e mezzo; lo spodo 
per I grani si divideva in sei s'aro/i e ognuno di questi in cinque soi/e; 
lo spodo per i liquidi, detto anche barile, conteneva sei secchi, ed ogni 
secchio otto boccali. 

■) Il fiorino si componeva di sessanta carantani, ed il carantano di 
quattro besei. 



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— 383 ~ 

sticali o rabboU, come allora si dicevano. Ogni suddito era tenuto 
a corrispondere sei formaggi del peso complessivo di 84 libbre, 
la decima di tutti gli animali minuti, del vino, di ogni sorta 
di grano battuto, e di tali tributi la metà andava a benefizio 
del prìncipe, e l'altra a profìtto della chiesa pisincse di S. Nicolò. 
Ogni venerdì, finché e' erano uve mature, bisognava che // 
Guardiani della Contratta di Pisino ne portassero al castello una 
cesta; il macellaio, oltre che pagare una tassa annua di qua- 
ranta soldi, che sono carantani ventisei e due be\%i, non poteva 
mettere in vendita carne di sua proprietà, se prima non fosse 
stata smaltita quella appartenente al conte; ed i pescivendoli 
infine, a costui prima che ad ogni altra persona, e sotto pena 
di marche •) cinque, doveano offrire la loro merce in vendita. 
All'economato del castello si corrispondevano del pari gli affitti 
dei mulini, che nel comune di Pisino erano sette e venivano in 
parte goduti anche dall'ospedale e dalle confraternite di San 
Nicolò, Sant'Antonio e San Giovanni. Boschi da usufruttare 
gli abitanti ne avevano tre soltanto: uno vicino a San Pietro 
in Selva di nome Calschibreg e di grande%xa per un miglio Ita- 
liano; l'altro veniva detto Leschie ed il terzo, posto nei pressi 
della chiesa di Santa Croce, si appellava Voloviza. 

Se non che le servitù rusticali e gli obblighi personali fu- 
rono in tutti i tempi l'onere più molesto ai sudditi. E^i erano 
tenuti non solo a chiuder l'orto del castello, portar le legna 
necessarie per la seraglia, le lettere concementi Sua Altera ed 
il Contado di Pisino, ma doveano sobbarcarsi ogni opera ma- 
nuale quando si fabbricava sia nella rocca che in città. A turno 
otto persone avevano l'o0ìcio di presidiare la borgata di notte; 
due il castello e due altre ancora stavano continuamente di 
guardia all'ingresso della città. In tempo di guerra poi tutti ì 
sudditi della contea erano tenuti a difendere la città di Pisino 
sotto la direzione del loro capitano. 

11 comune di Pisino Vecchio non avea determinati confini, 
ma faceva parte del contado della città; i sc^getti, che ascen- 



I) Moneta nominale del valore di 



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— 384 — 

devano al numero di 35, in compenso delle terre coltivate od 
in altro modo usufruite, corrispondevano il censo di 60 fiorini, 
la determinata quantità di frumento, di avena, e le prescritte 
decime. Rispetto alle quali giova notare, che, trattandosi di 
animali minuti, due parti toccavano al vescovado di Pedena, 
la quarta al pievano di Pisino Vecchio e soltanto il restante 
al castello, il quale però, quasi in risarcimento, riceveva una 
gallina da ogni suddito e vedova, ed un formaggio per ogni 
branco di pecore. Più gravi erano qui le servitù personali, 
dovendo ogni contadino che possedesse un cavallo andar gra- 
tuitamente al mulino e condurre a Natale al castello una 
soma di legna; chi invece aveva l'aratro era tenuto a lavorare 
una giornata, senza mercede, nelle terre della signoria : tutti 
poi erano obbligati a portare il legname necessario per Vhor- 
lictUo picelo sotto il Pùnte, lavorare nel castello quando vi si 
fabbricava, ed a vicenda e per una giornata, verso ass^na- 
mento del vitto, recarsi colà per sesular le èiade e reooltar il 
lultame nell' horto et coltivarlo. 

Anche gli altri e numerosi paesi di cui constava la contea 
erano tutti obbligati, secondo la estensione e le rendite delle 
terre date in usufrutto, di versare e tributi in denaro o in 
natura, di corrispondere decime, regalie, fìtti e censi, di ren- 
dere onoranze e compiere servigi personali più o meno pe- 
santi. Net discorrere di queste rimanenti regioni della contea 
non si farà menzione particolareggiata di tali obblighi feudali, 
che fra loro tanto si assomigliano, e rivelano in chi coman- 
dava il fine preconcetto, non di rendere prosperoso il paese, 
bensì dì sfruttarlo : ricorderò soltanto quelle imposizioni che, 
vuoi per la loro originalità, vuoi per qualche storica memoria 
paiono notevoli. 

Vermo, borgo cinto da mura, abitato da 140 sudditi, con 
un territorio press' a poco di mezza lega tedesca, era gover- 
nato da un Supparus che stava in u^cio un anno e veniva 
eletto dai villici nella domenica d' agosto dopo la festa della 
Assunzione : sì lui che il suo sostituto, il Posuppo, doveano 
venir confermati dal capitano del castello, dinanzi il quale 
prestavano il giuramento di fedeltà ed omaggio. Ambiti anche 



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— 385 — 

qui tali U0ÌCÌ, perchè, a tacere della autorità e della prova 
manifesta di pubblica estimazione, lo zuppano era esente da 
certi tributi non solo, ma riceveva regalie di frumento, di 
galline, di formaggi ecc. E i villici dì Vermo, oltre a questi ed 
altri soliti carichi, pagavano a carnevale 48 lire per il diritto di 
caccia, conducevano a Natale le some di legna al castellano, 
1' acqua ogniqualvolta esso ne bisognasse, il concime posse- 
dendo cavalli, che in caso negativo eglino doveano impiantar 
capu^ìj tuli' horlo et un giorno papparli. — Sui cento e undici 
sudditi dì Terviso pesava anche una tassa detta dì scrittura 
(shraibgéld) oltre una vistosa r^alia di bu::;7iolai. — Antignana, 
grosso borgo murato che si estendeva nel contado per un 
circuito di tre leghe tedesche fìno ai luoghi veneti di San Lo- 
renzo e Montona, non contava che cento e tre sudditi imperiali, 
oberati anch'essi da ogni sorta di imposizioni: curioso qui il 
provvedimento rispetto alla decima- sugli agnelli e sui capretti 
da condursi al castello, perchè quando quelli sono accumulali si 
cava uno alle Dongelle del loco, al Suppano uno, uno al Portinaro 
et uno al Casckio i) et del rimanente viene alti Sacerdoti la quarta 
parte. Né erano dispensate dal pagare la decima sul grano, 
sul vino e sugli agnelli le chiese del borgo, ad eccezione della 
parrocchiale e di quella di S. Martino, che dava soltanto un 
formaggio di dodici libbre. Agli ottanta sudditi del comune di 
Corrìdico, il quale pure, come per confini di pietra appare, ar- 
rivava sino alle terre venete di San Lorenzo e dei Due Ca- 
stelli, pagate le decime e le tasse alla camera arciducale, al 
zuppano, al pozuppo, al clero del villaggio, af frati di San 
Pietro, ben pochi proventi doveano rimanere in compenso 
delle terre coltivate od in altra maniera godute : né loro era 
concesso di disporre a piacimento di tutti i lepri e di tutte le 
galline, che otto dei primi e dodici delle seconde andavano a 
rifornire le dispense del castellano. Gimino, grosso borgo 
murato con 222 sudditi, estendentesi fino ai territori veneti di 
Barbana, Due Castelli, San Vincenti, somministrava a lui ca- 



<) Il magazzino dove si depositano le decime. 



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— 386 — 

strai/i, caslradelli e capretti ; gli trasmetteva per la festa di 
San Bartolommeo il cacio, e ad ogni comando portavagli il 
sale da Pela. 

1 cento e ventiquattro sudditi imperiali di Pedena, tra 
l'altro, corrispondevano l'annuo tributo di quattordici marche 
che son fiorini 24, carantani S4 et un be:{xc, e nel giorno di 
San Ermagora facevano la consegna, nel cortile del castello, 
di sessanta pecore morte e d'altrettante vive: s'aggiungano 
a ciò le decime degli agnelli alla curia vescovile, lo spodicchio 
di vino di misura di Pedana che ogni suddito pure ad essa 
dovca rimettere, il fitto alla signoria per 1' usufrutto dei mu- 
lini, // far Cerchi quando occorra a Sua Al/e^K^, ingrumare il 
fienoy fare la Calcara, e si comprenderà che anche i pedenesi 
non aveano torto lagnandosi d'essere oppressi da pesi intolle- 
rabili. Su per giìi simili erano i carichi e quindi la condizione 
dei 379 sudditi di GuUignana, borgata popolosa, cinta da mura 
antiche dalle quali sollevavasi la forte rocca : era sede di un 
giudice al quale comunemente sì dava il titolo di Landrichler. — 
I cento e trenta campagnuoli di Lindaro coltivavano in co- 
mune delle terre arative estese 1360 giornate di lavoro: ogni 
singola persona, dei prati e delle vigne, e queste e quelli d' una 
superfìcie complessiva di 354 giornate di lavoro; e ì vari tri- 
buti, le complicate regalie e le multiformi servitù erano corri- 
spondenti. Tra quest'ultime ricorderò il dovere dei lindaresi 
di dare cibo e bevanda al capitano ovvero a quattro upciali 
suoi, sempre che si portassero in mezzo a loro per affari della 
signoria. Dei sette boschi goduti dagli anzidetti terrazzani quello 
dì Pressica non dava a que' tempi alcuna rendita, essendo 
stato distrutto dallo Svetcovich che ne avea adoprato il le- 
gname per la fabbrica del castello; ed allo stesso scopo ei avea 
molto diradata l'altra foresta detta Lassi e posta oltre il tor- 
rente Loca. Presiedevano al comune dì Lindaro, che non por- 
tava titolo di villa ma di terra ed era munita d' un forte '), un 



') Confr. Spec ili catione di tutti i luoghi incorporati et annessi al 
Contado di Mitterburgo hora Pisino. Atti e Memorie della Soc. Istr. dì 
Arch. e Storia patria Anno 1893. Descrilione dell' Htstria di D. Fortunato 
Olmo. Atti e Mem. Anno II i885. 



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— 387 — 

zuppano ed un posuppo, eletto il primo la Domenica avanti 
Carnevale, il secondo, il giorno di Carnevale. 

Dalla enumerazione degli obblighi gravitanti sui venti- 
quattro sudditi di Bc^liuno ouero Finale si viene a sapere che 
a Pisino c'era un ospedale ') al quale affluivano, in determi- 
nati perìodi, le decime sul vino, sugli agnelli ecc. ecc. E Fi- 
nale, eh' era terra murata, forniva di carne suina il castello, 
dovendo ogni suddito che possedesse fino a San Michele uno 
o più majalì, rimettere colà una spalletta; né erano escluse da 
questa contribuzione le vedove : esse soltanto dovcano conse- 
gnare le spallet/e al zuppano. 

Della contea facevano parte le terre di Vuragna o Vu- 
raina (Vragna), Brest, Cerovgiie, Borutto e Previs, questa 
confinante con i villaggi veneti di Draguch e di Grimalda, 
quella col feudo di Pas, appartenente ai Barbo ^), e con i ter- 
ritori di Chutn, ouero Colmo, e di Draguch, signoreggiati dalla 
repubblica di S. Marco. Novacco, Sarez, Gardosella, aventi l'una 
66 sudditi, 38 l'altra e 49 la terza, come tutte le rimanenti 
possessioni arciducali, davano il censo, le decime in denaro 
o in generi, le solite regalie di formaggi, uova, galline, pollastri 
in determinati periodi dell'anno ed a preferenza nelle feste 
religiose, ovvero di carnevale, tempo nel quale, dì solito, si 
eleggevano anche gli zuppani; e nessuno del pari era esente 
dalle usuali servitù personali, quali il portar i tributi e le cose 
necessarie al castello, lavorarvi dentro ecc ecc. Gardosella che 
confinava con le terre venete di Montona e di Pinguente, avea 
continue conttoversie con gli abitanti di quelle. 

Appartenevano alla contea di Pisino anche i comuni di 
Botton^a, di Chersicla, Caschierga, Zamasco e Lovrana. I venti 
sudditi del secondo comune doveano, in caso di bisogno, portar 

■) Senza dubbio quello istituito da Giovanni Mosconi. 

*) 1 Barbo, gentiluomini veneziani, fin dal secolo decimoquinto si 
erano trasferiti ncU' Istria. Giovanni Bernardino Barbo circa l'anno 1480 
avea preso in moglie Caterina figlia di Martino Moise de' Moisevich, 
signore di Gosliaco ecc. C. De Franceschi. I castelli della Val d'Arsa. 

Ricerche storiche. Atti e Memorie Anno XV. 1898 p. 38i e scg. 

A. Dimiiz. Geschichte Krains. Laibach 1876. IV Th. p. 83. 



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sdlfere el polvere da Trieste, laddove quelli di Caschierga, oltre 
il censo e le regalie al signore dì Pisino, davano alla Censorie 
del Sampel •) una parte della decima del grano e più tardi, nel 
i636, quella intera sul vino. Lovrana, città murata, con un 
contado la maggior parte sassoso el inculto, forniva la signoria 
di castagne, et non scielte a casa, bensì subito collette. 

Ma strana sopratutto era la condizione giuridica del comune 
di Zamasco che non avea confini dalla parte di Montoaa, 
terra di S. Marco, e in cui vivevano mescolati insieme, e quanto 
concordemente io vedremo, quìndici sudditi arciducali e dicia- 
sette veneziani, che al rappresentante della repubblica in Monto- 
na pagavano un censo chiamato podestaria. E gli uni e gli altri 
potevano coltivare e campi veneti e campi imperiali, con la 
condizione che lavorando un suddito arciducale terre della 
repubblica dovea ciò non ostante corrispondere la decima alla 
signoria di Pisino, e cosi pure ritraendo un suddito veneto 
grano o vino da campi imperiali, pagava la decima al podestà 
di Montona. Del pari il villanie di Cherbune o Corbune, che 



*) Cosi teutonicamente venivano chiamati i Rampelli, che apparte- 
1 alla più eletta nobiltà pisinese. e per parte di donne discendevano 
dai KarBtmann, ramo cadetto dei di Pisino; pifi tardi i Rampelli si im- 
parentarono coi Rapicio, e l'ultimo rampollo della loro famiglio, Eleonora 
Angelica, nel 1735 si sposò col barone Giuseppe dell'Argento, a cui 
portò in dote la signoria di Chersano, di Caschierga, una casa dome- 
nicale, il molino di Slap e molti terreni in quel di Pisino: beni che in 
gran parte comprò nel 1798, per 4100 ducati, il dott. Antonio Segher 
de' Weisscnhaus. Anche i Rampelli erano baroni e portavano il predicato 
nobiliare di Kaiserfeld, chÈ cosi in tedesco appellavasi la villa di Ca- 
schierga loro concessa in Teudo. Ricevevano ogni volta l'investitura dai 
proprietari della contea di Pisino, e l'ultimo diploma fu dato dal mar- 
chese Enea Francesco Montecuccoli (Modena 19 sett. 1834) ad Anna 
Maria dell'Argento, figlia del barone Giuseppe e moglie del capitano 
in riposo Felice Calligarìch. Però dopo quarantadue anni la validità 
dell'investitura fu impugnala da Giuseppe Susanni, unico nipote maschio 
ed erede del barone Giuseppe dell'Allento. Nell'anzidetto diploma d' in- 
vestitura che ho sotf occhio I^go queste cose :«.... feudo di Caschierga 
consistente nella decima di grani e Vino e Campi e Vigne domenicali 
colti ed incolti, situato nel comune di Caschierga entro il Circondario 



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politicamente era soggetto al signore di Lupoglavo >], dava al 
conte di Pisino tributi in natura che però venivano condotti 
nel castello dai sudditi di Pedena. Più bizzarra la condizione 
politica del comune di San Lorenzo, che sebbene fosse soggetto 
a Venezia, pagava al conte di Pisino annualmente, intorno alla 
festa dei S. Pietro e Paolo, quaranta lire, e nella stessa occa- 
sione presentava a lui Ire libre di pevere, a titolo di grazioso 
dono. Bersez, pure terra della contea, spediva al castello, a 
carnevale, due vitelli, ed a suo tempo la decima d'appi giovem, 
con la osservazione che coloro i quali non possedevano dieci 
trombe, erano tenuti a dare la decima misura di cera et miele. 
Però il territorio di questo comune che si estendeva in cir- 
cuito una l^a e mezza, era in gran parte sassoso, non polendo 
uno in alcuni lochi due giorni fare, quanto altri in uno : e per 
giunta infìerivano ognora controversie con gli abitanti di Co- 
sliaco. 

Faceva infine parte della contea il Monte Maggiore, dove 
mediante l'obbligo di un'annua contribuzione, i sudditi man- 
davano a pascolare il gregge, e quelli di Moschienizze e di 
Veprinaz specialmente mandre di suini, corrispondendo per 
tale diritto il cosidetto danaro di gianda. La stantia di Lurino, 
certi prati e vigne sparsi qua e là, completavano ìl patrimonio 
della contea di Pisino negli anni 1573-78, quale esso ci si 
rivela dal codice feudale, compilato appunto in quel tempo. Il 



del monte denoniinato Padova .... in virtù della primitiva concessione 
feudale conferita alla famiglia Rampel nell'anno i636 da Sua Cesarea 
Regia Maestà >. — Ai tempi di Valvassor (1681-1693) ì Ramptl erano 
anche nobili della Carniola ed ivi residenti, come i Brigido, i Mosconi 
(Moskon), i Mordax, i Paradaiser, i Rauber, i Raunach, gli Herberstein. 
i KevenhQller, i Caraduci, i Rossetti, i di Zara, i Garzarolli ecc. 

') La signoria di Lupoglavo nel secolo decimosesto fu in possesso 
dei Herberstein. poi (i325) dell'arciduca Ferdinando d'Austria, il quale 
nel i5i7 la diede in pegno a Pietro Crussich, capitano di Segna e poi 
di Glissa in Dalmazia; e in pegno l'ebbero, circa dal 1576 in poi, i Sin- 
covich o Siscovich, s^:nani. Nel 1626 la signoria fu venduta agli Eggcnberg 
e dopo non molto (i634?) venne essa in potere di Pompeo II Brìgido, 
la cui famiglia la tenne per due secoli e mezzo. 



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— 390 — 

quale codice propriamente detto avrebbe qui termine: se non 
che ad esso in quel torno vennero aggiunti alcuni articoli 
speciali che doveano servire di norma ai capitani luogote- 
nenti od a chi altro avesse tenuto in pegno o in af|ìtto la 
contea. Nel primo articolo per nome di Sua Altexx<^ Arciduca 
Carlo d'Austria si commelte al moderno et cadauno delH Venturi 
Capitanio, Plgnoratitio d affittuale Possessore, ovvero loro Loco- 
lenenti a dover tenere buona custodia del presente riformato Ur- 
bario, acciò non resti in niuna parte maculalo et in qualche modo 
dannificato, ne tampoco da qualunque pocco ne troppo in esso 
scritto cancellato ouero lacerata.... Si raccomanda poi di riscuo- 
tere tutte le rendite con solerzia ed esattezza, sventando bensì 
frodi e sotterfugi, ma senza aggravare i sudditi conlra raggiane 
et giustitia; di permettere che le terre e le case lasciate in 
abbandono vengano occupate da altri che abbiano i mezzi e 
la volontà di mantenerle in buono stato. Sopra tutto poi vie- 
tava ai sudditi, di vendere, impegnare, assegnare in dote 
dare a livello beni della contea, spettando ad essi de' campi 
ti dominio utile, non il reale ch'apparteneva all'arciduca ov- 
vero al suo rappresentante, in conformità ai principi fonda- 
mentali del feudalismo. Del pari proibiva ai sudditi ed ai co- 
muni, per danni molestie arrecati alle terre comitali da 
estranei, di intentare loro liti, processi, cause, spettando tale 
diritto, eh' era un onere insieme, all' autorità sovrana del 
feudo od a chi la rappresentava. Imponeva inoltre a questa 
a dover ogni anno insieme con il Pievano assister alli conti delle 
Chiese delle quali il Contado (contea) tiene il Dominio .... però 
seni^a superfluità de banchetti, spese et pagamenti, com' in alcuni 
luochi era sin' kora il costume; né si tralasciava di raccoman- 
dare d' haver l'occhio sopra li Pievani sopra le Pievi, operando 
che li medemi satlisfino annualmente le loro sleure, e sopra ogni 
cosa insìstevasi di badare alia conservazione del castello di 
Pisino e degli altri edifizi situati nella contea, tutti ritrovan- 
dosi al presente in assai buon stato. 

Tale in breve il contenuto del codice feudale sancito nel- 
l'anno 157S, e che rappresenta l'unica fonte dei diritti comi- 
tali rimasti in vigore fino al secolo scorso: diritti vari, com- 



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-391 ~ 

plessi >), disparati, onerosi e spesso non chiarì : quindi di at- 
tuazione non facile e più volte contestata, incentivi ad arbitrii 
da parte di chi comandava e di chi obbediva. 

La mancanza di norme uniformi, la minuziosità delle pre- 
stazioni, la loro stessa gravezza concorrevano a rendere l'am- 
ministrazione dell'allodio priva di quella regolarità ed equità 
che sono coehcentì indispensabili dell'ordine e del benessere. 
Diversità di pesi, di misure, di monete, impossibilità quasi e 
del signore e del suddito dì impedire e punire gli strappi fatti 
alla l^ge, aumentavano la confusione e gli appetiti dei potenti 
e dei prepotenti. Lontano e le più volte male informato il 
supremo signore, e non tribunali imparziali e vicini e non 
forza armata in tutela del giusto e dell'onesto; lo stesso co- 
dice garantiva più i diritti dei padroni che dei sudditi, ed ispi- 
randosi piuttosto all' utile dei primi che al quieto e prospe- 
roso vìvere de' secondi, chiariva se non giustificava gli arbitrii, 
mentre privilegi più o meno antichi e chiari ed immunità più 
o meno autentiche ed eque, davano occasione e fomento a 
litigi, a disordini ad illegalità. Le quali cose erano solite ad 
aggravarsi perchè nella contea trovavansi signorie straniere, 
vassalli altrui, e perchè essa avea confini incerti, malsicuri, ed 
era abitata da sudditi in buona parte turbolenti, incolti, cui 
molto spesso ta fame od il delitto aveano chiamato a popolare 
l'allodio, forse, ignari del buono e del cattivo contenuto nel 
codice feudale. Il quale oltre che ordinare le relazioni tra pa- 
drone e suddito, costituisce anche il principale fondamento per 
la esatta conoscenza delia estensione della contea negli ultimi 
secoli, perchè sebbene lievi modificazioni si attuassero col 
correre degli anni nella esazione dei canoni e nelle rustìcali 
servitù, r integrità territoriale di essa non si mutò *). 

Però se Turbano del ibyS è il principal codice feudale 



1) Alle narrate contribuzioni ai aggiungano le BCguenti, introdotte 
ritengo più tardi : la decima degli agnelli che Boruto dovea al signor 
di Lupoglavo, Cerovglie e Novacco ai Rapìcio. 

*) Riguardo alle frontiere della contea confr. B. Benusai. Nel medio 
evo. Pagine dì storia istriana. Parenzo, 1807 p. 4S5-486. 



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— 3g3 - 

della contea, esso non fu il solo che questa ebbe, poiché e in 
manoscritti e in libri stampati si fa ripetutamente cenno di 
altri anteriori a quello ricordato in queste pagine; ma non 
ebbi la fortuna, non ostante le molte brighe e le pfizienti 
indagini di rintracciare ed avere a mano questi vecchi urbari 
che sprigionerebbero nuova luce sullo svolgimento storico 
della contea, e col mezzo della comparazione potrebbero dare 
notizie nuove e chiare sul sorgere e graduale prc^redire del 
vassallaggio nella regione pisinese. 

Lo scopo che spinse il signore della contea a pubblicare 
it codice del 1578 è manifesto, perchè come dissi, si legge nella 
prima pagina d'esso. Essendosi allargati i conlìni dell'allodio 
ed aumentato di molto il numero degli abitanti, il padrone 
del paese avea creduto bene di accrescere ì pesi e quindi le 
rendite, meta seguita presso che costantemente da quanti ebbero 
comando in questa terra. Né ci è sconosciuto con quali genti 
e sotto quali circostanze avvenisse questo ripopolamento. 

L'aspra lotta combattuta da Massimiliano 1 imperatore con 
i veneziani, la quale più tardi narrerò, avea ridotto l'Istria 
austriaca in una condizione desolante; le popolazioni erano 
state in gran numero espulse o uccise in guerra o aveano 
soccombuto per stenti e peste: devastate, incolte le terre, ì 
villaggi deserti : miseria e squallore dovunque. 1 possessori della 
contea, bramosi di non perdere le rendite, pensarono di propo- 
sito a ripopolarla, ma senza badare più che tanto con quale 
specie di gente: provvedimento rovinoso e del tutto veneto 
che ridusse l'agro istriano un campo di profughi rozzi, avidi 
dell'altrui proprietà che divise ancor meglio etnograficamente 
il paese e suscitò gelosie e lotte cogli indigeni e con i vicini. 
Ed è notevole per ciò il fermo e ripetuto rifiuto di quelli ad 
accettare nella contea siffatti ospiti, dandosi così a vedere che 
i vecchi abitanti, e italiani e slavi, erano di onesti costumi e di 
vita regolata >). 

Ferdinando I, con un decreto sottoscritto a Ratisbona addì 



') P. Kandler. Notizie storiche dì Montona. Trieste 1875 p. 70. 



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— 393 — 

24 aprile i532 permetteva che si trasferissero a coltivare le 
terre della contea bande d'uscocchi e di fuorusciti di Bosnia, 
chiamati dei dagli antichi abitanti; ma la fìcrczza e rapacità 
dei nuovi venuti provocano lagnanze, litigi con gli indigeni, i 
quali di Zitschsn nil Uidm mugen >]. Né migliori furono gli 
uscocchi di Glissa capitati nel i533 e la lunga sequela dei 
loro connazionali che, o spontaneamente o chiamati dai pos- 
sessori della contea o respinti dai turchi, per vari decenni li 
seguì; e il loro numero fu tale che sta scritto in un documento 
del i579 i morlacchi pagare al conte la maggior parte delle 
decime. Nel 1617, conchiusa la pace tra l'Austria e la veneta 
repubblica, altri e numerosi uscocchi di S^na e dei luoghi 
contermini vengono trasferiti nella contea e posti a preferenza 
lungo le terre limitrofe a quelle di S, Marco. 

Per tal modo dal lato etnico nei primi secoli dell'evo mo- 
derno la contea presentava un multiforme aspetto. Però nobili 
italiani e tedeschi, slavi di vecchia e di nuova calata, romanici 
discendenti dagli antichi coloni qui mandati da Roma, tutti 
riconoscevano nella modesta borghesia italiana l'antesignana 
della civiltà, la fautrice dell'ordine e della agiatezza. E la civiltà 
nella contea non ostante il guazzabuglio etnografico ed il vario 
e rapido mutarsi di chi imperava, era italiana, ed italiani tutti 
gli atti pubblici, tutti i documenti che riguardavano i sudditi ; 
non ne ho trovato uno che fosse stato scritto in altra lingua. 
La camera arciducale carteggiava bensì in tedesco con gli am- 
ministratori della contea, ma questi facevano eseguire la versione 
in lingua latina od italiana di tutte le carte ch'aveano attenenza 
con i sudditi; e questi, come pure il governo del castello, 
scriveva ai dicasteri di Vienna, di Graz, di Lubiana in italiano 
o in tedesco. Non è quindi da stupirsi se Taddeo Vico, che 
faceva le veci di ambasciatore veneto alla corte viennese, scri- 
vesse nel 1640 al suo governo che nella contea pisinese oltre 
lo slavo vi si parla anco quasi comunemenie italiano ^) e se il 



') C. De Franceschi. L'Istria Note storiche. Parenzo 1879 p. 403. 
*) Archeografo triestino. Voi IV p. 318. 



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-394 - 

Valvassor >) lasciasse scritto che i veri istriani occupano Pisine 
e le circostanH citti e Urritori, e che // loro linguaggio è l'istriano, 
cioè un cattivo italiano ossia Wetsch. 

Da quanto fino a qui ho narrato risulta manifesto che la 
condizione dei sudditi non sarebbe stata triste, se chi esercitava 
in modo diretto od indiretto il potere, il più delle volte arbi- 
trariamente non avesse fatto degli strappi al codice feudale del 
1578, calcando la mano su chi poi dovea o per amore o per 
forza pagare. Le querimonie, i richiami, le rimostranze contro 
i violati diritti diluviavano, ma di rado trovavano ascolto in 
chi avea tutto l'interesse di ritrarre dalla contea il ma^or 
utile possibile. 

Il dazio sul vino, un testatico che non escludeva neppure 
le serve, imposti nel iSyS per un anno soltanto, duravano 
ancora nel 1679 fra la disperazione degli immiseriti popoli, 
che al vedersi dissanguati abbandonavano il paese per trasferirsi 
nell'Istria veneta, la quale li accoglieva con la massima ospi- 
talità, loro concedendo gratuitamente terreni e dispensa da 
tasse per dieci e vent' anni. Così ci viene ricordato che ap- 
punto nell'anno 1579 sessanta famiglie slave aveano lasciato 
la contea ed eransi stanziate, col consenso della repubblica di 
San Marco, nei territori della Polesana ^). 

Addolorava del pari i sudditi la perdita di cencinquanta 
cavalli da soma nella spedizione croata (1S78), rinvio a proprie 
spese di trecento soldati a Bihac ed a Segna, e di altra gente, 
a Carlopago, jwr costruirvi la fortezza, a Pisino per difenderla 
dagli assalti de' veneti molestanti continuamente le frontiere 
della contea. E tale era lo stato degli animi in quest' ultima 



>) Die Ehre des Herzogthums Kraìn. Voi. 1. p. 38S-6. ■ Die aadrc 
Einwohner anreichend seynd selbige rechte Histerreicher die rccht 
eigendtiìch in Histerreich als zu Mitterburg wie auch in dort herumli- 
gendem Lande und Stadten wohnen. Ihre Sprach ist Histerreichisch das 
ist schlecht Itali^nisch oder Welsch». 

^) P, Kandler. Indicazioni per riconoscere le cose storiche del 
litorale. Trieste 1895, p. 65. 



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— 395 — 

città, che nel 1589 il comune con deliberazione, ch'era una 
sfida allo spirito dei tempi, presentava ai commissari arciducali 
un' istanza nella quale chiedeva che pure i nobili fossero ob- 
bligati al pagamento delle tasse e delle gabelle. Se non che 
questa istanza, come tutte le altre petizioni e lamentazioni, 
non sortirono alcun benefico effetto ; anzi cosa strana, nel 
1597 si fece tutto l'opposto di quello che desideravano i 
sudditi ; mandato a bella posta quaggiù un commissario di 
nome Rabatta, si accrebbero gli obblighi feudali, facendo una 
aggiunta al vecchio codice. In essa si dice che gì' imperiali 
• saranno tenuti di pagare nell' avvenire alla Camera di Sua 
Altezza Serenissima nel Castello di Fisino, da San Giorgio 
prossimo venturo dell'anno 1598, insieme con-quello ch'hanno 
pagato et servito per il passato conforme l'Urbario, com'anco 
con questo che adesso di nuovo in questa reformatione nova- 
mente s' hanno contentato di pagarci. Ma è bene sapere come 
si ottenesse dai sudditi questo assenso che dalle accennate 
parole del manoscritto sembrerebbe fosse stato spontaneo e 
quasi gradito. I commissari arciducali vedendo che i soggetti 
opponevano accanita opposizione ad ogni nuovo aggravio, 
chiamarono a Pisìno i deputati dei singoli comuni, e chiusili 
nella torre del castello, diedero loro la libertà soltanto quando 
nel corso del dicembre iSg? in appositi verbali s'obbligarono 
di accogliere i nuovi oneri. Soltanto quelli di Pisino stipula- 
rono il contratto ai 18 e quelli di Lovrana ai 29 di novembre; 
quelli di Pedena devono esser usciti i primi dal carcere, avendo 
rogato 1' istrumento ai 4 di dicembre: quelli di Cimino ai 6; 
dai 16 ai 27 gli altri; ultimi quelli di Zamasco, ai 21 di gen- 
naio iSgS. È incerto se quelli di Corridico siano stali incar- 
cerati, perchè il loro contratto non fu steso, come tutti gli 
altri nel castello, bensì nella loro villa : e autori di tutti gli 
istrumenti furono o il vicario di Pisino o Fabrizio Rapicio 
cancelliere arciducale. 

.\gli 8 di giugno del 1601 tutti i menzionati contratti 
furono sanciti a Graz dal presidente, dai deputati e consiglieri 
della camera arciducale dell'Austria interiore, Giorgio abate di 
Rein, Giovanni Giacomo di Kiemburg, Vido Jochner, Giulio 



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-396- 

di Paar e Giovanni Farrer. Nel decreto si raccomandava t al 
presente futturo Capitanio, Pignoratitio, A0ìttua)e over altro 
Possessore di questo Contado di pros^uire obedientemcnte in 
virtù del servitio dell' a0ìtto confìrmato et datto ad esso, et 
del reverso dato da se Ecc. Camera con tutte le clausole et 
articoli, conforme il bisogno et ragione in ogni via, però non 
aggravare li Sudditi contro l'antico consueto, overo loro ra- 
gioni, massima contra li sopradetti cresclmenti o agravii.... *. 
Quale importanza sia stata attribuita a questa raccomanda- 
zione appresso vedremo 

Intanto in grazia alle modificazioni introdotte nel codice 
feudale i sudditi di Pisino doveano annualmente corrispondere 
in più 17 spodi di frumento, 3o di avena, quattro castrati, 40 
fiorini di censo, consegnare la decima anche dell' olio, di cui 
si avrebbe potuto dare alla Chiesa della Pr^situra per l'illu- 
minatione del Santissimo Sacramento la mila. Si accrebbero gli 
a0ìtti dei mulini e si estesero tutti gli oneri pure ai beni ec- 
clesiastici. 

Quelli dì Pisino vecchio furono obbligati a corrispondere 
una maggior quantità di frumento e di avena, a trasportare 
l'uva di Lurino per due giorni, ovvero a coglierla; e pure ad 
essi, come a tutti quasi i sudditi della contea, fu imposta la 
decima dell' olio. 

A Vermo oltre ad aver accresciuto, come in ogni luogo 
il censo, ì fitti, la misura delle biade, fu ordinato di largire 
dodici galline a Natale, ventiquattro polli a San Giacomo, 
quattro castrati di quattro anni a Sant' Elena e cencinquanta 
ova a Pasqua. Questa specie di proficue r^alie fu aumentata 
quasi in ogni luogo : così a Terviso, cosi in Antignana, che 
di soprasello si addossò a dare // bisogno di cerchi per comàaller 
le botte dove si metterà il vino della loro decima. Nel comune 
di Gallignana, ed in parecchi altri ancora, si introdusse la 
tassa sulla caccia e la solita decima sull' olio, con la condi- 
zione però che la metà di essa dovea servire per illuminare 
la Chiesa di San Andrea a Pisino posta nella Città appresso il 
Castello : chiesa che più non esiste. Quelli di Borutto, di 
Previs, di Novacco, possedendo animali du tiro o da soma, in 



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-397- 

^giunta agli altri oneri, doveano condurre al castello una 
data quantità di legna da ardere: e sotto questo aspetto peggio 
furono trattati ì sudditi di Cerovglie che ogn'anno alla prima 
richiesta erano tenuti di menare a) castello dodici carri di 
legna. A Samasco o Villa di Zumesco, perchè soggetta per 
metà alla signoria di Venezia, non venne imposta per hora 
alcuna gravezza, se sì eccettuino una lieve tassa sulla caccia, 
la decima sull' olio, e la regalia di due galline et foganixe di 
pane una. 

1 sudditi di Lovrana accettarono pure li decima sulPolio, 
però con la condizione che la quarta parte di cs±ia si dividesse in 
due, per servire l'una alla illuminazione della loro chiesa parroc- 
chiale, l'altra a quella del convento di Santa Maria di Pisino; 
inoltre ogni lovranese fu costretto di pagare alla camera co- 
mitale sedici carantani ogni qualvolta i castagni non davano 
frutto. Ai sudditi dì Bersez sì mise un' imposizione ben più 
grave perchè essi, quand'era necessario di menare la gente dtl 
Contado, cioè la Cernila delti Soldati, per mare sino a Fiume, 
Segna overo altrove, doveano contribuire a quelli di Lourana con 
Marinari alla prò ratta (?j, overo accomodarsi con loro conforme 
V occasione. 

Insomma a tacere delle prestazioni personali, delle decime, 
delle regalie, i sudditi della contea in grazia alle modificazioni 
introdotte nel vecchio codice furono obbligati di pagare d' al- 
lora in poi al padrone la somma maggiore di fiorini 569 e 43 
carantani in contanti ; più Sa fiorini e 34 carantani per aQìtti 
di mulini, ed altri 5oo fiorini e 6 carantani in frumento, avena, 
vino e castrati: in tutto fiorini 1121 e carantani 83 più del 
consueto. 

Ma questi nuovi oneri, provocati in gran parte dalla cu- 
pidigia di chi teneva in fìtto la contea, tornavano insopportabili 
ai sudditi, già languenti per troppe fiscalità, già angustiati da 
troppe pubbliche e private sventure; ed ancorché tali aggiunte 
al codice feudale fossero state sancite dal signore del paese, 
l'arciduca Ferdinando d'Austria, a lui non tardarono pervenire 
doglianze vivissime e preghiere non meno calde di pronte ri- 
parazioni. Le prime sono cumulative perchè muovono da tutti 



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— 398 — 

i sudditi della contea; quindi singole borgate mandano partita- 
mente le loro querele, le loro rimostranze. 

Ci fu conservata in forma inedita la seconda supplica pre- 
sentata dagli oratori della contea all'arciduca, e del pari la 
risposta da lui data: documenti che per la loro storica impor- 
tanza voglio qui presentare per intero: 



< Serenissimo Principe Sig. Sig. Nostro Granosissimo. 

Ha parso all'Eccelso R(^imento e Camera terminare sopra 
le nostre humil suplicatìoni a V, S. Altezza presentate centra 
il nouo crescimenlo dell'Urbano imposto sopra il pouero Con- 
tado di Pisino dal (?) Sig. Rabbata, per il parere et informatioiie 
del Sig. Barbo Capìlanio, il quale come interessato non è dubìo 
alcuno che non voglia favorire la sua Locatione et trattato per 
le cntrade di esso Contado fatto con la Eccelsa Camera; onde 
parne che non sij necessario in questo proposito alcuna sua in- 
formatione, se non che desiderandosi qualche lume in questo 
negotio, potrà V. A. S. o il Eccelso Senato farsi presentare la 
sua instruttionc o Instrumento fatto nella Locatione detta; dalia 
quale a pieno si potrà cauare et hauer tutto quello ch'esso 
Sig. Capitanio potesse o douesse informare V. A. S. Ma perchè 
Serenissimo Prencipe il pouero Contado non dimanda né sup- 
plica, né la informatione né altro se non che esclama uiua uoce 
e prega genibus flexis V. A. S, che gratiosamente ne voglia 
liberare da detta noua imposta, a noi accresciuta, come si ha 
detto nella nostra prima humil suplica et come hora con ogni 
uerità lo affermiamo, con minacie, spauenti, castigo, penne 
contro li nostri Priuilegi. Promissione fatte in nome di V, Se- 
renità a non ag^rauare neU'auuenimento et centra ogni nostra 
possibilità — la quale in summa in alcun modo si potrà né 
dar né pagar, et quando pur dovessero essere sforziati, come 
si crede, V. A. S. deve saper et credere fermamente che non 
sarà crescimento né utile, ma danno importantissimo, perchè 
molti subditi si partiranno dal Contado, come già molti sono 
partiti, per causa delle molte gravezze, gran carestie. Et se 



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— 399 — 

V. A. S. non crede che ciò et tutto quello habbìamo detto nelle 
nostre suppliche, o forse dubita che nui se escusiamo o che 
non siamo desiderosi et sempre pronti quando le forze fossero, 
come non sonò, a obedir in tutto V. A. S. a sovenirla et a 
essequir ogni sua volontà, mandi, come humilemente per amor 
di Giesù Christo supplichiamo, Commissari qual' essersi uo- 
gliano, acciò ueggano le nostre forze, la nostra possibilità, et 
se è uero quello et quanto le habbìamo detto, a fine poi che 
la possano a pieno informare, et V, A. S. come Prencipe, Padre 
e Signor, non solamente della nostra poucrtà, ma anco delle 
nostre proprie et nostri figlioli uitte possa tuor, lassar et far 
quanto le piacerà, et acciochè occorendo nell'auuenir quello non 
si desidera, non si possa dir che non sij stato aueitito ogni no- 
stra impossibilità et pericolo che soprasta quando V, A. S, non 
uoglia prouedere et soccorere, come siamo fidati, essendo Pren- 
cipe benigno et di gratie pieno, con che humilemente se 
racomandiamo, aspettando grata rissolutione acciò lieti pos- 
siamo partire &lle nostre Case et consolar li poueri subdìti di 
di V. E. alla quale da Christo N. S. preghiamo felicità. 
Di V. A. Serenissimi 

Bumilissimi Serui 

L'Oratori del Contado di Pisino 

A Tergo 

Al Serenis. Ferdinando Arciduca d'Austria 

Humìlissima Supplìcattone 

delli 

Oratori del Contado di Pisino. 

Noi Ferdinando per Iddio Gratia Arciduca d'Austria, Duca 
di Borgogna ctc. Conte di Tirol e Gorilla ctc. 

Chari Fedeli. Qualmente si dolgono appresso di Noi ti sud- 
diti del Nostro Contado di Pisino per causa de! nuovo accre- 
scimento dell'Urbario, appresso et con quale non gli è possibile 
sussistere et adempire obediente mente, havete voi dalle di loro 
apportate doglianze maggiormente ad intendere, perchè Noi 



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— 400 — 

bora in ciò per Nostri Commissarji vi habbiamo nominato; 
per il che è il Nostro gratioso ordine con queste a voi per causa 
del qui addotto accrescimento et quali circostanze d'esso siano 
fondatamente vi informiate, et qualmente le cose ritrovarete di 
ciò il Nostro Inferior Austriaco Regimento e Camera con ri- 
mandare l'Inclusa in scrittura informiate; consistendo in ciò 
Nostra gratiosa volontà et intcntione. 

Data nella Nostra Cita di Graz II 4 luglio i6o3. 

Commissio Serenissimi 
Domini Archiducis in Consilio 

A tergo 
Alli Nostri Cari fedeli Gioseppe Posarel 
et Flaminio Manlio Cancelliere a Fiume 
di S. Vitto, Nostri Consiglieri. 1 



Ma anche le informazioni di questi due signori non devono 
aver arrecato giovamento agli abitanti della contea, i quali 
continuano a lamentarsi vivamente che i pesi sono insoppor- 
tabili, specie per colpa di Bernardino Barbo che meglio di 
capitano appellar si meriterebbe tiranno dei sudditi. Alcuni 
dei quali, per non sofrire le angherie, le vessazioni sue, tra- 
sferivansi con le loro robe nelle terre della repubblica dove 
trovavano ospitale accoglienza. 

La camera arciducale nella tema che tale emigrazione di- 
venisse costante, coi decreti dei 6 e 24 febbraio i6o5, nominava 
il vescovo di Pedena, Antonio Zara e Gregorio Cornar, in so- 
stituzione del dott. Cornelio, commissari straordinari nella 
contea di Pisino, dando loro ampia facoltà di investigare se le 
querele fossero vere e se il Barbo si comportava da tiranno. 
La relazione >) sottoscritta a Pedena addi 38 marzo i6o5 e 



•) De Franceschi. L'Istria, p. 414^14. 



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- 40I — 

mandata tosto al signore della contea, ha un' importanza storica 
grande, lumeggiando di luce sinistramente viva le condizioni 
politiche, sociali, ed economiche di quei sudditi. Ne vale la pena 
il riferine qualche cosa. 

Agli II e poi di nuovo ai 17 di marzo gli zuppani di tutta 
la contea raccolti nel castello dichiaravano ai commissari di 
\oter bensì anche in avvenire essere obbedienti al principe, 
ma di non poter in modo alcuno addattarsi ai nuovi pesi, im- 
posti ad insaputa de' loro comuni e sforciatamente, essendo 
eglino stati messi nel profondo della Torre et anco alla Corda o 
Tortura, né restituiti in libertà se non dopo ch'ebbero consentito 
di accettare gii intollerabili aggravi. Si lagnavano gli zuppani 
che di continuo i veneti, per questioni di confini, producevano 
danni grandi alle persone ed alle terre della contea, senza che 
il capitano si curasse di far rispettare non che le frontiere, la 
vita dei miseri sudditi, i quali vedevano con dolore incendiate 
le messi, tagliati i boschi, usurpati i campi per miglia e miglia 
di estensione: esistevano è vero le Scritture de' Congni Ira Ve- 
neti, ma queste dormivano placidamente in Cancellarla, ove é 
tutf aperto et ogn' uno prattica et con dinari facilmente si può 
subornare qualck' uno che le pigliasse. Si dolevano del pari i rap- 
presentanti dei comuni che il codice non consentiva loro di 
vendere od alienare i terreni e neppure di disporre a loro agio 
de' miglioramenti in essi compiuti, ancorché il capitano si 
permettesse di fare degli strappi alla legge ad alcuni conce- 
dendo quelle licenze, ad altri, di pari diritto, vietandole. Grave 
era del pari l'accusa che il Barbo per ogni loro debito benché 
minimo gli facci incarcerare et porre in fondo di Torre et mandi 
il Castaldo con gli Sbirri a levare gli pegni et a spogliare le loro 
capanne et fare cosi malto maggiori spese di quello importa il ca- 
pitale: né la Signora Capitania avea rossore, presenti a Pisino 
i commissari, di cacciare nell-i torre debitori che nulla dove- 
vano, indegnità che ai delegLiti arciducali fa esclamare nella 
relazione : Se in presenta de gli Commissari di V. A. S. ciò s' opra, 
quello poi in loro assenna a gli poveri sudditi si faccia, lasciamo 
ad altri considerare. Erano quindi del parere che la giustizia 
come in altre terre imperiali, così eziandio nella contea, venisse 



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— 403 — 

amministrata solamente dal vicario, persona non interessata, e 
provveduta a tale scopo di speciale stipendio, e che il capitano 
non si dovesse ingerire in questioni giuridiche ed astenire di 
rovinargli con tante spese d'officiali et sbirri. 

Le cose militari a detta dei commissari, per la trascurag- 
gine del capitano delle cemide andavano pure di male in peggio : 
non esercitazioni, non rass^ne, non spade, non archibugi, 
talché i soldati ne' bisogni ò tumulti cantra Veneti et Turchi sopra 
S^na, che spesso chiamali vanno, sono di molto poco valore. 

Quindi per la continua oppressione de' nemici esterni e 
delle spadroneggiami autorità interne, per lo squallore de' campi 
aggravati da pesi soverchi, ritenevano i commissari che sì dovea 
non soltanto diminuire i nuovi oneri, ma avviare un' inchiesta 
a fine di punire i violatori della legge: ciò servirebbe di esempio 
ad altri di non essere ingiusti à sudditi né tiranni, ciò impedi- 
rebbe sopra tutto che la contea si spopoli, essendo a tutti 
manifesto che Venezia, valendosi dell'universale malcontento, 
malis artibus induceva i sudditi a trasportarsi nella Polesana 
per coltivare quei campi dall'aria infetta resi desolati: a tale 
scopo quel governo loro assicurava per venticinque anni dispensa 
di tasse e di servitìi personali non solo, ma largiva ad ogni 
profugo venticinque ducati a^nchè si potesse fornire delle cose 
necessarie. 

I commissari, a dir vero, fecero il possibile per indurre i 
rappresentanti della contea ad accettare le nuove e pesanti 
modificazioni introdotte nel codice feudale; promisero di con- 
donare i debiti, salienti alla somma ragguardevole di sedici 
mila fiorini: usarono ogni possìbile diligenza, raggioni, motivi, 
persuasioni et anco leciti slratagemi: tutto fu inutile; risposero 
gli zuppani che più tosto che pagare cosa alcuna di questo accre- 
scimento volere andare a servire il Veneto: talché i commissari, 
convinti ch^ mai l'esborseranno se non sforciati, proponevano che 
i nuovi aggravi si limitassero in considerazione che lo stato della 
contea era desolante. 

Questa proposta però non deve essere stata accolta, perchè 
anche appresso continuano a piovere i richiami, le proteste 
delle immiserite popolazioni: tra le altre in ìspecìal modo no- 



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— 4o3 — 

tevole è quella rogata ai i5 dicembre del 1609 dal comune dì 
Lovrana. Ed ancorché nelle carte si faccia menzione di un 
urbario riformato molto tardi, ossìa nel febbraio del 1727 i), 
non mi consta se esso abbia potuto togliere calmare l' irri- 
tazione de^lì abitanti. 

(Continua) Prof. Silvio Mms 



1) Ciò apprendo da un manoscritto abbastanza grosso intitolato: 
Pralocollo di Regisiralura degl'Alti relativi la Contea di Pisino e Signorie 
di S. Servalo e Caslelnovo, dal ijés a tulio il 1800 Questo codice ha 
un'importanza storica molto grande, perchè se gli originali dei docu- 
menti sono spesso scomparsi, ne rimane in succinto il loro contenuto. 
Spero fra non molto dì poter pubblicare per intero questo manoscritto. 



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ELENCO 

dei doni pervenuti al Museo arclieologico provinciale 
ed aila Biblioteca sociale, durante l'anno 1902. 



OGGETTI ANTICHI 

Dal sig. GioxMinni Oplantch da Parenzo : 4 bronzi romani, 
3 monete venete, 4 mcdioevali, ed 1 medaglia commemorativa. 

LIBRI 

Dal socio March, dott. Giorgio Polesini: G. T. Rtvoira < Le 
origini della Archittetura lombarda *. Voi. I. — Loescher e C. 
— Roma 1901. 

Dal socio Gius^ipe Stradner pubblicista, Graz < Neue 
Skizzen von der Adria. Von San Marco bis San Giusto t . — 
Leykam, Graz, 1902. 

Dai signori podestà di Ossero, Cherso e Lussinpiccolo 
I Memoriale di protesta alla Sacra Congregazione dei Riti in 
Roma contro le deliberazioni della Sinodo diocesana di Veglia, 
e a tutela della latinità delle chiese entro i confini dell'antica 
diocesi di Ossero ■ . 

Dal socio Doti. Pietro de Madonix^a. di Capodìstria < Il 
XXXI volume dell'Archivio per l'Antropologia e l'Etnologia, 



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— 40^ — 

pubblicato dalla Società italiana di antropologia, in memoria 
del XXX anno di sua fondazione ». 

Dal Sig. Franceso) Bar. Lipperheide di Berlino : * Corpus 
Cassidum > . 

Dal sig. General de Beylie. i L' Habitation Byzantine • . 
Recherches sur l'Architecture civil des Byzantins et son in- 
fluence en Europe. — Grenoble, Falque et F. Perrin, editeur 

— Paris, Ernest Leroux, editeur. A. 1903. 

Dal doti. iMigi Sugano * Il campanile di S. Marco per l'a- 
nima veneziana*. — Conferenza tenutali 17 agosto 1903 per 
iniziativa della Scuola libera popolare — Tip. F. Ferrara e C. 

Dal socio Conte Stefano Rota da Ptrano : i Copia in due 
fascicoli del manoscritto originale di Giuseppe Tartini, che 
conservasi in queir archivio comunale, il quale ha per titolo : 
Dell' ordine delle cose naturali • . 

Dal Prof, di Storia antica nella r. Università di Padova, 
Giacomo Tropea: 

I. 1 II Feudo nella Storia e nel Diritto ». — Napoli, Stab. 
tip. Comm. G. Nobile — a. i883. 

3. ( Contributo alla Storia della Basilicata. * Documenti 
illustrati. — Potenza, tip. Garramone e C. — a. 1890. 

3. < Contributo alla Storia della Università di Messina >. 
Sommario storico documentalo del Coll^io e della Università 
di Messina di anonimo Gesuita (1548-1713}. (Dal Codice N. 3 
del Musco Civico di Messina) Messina, tip. Trimarchi, a. 1900. 

4. t 11 Settentrione greco della Sicilia. Dal 337 ^1 ^41 >. 
Estratto dalla Rivista di Storia antica. N, Ser. A. V. fase. 4.° 

— Messina, a. 1901. 

5. ( Numismatica Siceliota del Museo Mandralisca in Ce- 
fali! — Messina, tip. D'Amico — a. 1901. 

6. « Numismatica di Lipara » — Messina, tip. D'Amico, 
a. 1901. 

7. € Atti della Società storica messinese • (Giugno-Dicem- 
bre 1900) Messina, tip. D'Amico — a. 1901. 

8. « Carte teotopiche della Sicilia antica > (Studi di mito- 
logia Sikeliota) — Padova, tip. P. Prosperini — a- 1903. 



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— 407 — 

9- » Numismatica Messano-Mamertina » Messina, tip. D'A- 
mico, a. 1902. 

iO, « Storia dei Lucani » — Messina, tip. D'Amico, a. 1894. 

11. » Studi Siculi e la Necropoli Zanclea » — Messina, 
tip. D'Amico, a. 1894. 

12. «Gli studi siculi di /iwtó Orsit Est." dalla Rivista 
di Storia antica. 1895. A. I. n. 2. 

i3. «L'Etna e le sue eruzioni nelle principali fonti gre- 
che e romane ». — Messina, tip. D'Amico, a. iSgS. 

14. « Ecateo da Mileto. I. Ipijpia». Frammenti i a 19. — 
Messina, tip. D'Amico, a. 1896. 

i5. «Il nome Italia*. Storia della questione. — Nuovi 
studi. — Messina, tip. D'Amico, a. 1896. 

ló. (Tucidide ed il confine orientale del Mare Siculo. — 
Messina, tip. della Riv. di Stor. ant. — a. 1898. 

17. (Manuale di Fonti letterarie della Storia greca e ro- 
mana. Sa^io. — Messina, tip. D'Amico, a. i8g8. 

18. « Giasone il Tago della Tessaglia » — Messina, tip. 
della Riv. di Stor. ant. a. 1898. 

19. « Studi sugli Scriptores Hisioriae Augusiae * Fase. L 
n. III. IV. V. — Messina, tip. della Riv. di Stor. ant. a. 1899 
1890, 1891. 

Dal Socio Comm. doti. Matteo Campilelli, capitano provin- 
ciale: (Pianta vecchia di Rovigno entro le murai. 2 Esemplari. 
Dalla signora Angiolina Branchi-Krebs di Vienna : « Due 
carte a rilievo rappresentanti l' Istria e la Città di Trieste al 
principio del 111 secolo dell' Ora cristiana con suvvi segnati a 
colori gli scompartimenti degli agri colonici e municipali, il 
sito delle città e castella, il percorso delle strade romane ecc. » 
ideata e plasmata da Pietro Kandler. 

Dal socio Giovanni Vesnaver maestro-dirigente a Trieste : 
« Lettera autografa del march. Anteo Gravisi da Capodislria, 
intorno a Nicolò Gravisi fu Vanto da Pirano, investito dalla 
Repubblica Veneta, ducale Francesco Foscari io Marzo 1440, 
per avere salvato Padova, assieme ad altri valorosi istriani, 
allo Stato veneto, nella occasione della congiura di Marsilio 
da Carrara ». 



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ANNO DECIMONONO — i 90JS 0"«, „. / 
''_«*_^J^^^,^ / 

AHI E MEMORIE 

DELLA ''^^1/ 

SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA" 



STORIA PATRIA 



Volume XVIII ~ Fasc. i." e 2° 



SOMMARIO. 



Dìreilone. — Senato Rettori — Cont. 
Direiione. — Processi di luteranismo in Istria — Coni. 

Bernardo doK. Schlavuzii. — Cenni storici suU' etnograRa dell'Istria ~ C»*/. 
Dott. Piero Sticottl. — Relazione preliminare sugli scavi dì Nesazio. 
Bernardo dott. Schisvuzzi. — Monete romane rinvenute negli scavi di Ne- 
sazio 1900-1901. 
Prof, A. Ive. — Quarnàro o Carnàro? QuarnÈro o Carnéro> Postilla etimologica. 
Camillo De Franceschi. — Il Comune polese e la signoria dei Castropola. 



PARENZO 

PRESSO LA SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA B STORIA PATRIA 

Tip. Gaetano Coana 



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qAMBI DI PUBBLICAZIONI 



j. ArchNIa itorìM Lambarda, giornale della Società etorica Lombarda — Milano. 
Serie 111. 

3. AtH e Msmoria della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie di Ro- 
magna — Bologna, Scric 111. 

3. RlvitU ilorloa Italiana, diretta dal prof. C. Rinaudo con la collaborazione di 
molti cultori di storia patria — Torino. 

4. Arehlvlo Trsatlno. pubblicalo per cura della Direzione della Biblioteca e del 
Museo comunali di Trento. 

5. PHbbHcatlsnl del Museo civico di Rovereto. 

6. Aaniiaris della Società degli Alpinisti Tridentini. 

7. BoiletHM delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto d< etampa, pubblicato dalla 
Biblioteca Nazionale centrale di Firenze. 

8. BelletHae delle epire mederae ilranlere acqaitlale dalle Biblioteche pibbllche gover- 
nativa del regao d' Italia, pubblicato dalla Biblioteca Centrale Vittorio Emanuele 
di Roma. 

9. Hotìile degli icavl di antlehllà, comunicate alla R. Accademia dei Lincei per 
ordine di S. E, il Miniatro della pubblica istruzione — Roma. 

10. Arehaeeloglich-eplarap bieche MIHheilungen aui Ocderrelch-Ungara, pubblicale da 

0. Benndorf ed E. Bormnnn — Vienna. 

11. ■itthellangcn der AoUiropoleeiechen Getellechafl — Vienna. 

13. Arohlv fBr OeilerrelchUche Qetchlchle, pubblicalo dall' .accademia Imperiale delle 
Scienze — Vienna. 

i3. Archeogralc Trieitlno, edito per cura della Società del Gabinetto di Minarva — 

Trieste. 

14. Bullettino di archeologlae itorla dalmati, pubblicalo per cura del praf.Buli- — Spalatu. 

i5. Monumenta epectantia Hletorlani Slavorum meridlonallum, pubblicati dall'Accademia 

delle scienze ed arti — Zagabria. 



iulia tifica pagina della cofiertitia). 



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17. Bsllattino dalU Sodati Adrlillet di telan» natvratl In Trlxla. 

i8. AHI itìU 8Mleti dagli Ingegnarl ad archItatH In Trlatta. 

19. AIH • Msnorla, etfiti per cura della Società Alpina delle Giulie in Trieste. 

IO. BulUtllno dall' lititulo ttorlco lUtlino. 

31. Nsaattlilltter ita> WI((»(ohBftilch*n Club In Vlanna. 

33. Vltatnlh Hniktskoga Arhaologkko|i Dniilva, pubblicato dalla Direzione del Museo 
nazionale di Zagabria. 

i3. Atti della Accadamla di Udine. 

14. La CaHara, di Ruggero Bonghi. — Nuova scric, diretta da Ettore de Ruggiero 
— Roma. 

35. Naowa Archivio vanoto, pubblicazione periodica della R. Deputazione veneta di 
storia patria. 

36. Mlttfeellungen dcr k. h. Canlral-Ccmmlaalon lur Eriorsohung uni Erha.lung dar Kunit-iind 
Htetorlachen Dantnale. — Vienna. 

37. TraiMutlaiia ol Iba Canadlan Inttltula. — Toronto (Canada). 

28. AnHqvarteh Tidakrm tDr Svorlga Hlgllven »t Kongl. VHterhatt HUIcrle och AnlIqwHat* 
Akadanilen. — SlookliDlm, 

39. Schrlflan dar Phyiihatlah-ÓlwnDnlaoliBn Baiollichaft lu KOnigibarg. 

3o. Naus Holdalberger lArbUohar wom hlat. pbllosopb. Varoln In Heidelberg. 

3i. Carlnlhla. — Zeilschrifl fiir Valerlandskunde ecc., edita dalla Società slorica e 
dal Museo provinciale della Carinlia. 

33. WlaaanHhaltlklie Mltthailungan ava Boenian und dt>r Hercegovinc — edite dal Museo 
provinciale in Serajevo. 

3.). Arcbirio etorloo puglleta — pubhlicalo dalla Società di snidi siorici pugUese. 

34. RlWila di ttorla antica e eclenze atllnl, diretta dal prof. Trop.a — Messina. 

35. Skrifler ulqitna al Kumanlttlski Vetef.skapisamlundet 1 Upaala, pubblicati dalla 
Società letteraria di Upsala, 

3ft. Comnantarl dell' Ateneo di Bretcla. 

37. Soelèlè dea Bollandiste'a — nru\elles — Analecta nullandi.ina. 

38. Atti dell'I, r. Accademia di Scienza, Lettera ed Arti degli Agiati — Rovereto 

39. Bullattino del Muieo Civico di Padova. 

40. Rivista di Storia. .Arte, Archeologia della Provincia di Alessandria. 
Al. Sllil SlUarMl — l'ubbl di alcuni Prolessuri della Università di Sassari. 
Ai- WIlMOtohattllcher CI'jIi di Kiume - .MuilK-ibinLicn. 



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Prezzo del preserie laseicilo Come 6, pari a Lire It. 5 
„ dell' iotero «Dine „ m „ IO 



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